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Autore: SallyLannister    14/07/2014    1 recensioni
Carter era un uomo insensibile e a tratti crudele. Non si curava del prossimo nemmeno per attimo, quando però nella sua vita accadde l'impensabile. Diverse vicende si abbatterono su di lui, rendendo la sua vita diversa da come in realtà il giovane aveva sempre voluto.
Questa è la storia di tradimenti, inganni, menzogne, crimini e sì, anche d'amore.
___ Dal Testo ___
[...] Pianse in singhiozzi mentre il ragazzo la guardava senza la minima espressione sul volto. Aveva visto tante donne piangere, lei era una di loro, non aveva nulla di particolare.
Senza degnarla di uno sguardo la lasciò sul letto a piangere e infilandosi un paio di pantaloncini si diresse verso la finestra, arrampicandosi per ritrovarsi sulle scale antincendio del palazzo.
Dopo vari istanti i singhiozzi cessarono e la porta di casa sbatté.
Carter trasse un lungo e intenso sospiro, finalmente era finito tutto.
Genere: Drammatico, Erotico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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PREFAZIONE


 
 
Una nuova vita era iniziata per Carter. 
Era sul quel maledettissimo aereo diretto all'aeroporto JF. Kennedy di NY, mentre pensava a quanto, era stato fortunato ad aver lasciato Mosca appena in tempo. La sua vecchia "banda" gli stava dando la caccia. Il suo fantomatico amico, non gli avrebbe mai permesso di lasciare il paese dopo aver spifferato che suo fratello era coinvolto in un atto illegale. 
Carter odiava tutto quel trambusto, dover lasciare andare la sua vita, non che ne avesse mai avuta una ma in un certo qual modo non sopportava il fatto di essere scappato così. Lui solitamente non scappava, rimaneva fino alla fine, ma da morto non poteva vendicarsi di coloro che lo avevano fatto arrestare. 
Ebbene sì, il suo fidato gruppo, lo aveva lasciato solo nel bel mezzo di un contrabbando di droghe pesanti provenienti dalla Colombia e lui era rimasto letteralmente fregato. 
Ricordava ancora amaramente mentre era interrogato due anni prima, in quella schifosissima sala d'interrogatori; le sue mani erano giunte, legate, da delle spesse manette di ferro, che impedivano quasi al sangue di defluire alle mani, tanto da sentire dei fastidiosi formicolii percorrergli le dita. Aveva sostenuto più volte lo sguardo del detective, con quella sua aria di sfida e di superiorità, voleva a tutti i costi tenergli testa. Non era servito a molto, poiché una telecamera di un supermercato lo aveva colto sul fatto e gli aveva causato due anni di galera, scontati solo dal patteggiamento che lui aveva avuto con il procuratore.
Ed eccolo lì, tutto solo e pronto per una nuova avventura, chi sa dove l’avrebbe condotto tutto quello. 
Non sapeva precisamente, dove potesse sistemarsi. Il fatto di adattarsi non era mai stato un problema, così decise che avrebbe cercato dei mezzi di fortuna affinché non avesse trovato un lavoro che gli permettesse di trovare un alloggio e viverci. 

La coda allo sbarco era davvero stressante. Carter non riusciva a sopportare tutte quelle urla di persone a lui vicine, non sopportava nemmeno il chiacchiericcio dei bambini; così tirandosi sugli occhi un paio di Ray-Ban si accinse a sfuggire alla marea di persone che lo stavano per travolgere e si apprestò a lasciare l'aeroporto. 
Una volta fuori, il sole caldo e lo smog della più popolata città americana lo travolsero. Non sapeva bene qual era la sua meta, il suo scopo, così decise di cominciare a incamminarsi per raggiungere il centro della città.
 
Diverso tempo più tardi, era giunto al centro della favolosa NY, che era ben differente dalla sua amata Mosca. Il clima era mite, non certo rigido come quello cui era abituato, quasi che la giacca che aveva indossato quella macchina gli desse una gran noia. Lasciò che la giacca grigia gli sfilasse dalle spalle, per poi prenderla sottobraccio e dirigersi per le strade trafficate di NY.
Nessun particolare era lasciato al caso. Carter era un uomo molto minuzioso e alcune volte sembrava certamente un maniaco, visto il comportamento che aveva in presenza di altre persone. Non amava particolarmente il trambusto, infatti, a ogni persona che casualmente lo urtava per le strade, lui si girava rivolgendo occhiatacce a destra e a manca. Fra sé e sé ripeteva solo che doveva essere grato di trovarsi lì e non sotto terra.
Continuò il suo cammino verso il parco, dove era ormai risaputo che i reietti della società prendevano dimora. Lui si sentiva esattamente così un reietto della società. Non era mai stato abituato ad avere una famiglia o un certo tipo di confronto da qualcuno, perché era stato abituato a cose peggiori.
Nessuno sapeva, infatti, che Carter fino ai suoi diciotto anni, aveva vissuto in un orfanotrofio, mentre guardava i bambini che erano continuamente adottati, mentre lui rimaneva sempre quello seduto in un angolo a fare esperimenti su uccelli che uccideva in giardino nell’ora di ricreazione.
“E’ un bambino disturbato.” Ecco cosa dicevano le scartoffie che si portarono dietro, quando fu spedito in una comunità una volta fuori dall’orfanotrofio. Ben sapeva però, che quella non era una vera e propria comunità, bensì era un posto per persone che avevano fatica a esporsi. Nulla di più stupido e falso! Non era per colpa di uno stupido colloquio con uno psicologo e una scritta su un foglio di carta che questo appellativo gli era stato affibbiato; semplicemente denigrava la compagnia degli altri bambini.
In verità Carter non aveva mai sopportato il fatto di essere stato abbandonato ancora in fasce, non aveva appreso il perché della sua nascita. Forse era nato da una prostituta? Da una mendicante? Da un incesto? Da un tradimento? Perché una donna avrebbe dovuto gettare un bambino su un marciapiede.
Quelle erano le domande cui Carter non avrebbe mai trovato risposta.
 
Un cartello, un semplice avviso catturò l’attenzione di Carter, mentre rivangava dentro di sé i pensieri tristi e malsani della sua infanzia.
- CERCASI PERSONALE -
“Che fottuta botta di culo.” Pensò fra sé e sé Carter mentre andò verso la vetrina di un’officina.
Il cartello diceva proprio così, e non poteva capitare in un momento più opportuno di quello. Forse era stato grazie al destino o proprio come pensava un colpo di fortuna. Fatto sta che Carter si precipitò all’interno del negozio, con ancora il borsone in spalla, in cerca del proprietario.
Appena entrò nel locale, un odore di motori e di olio misto a benzina, colpì l’olfatto di Carter che cominciò a guardarsi intorno. Dietro ad una macchina sollevata su un ponte, vi era un tizio cicciottello con un grosso cappello che gli ricadeva sulla fronte impregnata di sudore. Probabilmente era il proprietario.
A passo svelto il ragazzo, si avvicinò a quest’ultimo e con un colpo di tosse annunciò la sua presenze. L’uomo reso quasi sordo dal motore della macchina che stava aggiustando, non gli diede la giusta attenzione, così il ragazzo diede un calcio alla struttura di ferro cui l’uomo stava lavorando e quest’ultimo sobbalzò per via del rumore che fece il cerchione della macchina che cadde al suolo.
«Dannazione ragazzo! Cosa ti passa per la testa? Dio, che coglione.» Aveva bofonchiato quelle ultime parole, prima di girarsi di nuovo e continuare a fare ciò che egli stava facendo.
Carter lo guardò impassibile, cercando di mantenere la calma, visto che la perdeva spesso e per nonnulla. Così si limitò a picchiettare con l’indice sulla spalla dell’uomo e costringerlo a girarsi nuovamente.
«Non mi sembra di essermi rivolto a voi in modo scortese, signore. Preferirei che lei non lo facesse più.»
L’uomo lo guardò con un’aria perplessa, non riusciva a crederci che il ragazzo dinanzi a sé aveva usato quel tono che lasciava sottintendere un ché di minaccioso.
« Sono qui per il lavoro. Sono abbastanza bravo con le automobili. E’ ancora libero, no? »
Carter si espresse in un inglese meraviglioso, visto che lui aveva studiato bene quella lingua, non per Hobby certo, ma perché molte volte gli scambi avvenivano con persone che non conoscevano il russo.
L’uomo che per canto suo era ancora perplesso dall’arroganza del ragazzo, si limitò a guardarlo storcendo appena le labbra in una smorfia infastidita.
« No. E’ vecchio di un mese fa.»
Carter si accorse immediatamente che mentiva. Quella era la parte divertente di essere entrato a far parte di un clan mafioso, sapere sempre quanto l’interlocutore stava dicendo il falso. In quel caso, l’uomo stava parlando senza guardarlo negli occhi per davvero e la sua giugulare si muoveva a più non posso sul collo ciccione.
«Ah si? Allora perché è ancora lì?»
« Perché non ho avuto il tempo di toglierlo... ».
« O perché le incuto timore e quindi nella sua testa, si sta accendendo una lampadina che le dice, che potrei darle del filo da torcere?
« Beh... » Cominciò il tizio, che inaspettatamente cominciò a sudare nuovamente.
« Chi le dice che io non lo faccia lo stesso, se non ottengo quel posto? Sa io ne avrei realmente BISOGNO. Non so se lei riesce a comprendermi.»
Lo sguardo glaciale di Carter era fisso sul tizio, che non riusciva a muoversi. L’auto sul pontile scalpitava per via del motore acceso, rendendo l’aria di quella situazione davvero strana.
« Il tuo nome ragazzo? »
« Carter... Blacknight. »
« Puoi cominciare subito? »
Un ghigno vittorioso si stampò sulle labbra del ragazzo, che aveva avuto ciò che voleva. Dopotutto l’uomo era sveglio, fin troppo per capire che doveva stare buono e ascoltare ciò che Carter stesse dicendo silenziosamente.
« Sicuramente. Allora il posto è mio? »
« Sì. » Ammise con riluttanza l’uomo, asciugandosi la fronte impregnata di sudore.
« Perfetto. » Carter era trionfante, aveva ottenuto un lavoro a nemmeno due ore dal suo arrivo. Se avesse fatto tutto bene, probabilmente sarebbe riuscito a trovare un alloggio entro sera.
L’uomo lo lasciò lì, anche se era parecchio titubante al riguardo. Mentre si allontanò, gli rivolse uno sguardo enigmatico e lo vide togliersi anche la maglietta a maniche corte, lasciando scoperte le sue spalle e le braccia, mentre il suo corpo atletico e asciutto era messo in mostra da una canotta aderente.
« Ehi! Se fai pasticci, ti sbatto fuori a calci in culo. Siamo intesi? »
« Non si preoccupi. Vedrà che diverremo ottimi amici. »
Rispose ironicamente il ragazzo mentre si cominciò a dare da fare, vicino all’auto dall’altra parte del locale.
Dopotutto non era così sfortunato come pensava.
 


   
 
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