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Autore: BlackbirdFly1723    14/07/2014    3 recensioni
Cosa sarebbe successo se l'episodio 4x14 fosse andato diversamente? Nella mia versione, Santana e Brittany riescono a ritrovarsi. In questo spazio ho cercato di pensarle e raccontarle attraverso il loro incontro, ho provato a descrivere cosa sarebbe accaduto tra di loro, a cosa avrebbero pensato o cosa avrebbero provato in quel momento e in quelli a seguire.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Sam Evans, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Santana mandò giù il quarto bicchiere con le dita strette sul vetro e la testa reclinata all’indietro. Barcollò qualche passo in avanti, mentre quelle dannate luci e l’intera stanza iniziarono a girare, e la pista da ballo, gremita di gente, iniziò a scivolarle via da sotto i tacchi. Prontamente si aggrappò a Quinn, buttandosi quasi tra le sue braccia bianche, che la afferrarono, insicure.
Ripresero a ballare seguendo le pulsazioni della musica, in origine bassa come il battito di un cuore, sembrò trasformarsi in un urlo acuto e penetrante, culminando poi in una serie di suoni indistinti, fino a spegnersi del tutto.
Uno nuovo del Glee, Jake forse, chiese di attaccare un lento, gettandosi poi nella folla per raggiungere la sua ragazza. Furono i primi ad iniziare a ballare, sotto il piccolo palco dei musicisti in smoking color porpora.
Santana si accoccolò al corpo di Quinn, afferrandole la mano calda.
«Non pensavo lo avrei mai fatto»
«Cosa?», chiese Santana ridendo.
«Ballare un lento. Ballare un lento con una ragazza. Ballare un lento con una ragazza al matrimonio del mio ex professore piantato all’altare dalla propria fidanzata», si scostò appena per guardarla negli occhi. «Mi piace», ammise dopo qualche secondo di silenzio.
La canzone procedette, seguita da altre che finirono per lasciare spazio ad altri brani ancora. Si susseguirono, uno dopo l’altro, anche nuovi drink. A fine serata il salone a sud dell’albergo, dove era stata organizzata la festa, si svuotò come una spiaggia a fine giornata.
Con un altro bicchiere pieno in mano, Quinn e Santana si avvicinarono all’ingresso dell’albergo. Avevano smesso di ballare, quando Santana notò, sulle scale, Sam salire i primi gradini, tenendo stretta tra la sua la mano di Brittany. Il sorriso le si spense sulle labbra piene, e con la testa che le pesava per via dell’alcol provò a scacciare via quell’immagine. Senza esitazione si girò verso l’amica cercando di mostrarsi sicura, una mano sul fianco, l’altra a reggere il bicchiere, la pupilla ferma.
«Quante coppie hanno preso una camera, stasera... Che ne dici se io e te…?»
Lasciò cadere la frase e si spinse a baciarla. Le impedì di staccarsi, trattenendola il più a lungo possibile, confidando di trovare quella condizione, ormai unica e rara, che andava ancora cercando, di cui non aveva mai compreso veramente la sostanza. Qualsiasi cosa fosse, non la trovò tra le labbra di Quinn. Finse di non farci caso. Le lasciò scorrere una mano sulla schiena, tastando la stoffa rosa del vestito, ma l’altra si liberò dalla sua presa.
«Mi dispiace, Santana. Devo andare», disse sorpassando la reception, avviandosi verso l’uscita.
«No, aspetta, dai!»
Fuori, una pioggia debole e leggera scendeva da qualche nube invisibile, nascosta dietro i tetti di case, pub e ristoranti. I tacchi di entrambe sguazzarono in un paio di pozzanghere, affondando di qualche centimetro.
Santana le afferrò il polso, gridandole: « So benissimo che stai dall’altra sponda, Fabray, ma non si smette mai di provarci, tutto qua . Non fare cavolate, lo sai che potevi solo dire di no, era una proposta, ok? »
Le sopracciglia di Quinn si alzarono disegnando un arco.
«Credi che sia veramente questo il problema? Tutte al college sperimentano».
«E allora dove diavolo sta il problema?»
«Il problema sta nel fatto che non lo vuoi veramente»
Per la prima volta dopo un tempo che neanche Santana ricordava, si ritrovò muta. Aprì la bocca per ribattere, ma non uscì niente. Percorse con sguardo assente il parcheggio grigio e bagnato, le auto che andavano e venivano.
«Andiamo, Santana, puoi darla a bere agli altri, non a me», aggiunse Quinn avvicinandosi.
«Io…io non so di che parli»
Un’auto parcheggiò poco distante, così loro furono costrette a spostarsi di qualche metro, sospinte dal debole suono del clacson.
«Brittany», disse Quinn scandendo la parola a un soffio dal suo viso, lettera per lettera, quasi la stesse dettando vomitandogliela in faccia.
Scrollò le spalle umide di pioggia, con indifferenza.
«Acqua passata».
«Ah sì?»
«L’ho lasciata», rispose con un sorriso che le ridusse gli occhi a due fessure scure.
«Santana», fece Quinn avvicinandosi a una spanna dal suo viso, tanto da non permetterle di distogliere lo sguardo, «si può sapere per quanto ancora hai intenzione di mentire? Perché finché menti a me o a tutti gli altri è un conto, ma tu, in questo momento, stai mentendo a te stessa».
Allargò le braccia perpendicolarmente al busto, «okay, forse è vero, forse mi piace ancora. Ma questo non vuol dire che io non possa divertirmi con altre ragazze»
Quinn le sorrise malinconicamente, le fece cenno di seguirla in prossimità dell’albergo. Rimase a fissare per qualche istante la pioggia illuminata dal  lampione più vicino, per poi sedersi su una panchina con la schiena eretta e soltanto metà del sedere appoggiato. Santana la raggiunse sbuffando, gettandosi invece sulla panchina con la colonna vertebrale che combaciava con lo schienale e le gambe scomposte.
Quinn la guardò, senza smettere di sorridere. «Per buona parte di questi anni il nostro rapporto è stata competizione, altro che amicizia; popolarità, immagine, la squadra: sono tutte cose in cui credo ancora, che ci hanno formate, tra uno schiaffo e l’altro», rise interrompendo il discorso, per riprendere subito dopo: «ma adesso ti parlo da amica, Santana. Al liceo pensavo che i grandi errori della mia vita fossero state le decisioni sbagliate che avevo preso. Mi sono resa conto troppo tardi che il vero errore è stato non provare a tirare fuori qualcosa di buono da quelle decisioni che, con gli occhi di adesso, avevo preso con il cuore. E chissà se avrei provato a sistemare qualcosa, se qualcuno che avevo vicino mi avesse detto questo. Io ti sto dando una possibilità, Santana. Magari non cambierà niente, ma, credimi, non c’è niente di peggio che vivere con il rimorso di aver preso la decisione sbagliata».
Si alzò, mascherando occhi che cominciavano a inumidirsi dietro ad un sorriso. Sospirò battendo il tacco sinistro per terra e sistemandosi la borsetta nera sulla spalla, e disse: «Ho appena visto un taxi laggiù, credo che lo prenderò. Qualsiasi cosa accada, torna a New York, ricordati che tu vieni prima di tutto il resto».
Le stampò un bacio sulla guancia, allontanandosi poi sotto l’acqua a testa alta.
Santana rimase a sedere sulla panchina, guardando l’amica sparire, lei e la sua forza. La vide fermare il taxi senza guardarsi indietro, montanare sul sedile posteriore, e poi correre via nella notte.
 
«Una stanza, per favore»
Aspettò, impaziente, dietro il bancone, che l’impiegato segnasse la consegna al posto giusto.
«Oh, bene, 23. La data di nascita di mia zia. Merda, che mi porti fortuna»
«Come prego?», domandò il ragazzo con aria stanca e perplessa.
«Niente, scusi. Grazie per la chiave», rispose lei nascondendola subito nel pugno.
Corse due rampe di scale dell’hotel, combattendo il fiatone. Rallentò soltanto davanti alla porta con inciso il 23, sospirò, e la spalancò come se fosse casa sua. Gettò la borsa e il cappotto bagnato su una sedia, e si lasciò andare sul letto. Restò per pochi lunghi istanti immobile a guardare il soffitto grigio, senza pensare davvero. Quando si alzò ebbe l’impressione che fosse passata una vita dall’ultima volta in cui era rimasta così, sola con se stessa.
Uscì quasi di corsa dalla stanza. Non rifletté su ciò che stava facendo, non pensò neanche a cosa avrebbe fatto nel caso in cui quella missione non si fosse conclusa a buon fine –New York, sarebbe tornata là comunque, da Rachel, da Kurt-. Si limitò soltanto a riempire i corridoi a grandi passi, colmando il vuoto che aveva davanti.
Attraversò una piccola sala al secondo piano, vicina alle ultime camere, quando sentì chiamare il suo nome. Per mezzo secondo rimase ferma, incapace di muoversi. Dopo mesi senza sentire quella voce chiamarla, qualcosa dentro di lei si sciolse, come se fosse la cosa più ovvia, come se, tutto d’un tratto, capisse che era stato soltanto quello a mancarle, come se, qualcosa che non sospettava nemmeno fosse scomposto, si stesse rimettendo assieme sfruttando la soluzione più ovvia.
«Brittany!»
Si sedette accanto a lei su un piccolo divano nero, con il cuore in fiamme.
«Brittany, cosa ci fai qui?»
«Cosa ci fai qui te, San! Pensavo fossi tornata a New York subito dopo la festa».
«C’è stato… un piccolo cambio di programma», sviò in fretta, «ma io intendevo dire perché sei qui, invece di essere nella tua stanza»
Non tentò di mascherare il disprezzo con cui terminò la frase, l’ immagine di Sam le apparve più nitida che mai. Lo immaginò abbracciato a Brittany, a letto con lei, lo immaginò farla ridere e farle del bene, e quello che aveva recuperato soltanto pochi istanti prima sembrò volare via subito dopo.
Brittany si prese la testa tra le mani per la stanchezza, accarezzandosi i capelli biondi. «Ah, Sam», mormorò, «noi abbiamo bevuto troppo, e lui è scappato in qualche bagno subito dopo la festa, a vomitare. Io non ho la chiave della stanza, non mi ricordo neanche quale sia, quindi aspetto qua»
«No!»
Brittany si girò verso di lei, socchiuse gli occhi nel tentativo di capire, poi disse: «no cosa, Santana? Sei strana, andiamo; è New York che ti fa questo effetto? Lì la gente è più strana che a Lima, magari»
L’altra indirizzò lo sguardo verso l’orologio a muro, appeso alla parete nord della stanza: ormai segnava l’una e un quarto. Ripensò a Quinn, sotto l’acqua, alle occasioni sprecate, a New York, ripensò ai frammenti di cielo che quel giorno aveva Brittany al posto degli occhi, che si erano gonfiati di una pioggia limpida e pesante quando l’aveva lasciata, pensò a Sam, a quell’albergo, a cosa non voleva più perdere, pensò ancora a Sam e a Brittany.
«No, non puoi aspettare qui», disse di impulso, afferrandole la mano. «Senti, so di aver sbagliato, di aver fatto un casino, okay? Ma adesso ho bisogno che tu mi segua, adesso devi venire con me».
«Ma non so neanche dov’è Sam, abbiamo passato una bella serata e non posso non farmi trovare quando tornerà, non sarebbe carino»
Subito Santana le prese la testa tra le mani, la costrinse a guardarla, si accorse meravigliata di come le sue iridi azzurre fossero ancora le stesse, come se avesse avuto timore, anche solo per un attimo, di trovarle diverse. Sentì i propri occhi bruciarle, ormai velati da un sottile strato di lacrime che ricacciò indietro, per mormorarle: «So che mi hai odiata per averti lasciata sola, e so anche che vuoi molto bene a Sam, ma adesso devi seguirmi. Lasciarti è stata la cosa peggiore che potessi fare, ma se adesso ti lasciassi qui io commetterei l’errore più grande di tutta la mia vita», si maledisse per la lacrima solitaria che le solcò inavvertitamente la guancia. «Ti prego».
Trascorsero lunghi attimi di silenzio, spezzato soltanto da quei brevi e rotti sospiri.
Brittany la fissò, con la bocca semiaperta, incredula davanti a tanta debolezza. Sentì anche i suoi occhi appannarsi di lacrime, come uno strato di sottile nebbia notturna.
«Io…io…Santana…»
 
Pochi secondi più tardi le loro gambe si muovevano sincronizzate correndo per i corridoi foderati dai lunghi tappeti, mano nella mano, Santana davanti a guidarla, Brittany che manteneva il passo, mezzo metro dietro di lei. Le porte bianche delle camere si perdevano, una dopo l’altra, alle loro spalle; i loro passi suonavano come un cuore in tumulto che pompasse sangue invisibile al di fuori di un ipotetico corpo.
Una volta arrivate davanti alla stanza, lo scatto deciso della chiave sembrò salvarle da quella fuga disperata. Di offrire all’esploratore la luce al termine del tunnel, la tana alla preda, la lanterna di un faro portuale alla nave solitaria.
Entrarono, richiudendo la porta all’istante.
«Vieni qui»
Santana aprì la porta-finestra che faceva da accesso al balcone rotondo, come se, per tutto il tragitto, le fosse mancata l’aria. Inspirò velocemente, immagazzinando quanto più ossigeno poteva, aprendo gli occhi subito dopo, come per accertarsi che lei non fosse svanita, che fosse ancora là. Fissò i suoi occhi e la sua bocca e le sue orecchie, e sorrise, perché non c’era niente di più bello.
La brezza fresca, sospesa nell’aria, graffiava i loro volti come avrebbero potuto graffiarli le unghie di un neonato. Le luci, lontane e vicine, dei lampioni tremolavano tutto attorno, mentre il debole traffico notturno si perdeva tra le vie di quelle strade nascoste.
«C’è una bella luna stasera», disse con semplicità Brittany.
Santana si riscosse. «Già», riuscì solo a mormorare.
Forse quella luna di speciale non aveva niente. Era ugualmente bianca e quasi intera alla sera precedente. Forse era una luna come tante, come tutte le lune che aveva visto ma non aveva mai guardato per davvero. Però lei aveva ragione: era bella. Schiariva la sua porzione di cielo e faceva apparire la notte meno buia.
Santana prese la mano dell’altra, sulla ringhiera che faceva da parapetto, e sorrise. Prima non si era accorta di quanto fosse calda, quella mano.
«San, io non capisco. Perché mi hai lasciata? Se non mi avevi neanche tradita, perché lo hai fatto?»
«Io…», lasciò che la frase le morisse in gola. Pensò che avrebbe potuto dirle che credeva fosse la cosa giusta, pensò che avrebbe potuto dirle quanto poco credesse nelle relazioni a distanza. Ma non lo fece.
«Avevo paura», sussurrò soltanto.
Lo sguardo interrogativo di Brittany la spinse a continuare.
«Sì, avevo paura, avevo paura che le cose sarebbero cambiate. Pensavo che prima o poi lasciandoti avrei sentito sempre meno la tua mancanza, che mi sarei abituata. Ma la verità è che ti amo, Brittany, e che per me è impensabile abituarmi a stare senza di te». Spazzò via una lacrima con la punta dell’indice destro, e si girò in direzione della luna.
«San…», non riuscì a dire altro. Lasciò che la confusione ammassata nella sua testa fluisse via. Cercò di non pensare a quello che stava facendo a Sam, a quanto gli volesse bene.
«Io vorrei che tu non lo avessi fatto», aggiunse dopo, ricacciando in gola un singhiozzo, che le uscì una manciata di secondi più tardi.
«Oh, Britt»
Santana si lasciò stringere nell’abbraccio che seguì. Trattenne il più possibile nelle narici il suo odore, le accarezzò una guancia con la punta del naso. Risalì con le labbra fino alla sua bocca e la baciò, prima piano, poi più forte. Sentiva le mani di Brittany accarezzarla sotto il mento, reggendole la testa. Per un istante pensò che fosse quello il centro dell’Universo: il piccolo balcone di un hotel, piazzato  chissà dove. Quello era il nuovo luogo, la nuova meta, il nuovo porto. Era un sottile terzo spazio, sospeso tra Lima e New York. Era l’equilibrio perfetto, una terra di mezzo protetta da un’ impenetrabile barriera.
Staccò appena le sue labbra da quelle della compagna, e parlò, sussurrando a un soffio dal suo viso: «Sono stata una stupida. Avevo paura di cambiare, io…io avevo costruito la mia vita attorno a te,e quella vita di colpo non esisteva più. Perdonami, ti prego, amore, perdonami»
Brittany annuì più volte. «Mi sei mancata tanto, Santana»
Continuarono a baciarsi sotto un cielo di stelle, pensando che dopotutto era semplice. In un’altra dimensione, quello sarebbe potuto essere un nuovo punto di partenza, diverso, alternativo. Nella loro, avevano scalato una vetta troppo alta senza neanche rendersene conto, e soltanto raggiunta la cima erano state costrette a constatare quante centinaia di metri avevano scalato. Avevano coltivato quel loro amore soltanto dopo averlo riconosciuto, riuscendo a uscire allo scoperto un passo alla volta, e poi tutto insieme.
«E’ solo che tutto è cambiato troppo in fretta, e noi siamo cresciute e non siamo riuscite a gestirlo, e questo non è giusto», mormorò Brittany.
Santana pensò che, sì, era vero, mentre le passava un dito sulle labbra sottili. Erano cresciute senza rendersene conto, e in maniera diversa. Lei era stata vomitata fuori dal loro mondo, da Lima, da tutto ciò che aveva sempre sottovalutato, senza ancora un sogno; Brittany era stata costretta a rimanere là, senza di lei, aveva iniziato a sbrigarsela da sola, a muovere i primi passi.
«Fa freddo. Entriamo», sussurrò Brittany.
L’altra annuì, chiuse la porta per accedere al terrazzo, e si sedette sul letto, continuando a baciarla. Sentì un vuoto nello stomaco constatando che non ricordava il loro primo bacio e che non lo avrebbe mai ricordato, ma scacciò immediatamente il pensiero dalla mente. La avvicinò a sé, le sollevò la maglia portando i propri palmi ghiacci sul ventre caldo di Brittany. Le accarezzò lo stomaco per assimilarne il calore. Appena prima di staccare nuovamente le proprie labbra da quelle dell’altra, si accorse di come avessero parlato poco, troppo poco, prima di quella notte. Si accorse di come tutte quelle ansie e quelle paure e quegli insuccessi fossero rimasti nascosti dentro di loro per tutto quel tempo, e soltanto adesso uscissero allo scoperto, ora che non c’era niente da perdere.
Scostò la trapunta dal letto senza perdere il contatto con la pancia tiepida dell’altra, e si sdraiarono sotto le coperte, in quel nido sicuro. Il loro terzo spazio.
«Sono…», mormorò staccandosi appena, «me ne sono andata a New York. Nella città dei sogni e delle direzioni e del talento, e io sembro l’unica a non sapere che farne del mio. Io sono senza direzione, Brittany. Ma la verità è che… la verità è che non sono riuscita a sfondare perché ho odiato New York dal primo momento in cui sono arrivata, perché eri stata tu a spedirmi là»
«Io credo tu sia speciale, Santana, io volevo aiutarti, volevo darti un’occasione per permetterti di brillare », la interruppe allarmata.
«E me l’hai data, Brittany, me l’hai data. Tu mi hai fatto spiccare il volo quando ancora non sapevo di poter volare. Tu hai impedito che rimanessi a marcire in questa città che non aveva più niente da offrirmi».
Brittany la strinse a sé più forte, come a impedirle di fuggire via.
«Questa è la nostra notte», disse in un sussurro.
«Sì»
Mentre la notte scivolava via come la corrente, loro si abbracciavano, si amavano in quel ritaglio perfetto di tempo, tra una federa sfatta e una coperta caduta sul pavimento.
Santana avrebbe voluto mormorarle che era lei la sostanza stessa di quella condizione che non aveva trovato in Quinn, e che non avrebbe mai trovato in nessun altro. Sentiva, tra un bacio e l’altro, il corpo nudo di Brittany muoversi sotto di lei, e capiva che non avrebbe mai toccato qualcuno come toccava lei, o accarezzato o guardato, o amato qualcuno come amava lei. Sarebbe potuta stare con milioni di persone, vivere le esperienze più belle, rare e romantiche pensabili, avrebbe potuto ricominciare con qualcun altro. Ma non avrebbe mai amato così.
Una volta finito di fare l’amore, si addormentarono una abbracciata all’altra, tra un intreccio di braccia e di gambe. Non si domandarono cosa sarebbe successo in seguito, si promisero soltanto quello. Soltanto di amarsi, per sesempre.






 

-E' la prima volta che pubblico su questo sito. Spero abbiate apprezzato ciò che ho scritto.
Lasciate pure un commento, se vi va.
Saluti.

   
 
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