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Autore: Yanothing    14/07/2014    1 recensioni
Tutto questo è nella mia testa, è solo un sogno, nulla è reale, è tutto troppo effimero. La terra crolla sotto i miei piedi, devo tornare a casa, le menzogne di una vita e quel volto, quegli occhi azzurri, di quell'azzurro glaciale. Musica, birra, sigarette, la vita scivola via troppo velocemente, devo correre.
Qual'è la verità? Cosa sono? Chi sono?
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrienne Nesser Armstrong, Billie J. Armstrong, Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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 Il sole riluceva sulla superficie di una lattina dall'etichetta sbiadita, che era stata abbandonata tra le sterpaglie di un vecchio palazzo in costruzione che ormai non vedeva più un operaio da anni.
Lì ai limiti della periferia di Suburbia c'era la varietà più eccentrica di ragazzi, ragazzi di età diverse, voglie diverse, idee diverse, sogni diversi, vite e storie diverse. Volevano rispecchiare le vecchie comunità punk della East Bay, ma col risultato di apparire come un gruppo di ragazzi troppo diversi dai restanti abitanti della cittadina di Suburbia, che venivano emarginati ai limiti di quello squallido sobborgo, quello squallido sobborgo che viveva di criminalità, droga, musica graffiante, tra un palazzo abbandonato e il posteggio di un supermercato.
Nessuno sembrava averlo notato o forse tutti avevano fatto finta di essere troppo impegnati per alzare lo sguardo al suo passaggio, ma infondo lui era più che abituato ad essere invisibile, insignificante, per chiunque, pure per se stesso. Diede un calcio alla vecchia lattina, spingendola ancora di più tra le sterpaglie, il cielo cominciava a farsi pesante, il sole calava lentamente sui profili delle vecchie case di periferia.
Camminò a lungo, senza dar conto a niente e a nessuno, non ricambiò i saluti dei suo amici, o almeno di quelli che si ritenevano tali, il rientro a casa non era mai piacevole, odiava quelle quattro mura che da diciotto anni lo tenevano confinato ad una vita che non voleva, con una convivenza che non voleva.
Aprì la cigolante porta sul retro di uno squallido giardino dal viale in pietra, ricoperto da foglie secche e vecchie cartine di gomme da masticare o pacchetti di sigarette appallottolati malamente e con poca attenzione, entrò in quello che sembrava uno scenario desolato, immerso nella flebile luce del sole che passava da qualche persiana rotta, posò le chiavi su un tavolino in legno scheggiato e si diresse verso il frigo, conscio del fatto che sua madre non sarebbe tornata per cena, decise di prendere un tramezzino al tacchino e di passare il resto della serata davanti la TV. Addentato il primo pezzo di pane e tacchino si diresse verso quello che doveva essere un salotto, ma che ospitava un sacco di oggetti che c'entravano ben poco.
A dirla tutta la casa non era così malandata, qualche briciola sul divano e sul tappetto, una ragnatela tra le travi del soffitto, un basso tavolinetto leggermente impolverato, di sicuro lui aveva visto case in condizioni peggiori. Infondo voleva anche bene a quella casa, ci era cresciuto, tutta la sua vita poteva essere raccontata da quelle mura, tutti i dissapori con la madre, tutti i dissapori con la vita, tutti gli ideali infranti troppo presto, tutte le opinioni cambiate e le parole cancellate, tutti gli sbagli fatti fin ora, tutte le giuste decisioni, o meglio la giusta decisione, l'unica che abbia mai preso, quella di lasciare la scuola. Era stata la cosa giusta da fare, una bocciatura dietro l'altra non avrebbe portato a nulla, una vita di cultura e studi non era quello che gli interessava, anche se lui stesso ammetteva di non sapere cosa realmente gli interessasse, non era un ragazzo stupido, anzi, era uno dei più brillanti del suo corso, gli piaceva leggere ed era un'enciclopedia musicale vivente, aveva sete di sapere, ma una filosofia di vita troppo complicata per farsi piacere la vita scolastica; vedeva la scuola solo come una prigione, l'ennesima prigione dopo casa sua, aveva pensato e ripensato finché la scelta, magicamente, non gli risultò essere quella giusta, ma che ne fosse sicuro o meno non potremo mai saperlo.
Non sapeva cosa fare di se, non sapeva come costruirsi un futuro che non fosse al fianco di sua madre, voleva vivere con la donna che amava, quella donna che però non provava i suoi stessi sentimenti, voleva andare lontano da quel piccolo sobborgo, ma era come se non avesse il coraggio, come se fosse un passo troppo grande, come se qualcosa lo tenesse legato a quella terra di polvere e lattine ammaccate dai troppi calci di gente nervosa.
Si alzò dal divano, si diresse in camera sua, l'unica stanza di quel piccolo appartamento che sembrava realmente abitata da qualcuno; le pareti rosso cremisi donavano all'ambiente un tocco tetro, nel senso positivo della parola, anche se l'ultima cosa di cui aveva bisogno quel posto era risultare tetro, sua madre aveva insistito più volte per convincerlo a cambiare colore, “non quel colore radente al porpora” gli aveva detto, forse per la sua, al figlio inspiegata, emofobia. Non c'era molto nella stanza, una grande finestra che dava sul cortile era coperta per metà da pesanti tende grigie, c'era un materasso poggiato su una vecchia rete cigolante, le lenzuola disordinate e i vari indumenti sparsi per la stanza mostravano l'effettivo disagio della famiglia di vivere nel disordine, alcuni poster dagli angoli curvi erano attaccati alle pareti e ad una porta che dava sul bagno, la moquette sul pavimento era appiccicaticcia al tatto con la pianta del piede nudo di Jimmy che si era precedentemente levato le scarpe, davanti il letto c'era un vecchio televisore che trasmetteva immagini in bianco e nero, poggiata accanto ad esso una Stratocaster rosso rubino rubata dalla casa di un vecchio cugino di Will, uno dei più cari amici di Jimmy insieme a Tunny.
La vita era così, un monologo noioso, una routine ripetitiva, le aspettative di un diciassettenne si limitavano a riuscire a mettere da parte i soldi per un pacchetto di sigarette ogni tre giorni, quella città opprimeva la vita, opprimeva il bisogno di svago che ogni ragazzo a quell'età abitualmente ha, era un piccolo paesino di campagna, era un posto isolato dal mondo, e così i ragazzi passavano le giornate nel cantiere abbandonato all'incrocio tra Almena St e Suburbia Avenue, con in mano bombolette spray e bottiglie di birra.
Jimmy rimase in piedi nella stanza ormai buia, per via del sole che era calato dietro le colline, guardandosi attorno con sguardo assente, i soliti pensieri gli volteggiavano nella testa, lo rendevano vulnerabile, lo facevano sentire solo, incompreso, facente parte di un mondo che sarebbe potuto esplodere da un momento all'altro, era un po' come un animale fuori dal suo habitat naturale, imprigionato in una vita cupa, tetra, ostile, fondamentalmente sbagliata.

  
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