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Autore: harusyndrome    15/07/2014    2 recensioni
[ kiseop x dongho (dongseop) ~ OS: 3082 words ~ present for a special friend ]
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( dal testo: )
Aveva imparato che per andare avanti bastava avere qualcuno per cui vivere, qualcuno con quel sorriso, quegli occhi, quelle labbra; quel qualcuno che profumava di ciliegie, quel profumo che rimaneva così persistente dopo aver fatto l’amore.
A quel punto Kiseop aveva imparato che l’inverno puzzava di vodka e di sigarette, la primavera invece profumava di ciliegie e di sorrisi.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dongho, Kiseop
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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❝ Of cherries and smiles.





 
Silenzio. C’era molto silenzio quella sera, l’unica cosa che era illuminata la fioca luce di una candela appoggiata in modo poco curato sul comodino metteva in risalto un'unica figura che, in modo malinconico fissava quell’unica finestra che c’era in quella grande stanza ben arredata.
Aveva tutto, Kiseop. Non c’era qualcosa che non avesse; ogni cosa che voleva, ogni cosa di cui aveva bisogno, anche quei piccoli oggetti di cui non si sarebbe mai interessato. Aveva ogni cd del suo gruppo preferito, ogni marca di profumo, ogni capo d’abbigliamento più alla moda, ogni gioiello prezioso. Eppure, tutto quello che aveva, non era abbastanza. Non c’era cosa che poteva soddisfarlo, non c’era oggetto che possedeva capace di colmare il vuoto che lui aveva lasciato nel suo cuore.
Era convinto che ci fosse una spiegazione per la quale, lo aveva visto andare via lentamente dalla sua vita; c’era un motivo per il quale, lo aveva visto abbandonarlo come si fa con un cane, lasciandolo sul ciglio di una autostrada qualunque. Un motivo, una ragione, una spiegazione a tutto quello che era – e stava – succedendo. Doveva semplicemente scoprire il perché, ma non era una cosa facile.
Nel frattempo, stava solo. Stava solo e piangeva. Stava solo, piangeva e beveva. Stava solo, piangeva, beveva, fumava e piangeva ancora. Si era ridotto ad un misero straccio, un corpo vuoto senz’anima; quando passava davanti ad uno dei tanti specchi che aveva per casa, si spaventava addirittura di come appariva a sé stesso. Non era più lo stesso, e tutto questo per colpa sua.
Era diventato un Kiseop diverso; non ballava più, non curava più il suo aspetto, non curava più nemmeno la sua casa, che era diventata una discarica di bottiglie vuote, rotte, a metà. Tutto era in degrado, Kiseop stesso e con lui, la sua vita. Non parlava più con nessuno, nemmeno con la sua amata madre che continuava a fargli visita, inutilmente, ogni settimana. Gli portava del buon cibo cucinato dall'amore di una madre, ma nemmeno l’affetto materno poteva guarire le ferite troppo profonde del suo povero figlio.

“Figlio mio, come puoi ridurti in questo modo per qualcuno?”
“Mamma, non era un semplice qualcuno ... lui era tutta la mia vita.”

Invano la povera donna cercava di tirare fuori quel giovane e dannato figlio da quel grande appartamento che una volta era pieno di gioia; ora, sembrava una landa dell’inferno. Ancora più invano, la donna cercava di sistemare come meglio poteva, ma sapeva che quando sarebbe ritornata, la scena sarebbe stata la medesima. Ogni cosa di quell'appartamento dava tristezza, a partire da quelle foto sulle mensole, che ritraevano Kiseop accanto a qualcuno, di cui purtroppo il viso era stato cancellato con rabbia, rancore ... dolore.

Era andato avanti così per mesi e mesi, ma poi era capitato un fatto. Per quanto non mangiasse, per quanto si ostentasse solo di andare avanti di ramyeon istantaneo, sigarette e bottiglie di alcolici, era arrivato quello strano giorno in cui qualsiasi delle sue scorte era terminata. Niente più ramyeon, niente più vino, birra, vodka … niente di niente. Kiseop si era visto così costretto ad uscire di casa, per la prima volta dopo svariati mesi; il solo metabolizzare l’idea che sarebbe dovuto uscire gli costò minuti interi, altro tempo lo perse per prendere dei vestiti puliti dall'armadio, e altrettanto ne perse per coprirsi gli occhi gonfi e vitrei. Nascondendo infine la testa dentro ad un cappuccio, con gli occhiali scuri e una mascherina a coprirgli il resto del viso, si decise ad aprire quella dannata porta.
Fin da subito una fresca brezza lo travolse, già era estate e nemmeno se lo sentiva; certo, vedeva il sole filtrare ogni giorno dalla finestra, ma dentro di lui ancora poteva sentire che era pieno inverno.
Cercando di non farsi troppo notare, camminò in mezzo alla gente in silenzio finché non raggiunse il supermercato. Lì, fece quei pochi acquisti che ritenne importanti, pagò e se ne uscì senza mai proferire parola.
Per tornare a casa, decise di utilizzare quel vialetto poco utilizzato, un po’ in penombra e non del tutto sicuro. La gente evitava di passare per quelli svincolo perché credeva che fosse pericoloso, ma a Kiseop non interessava; a lui importava arrivare a casa il prima possibile. Kiseop camminava con la testa bassa, guardava come i propri piedi calpestassero quell’asfalto consumato, cercando di non pensare a ciò che lo circondava. Fu proprio a causa di ciò che non vide il ragazzo che stava venendo dritto nella sua direzione, correndo; inutile fu cercare di frenare, gli andò a finire completamente addosso. Purtroppo per il giovane, Kiseop era ben piazzato e, dall’impatto, solo la busta di plastica gli cadde dalle mani, producendo un udibile rumore di vetri frantumati. Beh, addio bottiglie di vodka tanto agognate.

“Aish! Scusa, non sono riuscito a fermarmi.”
“….”

Ciò che Kiseop si trovò davanti quando alzò appena il viso, fu una testolina mora tutta arruffata, delle guanciotte arrossate, probabilmente per la corsa, due grandi occhioni scuri che lo fissavano, e un grande, grandissimo sorriso sulle labbra; gli sembrò di avere davanti il più bello spettacolo del mondo, e inutilmente lo stava fissando come se non avesse mai visto un altro essere umano sulla faccia della terra.

“Oh, ti sei fatto male da qualche parte? Ti ho dato una testata sul petto ... devo averti fatto male! E aigoo, guarda qua, la busta ti è caduta e ti si è rotto tutto. Mi dispiace un sacco, se vuoi ti ripago o ... te li ricompro, aspetta, questo è del ramyeon istantaneo, ed è pure il mio preferito! A casa ne ho quintali, se vuoi te ne do quanto ti pare. Comunque non mi sono presentato, che maleducato! Piacere, io sono Dongho.”

Quel ragazzino parlava veramente tanto, così tanto che Kiseop si era perso nell’ascoltare tutto quello che gli aveva detto. Dopo tutto quel tempo chiuso dentro la propria casa, parlare con una persona che non era sua madre gli sembrava una cosa davvero difficile, così tanto che era rimasto a fissarlo senza dire una parola, destando la curiosità del ragazzo che, con il naso arricciato, gli si era fatto più vicino e con sguardo interrogativo cercava di estrapolare qualche informazione da quel viso che non riusciva a vedere, a causa di tutto quel camuffare.

“Tu un nome non ce l’hai? Oh! Per caso sei una super star? E’ per questo che sei conciato così? Ah, tranquillo non lo dirò a nessuno, però come ti chiami potresti anche dirmelo ... no?”

Per Dongho, era piuttosto insolito attaccare bottone con il primo che passava, non era il tipo di ragazzo da prendere iniziative del genere, era piuttosto timido e riservato – fin quando non conosceva qualcuno – e come gli era stato insegnato, non rivolgeva parola agli sconosciuti. Ma c’era qualcosa, qualcosa di veramente profondo in quella figura che aveva davanti; non riusciva a guardarlo negli occhi, o a leggere le sue espressioni perché era completamente coperto, ma sentiva che in lui c’era qualcosa per la quale andava la pena provare ad interagire.

“Kiseop.”
“Eh--? Cosa?”
“Mi chiamo Kiseop.”

Kiseop, dal suo canto, non sapeva perché ma sentiva di potersi fidare di quella sottospecie di cucciolo esagitato che aveva davanti alla faccia; non sapeva perché, ma gli esprimeva un sacco di tenerezza.
Non sapeva dire perché, ma si era ritrovato a seguire quel ragazzo che nei propri pensieri aveva ritenuto abbastanza strano; non avrebbe dovuto seguirlo, avrebbe dovuto andarsene non appena si erano scontrati invece … invece no, lo stava seguendo senza proferire parola, con le mani nelle tasche e gli occhi focalizzati sulla piccola figura che davanti a sé camminava con una certa spensieratezza. Man mano che camminavano, Kiseop si rendeva conto di essere sempre più vicino al quartiere dove abitava. Pensò che fosse una totale coincidenza, ce ne erano tanti di palazzi in quel quartiere, di certo non abitava proprio nel suo stesso edificio. Dovette ricredersi quando si ritrovò davanti alla porta dell’edificato dove il suo appartamento si trovava; continuava ad essere scettico, continuava a credere che fosse una casualità. Quel palazzo aveva dieci piani e più di mille appartamenti, era impossibile che abitassero nello stesso piano. Ma quando, nel prendere l’ascensore, il minore digitò il decimo piano, la sicurezza di Kiseop cominciò a colare a picco. La perse completamente quando si ritrovò davanti alla porta che si trovava dalla parte opposta della sua, di abitazione; si ritrovò a fissarla con il naso arricciato e con occhi increduli, nascosti ancora dalle lenti scure degli occhiali. Dongho, ignaro di tutto, dopo averci messo più o meno un’eternità a trovare le chiavi di casa, riuscì ad aprire la porta e con un gesto plateale ma fiero, la spalancò facendo qualche passo avanti. Si accorse però, che il suo ‘nuovo amico’ non lo stava seguendo all’interno dell’appartamento.

“Che ti succede? Non .. vuoi entrare? ”
“Ecco… ”
“C’è qualcosa che non va? Ti senti male? Devo chiamare qualcuno? ”
“No, niente di tutto questo.”
“Allora cosa?”
“Io .. veramente .. abito lì.”

Il maggiore dei due aveva allungato il braccio, puntando con il dito indice la porta a cui stavano dando le spalle, facendo rimanere di sasso il brunetto che, rimanendo quasi a bocca aperta, ci mise qualche secondo a metabolizzare la cosa. Non era sicuro di avere un vicino di casa, specialmente perché non vedeva mai nessuno uscire da quella porta, dunque era finito con il pensare che non vi abitasse nessuno; a quanto pare, si stava sbagliando alla grande.
Passati quei secondi di completa incredulità, Dongho scoppiò a ridere davanti ad un Kiseop piuttosto incredulo, che non riusciva a capire che cosa ci fosse così divertente nella situazione.

“Non sapevo di avere un vicino di casa.”
“Nemmeno  io.”
“Come hai fatto a non accorgertene, sono tre mesi ormai che abito qua!”
“Non sono uno che .. esce molto, ecco.”
“Sarà per questo che non mi sono accorto della tua presenza.”
“Può essere.”
“Ma parli sempre così poco?”
“E tu parli sempre così tanto?”

Ci fu un momento di silenzio, Dongho fece un passo indietro così da allontanarsi appena dall’entrata del proprio appartamento, mettendo su un sorriso. Un sorriso gentile, così solare che Kiseop si sentì quasi sciogliere davanti a uno spettacolo di quel genere; era da tanto, tantissimo tempo che non vedeva un sorriso così bello. Assomigliava quasi al suo, anche se poteva dire che quello del ragazzo che aveva davanti era dieci volte più bello. Di punto in bianco Dongho allungò una mano, quella che aveva libera, porgendola in direzione del ragazzo davanti a sé, senza mai smettere di sorridergli in quel modo.

“Allora, vuoi entrare a mangiare il ramen o no?”

Fu come se il corpo di Kiseop si mosse senza che il suo cervello gli diede comandi, come se qualcosa di più potente comandasse i suoi movimenti e in men che non si dica, si ritrovò a stringere la mano del minore, seguendolo dentro al suo appartamento.
Non lo sapeva ma seguirlo adesso, avrebbe significato che l’avrebbe seguito da quel momento in poi; non lo sapeva che stringere la sua mano avrebbe instaurato un legame tra di loro più forte di qualsiasi cosa. Non lo sapeva che decidere di entrare nel suo appartamento avrebbe voluto dire che avrebbe provato sempre più il desiderio di stare con lui. Non lo sapeva, ma se avesse avuto la possibilità di tornare indietro avrebbe scelto di stringergli la mano altre mille volte.


Il tempo passò velocemente, l’inverno finì prima quell’anno portando via con sé ogni traccia di malinconia, ogni lacrima persa, lasciando spazio ad una frizzante primavera che con il suo arrivo si portò un tiepido calore, e un buon profumo di ciliegie, lo stesso profumo che aveva Dongho. Inspiegabilmente, da quel loro incontro, Kiseop aveva ritrovato la voglia di vivere, aveva trovato un altro motivo per sorridere; tutto ad un tratto si era ripreso, era tornato ad essere il radioso ragazzo di sempre. Aveva smesso di bere, aveva smesso di piangere, si era lasciato rapire da quel sorriso grande e da quegli occhioni scuri, si era lasciato inebriare da quel profumo di ciliegie e da quelle labbra dolci. Era rimasto stregato da una presenza come quella del minore, che nel giro di un mese, era riuscito a farlo innamorare come un ragazzino alle prese con la prima cotta; d’altra parte, lo stesso Dongho si trovava in una situazione simile. Si era ritrovato ad avere il batticuore ogni qualvolta le loro mani si fioravano, si era ritrovato a sognarlo di notte, ormai pensare a lui durante la giornata era diventato quasi una routine. Pensava di essere diventato pazzo, ma con la fine dell’inverno, si era accorto di non essere l’unico. Ad essere pazzi erano in due e non c’erano volute parole, era bastato uno sguardo per capire che tra di loro c’era qualcosa di più.
Così, con l’arrivo della primavera, decisero di andare ad abitare in un solo appartamento; dopo discussioni di vario tipo, Dongho finì con il dover abbandonare la propria abitazione per passare nella porta accanto. Abitando insieme, i due scoprirono ancora più cose sul loro conto; Dongho scoprì che Kiseop era un bravissimo cuoco, Kiseop a sua volta scoprì che Dongho aveva una inspiegabile passione per il ferretto. Con l’andare del tempo, Dongho venne anche a sapere che Kiseop era un ballerino impeccabile e anche un ottimo pianista, a sua volta Kiseop scoprì che Dongho stava imparando a suonare la chitarra; vennero a sapere l’uno le informazioni della famiglia dell’altro, e in men che non si dica, finirono con il conoscere ogni singolo aspetto delle loro vite.
D’altra parte Kiseop aveva ricominciato a vivere, aveva ritrovato la speranza negli occhi di qualcuno, aveva ritrovato la felicità nel sorriso dello stesso qualcuno, aveva trovato l’amore nelle sue labbra e nelle sue carezze gentili. Allo stesso tempo aveva capito che quel qualcuno aveva trovato nella sua figura un qualcuno che lo proteggesse, un qualcuno che lo amasse senza se e senza ma.

Venne un giorno poi, uno di quei giorni dove il cielo era azzurro e il sole era tiepido, una di quelle giornate che va la pena di essere vissute; Kiseop si era alzato presto con una idea in testa e dopo aver fatto di tutto per svegliare il minore, lo salutò con un bel sorriso e un bacio sulla fronte.

“Alzati e vestiti, c’è un posto dove voglio portarti.”

Furono le uniche parole del maggiore, sussurrate ad un orecchio come se quello fosse un segreto che loro due dovevano sapere; pigramente, Dongho si era tirato fuori dal letto e si era precipitato a sistemarsi. Una buona oretta dopo, entrambi erano pronti per partire. Andare verso una meta ignota elettrizzava abbastanza Dongho che, non riusciva a starsene fermo dentro la macchina; sin da quando erano partiti aveva cambiato stazione radio almeno una quindicina di volte, aveva cominciato a curiosare nel cruscotto della macchina sotto gli occhi di un infelice Kiseop che, maniaco dell’ordine com’era, vedeva tutti i suoi oggetti venir sparpagliati senza cura alcuna. Fortunatamente, il viaggio prese diverse ore e ancora prima che potessero arrivare, Dongho finì con l’addormentarsi, regalando al povero Kiseop un po’ di pace.
Il brunetto si risvegliò solo quando la meta fu già raggiunta, con sua grandissima sorpresa, il maggiore lo aveva portato al mare. Senza perdere tempo, cominciarono a camminare lungo la spiaggia, godendosi il sole tiepido e il forte odore salmastro; persero tempo a giocare con la sabbia, farsi foto perché ogni momento passato insieme era prezioso e anche a rincorrersi, fino a finire con il lanciarsi nell’acqua senza tener conto di nulla.
Ben presto però, arrivò il buio, e proprio in quel momento, dopo un meravigliosissimo tramonto che Kiseop tirò fuori delle coperte, qualche scorta di snack, mettendosi poi ad accendere un fuoco che gli prese una buona manciata di minuti come presa. Lo spettacolo che avevano davanti era bellissimo, un cielo stellato che diventava un tutt’uno con il mare notturno, la luna ben alta nel cielo e quella brezza fresca che gli accarezzava i capelli; niente poteva rovinare quel momento, dove su quella spiaggia c’erano praticamente soltanto loro due.

“Sai, le stelle in media durano da 1 a 10 miliardi di anni .. ”
“Quindi?”
“Quindi, voglio che il nostro amore duri da uno a cento miliardi di anni.”
“Lo sai che è un po’ impossibile, vero? Tra cento miliardi di anni saremo anche morti.”
“Beh, non mi interessa. Io voglio amarti anche quando saremo morti.”
“Dovremo comprare una stella allora, così il nostro amore potrà durare cento miliardi di anni.”
“Uhm, scegliamola adesso.”

Per quanto Kiseop gli stesse praticamente urlando dietro che non potevano scegliere una stella così a caso, Dongho non lo stava ascoltando, era troppo impegnato a scandagliare il manto celeste per trovare una stella che potesse piacergli. Il processo richiese alcuni minuti, prima che finalmente il minore non allungò il braccio e puntò ad uno di quei puntini luminosi, una di quelle più brillanti delle altre.

“Ecco, quella è la nostra stella.”
“Perché proprio quella?”
“Se guardi, sembra che siano due molto vicine .. invece è solo una.”
“Hai ragione.”
“Come sempre … comunque, come vogliamo chiamarla?”
“Dobbiamo dargli un nome?”
“Ovviamente.”
“Non saprei allora …”
“Io ce l’ho un bel nome, chiamiamola ‘Us’.”
“Us?”
“Sì, così ogni volta che la guarderemo ci ricorderemo che è nostra.”

Come poteva Kiseop controbattere a quel sorriso che aveva? Semplice, non poteva. Non poteva negare qualcosa a quel sorriso decisamente più luminoso di tutte quelle stelle presenti; semplicemente, non gli rispose. Si limitò a sorridergli a sua volta, per poi stringerlo tra le proprie braccia per zittirlo con un bacio.

Così il tempo passò e ben presto Kiseop si dimenticò delle lacrime versate, del dolore lancinante al petto, della voglia continua di farla finite; si dimenticò di come l’inverno era rigido, di come la via di scampo mai arrivava, dell’agonia, della sofferenza. Si dimenticò di tutto. Imparò però che la primavera era come un incontro casuale, imparò che era tiepida ma allo stesso tempo assolutamente rassicurante, era travolgente e radiosa come quel sorriso, era speranzosa e piena di luce come quegli occhi, era piacevole e armonioso come quei baci. Aveva imparato che per andare avanti bastava avere qualcuno per cui vivere, qualcuno con quel sorriso, quegli occhi, quelle labbra; quel qualcuno che profumava di ciliegie, quel profumo che rimaneva così persistente dopo aver fatto l’amore.
A quel punto Kiseop aveva imparato che l’inverno puzzava di vodka e di sigarette, la primavera invece profumava di ciliegie e di sorrisi. ​








── Writer’s Space:

zam zam zaaam, eccomi qua tornata nel fandom degli ukiss con una OS a cui stavo lavorando da un sacco di tempo (...) ma per ragioni di tempo - voglia - spazio - impegni sociali non sono riuscita a completare per tempo ( me tapina ;A; ) ad ogni modoo~ dicevano meglio tardi che mai, ed eccomi qua. 
vorrei specificare che questa OS è il regalo di compleanno per una mia carissima amica quindi spero che sia uscita come volevo. ;__;
d'altra parte, spero che comunque piaccia sia a lei che a voi, ovviamente. (..)
ok ammetto che non ho più niente da dire so ... grazie per aver letto, e spero di non avervi ucciso con il fluff. 
   
 
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