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Autore: FairLady    14/07/2014    6 recensioni
Due occhi scuri, lo specchio di un'anima profondamente ferita.
Un nome sussurrato dal vento che arrivi a lenire un dolore ormai senza tempo.
Due cuori affini che si fondono in un unico corpo immortale, quello dell'amore.
Prima storia in questo fandom. Please, be kind.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicembre 1991
 
Il sole che abbracciava Los Angeles era fin troppo caldo per una giornata di dicembre. Le vie della città erano addobbate a festa; le luci e il clima natalizio in California stridevano sempre con la sua temperatura mite, ma non per questo Aura sentiva meno lo spirito magico di quel periodo.
Aveva sempre amato particolarmente il Natale, molto più di qualsiasi altra festività, e appena passava Capodanno non vedeva già l’ora del dicembre successivo per tornare a sognare un po’, come quando era bambina. Di certo in Illinois si passavano quei giorni a fare pupazzi e a tirarsi palle di neve, ma in cuor suo poco importava se ci si dovesse bardare come in Alaska o se si passasse la vigilia in spiaggia a surfare, l’importante era sempre stato altro: la bontà d’animo, i bambini in festa, l’amore e la gioia di stare con le persone importanti.
A proposito di persone importanti…
In quel periodo era solita tornare a casa, a Burlington, ma quell’anno gli introiti al negozio erano andati peggiorando di giorno in giorno e, tolte le spese dell’attività, l’affitto e il sostentamento personale, non le sarebbero rimasti molti soldi per permettersi un viaggio simile, per cui, per la prima volta nella sua vita, avrebbe passato le feste lontana da mamma, papà, dai suoi fratelli e da tutta quella pazza combriccola di parenti che si riunivano sempre a casa Mitchell.
Per cercare di riempire quel vuoto aveva organizzato insieme al suo piccolo, ecclettico gruppo di amici – conosciuti i primi tempi dopo il trasferimento, alla scuola di moda e design – la vigilia e il Natale più strambi che avesse mai vissuto: sulla spiaggia a prendere il sole, con tacchino arrosto, pudding e le mince pies della sua migliore amica Tanisha.
Stava ancora riflettendo su quanto sarebbe stato strano quell’anno senza la sua famiglia intorno e considerando che, nonostante questo, non aveva voglia di farsi rovinare il Natale – nemmeno dal pensiero di un possibile fallimento del negozio che aveva tanto desiderato – quando, dopo ore di silenzio, il campanello dell’ingresso tintinnò nuovamente.
«Non ci posso credere – pensò tra sé -, finalmente un cliente!» si alzò dallo sgabello di cui ormai il suo di dietro aveva preso la forma, si sistemò metodicamente la camicetta prendendo un respiro e s’incamminò dal retro verso l’ingresso.
Due uomini camminavano pigramente nella sezione dei salotti, uno sempre dietro all’altro. Il primo, quello che apparentemente studiava con più attenzione gli articoli esposti, incedeva con una camminata aggraziata e composta, con le mani unite dietro la schiena. Indossava un paio di pantaloni neri, una giacca sportiva rossa, degli occhiali scuri e un cappellino da baseball. Di quando in quando accarezzava con le dita sottili qualcosa che probabilmente lo aveva colpito particolarmente, e poi passava oltre.
Aura si avvicinò sempre di più, notando che il secondo uomo – piuttosto ben piazzato – seguiva sempre il primo a distanza di un passo, senza mai togliergli gli occhi di dosso.
Nel negozio calò un silenzio quasi reverenziale; persino la radio che gracchiava pigramente dal retro sembrò essersi spenta, o forse era solo che lei si era persa totalmente sulle mani grandi e affusolate di quell’uomo e non percepiva più lo spazio e il tempo intorno a sé.
«Buongiorno signorina, vorrei sapere quanto costa questo, per favore…»
Aura, nel sentire la voce di quell’uomo, ebbe un fremito che diventò brivido quando egli si girò a guardarla, mentre ancora teneva la mano sul mobile del quale aveva domandato il prezzo.
Non era una fan, non lo era mai stata di nessuno, ma certamente uno come lui non passava inosservato; e di sicuro tutti – proprio tutti – sapevano chi fosse. Era normale provare emozione di fronte a colui che il mondo intero riconosceva come il Re del Pop!
«S-Signor Jackson – in che modo avrebbe dovuto chiamarlo? Signore andava bene? Sua Maestà? –, quel comò fa parte di un tris d’arredamento, come può vedere dall’esposizione. La bellissima credenza che ha adocchiato, in effetti, è accompagnata da questi due comodini…»
Aura, mano a mano che parlava – e mano a mano che notava l’interesse di Michael crescere verso le sue spiegazioni riguardo quei mobili – prese più sicurezza e, mentre parlava di ciò che conosceva meglio – i suoi articoli “rari” – dimenticò per un momento anche l’identità dell’uomo che le stava di fronte.
«Bene! Signorina…?» la interruppe lui, forse saturo di informazioni, o già persuaso ad acquistare quell’arredamento tanto elogiato dalla giovane donna.
«Oh, mi scusi. Mitchell, Aura Mitchell, signor Jackson…» Si era presentata e non gli aveva porto la mano, anche se nemmeno lui l’aveva fatto. Avrebbero dovuto stringersela come fanno due estranei al primo incontro? O forse no? Ma perché si stava facendo tutte quelle paranoie? Mentre divagava su cose di dubbia importanza, Michael le stava sorridendo.
E a lei, per un momento, mancò la terra sotto i piedi.
«Niente signor Jackson, per favore. Chiamami Michael» le disse con quel sorriso ancora dipinto sulla bocca perfettamente disegnata. «Che bel nome Aura – continuò poi togliendosi gli occhiali da sole con un gesto fluido del braccio e scoprendo uno sguardo intenso che lei non seppe descrivere altrimenti – Che cosa significa?»
Mentre attendeva la risposta, riprese a camminare placidamente tra il mobilio, scrutando, sfiorando, accarezzando tutto ciò che al suo occhio attento poteva risultare apprezzabile.
«Significa “veloce come il vento”. Deriva dalla mitologia greca…» rispose lei per la milionesima volta da che ne aveva memoria. Era una domanda comune, che tutti le ponevano dopo aver saputo il suo nome, ma quella volta rispondere non le pesò poi tanto.
Michael si fermò nuovamente di fronte ad un sofà del tardo Ottocento, alzò il viso e le regalò uno sguardo sorprendentemente amichevole, dolce.
«Avevo ragione, allora: Aura è proprio un bellissimo nome» sentenziò riprendendo a camminare. Il sorriso, constatò lei con tenerezza crescente, non aveva più lasciato quel viso perfetto.
Lo seguiva quasi in punta di piedi; non gli si avvicinava troppo, provava una certa soggezione verso la sua persona e pensava che forse non avrebbe avuto piacere di averla troppo vicina, abituato com’era alla calca dei fan che in ogni dove desideravano un qualsiasi contatto fisico.
Senza rendersene conto, aveva praticamente completato il giro dello showroom e Michael non aveva fatto alcun accenno a voler comprare qualcosa. Stranamente, nonostante le condizioni traballanti della sua attività, Aura non se ne rammaricò troppo. Non gliene era mai importato granché di Michael Jackson, come della musica in generale, ma ammise con se stessa di essere stata colpita dal fascino di quell’uomo dagli occhi innocenti. Sì, era quello l’aggettivo che cercava poco prima, quando lui aveva sfilato gli occhiali da sole: innocenti.
«Devo farti i miei complimenti, hai davvero un negozio molto interessante. Non sono i soliti mobili che si vedono ad LA»  si complimentò per poi guardarsi intorno un’ultima volta.
«Se sei ancora interessato a quella credenza bianca con i pomelli in Swarowski posso fare uno strappo alla regola e vendertelo singolarmente per milleottocento dollari.»
«Veramente avevo intenzione di comprare tutto il set, Aura, e penso che acquisterò anche il sofà in broccato dell’Ottocento con la poltrona e le due lampade gemelle vicino all’ingresso»
Aura rimase a bocca aperta. Solo il sofà costava quindicimila dollari! Cercò comunque di non scomporsi, anche se già pregustava il pudding all’inglese di sua madre la notte di Natale.
Per l’ennesima volta in pochi minuti Michael l’aveva lasciata senza parole.
«Me li potresti spedire? Altrimenti, se è un problema, mando qualcuno a ritirare» le chiese, forse per aiutarla a uscire dall’imbarazzo, intuendolo dal suo sguardo attonito.
«No, no, non ti preoccupare, M-Michael, te le farò recapitare.»  
Di lì a poco Michael Jackson, dopo aver pagato profumatamente gli acquisti – anche più del dovuto – e aver lasciato l’indirizzo della sua casa, fece per andarsene, ma prima regalò ad Aura un ultimo sguardo carico di qualcosa simile all’affetto che lei ricambiò con tutto il cuore.
 
Erano trascorsi dieci minuti – forse venti – da quando quell’uomo e quella che doveva essere senz’altro la sua guardia del corpo erano usciti dal negozio e a lei mancava ancora il respiro. Il cuore probabilmente aveva smesso di battere a quel primo sorriso e non aveva ancora ripreso.
Si ritrovò a fissare la firma che Michael aveva apposto sull’assegno e a sperare nel profondo di avere presto un’altra occasione di rivederlo. 
   
 
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