Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: RainAgainst    15/07/2014    1 recensioni
Ed ecco che è iniziato il dramma. Sì, forse non è iniziato il giorno in cui sono nato, quanto piuttosto il giorno in cui ho superato la statura di mio padre. Lo ricordo ancora quel giorno.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il dramma è iniziato il giorno che sono nato. Primo, e per giunta maschio, della progenie di nipoti tanto coccolati dalla nonna – che al giorno d’oggi sono undici.
Undici, tutte femmine e due maschi, tra cui, appunto, me e un altro piccolino di appena venti mesi.
Mi spiego meglio: il dramma non è l’amore della nonna, quello fa piacere, e non è nemmeno quella speciale sintonia che si crea tra nonna e nipote più grande, che non sto qui a spiegare perché per quelli che non la vivono è difficile capirla. E’ come se il dna del primo nipote rispecchiasse quello della nonna, è come se per la mia trasmissione genetica avessero lavorato gli stessi enzimi che avevano lavorato per la sua, cantando le canzoni che cantavano allora e agognando lontane età dell’oro. Mannaggia, avevo detto che non mi sarei dilungato a spiegare questo rapporto.
Dicevo, il dramma è che, non appena ti spuntano fuori due muscoli e qualche centimetro in più del tuo papà - situazione che, purtroppo, si verifica, specie se si hanno dei genitori bassi come i miei – diventi per la nonna, e per tutta la famiglia, il giovane muscoloso, forzuto e alto un chilometro che può trasportare le borse della spesa e arrivare a prendere quei barattoli che chissà chi è stato a metterli così in alto.
Ed ecco che è iniziato il dramma. Sì, forse non è iniziato il giorno in cui sono nato, quanto piuttosto il giorno in cui ho superato la statura di mio padre. Lo ricordo ancora quel giorno. Il papà che mi venne vicino, chiedendomi probabilmente com’era andata a scuola o che cosa volevo mangiare, e subito dopo ricordo il suo “non stare in punta di piedi!” e pian piano sul suo viso si è dipinta una timida vergogna e si è spento il rimasuglio di un antico testosterone nell’atto di accettare il fatto che il suo bambino era più alto di lui.
E, idiota come sono sempre stato, ho pensato bene, appena ho visto la nonna, di renderla partecipe della mia orgogliosa e fiera impresa!
“Ma bravo, piccolino” – si resta sempre piccolino per la nonna – “e adesso prendimi quella pentola che non ci arrivo.”
“Ma nonna, non è che se ho superato il papà vuol dire che sono alto due metri. Non ci arrivo.”
Ma anche se la pentola era effettivamente tanto in alto – la prese lo zio qualche giorno dopo, servendosi della scala – dentro di me sentii che non sarei mai stato all’altezza dei vasetti, dei barattoli, degli arnesi da cucina della nonna.
Anche a scuola ero tra gli studenti più bassi di tutti, e quando tra compagni si parlava della statura dei propri genitori, e si calcolavano possibili stature raggiungibili in età adulta con elementi di statistica e genetica quanto mai approssimativi, fiero e spavaldo, esponevo come fossi più alto del mio papà. Ma quello che guadagnavo non erano stima, rispetto, onore, bensì perfide risate e derisioni sulla bassa statura di mio papà.
Mi iscrissi anche ad un corso di basket, sempre in preda all’euforia, ma mi ci volle ben poco per accorgermi che i miei compagni di squadra erano ben più alti di me, ma non solo questo, perfino le ragazze della squadra femminile mi superavano in statura.
Sebbene la nonna continuasse con le sue richieste che difficilmente potevo esaudire, mi piaceva passare il tempo con lei, se non altro perché mi trattava come uno stangone di due metri. Non era amore di nonna, non era tipico accecamento dell’amore, no, era solo che ero il più alto della famiglia, e quindi, almeno dal suo punto di vista, avevo un onore, un valore, un ruolo.
“Passami il bicchiere”, un giorno, mentre giocavamo a carte, “ma nonna, non vedi come è in alto?”, “ma sei sicuro che se ti sforzi non ci arrivi?” “nonna, non ti ci mettere anche tu, per favore, non ci arrivo e basta.”
La mia statura mi dava dei problemi anche con le ragazze. A me piacevano quelle un po’ altezzose, possibilmente bionde, mi piacevano le ragazze che erano il tipico stereotipo delle ragazzine. Solo che nello stereotipo è incluso anche alta, e che non disdegna indossare scarpe col tacco, e figuriamoci se vengono a perdere tempo dietro ad un ragazzo più basso di loro anche se indossano le ballerine.
“Ma sono il più alto della mia famiglia!” ma che cosa importa, quando a loro disposizione hanno decine di altri ragazzi ben piazzati e, soprattutto, alti.
Mi consolavo, dunque, soltanto con la nonna, che nonostante continuassi a mostrare la mia impossibilità nel raggiungere gli scaffali rialzati delle sue credenze, mi coccolava e spesso esaltava la mia altezza e la mia prestanza fisica.
Ma, ahimè, commisi un errore: un giorno, a pranzo, invitai dalla nonna un mio compagno di classe. Era simpatico, carino, un tipico ragazzo della mia età. Ma era visibilmente più alto di me, e non appena la nonna lo vide si illuminò, e ne approfittò per farsi tirare giù dagli scaffali alti ogni genere di arnese che io non ero mai riuscito a prenderle.
E da quel momento, capii che non ero poi così alto, era solo che la nostra famiglia era particolarmente bassa.
Una sera me ne stavo chiuso nella mia camera triste, con qualche lacrima che mi scendeva dagli occhi. Mia mamma entrò, e io le parlai per la prima volta del mio problema, e le chiesi se era normale, se sarei mai cresciuto, come avevano fatto lei e papà da piccoli.
“Tesoro mio, essere un bonsai in un mondo di piante non è facile. Il signore è stato buono a farti alto come sei. Non essere triste.”
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: RainAgainst