CAPITOLO 1
Il Signore
Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di
tutti gli alberi del
giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male
non devi
mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente
moriresti». Genesi
(2, 16-17)
*
* *
«Sei
completamente fuori di
testa? Questa è violazione di domicilio.»
Il
ragazzo avvertì un
improvviso prurito nella parte alta della schiena, ma quando si
allungò per
grattarsi urtò un ramo troppo vicino, e il cespuglio dietro
al quale erano
nascosti si mosse in maniera innaturale. «Lo sai che in
prigione i poliziotti
praticano abuso di potere? Non voglio diventare il sacco da boxe di
cinquantenni sessualmente frustrati».
«Se
non smetti di
piagnucolare diventerai il mio
sacco
da boxe» sibilò Cheryl dando un pizzicotto sul
braccio dell’amico. «Stai
facendo un casino colossale!»
«Ahi!
Scusa,
se penso di essere ancora troppo giovane
per finire in gattabuia.»
«La
vuoi piantare? Non
finiremo da nessuna parte.» Sbirciò tra le foglie
ancora una volta, poi lanciò
un’occhiata al ragazzo che si massaggiava ancora il punto
dolorante. «Ora devi
soltanto dare questo ad Hector e tornare qui, aspetteremo che si
addormenti e
poi entreremo.»
Il
poveretto fissò il
biscotto che Cheryl gli porgeva, diventando sempre più
pallido in viso.
«Avanti
Kay, è solo un
cane.»
Lui
deglutì rumorosamente.
«Già, un pitbull di quaranta chili alto quasi come
te.» replicò, ma dal tono
poco convinto che aveva usato Cheryl sapeva che stava per cedere.
D’altronde,
quando lo chiamava con quel nomignolo era difficile che le dicesse di
no.
Così
sfoggiò uno dei suoi
migliori sorrisi furbeschi e lasciò cadere il biscotto nella
mano aperta di
Kyle.
«Allora
ti basterà immaginare
che sia io».
Kyle
borbottò qualcosa tra i
denti ma si alzò lentamente, e Cheryl dovette trattenersi
dallo scoppiare a
ridere. Il cappuccio della felpa che lo aveva convinto a indossare per
mimetizzarsi, si appoggiava sui suoi occhiali facendoli scivolare
continuamente
sulla punta naso.
«Okay,
dov’è la belva?»
Cheryl
ispezionò il giardino
attentamente. Aspettò che la sua vista si abituasse
all’oscurità, bastò volerlo
perché accadesse. Era qualche mese che le sue stranezze
– come le chiamava Kyle
– erano cominciate. In realtà alcune
c’erano da quando Cheryl era nata, altre
erano comparse man mano.
Come
le succedeva ogni volta,
il buio venne illuminato da una luce violacea che le permise di
distinguere
meglio le figure.
«Non
lo so, non riesco a
trovarlo.» bisbigliò. «Magari dorme
già…»
«Ehm,
Cheryl?»
Sollevò
la testa di scatto,
ma dalla sua posizione accovacciata tutto ciò che vide fu il
viso preoccupato
di Kyle. «Cosa?»
«Credo
di averlo trovato. O
meglio, lui ha trovato noi.»
Come
per sottolineare le
parole del ragazzo, un profondo ringhio le arrivò alle
orecchie, che ben presto
si trasformò in un abbaiare forte e minaccioso.
Cheryl
si mise in piedi e
poté vedere da sé il grosso cane osservarli con i
denti scoperti.
«Va
tutto bene.» il ragazzo
sembrava parlare più a se stesso che a lei. «Basta
solo qualche passo alla
volta, indietreggiamo lentamente,
così…» mormorava senza spostarsi di un
millimetro.
«Dagli
il biscotto.» sbottò
Cheryl.
«Che
cosa?»
«Il
biscotto.» ripeté più
lentamente.
Kyle
sembrò ricordarsi il
quel momento del piccolo oggetto a forma di osso che stringeva in mano,
e come
attraversato da una scarica elettrica, lo lasciò andare
bruscamente. Il
biscotto fece un piccolo arco nell’aria e colpì
l’animale dritto sul testone
nero. «Merda»
«Ma
che accidenti
combini?» Ma prima che Kyle potesse dire qualsiasi cosa, la
ragazza gli afferrò
la mano nel momento esatto in cui il cane faceva uno scatto in avanti.
«Corri!»
gridò trascinandolo con sé.
Lui
inciampò e quasi cadde,
ma la presa di Cheryl glielo impedì. Superarono rapidamente
il quartiere di
villette a schiera, ma il cane sembrava aver abbastanza fiato per
inseguirli e
continuare ad abbaiare. Attraversarono la strada di corsa, attirando
gli
sguardi delle poche persone rimaste in giro a quell’ora di
notte.
Finalmente
l’insegna dalle
luci mezze fulminate del Queen’s Bee comparve nel loro campo
visivo. Nonostante
il pitbull si fosse già fermato diversi metri più
indietro, non rallentarono il
passo finché non furono all’interno, seduti al
loro solito tavolo – abbastanza
vicino al bancone perché i camerieri potessero vederli, ma
non così tanto da
far sì che la signora Marshall udisse i loro discorsi.
Cheryl
si abbandonò contro lo
schienale della sedia e chiuse gli occhi, a corto di fiato. Tutto a un
tratto
si lasciò andare in una fragorosa risata.
Kyle,
che sembrava sull’orlo
di una crisi respiratoria, le lanciò un’occhiata
torva.
«Spero»
disse. «Che quando mi
vedrai morto almeno avrai la decenza di non chiedere nulla della mia
eredità.»
Se
possibile, Cheryl
rise più forte di prima, arrossendo leggermente quando si
accorse che delle
persone la fissavano apertamente. Si ricompose. «Non credo
che prenderei
comunque niente…» si fermò un attimo a
riflettere. «Forse tuo fratello».
«Chi,
Gordon?» domandò con un
sospiro rassegnato. Afferrò il contenitore del sale e ne
sparse distrattamente
un po’ sul tavolo, cercando inutilmente di creare un disegno.
«Guarda che è
mentalmente sottosviluppato per i suoi vent’anni.»
«Ma
no, parlavo di Mick.»
Kyle
fece una smorfia,
ma parve sollevato. «Oh, non ti facevo quel tipo.»
Cheryl
alzò gli occhi
al cielo, in parte per le sue parole, in parte per il pasticcio che
aveva fatto
sul tavolino. Una donna bassa e robusta si avvicinò a loro,
e Kyle si affrettò
a coprire tutto con il menù di carta.
«Ciao
ragazzi» li
salutò allegramente la signora Marshall.
Kyle
le rivolse un
sorriso tirato. «Ciao mamma, ci porti il
solito?»
«Ti
sembra che io abbia
in mano il foglietto delle ordinazioni? Va’ di sopra a
mettere a letto Mick.
Cheryl cara, a te porto subito il tuo veggie
burger.»
Quando
Cheryl alzò il viso
per sorriderle, come sempre si ritrovò di fronte alla copia
femminile e più
tondeggiante del suo migliore amico, ma ormai la cosa non le faceva
più alcun
effetto. «Grazie signora Marshall ma stavo giusto per tornare
a casa.»
Kyle
non riusciva a
capacitarsi di come soltanto Cheryl riuscisse a sciogliere un
po’ quell’iceberg
che sua madre si ritrovava al posto del cuore. «Come
preferisci, e tu fa quello
che ti ho detto.» ricordò al figlio. «E
con metterlo a letto non intendo
infilarlo sotto le coperte come un sacco di patate, raccontagli
qualcosa per
farlo addormentare», aggiunse prima di sparire in
cucina.
«Quindi
vai via?» le
chiese Kyle. Lei era troppo concentrata sui microscopici granellini
bianchi che
sbucavano da sotto il menù per accorgersi che il ragazzo la
fissava con
delusione.
Si
domandò quale effetto
avrebbero avuto se fosse riuscita a disporli in un'unica distesa, senza
che ce
ne fosse nemmeno uno accavallato sull’altro.
Chissà quanti ne sarebbero occorsi
per ricoprire l’intera superficie del tavolo. Si sarebbe poi
divertita a creare
delle figure in negativo, come quando alle elementari le facevano usare
i
pastelli bianchi sui fogli neri.
«Ah,
e tra parentesi la
signora Phindler era uno schianto oggi in topless, dovremmo spiarla di
nuovo
dalla finestra.» Cheryl catturò solo un piccolo
frammento dello sproloquio di
Kyle.
«Hai
ragione, dobbiamo
tornarci domani, visto che oggi non abbiamo concluso niente.»
disse con un
punta di accusa nella voce. In fin dei conti era colpa di Kyle, coi
suoi
schiamazzi aveva attirato Hector.
«Cosa?
No! Non dicevo sul
serio, cercavo di attirare la tua attenzione.»
Cheryl
sospirò e levò
lo sguardo verso un cliente che, aprendo la porta, aveva fatto suonare
il
campanello. Era un bel ragazzo dai capelli biondo cenere, frequentava
la loro
stessa scuola ma non ci aveva mai parlato. D'altronde,
perchè un tipo del genere
avrebbe dovuto rivelogere la parola a lei?
«Sembra
che qualsiasi cosa
riesca ad averla, a parte me.» pensò Kyle
rendendosi conto troppo tardi di aver
parlato a voce alta.
La
ragazza sbuffò,
sforzandosi di portare gli occhi su di lui. «Beh, ora ce
l’hai.» La verità era
che Cheryl avrebbe passato ore intere a guardarsi intorno, ora che
riusciva a
vedere tutto più nei dettagli. Tutto le pareva nuovo e
migliore, si accorgeva
sempre più che fino a quel momento si era persa un mucchio
di cose. «E in ogni
caso ci torneremo, dovrai rubare un’altra pillola da mettere
nei biscotti dalla
scorta di tua madre.»
Cheryl
lo vide roteare le
pupille da dietro gli occhiali. «Questa storia
finirà male, me lo sento.»
«Non
fare il
pessimista. Ti ho già detto che quella donna non mi
convince, nasconde qualcosa
che…»
«Sì,
hai ragione.» acconsentì
Kyle «Probabilmente tiene una collezione di capelli umani che
strappa alle sue
vittime e usa per fare corde di violino o pettini per le sue belve. In
effetti
quel pitbull ha un pelo straordinariamente
lucido…»
Cheryl
si alzò in piedi non
appena il cellulare nella tasca dei suoi jeans prese a vibrare.
«Io la
scoprirò.» concluse, in un tono che non ammetteva
repliche.
«Oh
cielo, speriamo di no.»
Kyle rabbrividì, ma ormai la ragazza era troppo lontana per
rispondergli.
Guardò in basso, dove il menù nascondeva ancora
il disastro di sale che aveva
fatto. Lo sollevò per pulire prima che sua madre tornasse, e
per poco il
foglietto non gli cadde dalle mani.
Linee
di vuoto in mezzo ai
granellini bianchi formavano un pentacolo inscritto in un cerchio
perfetto.
Cheryl
sentì di essere nei
guai ancora prima di varcare la soglia di casa. Lo aveva capito dalla
luce
spenta nello studio di sua zia Leanne, mentre il soggiorno e la cucina
erano illuminati.
Di
solito a quell’ora era
impegnata a lavorare al suo romanzo, perciò spegneva tutte
le altre luci. Era
una che credeva nella salvaguardia dell’ambiente e degli
animali e se avesse
dovuto scegliere tra il mangiare una bistecca o morire di fame,
probabilmente
avrebbe scelto la seconda.
Sgattaiolò
in corridoio a
piccoli passi e salì le scale in punta di piedi,
maledicendosi ogni volta che
il legno scricchiolava sotto il suo peso leggero.
«Ferma
dove sei.» Cheryl
trattenne il fiato e si fermò, come se qualcuno avesse
premuto stop
su un telecomando invisibile. Si voltò
lentamente, nonostante sapeva già cos’avrebbe
visto in fondo alle scale.
Leanne
se ne stava
immobile, con le braccia incrociate sul petto, i lunghi capelli
raccolti in un
nodo disordinato dietro la nuca. Indossava una delle sue maglie
extralarge che
continuava a mettere sopra ai jeans nonostante le arrivassero quasi al
ginocchio, come un abito. Cheryl pensò che quella era una
delle rare volte in
cui era lei a guardarla dall’alto verso il basso e non
viceversa, ma anche
dalla sua posizione la donna riusciva a mantenere un’aria
severa. «Si può
sapere dov’eri finita? Ti ho telefonato sette
volte.»
«Ero
con Kyle.» Con
chi altro avrei dovuto essere?, avrebbe
voluto aggiungere, ma decise di non peggiorare la sua situazione e si
morse la
lingua.
A
quel nome Leanne parve
rilassarsi un po’. «Lo sai che non voglio che resti
fuori fino a tardi la
sera.»
«Ma
non sono neanche le
undici!» La ragazza non riuscì più a
trattenersi. «Ho diciassette anni.»
A
quel punto Leanne
fece quel gesto con la mano che mandava Cheryl in bestia, come se la
stesse
assecondando soltanto per metterla a tacere. «Non sono ancora
diciassette, e
poi…»
«E
poi in questa città
non si può mai stare tranquilli, lo so, lo so!»
recitò a memoria. Prima che
Leanne attaccasse con una delle sue interminabili lezioni di vita
Cheryl coprì
la distanza che la separava dalla sua stanza e ci si chiuse
dentro.
Era
stanca di sentirsi
ripetere le stesse cose ogni giorno, ma soprattutto ne aveva abbastanza
degli
assurdi coprifuoco che sua zia le aveva messo. Mai più tardi
delle dieci, alle
undici al massimo di venerdì e di sabato. Le ragazze della
sua età uscivano,
andavano alle feste e si divertivano, mentre per lei tutto
ciò era
indiscutibilmente vietato. Non che l’avrebbe fatto comunque,
Kyle odiava le
feste.
Ne
era quasi certa, era da
quando aveva detto a Leanne di alcune cose che aveva imparato a fare.
Quando le
aveva mostrato di come poteva accendere una candela soltanto
pensandolo, aveva
serrato gli occhi terrorizzata e le aveva detto di non dirlo a nessuno.
Ovviamente lei lo aveva già detto a Kyle, ma
l’avrebbe fatto in ogni caso.
Si
distese a pancia in
su sul letto e allargò le braccia, godendosi la brezza
estiva che entrava dalla
finestra. Il suo sguardo passò sulle innumerevoli scritte
alle pareti, tutte di
diverse dimensioni ma ognuna caratterizzata dalla sua calligrafia
tondeggiante
e leggermente infantile, con qualche spruzzo di quella più
spigolosa di
Kyle, qua e là. Era una delle poche cose su cui Leanne non
aveva voce in
capitolo, forse l’unica.
Naturalmente
non sapeva
nemmeno delle attività della nipote negli ultimi giorni, ma
se Cheryl le avesse
raccontato quello che faceva probabilmente l’avrebbe
rinchiusa in una cella
blindata.
Era
da un po’ che aveva delle
sensazioni,
le capitava quando
guardava le persone negli occhi. Non sempre, era del tutto casuale e
non aveva
alcun controllo sulla cosa. Era come una gelida scossa
all’altezza dello
stomaco, che l’avvertiva che la persona in questione
nascondeva qualcosa.
All’inizio
Kyle l’aveva
fissata con quella sua espressione da inguaribile scettico, ma poi era
riuscito
a convincerlo a fare un tentativo, che purtroppo non era andato come
aveva
sperato. Era però decisa a ritentare l’indomani,
doveva scoprire cosa c’era
dietro il sorriso glaciale della signora Phindler, che incontravano
ogni
mattina al Queen’s Bee.
Doveva
essere questo che
terrorizzava Kyle, se sua madre avesse scoperto che pianificavano di
intrufolarsi in casa di una sua cliente, l’apocalisse sarebbe
parsa più
allettante.
Quasi
senza rendersene conto
aveva preso il telefono in mano e aveva fatto partire la chiamata. Kyle
rispose
quasi subito. «Non riesci proprio a vivere senza di me, non
è vero?»
«Mi
è venuta un’idea.»
annunciò lei, la voce scossa dall’adrenalina.
Ci
fu un momento di pausa,
Cheryl fu sorpresa nel non sentire alcun rumore di sottofondo. Di
solito a casa
di Kyle c’era sempre un gran chiasso, sia per via della
caffetteria sia per la
sua famiglia numerosa. «Adesso ho paura.»
«Prendiamo
il taxi è
andiamo al Lincoln Park?»
«Come
pensavo, torno
alla mia partita a Call of Duty, buonanotte.»
Cheryl
afferrò il telefono
più saldamente e balzò giù dal letto.
«Kay, aspetta! Non sei stanco di fare
sempre quello che ti dicono? È solo qualche ora, non se ne
accorgerà nessuno.»
Cheryl
poteva quasi vederlo
torturarsi le unghie mentre lottava contro la sua radicata
moralità. «Io non
credo che…»
«Ti
lascerò fuori dalla
questione con la signora Phindler! Per favore…»
cinguettò Cheryl, giocando la
sua ultima carta.
«Va
bene, d’accordo!» si
arrese Kyle «Ma non andrai comunque, da sola in quella casa.
Quel cane sembra
uscito da un film horror di serie b.»
A
Cheryl scappò un
piccolo grido di gioia, mentre già allungava una gamba per
scavalcare il
davanzale della finestra. «Sto venendo a
prenderti.» disse e riattaccò.
La
ragazza compì la sequenza
di movimenti che già altre volte aveva fatto, quando
l’iperprotettività di
Leanne diventava troppo soffocante. Usò la grondaia come
appoggio per i piedi e
tirò le tende dall’esterno, per far sembrare che
stesse dormendo. Si voltò
verso il giardino e guardò giù, aggrappandosi con
le mani al cornicione. Erano
poco più di due metri e pur non essendo la prima volta che
faceva quel salto,
le vertigini la rallentavano sempre un po’.
Chiuse
gli occhi e contò fino
a tre, poi si lanciò nel vuoto.
L’erba
attutì il rumore della
caduta quando le sue ginocchia attecchirono al suolo, seguite dai palmi
delle
mani. Si guardò intorno per accertarsi che Leanne non fosse
affacciata alla
finestra della cucina, l’unica fonte di luce proveniva dal
suo studio.
Non
poté evitare di sentirsi
un po’ in colpa, ma subito spinse la voce della sua coscienza
in un angolo
della mente e si tirò su, pulendosi le mani sui jeans.
Camminò a passo svelto,
leggermente curva e con il cappuccio sollevato come un ladro,
finché la piccola
casa in mattoni rossi non fu fuori dalla sua vista.
Dovette
riconoscere che
nonostante la sua fosse una delle zone più tranquille della
città, di notte
metteva i brividi. Rimase sotto la luce dei lampioni, approfittando
dell’assenza di automobili, spostandosi sul ciglio della
strada quando ne
arrivava qualcuna.
Per
poco non lanciò un urlo
quando una piccola sagoma le comparve davanti, a pochi passi di
distanza. Ci
mise qualche istante a capire che si trattava solo di un gatto, un
piccolo
gatto nero che la fissava con gli occhi gialli spalancati. Cheryl
inclinò la
testa e gli rivolse un piccolo sorriso.
Già,
come se i gatti
sapessero interpretare le espressioni degli uomini, pensò
dandosi della
stupida.
Il
gatto la fissava a sua
volta, dritto negli occhi e lei avvertì quel tremolio alla
bocca dello stomaco
che ormai le era diventato familiare. Fece qualche passo avanti e si
rannicchiò
a un palmo dall’animale, che non aveva indietreggiato, ma non
sembrava nemmeno
aver voglia di darle confidenza. Emise un miagolio secco e
sollevò una zampa
anteriore, a indicare qualcosa aldilà degli alberi che
costeggiavano la
strada.
A
Cheryl non piaceva mettersi
a parlare con gli animali o con i neonati, con quella vocina infantile
e da
rincretiniti che la gente assume, si sentiva ridicola. Così
si alzò e seguì il
gatto, che si era mosso quasi contemporaneamente a lei. Si addentrarono
tra le
piante dai tronchi sottili e nodosi, l’estate aveva reso le
loro chiome fitte e
verdeggianti, tanto da creare uno scudo d’ombra sulla sua
testa. Cheryl sapeva
che quello che stava facendo era stupido e imprudente, ma
c’era una forza che
non riusciva a spiegarsi che la spingeva a seguire quel gatto e
scoprire dove
voleva condurla.
Improvvisamente
si rese conto
che erano entrambi fermi in mezzo agli alberi, da lì poteva
ancora intravedere
la strada e la luce intensa dei lampioni.
Qualcosa
le si attorcigliò
alla caviglia così forte da toglierle il fiato e prima che
riuscisse a battere
ciglio cadde a pancia sotto. Se le fosse rimasta anche solo una piccola
traccia
d’aria nei polmoni avrebbe gridato, ma tutto quello che le
riuscì fu
contorcersi su se stessa.
«Ottimo
lavoro Dafne.» disse
una voce femminile liscia come velluto.
Si
sentì afferrare per il
colletto da una mano forte e salda, che la voltò facendole
emettere un gemito
di dolore. Si ritrovò un paio di occhi azzurro ghiaccio
puntati addosso, che
quando la scorsero si spalancarono per la sorpresa. «Ma che
cavolo…?»
«Oh,
diavolo!» esclamò
balzando all’indietro.
«No,
Liv» disse un ragazzo,
Cheryl non riusciva a vederlo bene in volto a causa
dell’oscurità. «Il diavolo
è decisamente più alto, con un paio di buchi
vuoti al posto degli occhi, forse.
Questa è una ragazza» la sua voce era roca a
profonda, con una cadenza lenta e
troppo marcata per essere di quelle parti. «E può
vedere Dafne.» aggiunse, con
una punta di sorpresa.
Cheryl
si sollevò sui gomiti
e li fissò incredula, ancora incapace di realizzare cosa
stava accadendo. «Ma
chi, il gatto?» quest’ultimo, sentendosi chiamato
in causa, comparve
strusciandosi tra le gambe della ragazza. «Certo che lo
vedo!»
Solo
allora Cheryl riuscì a
guardare meglio i due. La ragazza aveva lineamenti fini e sopracciglia
sottili,
incorniciati da corti capelli color grano che le ricadevano sul viso in
ciuffi
disordinati. L’altro aveva una chioma di ricci scuri, folti
come la criniera di
un leone. Entrambi non sembravano avere molti più anni di
lei, ma era il modo
in cui erano vestiti che la colpì. La ragazza portava una
spessa mantella nera
sopra a una tuta di quella che le parve pelle, nera
anch’essa. Aveva legata
alla vita una spessa cintura, a cui erano appesi strani arnesi che
Cheryl non
aveva mai visto. Lui portava la stessa cintura, ma l’unica
altra stranezza
erano i pesanti anfibi che aveva ai piedi in pieno
giugno.
Forse
sono dark, pensò
Cheryl. Poi però un brivido di terrore le corse lungo la
schiena e decise di
accantonare l’idea. Non aveva pregiudizi di quel tipo, ma il
pensiero di essere
sola, in mezzo al buio con dei tizi del genere non la rassicurava per
niente.
«Sì,
è decisamente una
ragazza.» concordò Liv
osservandola.
«Perché
cos’altro dovrei
essere?», chiese Cheryl, irritata dal fatto che i due
parlassero di lei come se
non fosse proprio lì davanti a
loro.
«Un
mostro, sotto le
sembianze di un essere umano» le disse il ragazzo in tutta
serietà. «per
esempio.» Cheryl si sentì in soggezione sotto il
peso del suo sguardo, come una
cavia da laboratorio che tutti si aspettano esploda da un momento
all’altro.
«Harry!»
lo ammonì Liv a
denti stretti. «Bada a quello che
dici.»
Questi
sono degli
squilibrati, pensò Cheryl con orrore. Doveva andarsene al
più presto.
«Ascoltate»
disse, e i due
tornarono a fissarla come se il solo fatto che stesse parlando fosse
allarmante. Lei li ignorò. «È evidente
che c’è stato un equivoco, quindi che ne
dite di slegarmi e lasciarmi andare, magari?»
Sperò che dal suo tono non
trapelasse il terrore che provava, non era brava a nascondere le
emozioni.
«Mi
sembra un’ottima idea.»
intervenne Liv, e con uno scatto della mano che reggeva il manico di
quella
sorta di frusta chilometrica, la fece ritrarre come fosse stata
animata. Quando
anche l’ultimo centimetro fu rientrato nel manico,
cacciò quello che era
diventato un innocuo bastone in un inserto della cintura.
«Ma
non possiamo!» Harry
sembrò risvegliarsi in quel momento. «Lei ci ha visti
e ha visto Dafne! Nessun terrestre può
vederla.»
«Forse
c’è qualcosa che non
va nell’incantesimo.»
«Può
darsi, ma in ogni caso
ora sa troppo.»
Cheryl
si sforzò di soppesare
la situazione razionalmente. Era addirittura disposta ad assecondare le
loro
pazzie pur di andarsene il prima possibile.
«Beh,
se può aiutare non ho
capito una sola parola,
quindi…»
Ma
fu come se non avesse
parlato, perché i due continuarono a fissarsi con aria
dubbiosa. Harry si sfilò
dal collo un laccio legato a modi collana, a cui era appesa una piccola
pietra
di un bell’azzurro mare. La sollevò verso Cheryl.
Per un attimo non accadde
nulla, poi all’interno della pietra prese vita una piccola
luce che divenne
sempre più intensa, finché non fu una vera e
propria esplosione luminosa.
Cheryl
era a bocca aperta,
letteralmente.
«Guarda»
ribadì Harry.
«L’amazzonite non sbaglia mai. Come
spieghi questo?»
«D’accordo,
ma non vedi che
non sa nemmeno di cosa stiamo parlando?» Liv le rivolse uno
sguardo insolente.
«Non può essere una
soprannaturale.»
Cheryl
avrebbe voluto
chiederle che diamine era una soprannaturale, ma per qualche motivo non
voleva
provare che aveva ragione. Improvvisamente un cellulare prese a
squillare,
mandando in frantumi quell’inspiegabile atmosfera misteriosa
che aveva
avvertito fino ad allora. Sapeva con certezza che non era il suo,
perché aveva
l’abitudine di lasciare solo la vibrazione, ragion per cui
perdeva la maggior
parte delle chiamate. Harry ne estrasse uno molto simile al suo dalla
tasca dei
pantaloni e se lo portò
all’orecchio.
«Che
c’è?» Immediatamente il
suo sguardo corse verso Liv, che aggrottò le sopracciglia.
«Va bene,
arriviamo.» Riattaccò. Cheryl lo
guardò, forse più ansiosa di Liv di conoscere
il verdetto. Harry strinse la collana nel pugno e la fissò
di rimando. «Gli
altri hanno finito, andiamo.»
«Quindi,
che ne facciamo di
lei?» chiese Liv. Ora che riusciva a pensare più
lucidamente Cheryl dovette
ammettere che era incredibilmente bella. Nonostante il taglio di
capelli e il
fatto che fosse alta quasi quanto Harry, la sua figura era aggraziata e
femminile.
Scrollò
le spalle. «La
portiamo alla Rocca.»
«Cosa?
Non se ne parla,
Edward ci ucciderà!»
Harry
si accarezzò il mento
con la mano, senza smettere di scrutare Cheryl. «Potrebbe
raccontare qualcosa a
qualcuno…»
«Nessuno
le crederebbe.»
tagliò corto Liv. «Forza, andiamo.»
Quindi sfilò un piccolo pugnale dalla
cintura e tracciò una sequenza di linee immaginarie davanti
a sé. Uno squarcio
di luce bianca si aprì nell’aria, allargandosi a
macchia d’olio finché non
divenne una grossa ellisse bidimensionale, sospesa nel nulla. A Cheryl
ricordò
la consistenza dell’acqua, ma più densa e
scintillante.
Liv
tirò Harry per una
manica. «Andiamo?»
ripeté.
Lui
rivolse a Cheryl un
ultimo sguardo esitante, infine annuì. Poi entrambi fecero
qualcosa che rischiò
di far precipitare la mascella di Cheryl. Passarono attraverso
l’ellisse
d’acqua e scomparvero.
La
ragazza rimase come
pietrificata per una manciata di secondi, senza smettere di fissare il
punto in
cui si trovavano appena qualche istante prima.
Ogni traccia della loro presenza era svanita nel nulla, insieme a quella cosa che se li era portati via.
* * *
SPAZIO AUTRICE: Ciao a tutti! Ed eccomi di nuovo qui, con
un'altra storia. Dunque, non mi dilungherò molto, questa
fanfiction è un po' diversa dall'altra che sto scrivendo
e spero solo che vi piaccia. Fatemi sapere che ne pensate, se
vi va. Un bacio!
A presto,
#Allie