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Autore: aturiel    13/07/2014    11 recensioni
Se Lola odia, ignora.
Se Lola sorride, è per finta.
Se Lola tace, non vuol dire niente: lo fa spesso.
Se Lola corre, ha un motivo.
Se Lola ama, tinge di rosso.
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Quinta classificata al contest "Creepy Bloody Summer" con premio Miglior Personaggio Yandere
Seconda classificata al contest "Halloween contest" indetto da Lady.EFP sul forum
Terza classificata a al contest "Tell me a secret" indetto sul forum da passiflora91
Partecipa alla Challenge "Contest of passions" indetto da ellecowgirl sul forum
Genere: Malinconico, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Lola cercava il dottore.
Lola doveva trovare quel dottore, all’istante.
Svoltò l’angolo. Ormai stava quasi correndo nelle sue scarpe da ginnastica logore.
Chi non è mai stato all’ospedale pensa che le infermiere siano tutte come in quei film americani: con i tacchi a spillo, la divisa troppo aperta sul seno, bionda e sempre un dolce sorriso stampato in faccia.
Lola si avvicinava un po’ a quello stereotipo.
Ma Lola non portava tacchi a spillo e il suo sorriso non sempre era dolce.
Lola incrociò la segretaria.
«Angela, sai dov’è il dottor Enzino?»
«Dovrebbe essere nel suo reparto. C’è qualche problema?»
«Non c’è nel suo reparto.»
Lola non aspettò che la ragazza le facesse altre domande e tornò alla sua ricerca.
Lola decise di andare di nuovo nella sala 2.
Scese le scale.
«Lola!»
Lola si voltò, incrociando lo sguardo di un giovane sui trent’anni.
«Ciao Marco! Ti hanno dimesso, finalmente?»
Marco aveva avuto un incidente in auto. Al suo risveglio non si rammentava niente, nemmeno della moglie.
Sua moglie era morta.
Marco si era svegliato con un anello al dito e i ricordi confusi.
Marco aveva perso un braccio.
Marco non poteva più suonare il suo violino.
Ma Marco, del suo violino e di sua moglie, non si ricordava nulla.
«Sì! Ti potrò mai rivedere?»
Marco si era innamorato di Lola.
Lola non lo amava, però.
«Forse, un giorno.»
Lola sorrise.
Lola ricominciò la sua ricerca.
Non era lui che doveva vedere.
Doveva vedere le persone che amava.
 
C’erano tanti anziani in quell’ospedale.
Nel lungo corridoio la vita si mescolava alla morte, le giovani scintille accompagnavano gentilmente quelle ormai quasi spente.
Lola, gli anziani, non li sopportava: avevano più motivi per morire che per vivere ma, nonostante ciò, continuavano a trascinarsi per quei bianchi corridoi, accompagnati dalle loro giovani e dolci infermiere.
Ma Lola, i vecchi, non li toccava.
Lola amava i bambini.
 
C’era un bambino, una volta, tra quelle mura immacolate.
Il bambino aveva poco più di dodici anni.
Il bambino aveva un gatto nero con gli occhi verdi.
Il bambino adorava quel gatto e ne parlava spesso.
Il bambino era malato.
Il bambino aveva la distrofia muscolare.
Il bambino prima rincorreva il suo gatto ma poi, quel gatto, l’aveva schiacciato sotto le ruote della sedia a rotelle.
Il gatto era morto.
Anche il bambino era morto, ma dopo.
Lola amava quel bambino.
Lo amava più di Marco e di quei vecchi.
Lo amava come fosse figlio suo.
Il bambino si chiamava Stefano.
Ma Lola non doveva distrarsi: doveva cercare il dottore.
 
Lola si ricordò, in un lampo, dov’era il dottore.
Lola continuò a camminare, finché non raggiunse l’ascensore.
«Ehi, Lola…»
C’era quell’infermiere, in quell’ascensore.
Lola non si ricordava il suo nome.
Lola non voleva ricordarsi il suo nome.
Lola pensava che avesse un brutto nome, ma forse non era diverso da quello di tutti gli altri.
L’infermiere si avvicinò a lei e la baciò, schiacciandola contro la parete dura e fredda.
L’infermiere iniziò ad accarezzarla, a toccarle i capelli, il collo bianco, il seno prosperoso, le cosce.
L’infermiere le prese una mano e l’appoggiò contro di sé.
Lola non chiudeva gli occhi e non apriva le labbra.
Lola odiava quell’ascensore.
Finalmente raggiunse l’ultimo piano, quello che si trovava sottoterra.
Stava per scendere, ma l’infermiere bloccò le porte.
Lo faceva sempre.
Quell’infermiere si abbassò i pantaloni azzurri e incominciò a toccarsi.
L’infermiere era brutto.
Lola lo odiava.
Quando ebbe finito, la lasciò andare.
Lola iniziò a camminare per il locale scuro e pieno di muffa.
Faceva freddo, ma Lola non sentiva niente.
Lola era nella camera mortuaria.
Lola teneva lì la sua famiglia.
Lola aveva un marito, era un dottore.
Lola aveva un figlio, era un bambino di dodici anni.
Lola li aveva amati così tanto…
Lola aveva donato loro la morte, perché li amava.
Suo marito era lì solo da poche ore.
Il dottor Enzino le aveva detto che era stanco di vedere persone che morivano e di non poter far niente per salvarle.
Stefano le aveva detto che gli mancava il suo gatto nero e che si sentiva in colpa per averlo ucciso.
Lola li aveva amati così tanto…
Lola li aveva invitati ad uscire.
Prima Stefano: gli aveva avvolto il collo morbido in un abbraccio.
La faccia di Stefano era diventata blu.
Poi il dottor Enzino: lo aveva baciato con il freddo metallo.
Il ventre del dottor Enzino era diventato una rosa rossa.
Lola li amava così tanto…
Lola prese il coltello che c’era nel cassetto, il cassetto del suo dolce marito.
Lola si disse che, ormai, era ora di amare un po’ anche se stessa.
Lola se lo premette sulla carne, poco sotto lo sterno.
Adesso anche lei aveva una sensuale rosa rossa.
Adesso anche lei poteva smettere di soffrire.
Lola si sentiva bella e amata, ora.
Lola morì.
Lola li aveva amati così tanto…
 

 
 
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