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Autore: M4RT1    15/07/2014    3 recensioni
Neal è finito all'ospedale e dovrà restarci per ventuno giorni. Che succederà? Chi gli terrà compagnia? Ma soprattutto: riuscirà Neal a sopravvivere a ventun giorni con amici che tentano di tirarlo... su di morale?
**
La storia si comporrà di ventidue capitoli: il primo parla di come Neal è finito in ospedale, poi ce ne sarà uno per giorno. :))
Spero vi piaccia!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Burke, Mozzie-Dante Haversham, Neal Caffrey, Peter Burke, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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N.d.A.: okay, sarebbe meglio cominciare con... non lo so nemmeno io. So che ho abbandonato questa storia un anno fa (nonostante avessi altri capitoli già scritti, come questo) e che, per non so quale ispirazione divina, l'ho ripresa. Non ho cambiato nulla dei capitoli precedenti, né tantomeno lo farò con quelli inediti già scritti, perché credo che il mio stile sia un po' cambiato e non voglio creare salti nella storia.
Comunque, credo che ormai voi tutti lettori siate andati (a comprare qualcosa di terribilmente duro da darmi in testa) e vi capisco.
Casomai qualcuno sia ancora disposto a leggere *balle di fieno*, sono qui >.<


-Un cerchietto, una codina… un cerchietto, una codina… così, perfetto.

-So come si scrive, Peter!

Neal staccò gli occhi dal foglio, seccato: erano dieci minuti che Peter continuava a dettargli le istruzioni per scrivere una semplice “a” in corsivo.

-Scusa, hai ragione- si arrese l’agente, osservando i segni sbilenchi tracciati sul foglio dal ragazzo.

-Come ti sembrano?- gli domandò lui, capovolgendo il foglio, poco convinto.

-Oh, beh… io credo che siano…

-Fanno schifo, dillo.

Neal non era fatto per avere pazienza, Peter lo sapeva. Ma Neal era anche il miglior bugiardo che avesse mai conosciuto, e con lui, strano a dirsi, si doveva per forza dire la verità.

-Non fanno schifo, Neal, ma non sono perfette- ammise, fissando una “a” particolarmente strana: -Ma stai scrivendo solo da dieci minuti, con una mano che non usi da giorni e che avresti potuto perdere, quindi non mi sembra poi così male, no?

Il ragazzo sospirò e annuì, stanco.

-Riposa un po’ la mano, adesso- gli suggerì l’agente, e lui obbedì:

-Cosa volevi dirmi riguardo l’incidente? Hai detto che probabilmente non è stato proprio… un incidente, no?

Peter sospirò, teso: aveva davvero sperato che Neal si fosse dimenticato di quella telefonata, ma naturalmente non era andata così.

-Noi crediamo che abbiano provato a… insomma, a ucciderti- gli disse, guardando altrove.

-Ne siete sicuri?- sospirò il ragazzo, fissandolo.

-No, Neal. Jones e Diana stanno cercando l’infermiere, ma purtroppo non riusciamo a trovarlo, e quindi siamo quasi sicuri che sia così. Ma non è detto- aggiunse, forse sperando di tranquillizzarlo.

Neal annuì, piano:

-Ho capito- mormorò. Sembrava preoccupato, ma non quanto Peter si sarebbe aspettato.

L’agente aspettò che il ragazzo digerisse l’informazione, poi cercò di distrarlo:

-Allora… com’è andata ieri la mostra?- chiese, ridacchiando: -Mozzie ti ha portato qualche cartolina?

Neal gli lanciò un’occhiataccia:

-O magari un quadro- rispose, stizzito.

-Un… non dici sul serio- replicò allora l’agente, ma non sembrava del tutto convinto.

-Non puoi saperlo- continuò Neal, l’ombra di un sorriso.

-Oh, beh… avremmo avuto una segnalazione…

Neal scoppiò a ridere:

-Per un momento però ci hai creduto- affermò, sicuro.

-Un momento, sì- rispose l’altro, e Neal non capì se lo avesse fatto giusto per dargli la soddisfazione.


 
Alle dieci in punto entrò il medico per visitare Neal.

Peter, come sempre, si ritirò in un angolo e attese che l’uomo controllasse bene il ragazzo: pressione, temperatura, battito, ferite varie. Dopo un quarto d’ora il medico scrisse qualcosa sul taccuino, salutò educatamente e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

-Che dice?- domandò Peter, riavvicinandosi. Neal si rinfilò la maglietta slabbrata del pigiama e rispose:

-Niente, come sempre. È muto, quel medico, saluta e sta zitto.

Peter sorrise:
-Se fosse qualcosa di brutto parlerebbe, però- lo incoraggiò, fissando le goccioline che scendevano lente nella flebo.

-Che c’è, hai fatto un corso di buon senso, mentre ero qui?

-Colpa di Elizabeth- confessò Peter, alzando le spalle: -Troppo ottimista, eh?

-Meglio tu che Moz… non fa altro che controllare le fialette che i medici mi iniettano quando sono in sua presenza- sbottò Neal, stanco. Restò qualche secondo in silenzio, perso nei suoi pensieri, poi si riscosse: -Secondo te posso scrivere un altro po’?- chiese.

Peter soppesò l’ipotesi, unendola alle condizioni di Neal ma anche al suo umore.

-Sì- annuì, alla fine: -Credo che tu possa scrivere ancora un po’. Che ne dici di provare con il tuo nome?- suggerì, riprendendogli il quaderno dal comodino. Gli porse la penna e lo aiutò a slegare le bende bianche.

Neal ricominciò con caparbia: tracciò una “N” con le dita tremanti, quasi la penna fosse troppo pesante da reggere. La “e” fu un po’ più facile, ma arrivato alla “a” la mano gli scivolò sul foglio e tracciò una linea obliqua che macchiò la pagina.
Peter recuperò la penna, finita sotto il letto, e lo fissò: il ragazzo sembrava arrabbiato e, nel contempo, quasi deluso. Sbuffò rumorosamente, una strana espressione dipinta in volto, e mormorò:

-Basta, Peter. Non voglio più scrivere.

La voce gli tremava.

Peter capì di essere in zona pericolo: non sapeva se Neal sarebbe scoppiato in lacrime –cosa alquanto improbabile, per fortuna-, o avrebbe sferrato un pugno all’oggetto più vicino –che, purtroppo, era lui-, così pensò di porre rimedio.

-Aspetta, Neal, ti aiuto io- propose, aiutandolo a impugnare bene la penna.

Prese un vassoio vuoto e lo poggiò sulle ginocchia dell’amico, a mo’ di tavolino; poi vi mise sopra il quaderno e si avvicinò a Neal, prendendogli la mano.

Neal fece una smorfia:
-Vuoi baciarmi, Peter?- replicò, ancora seccato.

Peter rise, poi prese a guidare la mano di Neal sul foglio, tracciando segni sbilenchi, ma più precisi.

-Non voglio usare la tua scrittura, Peter- si lamentò l’altro, palesemente soddisfatto dell’essere riuscito a scrivere “Neal” in maniera leggibile.

-Sssh! Ringraziami!- ribattè l’agente, scherzoso. Gli guidò ancora la mano, tracciando una “P”, ma il ragazzo si bloccò:

-Non potremmo scrivere “Sara”?- domandò.

-Certo che possiamo- rispose l’altro, sorridendogli.

Scrissero il nome della donna, poi Peter si offrì di guidarlo in un ritratto di loro due insieme.

-Peter, senza offesa, ma non credo si possa fare- lo congelò Neal, un po’ più allegro: -Tu… insomma, tu non sei molto… bravo- concluse in un soffio.

Peter ridacchiò:
-Hai ragione- ammise, poi ammirò il lavoro fatto: -Non sono venute tanto male, no?

Neal lo guardò a sua volta:
-No, non credo.

Peter lo guardò, soddisfatto.
 
  
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