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Autore: Mrs_Nella    14/07/2014    4 recensioni
Kate e Mike. Migliori amici da sempre. Purtroppo Karen, la mamma di Mike, ottiene il trasferimento. Dopo 10 anni insieme, i due ragazzi devono dividersi.
Una chiamata, forse, riuscirà a sistemare alcune cose. E un matrimonio imminente.
*dalla storia*
Sydney. Avrò solo 10 anni, ma so che cosa vuol dire. Oltre 1200 km. Più di 14 ore di viaggio. Ma soprattutto, una crudele verità: mi avrebbero separata da Mike.
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Mi distesi a pancia in su, le gambe piegate e le braccia intrecciate dietro la testa. Mentre stavo fissando quelle poche stelle che si riuscivano a vedere, sentii Mike spostare un altro lettino vicino al mio.
“Dai, non te la prendere... Avevo solo voglia di scherzare un po’ con te...” mi sussurrò, posando una mano sulla mia pancia e avvicinandosi a me. Girai la testa, pensando a cosa fare.
Mi alzai di scatto, lasciandolo allibito. Feci il giro del lettino, e riuscii a dargli il giro, facendolo cadere.
“Ehi! Questo è un colpo basso!” e, prendendomi per una caviglia, mi vece arrivare al suo livello.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Mike, Kate, è ora di tornare a casa!”
Ecco la voce di Karen, la madre di Michael. Questa sera mi sarei fermata a cena in casa Clifford. Karen è un’amica di mia mamma fin dai tempi dell’università. Si sono conosciute al primo anno, quando hanno iniziato a frequentare lo stesso corso di Scienze a Brisbane. Da allora sono diventate inseparabili. Ora, sia la mia famiglia, sia quella di Mike, abitiamo a Hervey Bay, a circa 3 ore dal luogo del loro primo incontro.
“Arriviamo, mamma!” urla di rimando il mio amico. Mike è sempre stato il mio migliore amico. Siamo cresciuti praticamente insieme. Ha 11 anni, io uno in meno. I suoi capelli sono biondi, sempre spettinati, che gli incorniciano un viso tondo, con degli occhi enormi azzurro verdi. Ah! Io sono Katherine Elizabeth Thompson, detta più comunemente Kate, ho gli occhi verdi e i capelli castano scuro.
Arriviamo a casa di Mike, e trovo anche mia mamma, Evelyn, e mio padre, Joshua. Non sapevo che ci sarebbero stati anche loro, non mi avevano detto niente. Io e Mike andiamo a lavarci le mani, per poi sederci a tavola. Siamo solo noi cinque, perché i genitori del mio amico hanno divorziato l’anno scorso.
A fine pasto, Karen dice di dover fare un annuncio.
“Vi chiederete cos’ho di così importante da dirvi” dice, con una voce che cerca di essere calma, ma che in realtà trema leggermente. Quando cala di nuovo il silenzio, decide di continuare. “Mi hanno trasferita” annuncia, serissima.
“Wow! È fantastico!” esclama mio padre, raggiante.
“Perché non sei felice?” chiede mia mamma, con sguardo preoccupato.
“Perché... Devo, anzi, ci dobbiamo trasferire a Sydney” conclude, con lo sguardo fisso in quello di mia mamma, una lacrima che le riga il viso.
Cala il silenzio.
Sydney. Avrò solo 10 anni, ma so che cosa vuol dire. Oltre 1200 km. Più di 14 ore di viaggio. Ma soprattutto, una crudele verità: mi avrebbero separata da Mike. Scoppio a piangere, e vedo che il mio amico fa lo stesso, seduto di fronte a me.
“Quando partite?” chiede mia mamma, e la sua voce mi porta alla realtà.
“Tra una settimana. Inizio lunedì prossimo” risponde, cercando di mantenere la voce più calma possibile.
Una settimana. Solo più una settimana. Poi come farò? Quando potrò rivederlo? Di lì a poco avrei iniziato un nuovo anno in una scuola nuova, la stessa di Mike. L’unica persona che conosco se ne va. Non ci posso credere.
Il giorno della partenza, siamo tutti in aeroporto. Prima di imbarcarsi, Mike mi abbraccia. Non voglio che se ne vada, non voglio che si dimentichi di me. Così gli regalo il mio pupazzo preferito, almeno avrà sempre una parte di me con lui. I nostri genitori promettono di sentirsi spesso, e magari anche di riuscirsi a trovare, ma so già che vedersi sarà impossibile. Gli do un bacio sulla guancia. Lui ne dà uno a me. Sua mamma lo prende per mano e poi mi saluta. Devono andare.
 
8 anni dopo...
 
“Kate! Kate! Svegliati! Ho una bellissima notizia!” esclamò mia mamma scuotendomi per riportarmi al mondo reale.
“Lasciami dormire, sono solo le 11 del mattino!” le ringhiai contro, schiacciandomi la testa sotto il cuscino.
“Così impari a tornare alle 3 di notte!” mi riprese, e nel frattempo ha già aperto le finestre. Per fortuna quello era il weekend prima dell’ultima settimana di scuola, poi ci sarebbero state le vacanze di primavera.
L’aria fresca di metà settembre mi costrinse a tirarmi su.
“Va bene, arrivo!” dissi, mentre mi infilavo le ciabatte e la raggiungevo in cucina, dove trovai già la mia tazza di latte caldo sul tavolo. La bevvi in fretta, ma mia madre non parlò durante tutto il tempo che rimasi seduta, sapeva che finché non finisco colazione è meglio che non mi venga fatta nessuna domanda.
Appena posai la tazza, la fissai, ancora un po’ scocciata. Continuava a sorridermi, e dopo un minuto di silenzio, la incitai a parlare. “Beh?”
“Te la ricordi Karen, la mamma di Michael?” mi chiese. Michael. Karen. Come potevo dimenticarli? Anche se erano passati anni dall’ultima volta che li avevamo visti, e l’ultima volta che ero riuscita a sentire Karen era più o meno un anno prima, quando finii l’ultimo anno alla Secondary School, non potevo dimenticarmeli. Con Mike ci sentivamo ogni tanto, per messaggio, quando non eravamo presi dallo studio (anche se avevo finito, stavo seguendo un corso di formazione) o dal lavoro (infatti lui aveva trovato un piccolo impiego).
“Sì, certo che me la ricordo. Perché?” chiesi impaziente, abbassando lo sguardo sulla tazza e giocando con il cucchiaino.
“Si sposa. Lei e Patrick si sposano. Tra 20 giorni. E ci hanno invitati, tutti e 3.”
Io mi bloccai e piantai gli occhi su mia mamma, incredula.
“Stai scherzando?”
“No. E ti dirò di più: Patrick ha degli appartamenti in più, che non è riuscito a dare ancora in affitto, così ci ospita per tutto il tempo” aggiunse, sempre più felice.
“Tutto il... tempo?” domandai confusa.
“Sì. Ha detto che appena finisci scuola possiamo andare da loro appena tu finisci scuola, e stiamo lì fino al 6. Papà è già andato a prenotare il volo” e così dicendo, uscì dalla cucina, lasciandomi senza parole. Non ci potevo credere. Avrei rivisto Mike. Dopo 8 anni, avrei potuto riabbracciarlo. Ma mi venne un pensiero: era ancora il Mike che conoscevo? Quanto era cambiato, caratterialmente e fisicamente, in quei 8 anni? Si ricordava di me? Come ci saremmo salutati?
Ma anche con tutti quei pensieri in testa, affrontai l’ultima settimana del corso con un entusiasmo che non avevo mai avuto. Anche Ally, la mia migliore amica, era felicissima per me.
Finalmente il sabato mattina arrivò in fretta. Il volo durò meno di due ore, così scendemmo, prendemmo le valigie e ci avviammo verso l’uscita. Prima ancora di vedere Karen e Patrick, qualche metro davanti a loro, c’era un ragazzo. Quegli occhi. Conoscevo solo una persona con quegli enormi occhioni verde-azzurro e quei capelli biondi sempre spettinati. Mi sorrise, e io feci lo stesso, aumentando il passo. Lui mi venne in contro, con le braccia spalancate, e io iniziai letteralmente a correre, lasciando andare la valigia, e saltandogli in braccio. Mi strinse forte, e io feci altrettanto, mentre mi faceva fare un mezzo giro in aria tra le sue braccia. Affondai la mia faccia nell’incavo del suo collo, e respirai a fondo. Mi ricordavo perfettamente del suo odore. Quando mi fece scendere, non riuscimmo a smettere di sorridere.
“Mi sei mancata tantissimo, Kate” disse, prendendomi le mani.
“Non sai tu, Mike!”
“Scusate se vi interrompiamo, ma c’è qualcuno che vorrebbe salutare Kate!” disse scherzosamente la voce di Karen. Abbracciai forte anche lei, e mi presentai al suo futuro sposo.
“Come sei cresciuta, e come sei diventata bella!” esclamò la donna.
“Tu invece non sei cambiata di una virgola, sei sempre bellissima” risposi io, notando che, sul serio, era identica a come me la ricordassi.
“Anche Mike è cambiato un sacco” notò mio padre. E solo allora mi resi conto di quanto, in realtà, fosse diverso. Ora era decisamente più alto di me di una spanna. Aveva delle spalle abbastanza larghe, e dalla canottiera, che lasciava scoperte le braccia, si potevano vedere dei bicipiti in fase di formazione. A quanto sembrava, stava andando in palestra. Però, oltre agli occhi e ai capelli, anche la bocca era rimasta la stessa. Aveva sempre avuto delle labbra carnose e più rosse, rispetto alla carnagione non scurissima. Aveva anche un po’ di barbetta ispida, non fatta, ma che gli dava un’aria di maturità.
“Andiamo, vi faccio vedere il vostro appartamento” esclamò Patrick, e dopo mezz’ora di viaggio nella sua macchina, giungemmo in una palazzina che sembrava appena stata ristrutturata.
Entrammo dentro e ci si presentò un appartamento composto da due camere, cucina e bagno. Io buttai la mia valigia sul mio letto, poi ottenni il permesso di uscire insieme a Mike. Rimanemmo fuori tutto il giorno, fino all’ora di cena, a passeggiare tra i negozi di Sydney.
“Allora? Con questo lavoro?” chiesi, curiosa di sapere della sua vita.
“Bene, va molto bene. Ora abito per conto mio, in un appartamento non molto distante da quello di mia mamma. Patrick ha insistito che andassi in uno dei suoi, così non avrei pagato niente oltre le bollette, ma ho preferito voler fare tutto per conto mio. Magari uno di questi giorni te lo faccio vedere” mi raccontò, tutto felice per i risultati che era riuscito a ottenere.
“Molto volentieri!”
Entrammo in molti negozi, passeggiammo per i parchi, chiacchierammo del più e del meno, senza scendere in argomenti particolari, ricordando soprattutto momenti passati insieme. All’ora di cena mi riaccompagnò a casa, e ci saremmo visti il giorno dopo. Ero troppo stanca per affrontare una serata in giro.
I successivi 3 giorni furono molto simili al primo, con l’eccezione che ci vedevamo anche alla sera. Sydney era spettacolare. Peccato che il tempo non fosse dei migliori, così non riuscimmo nemmeno ad andare un giorno in spiaggia. Però ne approfittammo per visitare la Sydney Tower e Harbour Bridge, che unisce le due parti della città.
Dopo 4 giorni dal nostro arrivo, iniziammo a parlare di argomenti un po’ più personali. Beh, in realtà fu lui a iniziare.
“Dai, raccontami qualcosa in più di te. Non mi hai ancora detto molto sulla tua vita sentimentale.” Così mi lanciai in un resoconto delle mie relazioni con i miei ex ragazzi (3, per la precisione), del mio primo bacio, dato a 14 anni, a un ragazzino più grande di me, della prima delusione, della “rinascita”, se così si può chiamare, grazie a Edward, della mia prima volta con lui a 16 anni, e poi del mio terzo ragazzo, con cui non era durata più di 2 mesi.
“E ora sono single da circa 5 mesi” conclusi. “Ora tocca a te!”
E, a sua volta, mi raccontò di quanto fosse timido, così che diede il suo primo bacio a 17 anni, alla sua unica ragazza, Georgia, alla loro prima volta, qualche mese dopo, e a come si fossero lasciati malamente a San Valentino di quell’anno, perché lei gli aveva messo un bel paio di corna.
“Ora faccio un po’ fatica ad aprirmi di nuovo, e la mia timidezza è tornata a galla” finì la frase.
Non sapendo cosa dire, continuammo a camminare per le vie del centro in silenzio per qualche minuto, poi, per rompere l’imbarazzo, lo presi a braccetto e lo trascinai davanti a una vetrina.
Ricominciammo a camminare, e, ora che ci eravamo di nuovo sciolti un po’, andavamo in giro abbracciati.
Non riuscii a pagare niente per tutta la prima settimana, perché quando mangiavamo non avevo nemmeno il tempo di prendere il portafoglio, che lui aveva già sganciato le banconote. Almeno riuscii a pagarmi quello che comprai nei negozi, ma a portarmi le borse era sempre lui.
Mi era mancato un sacco quel ragazzo, e non mi dispiaceva affatto farmi coccolare e viziare da lui.
Una sera, invece di uscire, mi invitò a casa sua, dove rimanemmo a guardare i nostri cartoni preferiti di quando eravamo piccoli e a mangiare pizza sul divano.
Avevamo anche ricominciato a fare gli idioti e infastidirci. Per qualsiasi cosa, lui per me era ‘Gordon’: era il suo secondo nome, e lo odia tantissimo, infatti cerca di tenerlo sempre nascosto. Ma, ahimè, lui fece lo stesso: continuava a chiamarmi ‘Beth’, diminutivo di Elizabeth, mio secondo nome. Ma anche questo era il nostro modo per dimostrarci quanto ci volevamo bene.
Finalmente, dopo una settimana esatta dal nostro arrivo, uscì un sole caldo e ne approfittammo per andare in spiaggia tutti e sei insieme, come facevamo quando Karen stava ancora con Timothy. Quella fu una delle poche giornate che passai con i miei, perché per tutto il tempo della mia permanenza li vidi solo all’ora di cena o di colazione.
Le due settimane stavano volando, ed era già arrivato il sabato, cioè il giorno prima del matrimonio. Io e Mike avevamo ripreso la confidenza di un tempo, se non di più, e approfittavamo di ogni momento per stare insieme.
“Beth, visto che questa sarà l’ultima sera prima che tu riparta, cosa ne pensi di fermarti a dormire da me?” chiese speranzoso.
“Gordon, ecco... non so se i miei vogliono... insomma, siamo sempre un ragazzo e una ragazza a dormire da soli, non so se mi spiego...” dissi, un po’ in imbarazzo.
“Kate, andiamo! Quante volte abbiamo dormito insieme a Hervey Bay? Non penso che i tuoi facciano tante storie, sapendo che poi non ci vedremo più per molto tempo” disse pendendomi le mani come il primo giorno in aeroporto, solo che questa volta intrecciò le nostre dita.
“Hai ragione, però...” non ebbi tempo di finire la frase che mi sfilò il telefono dalla tasca e chiamò i miei, tenendomi a distanza di sicurezza per evitare che sentissi la loro conversazione.
“Hanno detto che va bene, devi solo passare a prendere la roba per il matrimonio, cosa che facciamo subito, e poi si sono raccomandati di arrivare puntuali all’appuntamento in chiesa, visto che sono figlio, nonché testimone della sposa” disse, raggiante.
“Va bene, ma sappi che impiegherò delle ore a truccarmi e pettinarmi” risposi, fingendomi esasperata.
Una volta usciti da casa sua, erano ormai già le 6 del pomeriggio, andammo a passeggiare fino all’Opera House, il monumento più famoso di Sydney. In quasi due settimane che ero stata lì, non l’avevo ancora vista. Beh, devo dire che me la aspettavo un po’ più grande, ma rimasi lo stesso affascinata.
“Wow... è... bellissima!” esclamai, con occhi sognanti, mentre Mike mi cingeva i fianchi da dietro, appoggiando il suo mento sulla mia spalla. Istintivamente portai le mie mani sulle sue e mi voltai a guardarlo.
“Ci sono due cose bellissime qui: una è l’Opera House, l’altra sei tu” farneticò, e mentre si girava per guardarmi, mi voltai dall’altro lato, per evitare i suoi occhi, imbarazzata.
“Beh, allora tre: conta anche te stesso” dissi, tirandogli un leggero colpetto con la testa.
Camminammo ancora un po’, abbracciati o a braccetto, evitando il contatto tra le nostre mani. Dopo aver mangiato in un ristorantino sulla baia, ci dirigemmo più a est, sulla costa, dove andammo a camminare in spiaggia. Ci sdraiammo su un lettino, abbracciati, a coccolarci, quando, a un certo punto, sentii la sua mano infilarsi sotto il bordo della mia maglietta e sollevarla un po’. Glielo impedii, allontanandomi, così lui, per ripicca, si alzò e mi cariò su una spalla, correndo verso l’Oceano. Io continuavo a urlare per farlo smettere, quando mi accorsi che aveva già immerso i piedi nudi nell’acqua.
“Fammi scendere! Sono vestita! Non ho niente di asciutto da mettermi!” urlai, nel tentativo di farmi calare di nuovo con i piedi per terra.
“Va bene, va bene! Basta che tu la smetta ti prendermi a pugni la schiena!” e mi posò sulla sabbia bagnata.
“Avevi intenzione di buttarmi nell’oceano, di notte?!” sbraitai, un po’ irritata.
“Stavo solo scherzando, non mi mangiare!” ribatté lui, sollevando le braccia in segno di resa.
Con i piedi bagnati, camminai veloce verso il lettino che avevamo occupato, riempiendomi di sabbia. Mi distesi a pancia in su, le gambe piegate e le braccia intrecciate dietro la testa. Mentre stavo fissando quelle poche stelle che si riuscivano a vedere, sentii Mike spostare un altro lettino vicino al mio.
“Dai, non te la prendere... Avevo solo voglia di scherzare un po’ con te...” mi sussurrò, posando una mano sulla mia pancia e avvicinandosi a me. Girai la testa, pensando a cosa fare.
Mi alzai di scatto, lasciandolo allibito. Feci il giro del lettino, e riuscii a dargli il giro, facendolo cadere.
“Ehi! Questo è un colpo basso!” e, prendendomi per una caviglia, mi vece arrivare al suo livello. Ci stavamo rotolando come quando eravamo piccoli, e non la smettevo di ridere.
“Dai, andiamo a fare un tuffo veloce? Ci sono le reti, gli squali e tutto il resto non dovrebbero passare...” disse, porgendomi una mano per alzarmi.
“Ci saranno anche le reti, ma rimane il fatto che non abbiamo un costume...” risposi scrollandomi la sabbia.
“Hai mutande e reggiseno?” Io annuii. “Allora il problema è risolto” disse con un ghigno, sfilandosi la maglietta e iniziando a sbottonarsi i pantaloni. Io rimasi immobile, titubante. Quando lui rimase solo con i boxer neri, io ero ancora completamente vestita.
“Beh? Devo spogliarti come si fa con le bambine viziate?” mi sbeffeggiò, iniziando a sollevarmi la maglietta fino a metà ombelico.
“Eh no! Sono ancora capace di farlo da sola!” lo bloccai, con un lampo negli occhi. Così anche io mi liberai dei miei vestiti, rimanendo solo in intimo. Per fortuna mi ero portata il cambio per il giorno dopo, avrei messo quello.
“Allora, al mio tre... uno... due... tre!” e corremmo verso la distesa nera.
Io mi immersi solo fino a metà coscia, e, girandomi, non lo vidi più. Lo sentii solo saltarmi addosso sulle spalle, mentre piantai un urlo che fece volare via un paio di gabbiani che dondolavano sul pelo dell’acqua, e non feci in tempo a prendere fiato che mi trovai sott’acqua con lui che mi premeva addosso. Riuscii a liberarmi e tornare a galla.
“Tu sei tutto fuori! Potevi soffocarmi!” gli urlai, scherzando, schizzandolo con l’acqua.
“Ma non è successo, non vedo quale sia il problema” disse con semplicità, avvicinandosi a me, per poi sorreggermi. Ci eravamo spostati di un paio di metri in avanti dal punto del suo ‘attacco’, così iniziavo a far fatica a tenere la testa fuori. Misi le gambe intorno al suo bacino, per reggermi meglio, e sentii le sue mani dietro la mia schiena. Ci trovammo a un soffio. I nostri nasi ormai si sfioravano.
“Pronta per un’altra breve immersione?” mi chiese in un sussurro.
“Pronta” risposi, senza perdere il contatto visivo.
Prendemmo un lungo respiro, prima di immergerci, ancora avvinghiati, sott’acqua. Spostò tutto il peso su di me, facendomi sfiorare il fondo sabbioso. Io avevo portato una mano dietro al suo collo, lui dietro la mia schiena. Fece risalire un suo palmo fino all’altezza delle spalle, per poi stringermi ancora di più a lui. Un debole raggio di luce lunare riuscì a passare sotto la superficie, e illuminò i nostri volti. Chiusi gli occhi, perdendomi nel suo tocco e nella sua pressione. Iniziava a mancarmi l’ossigeno, così Mike appoggiò le sue labbra alle mie. Lo lasciai fare. Dopo un paio di secondi riemergemmo. Presi un forte respiro, fronte contro fronte, la sua eccitazione che premeva contro la mia intimità. Mike annullò di nuovo le distanze tra noi, spingendosi in un bacio che di sicuro non era casto. Assaporai la sua bocca con piacere.
“Sembra come la scena di un film” esclamai, sorridendo, quando ci staccammo.
“Se vuoi, questo sarà il nostro film” disse lui ammiccando.
Tornammo in acqua, per scambiarci ancora qualche bacio più bagnato (letteralmente) del normale. Risalimmo sulla spiaggia, avvolti nell’unico asciugamano che avevamo trovato. Ci scambiammo ancora un po’ di effusioni, poi lo invitai a girarsi mentre mi cambiavo l’intimo, mettendomi quello asciutto.
Una volta rivestiti e asciutti, tornammo a prendere la metropolitana, per poi essere, dopo qualche fermata, nel suo appartamento. Mike si andò a mettere un paio di pantaloncini da tuta, mentre a me portò una maglietta che mi andava lunga e un paio di pantaloni della tuta, un po’ larghi. Mentre si stava lavando i denti, io entrai in camera sua. Un letto singolo contro la parete era ben fatto. Accanto, una sedia raccoglieva i vestiti appena tolti. E, in un angolo, sopra la sua prima chitarra (che suo padre gli aveva regalato a 7 anni), una mensola con delle fotografie con i suoi amici, i suoi genitori, e un con me. Presi la cornice che conteneva noi due da bambini, al parco sull’altalena. Avevo la stessa foto sul mio comodino. Sulla scrivania, invece, notai anche un’altra cosa che conoscevo bene: nell’angolo contro il muro, dietro a un barattolo con delle penne, vidi una scimmietta di peluche, quella che gli avevo regalato io il giorno del nostro addio. Con quella in una mano e la foto nell’altra, facendo passare lo sguardo da un oggetto all’altro, non lo sentii arrivare. Sobbalzai quando vidi sbucare la sua mano per prendere il pupazzo. Mi voltai e mi trovai contro il suo petto.
“Lo hai conservato?” chiesi sorridente.
“Era l’ultimo ricordo della mia migliore amica, come avrei potuto buttarlo?” disse, accarezzandomi la faccia. Posai tutto sulla scrivania dietro di me, poi gli buttai le braccia al collo.
“Mi sei mancato, tanto, troppo” scoppiai a piangere. “E tra poco più di un giorno sarò di nuovo a 1200 km da te.”
“Puoi fermarti, se vuoi. Ti cedo la mia camera e dormo sul divano, mentre cerchiamo una sistemazione migliore” disse cercando di consolarmi, ma sapeva già la risposta.
“Mike... Sto finendo il corso... Non posso lasciare tutto proprio ora. Mi mancano ancora 3 mesi, poi vedrò. Ma una cosa te la prometto: non permetterò più che passi così tanto tempo prima che riusciamo a vederci di nuovo” e un timido sorriso affiorò sui nostri volti. Mi alzai sulle punte per dargli un bacio sulle labbra, che apprezzò e contraccambiò. Ci stavamo spingendo sempre più verso il letto, stretti in un abbraccio, le mani che percorrevano il corpo dell’altro. Mi sollevò, poi mi distese sul letto, lui sopra di me. Continuavamo a baciarci e a sorridere, consapevoli di quello che stava succedendo e fino a che punto saremo arrivati. Mi sfilò la maglietta, rimanendo petto contro petto, poi anche i pantaloni. Rimanemmo di nuovo in intimo, come qualche ora prima sulla spiaggia. Mi sfilò delicatamente il reggiseno, facendomi alzare la schiena per sganciarlo. Io intanto giocavo con la sua collana, una piccola chitarra di acciaio dipinta di azzurro. Dopo poco, gli ultimi indumenti rimasti furono eliminati. Lo attrassi a me, facendogli capire cosa volevo, e sentendo che voleva lo stesso. Con un colpo di bacino, aprì ancora un po’ le mie gambe e si infilò non troppo prepotentemente dentro.
Completa. Felice. Libera. Così mi sentivo. L’avrei ricordata per sempre, quella notte. Eravamo solo io e Mike. In teoria eravamo migliori amici, in pratica erano entrati in gioco i sentimenti, come capita quasi sempre.
Quando un tremito scosse entrambi, capimmo di essere arrivati alla fine. Aspettammo ancora un attimo, prima di staccarci, per goderci ancora quella sensazione. Mi girai e lo vidi sorridere, mentre mi accarezzava gli zigomi. Io ero esausta, ma avevo ancora la forza per passare la mano tra i suoi capelli, e arruffarglieli più di quanto non lo fossero normalmente. Ora erano appiccicati alla sua faccia.
Accoccolati, nella cosiddetta posizione ‘a cucchiaio’, lui che mi abbracciava da dietro, ci addormentammo, fino a quando la sveglia suonò, il mattino successivo, alle 6,50.
Riluttanti, dopo solo 4 ore e mezza di sonno, ci alzammo e ci andammo a fare la doccia. Feci il più in fretta possibile, lavandomi anche i capelli, e riuscii ad asciugarli. Quando Mike uscì dal bagno, io mi stavo piastrando i capelli. Vedendomi in difficoltà, corse ad aiutarmi. Mi sorprese la sua bravura nel maneggiare quell’aggeggio perlopiù femminile, ma intuii che avesse passato anche lui il suo periodo tamarro, con tutti i capelli piastrati.
“Vai a vestirti, faccio da sola” cercai di liquidarlo con un sorriso, ma lui rimase lì.
Mi fece due treccioline sottili all’altezza delle tempie, che legò insieme dietro la testa, a mo’ di coroncina, bloccandole con una pinza turchese.
“Et voilà! Mademoiselle, guardi che parrucchiere di gran classe” scherzò lui, mostrandomi il retro dell’acconciatura.
“Gentilissimo. Ma ora, se non le dispiace, vorrei finire di truccarmi, in pace” e lo spinsi fuori dal bagno, prima di prendere la mia pochette dei trucchi e mettermi ombretto sfumato dal turchese al verde acqua, matita anch’essa sfumata e mascara nero, oltre che un po’ di terra sulle guance e rossetto color pesca.
Con ancora l’asciugamano intorno al corpo, mi andai a vestire, impedendo a Mike di entrare in camera. Indossai un vestito azzurro con scollo a cuore, con alcuni brillanti bianchi e piccoli, senza spalline, che da sotto il seno cadeva morbido, che se avessi volteggiato troppo avrebbe dato poco spazio all’immaginazione.
Quando uscii, lui era già pronto. Aveva uno smoking nero, camicia bianca, e cravatta blu.
“Wow” esclamammo all’unisono.
Misi le scarpe (tacco a spillo, argentate, molto aperte), prevedendo già un terribile male ai piedi, presi la borsetta e, grazie al cielo, scendemmo in ascensore. Guidò Mike fino al luogo della cerimonia, una chiesa nella parte nord della città, non troppo in mezzo al traffico urbano.
Finita la cerimonia, dopo che Karen e Patrick dissero il ‘sì’, uscimmo tutti dalla chiesa. Appena ne ebbe di nuovo la possibilità, Mike si portò vicino a me, lasciandomi poca libertà. Non che mi desse fastidio, sia ben chiaro!
Ci spostammo tutti a pochi km fuori dalla città, in questo posto sempre immerso nella natura, addobbato a festa con tutti i tavoli rotondi, la pista da ballo e un palco dove si stava esibendo, al nostro arrivo, un gruppo ingaggiato per l’evento.
Mangiammo e ballammo a non finire, ascoltammo i discorsi degli sposi e di tutti i parenti. Mike mi presentò ai suoi amici come ‘Kate, la sua ragazza’, e vidi che i miei continuavano a lanciarmi occhiatine maliziose e a confabulare. Ormai era ben chiaro che tra noi non c’era solo più un’amicizia, e quando notai che era impossibile far sembrare il nostro rapporto tale, cioè dopo appena pochi minuti dalla fine della cerimonia in chiesa, mi lasciai andare, senza troppe preoccupazioni.
Tornammo a sederci al tavolo, poi Mike si alzò, lasciandomi sola con i miei e i neosposi. Mi sentivo gli occhi di tutti addosso, così li liquidai con un: “Non voglio domande, quel che è successo, è successo” facendo scoppiare a ridere tutti.
La musica cessò all’improvviso e ci girammo verso il palco.
“Come è tradizione nella nostra famiglia, ora tocca ai testimoni, a turno, cantare una canzone per gli sposi” annunciò Mike. “Mi hanno sorteggiato come primo in questo arduo compito, quindi... dedico questa canzone a mia mamma, al suo nuovo marito e a una terza persona, che dopo 8 anni ho avuto di nuovo al mio fianco, di cui non posso fare a meno” continuò voltandosi verso il nostro tavolo, sorridendo a ogni persona che nominava, e soffermandosi su me, strizzandomi l’occhio.
Prese la chitarra e iniziò. Non mi ricordavo quanto sapesse cantare bene, aveva cambiato la voce dall’ultima volta, e ora era calma e calda. Stava cantando Smile di Uncle Kracker, canzone che avevo scoperto per caso qualche tempo prima su YouTube. Cercai di contenere le lacrime, per evitare dispersione di trucco, e a stento ci riuscii. Quando tornò al nostro tavolo, tra gli applausi, mi sedetti in braccio a lui, ce continuava a passare la mano sulla coscia.
La serata finì, e verso le 10 tornammo all’appartamento, per rimetterci abiti comodi e prendere le valigie. A mezzanotte partiva il nostro volo, e ci accompagnarono all’aeroporto.
“E così adesso sono la tua ragazza?” chiesi, prima di salutarlo.
“Se per te va bene...” disse sorridente.
“Certo che mi va bene!” e lo presi per le mani. Un bacio prima di partire, poi tutti sull’aereo.
Questo saluto era diverso da quello che ci eravamo dati molti anni prima. Ora sapevamo che ci saremmo rivisti, in tempi meno lunghi.
Finii il corso a metà dicembre, così partii la settimana dopo, senza avvisarlo, per fargli una sorpresa per Natale. Mi feci trovare nella libreria dove lavorava, annunciandogli che mi avevano assunta come fisioterapista in uno dei centri della città. I miei avevano accettato subito di farmi trasferire lì. A malincuore, avevano capito che ero riuscita a trovare un lavoro fissa, abbastanza ben retribuito, nella più importante città del Paese, dove avrei diviso l’appartamento con il mio ragazzo. 



 
Bene, bene, bene! La vostra Mrs_Nella, per oggi, ha cambiato personaggi xD
A parte gli scherzi.. Ultimamente sono molto fissata con i 5sos, e soprattutto mi sento molto.. "legata".. se così si può dire, a Mike.
Non temete, non abbandonerò il biondissimo irlandese, non potrei mai tradirlo ahahah
Bene, questa è la mia prima storia sui 5sos, spero di non avervi deluse/i :D
Questa idea mi era venuta in montagna, e ieri sera quando sono tornata a casa l'ho iniziata, anche se un po' diversa dall'idea originale, ma penso che il risultato sia più bello ^^
Se tutto va bene, stasera aggiorno la mia FF, "Did I do something stupid?", o al massimo lo faccio domani, ma prometto che lo faccio!
Per chi non l'avesse ancora letta, basta che vada sul mio profilo e la trova :D
Beh, spero mi lascerete tante belle recensioncine ^^ A presto!! xx
  
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