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Autore: DWHO    13/07/2014    7 recensioni
Violetta è appena tornata nel suo paesino natale in Messico, dopo essere stata a Buenos Aires per sei mesi per lavoro. Qui ad attenderla il fidanzato e una sconvolgente verità.
Leonetta.
Vi avverto è un po' strana come storia ma spero vi possa piacere comunque.
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla, Leon, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                              Il sangue delle violette

Pensò tutto il pomeriggio sul da farsi ma non riusciva a prendere una decisione. Sentì la porta di casa aprirsi per far entrare un raggiante Leon. Abbassò subito lo sguardo, non sarebbe riuscita a guardarlo negli occhi. Vide i piedi di Leon praticamente volare verso di lei, per poi inchinarsi davanti al divano. Percepì la sua mano sulla testa, avvicinandola alle sue labbra. Le lasciò un leggero bacio sulla fronte e poi le prese le mani. “Lo sai che abbiamo fatto un grande affare oggi?” si sentì sussurrare all’orecchio. Anche solo la sua voce riusciva a farle contorcere lo stomaco. Continuò a non guardarlo. Quindi, come pensava, lui le prese il viso tra le mani costringendola a guardarlo negli occhi. Un dolore atroce s’impadronì del suo cuore, così da farla iniziare a piangere spingendolo ad abbracciarla. “Amore che succede?” le chiese con tono dolce e preoccupato allo stesso tempo. Sentirsi chiamare così non fece altro che ravvivare il suo pianto, portandola a ricambiare l’abbraccio in cerca di conforto. Quella notte la passò a piangere tra le braccia di Leon, finché esausta non si addormentò. Nei giorni seguenti il ragazzo continuò a chiederle il perché della sua tristezza ma lei non gli diede mai una risposta, limitando ogni sorta di contatto fisico o visivo con Leon per evitare di scoppiare e di raccontargli quanto visto. Ma non ce la faceva più a portarsi tutto dentro e decise di dirgli tutto quello che aveva scoperto. Si fece trovare seduta al tavolo mentre lui rincasava, scavando a fondo dentro di sé nel folle tentativo di trovare coraggio. Lo fece sedere sulla sedia di fronte la sua e cominciò a parlare, sempre tenendo lo sguardo basso. “Come ti sarai accorto in questi giorni non faccio altro che piangere e…” prese un respiro profondo “… e allontanarti da me” continuò. Lo vide annuire. “Vedi, non sono impazzita è che ho…” si fermò di colpo, non riusciva a continuare, non ce la faceva. Alzò lo sguardo e lo perse negli occhi del ragazzo che amava e in quel momento tutta la sicurezza che aveva acquisito le cadde davanti agli occhi. “E’ che ho cominciato ad avere degli incubi” mentì, sperando di non lasciarlo a vedere. Leon le si avvicinò e l’abbracciò trasmettendole calma e serenità. Si domandò perché non riusciva a smettere di amarlo. “Io invece ho una sorpresa per te” le disse cominciando a frugare nella tasca dei pantaloni. Ne tirò fuori una chiavetta blu, che mise nelle sue mani. “Sono esattamente ventiquattro anni che ci conosciamo e qui dentro sono racchiusi tutti i momenti che abbiamo vissuto insieme, dalla scuola materna fino all’anniversario di fidanzamento dello scorso anno” le disse, guardandola negli occhi. Non poté fare altro che baciarlo dimenticandosi di quella parte di lui nascosta che le stava procurando solo dolore. Lo sentì contraccambiare il bacio portando a far scontrare i loro corpi. Però sapeva che dopo quel bacio avrebbe dovuto prendere assolutamente una decisione, per lei e per lui.                                                          Ma i giorni passavano e ogni volta che prendeva una decisione che riteneva giusta, subito qualcosa la bloccava: non sapeva se fosse paura o codardia. Forse entrambe.                                                                                                                                                                                           Erano le sei del pomeriggio e stava camminando per la strada che l’avrebbe condotta a casa con le buste della spesa in mano quando sentì in lontananza delle sirene.  Lasciò cadere le buste e cominciò a correre verso la villetta fermandosi non appena vide Leon venire ammanettato da due poliziotti e fatto sedere in macchina. Il cuore le si fermò all’istante vedendo la macchina partire lasciando due autovetture a sorvegliare la casa. Si avvicinò con cautela per essere fermata da un altro poliziotto che dopo averla interrogata le spiegò la situazione: avevano trovato residui di impronte sul gambo del fiore e grazie ad esse erano riusciti a trovare il noto assassino, nonché Leon. Venne accompagnata alla centrale della polizia per farle un interrogatorio completo. La fecero accomodare in una saletta poco illuminata con un tavolo rettangolare in legno e con due sedie ai due lati opposti. La fecero attendere dentro un quarto d’ora per poi cominciare ad essere interrogata. L’uomo che le stava davanti la scrutava attentamente come volesse scavare dentro lei e rubarle l’anima. “Lo sa perché facciamo aspettare tutto questo tempo prima di iniziare ad interrogare” le chiese l’uomo. Scosse la testa. “Così gli accusati si sentono in soggezione ed è più semplice estorcerli informazioni preziosi” le spiegò. “Ma io non sono un accusato” gli fece notare. “No, ha ragione, però anche lei ha informazioni che potrebbero rivelarsi utili” e con questa frase cominciò il suo interrogatorio. “Chi è per lei il signor Vargas” le domandò. “E’ il mio fidanzato” rispose. “E da quanto?”. “Da undici anni”. “Però, è tanto tempo” osservò l’uomo. “Quando c’è l’amore il tempo non è più un fattore essenziale nella vita” gli disse. “E’ vero, ma scommetto che ti rende anche cechi o sbaglio”. Violetta non rispose. “Lei sa che è stata per undici anni con un omicida?”. Non ci vide più e colpì con forza il tavolo con le mani. “Lei non sa niente di chi sia Leon”. Lui non si scompose alla sua manifestazione d’ira e continuò. “Scommetto però che invece loro sanno chi è Leon”. Aprì due cartelline gialle che aveva posato sul tavolo appena entrato e ne estrasse diverse foto. Le mise davanti a Violetta che girò lo sguardo per non vedere i corpi delle ragazze uccise. L’uomo indicò con l’indice destro la prima foto. “Francesca Cuviglia, diciannove anni, la conosceva?”. Violetta negò, mentre sentì gli occhi farsi lucidi. “Stava ritornando a casa dopo essere stata invitata a cena da una sua amica. I genitori e il fratello ne sono usciti distrutti, posso ancora sentire le urla della madre appena ricevuta la notizia” insistette. “La prego, la guardi”. Violetta prese un profondo respiro e posò lo sguardo sulla foto. Una ragazza senza labbra era distesa per terra in una posizione disumana. “Ora guardi anche le altre” le ordinò. Spostò lo sguardo appannato di lacrime sull’altra foto. “Questa invece è Ludmilla Ferro, diciassette anni, figlia unica di due importanti avvocati della Citta del Messico. Avevano affittato casa qui vicino per trascorrere delle vacanze… tranquille” aggiunse con una punta d’ironia nella voce. Fece cadere le lacrime dagli occhi e vide un’altra ragazza sdraiata per terra senza vita, naso e occhi. “Questa invece” spostò l’indice sulla terza foto: la terza ragazza, senza orecchie. “E’ Natalia Sunsez, vent’enne. Abbiamo dovuto chiedere alla sorella minore di riconoscere il corpo dato che i genitori erano all’estero”. Violetta aveva l’impressione che si stesse divertendo a farle del male. “E per ultima abbiamo Lara Ortis, ventitré anni, le ha fatto lo scalpo, le ha tolto le ciglia e la pelle del viso. Anche lei era figlia unica” aggiunse con un sorrisetto. Violetta, ormai distrutta dalle lacrime, si portò una mano sul viso. “Si sta divertendo a farmi vedere queste foto?” gli chiese. “Mai quanto il suo ragazzo a realizzare i soggetti” bofonchiò lui. Violetta si alzò di scatto, controllando la voglia che aveva di mettergli le mani addosso, ma sapeva che non sarebbe servito a niente se non ad accusarla di aggressione a pubblico ufficiale e sbatterla in cella. “Lei è un grandissimo insensibile e anche un vigliacco. Ditemi le cose come stanno piuttosto di girarci intorno e ironizzarci” lo sfidò Violetta. D’un tratto l’uomo davanti a lei addolcì lo sguardo e le disse: “Non voglio farle del male, già ne è stato fatto abbastanza, voglio solo sapere se lei sapeva qualcosa di questa storia”. Violetta si ricompose e si mise seduta. “No” mormorò. “Ne è sicura? Si può fidare di me, non le succederà niente” le disse. Lei lo guardò e alla fine cedette. “Qualche giorno fa sono scesa nello scantinato e ho trovato una valigetta con dentro…” fece una breve pausa. “Con dentro degli attrezzi sporchi di sangue. Non sapevo che fare, non volevo denunciarlo ma non riuscivo a trovare soluzione migliore, così ho deciso di prendere tempo per pensare ma siete arrivati prima voi” concluse. L’uomo la guardò e le tese la mano. “Grazie signorina, mi scusi ancora per tutto questo” disse indicando le foto che raccolse e rimise dentro le cartelline. “Vorrei chiederle un favore” disse prima di aprire la porta. “Che favore vuole da me?” domandò con un sussurro. “Il signor Vargas è qui da un’ora abbondante e ancora non siamo riusciti a fargli dire niente, non parla. Ha detto che non dirà niente se prima non la vede” concluse. “Vuole che vada a parargli?” chiese. Lui annuì. “Se è possibile le vorrei chiedere di fargli raccontare l’accaduto, abbiamo bisogno della sua testimonianza” disse. Violetta lo guardò un attimo. “Lo farò” gli promise. “Bene, la faccio accompagnare da due agenti” uscì dalla sala interrogatori chiudendosi la porta alle spalle. Dopo poco uscì anche lei dalla stanza e accompagnata da due poliziotti entrò in un’altra sala degli interrogatori. Era seduto su una sediolina mezza rotta, con il capo rivolto ai suoi piedi. Continuava a bisbigliare parole senza senso, mentre si torturava le mani. Si sedette di fronte a lui che alzò la testa. Rimasero a fissarsi negli occhi senza proferire parola. “Credimi, non avrei mai voluto che tu venissi a conoscenza di tutto questo, tu non dovevi sapere la verità, ti avrebbe fatto male e io non voglio farti del male” le disse Leon, sembrava davvero dispiaciuto di tutto questo ma mai quanto lei, una delle persone a cui aveva sconvolto in peggio l’esistenza. “E che avresti fatto? Avresti continuato a vivere come sempre? Ti saresti mai sentito in colpa per le tue azioni?” Domandò la ragazza. “Perché Leon, perché’?” sussurrò sentendo le lacrime scorrere lentamente sul suo viso. “Dimmelo” lo supplicò. “Io… io… non ce la facevo più!” scoppiò. “Tu non c’eri e io mi sentivo solo, perso, non sapevo cosa fare, la sera tornavo a casa e speravo di trovarti lì ma era solo un’illusione e temevo di non vederti più” anche lui cominciò a piangere. “Ti sognavo ogni notte, sentivo le tue mani sfiorarmi delicatamente ma mi giravo e non c’eri, ti vedevo in ogni ragazza che incontravo… era come se mi stessero prendendo in giro facendomi vedere te in loro. Stavo cominciando ad odiarle. Così un giorno decisi di fargliela pagare con la stessa moneta: avrei ricostruito il tuo volto usando parti del loro. La prima volta che ho ucciso mi sono sentito malissimo, però continuavo a pensare che lo stavo facendo per non impazzire e da lì non mi sono più fermato. Non volevo farlo ma sono stato costretto” finì, tentando di prenderle la mano ma lei la scansò. Durante il racconto aveva visto un luccichio nuovo negli occhi di Leon, un qualcosa di forte e incontrollabile che si accentuava man mano che andava avanti. Si era sbagliata, non conosceva Leon come pensava e forse non l’aveva mai conosciuto; dentro di lei però era ancora vivido il sentimento che provava nei suoi confronti, ormai era talmente forte che non si sarebbe mai spento. Ma non cambiava le cose, lui aveva ucciso delle ragazze che non se lo meritavano, delle ragazze con tutta la vita davanti che di sicuro avevano in mente  dei piani per il futuro, stroncati così brutalmente da un suo capriccio. Avrebbe semplicemente imparato a portare con sé questo sentimento per il resto della vita, giocandoci il meglio possibile, facendolo credere un ricordo lontano che non le doleva più. “Perché hai messo le violette proprio sul cuore?” chiese. Abbozzò un sorriso. “Perché capissero il motivo che mi ha spinto a ucciderle”. “Non so che dirti” singhiozzò Violetta. “Lo so che non merito il perdono di nessuno, ma vorrei il tuo”. “Perché?” chiese non capendone il motivo. “Perché mi sentirei meno vuoto” ammise distogliendo lo sguardo dal suo. “Fidati, non c’è rimedio per quello”. “Ti supplico”. “Leon, cosa c’è da supplicare. Hai distrutto tutto quello che avevamo creato in undici anni in pochi mesi, hai distrutto il nostro rapporto e quattro vite umane? Come puoi supplicare?” urlò, in preda alla rabbia. “Perché ti amo” rispose. Restò in silenzio ripetendo le poche parole appena pronunciate dal ragazzo nella sua mente e le risultarono vere e false allo stesso tempo. “Mentirei se ti dicessi che per me non è lo stesso” si alzò dalla sedia e lo raggiunse. “Solo che fa male adesso ammetterlo” gli spiegò. Lo guardò un’ultima volta prima di dirigersi verso la porta. “E’ l’ultima volta che ti vedo?” chiese con un tono di voce spaventato. Si girò e lo fisso per svariati minuti prima di muovere la testa verso destra e sinistra, negando. Uscì dalla sala dove vi trovò ad attenderla l’uomo di prima. “La ringrazio”. “Cercate di non essere duro ve ne prego”. “Farò il possibile” promise.                                                                                                                                  Dopo ben due ore uscì da quell’inferno e trovò Camilla seduta sulle scale dell’entrata. Si avvicinò senza fare rumore notando che l’amica reggesse in mano un quadernino e una penna. “Sei venuta qui per la grande notizia?” la sorprese Violetta sedendosi accanto a lei. “Bhè, si, ho saputo che avevano trovato il serial killer ma non pensavo fosse…” si fermò. Sapeva che non continuava per la paura di ferirla, allora lo fece lei: “Leon. Si, è lui” sospirò. “Appena l’ho scoperto ho mandato all’aria la notizia e ti ho aspettato qua, penso che tu abbia bisogno di una persona vicino in questo momento”. Violetta alzò lo sguardo di fronte a sé e ammirò le collinette contornate da un rosso acceso, indicando che il sole presto sarebbe calato. “Grazie” disse, appoggiando la mano sopra la sua. “Come ho fatto a non accorgermi che…” ma venne interrotta da Camilla. “Tu non potevi fare niente, è semplicemente successo, neanche Leon l’avrebbe mai previsto scommetto” la rassicurò. “Si, però l’ha fatto”. “Ascoltami, per quanto abbia sempre pensato che l’omicida fosse un pazzo, Leon non lo è e non lo avrebbe mai fatto se qualcosa in lui non avesse preso il sopravvento. Purtroppo non so dirti di che cosa si tratta ma so spiegarti il perché” cominciò. “Leon è praticamente cresciuto insieme a te, ci siete sempre stati l’uno per l’altra e questo lo faceva sentire sicuro e inattaccabile. Eri tutto per lui. Sei il suo punto debole. Quando te ne sei andata si è innescato qualcosa dentro di lui, come una consapevolezza che era solo, che era impotente e fragile. E l’ha risolta nel peggiore dei modi. Siamo esseri umani Violetta, non siamo perfetti e nessuno sa come ragioniamo” finì. “Lo stai giustificando?” le chiese stupefatta. “No, lo sto capendo”. E d’improvviso tutto tacque; Camilla aveva ragione, lei non aveva sprecato un attimo a capire le vere ragioni di quegli atti orribili, si era semplicemente commiserata, aveva incolpato Leon di aver rovinato la loro storia, quindi di essere rimasta da sola, senza di lui. Si era ritrovata a rivivere le stesse sensazioni di Leon, solo reagendo in modo diverso. “Hai ragione, come sempre sono una stupida” disse, cominciando a far cadere le prime lacrime. “Oh, no che non sei una stupida, sei semplicemente ancora sotto shock, ma ti assicuro che non sei da sola, come non lo sarà Leon” la tranquillizzò. “Non lasciarlo solo Violetta, non perché deve affrontare il carcere o le sentenze, ma per tutto quello che c’è stato e che c’è”. “Lo farò, grazie Camilla” le strinse la mano. “Di niente, puoi sempre contare su di me” disse sorridendo. “Secondo te riuscirò a rifarmi una vita?” domandò, con un po’ di timore. “Sei giovane, devi solo volerlo” la spronò. Si abbracciarono concludendo così una conversazione che Violetta ricorderà per tutta la sua esistenza come un insegnamento di vita.
 
 
 
Angolo DWHO:
Ciao! Ebbene, questa è la fine. Spero non sia stata tropo triste XD. Se trovate errori mi scuso in anticipo, se avete qualche dubbio sulla storia ditemelo, se non avete niente da dire spero che abbiate apprezzato questo genere di racconto. Ringrazio tutti quelli che hanno letto la storia, che l’hanno recensita e tutto il resto. E’ sempre grata una vostra opinione al riguardo. Bene, questo è tutto, se volete prendervela con qualcuno per questa storia, oltre che con, anche con i serial killer, che ringrazio per l’ispirazione XD. Ancora grazie, mi ritroverete presto –credo- DWHO. Ciao!
P.s. ho fatto un errore madornale ecco perchè risulta un'altra storia. Mi scuso, spero non intralci la vostra lettura. Mi scuso anche se il testo è tutto attaccato o cose del genere. Ci ho provato ma non ci sono riuscita. Ciao!
  
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