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Autore: Hermione Weasley    16/07/2014    3 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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14

 

She's the sea I'm sinkin' in
He's the ink under my skin
Sometimes I can't tell where I am
Where I leave off and he begins

(The Civil Wars – Birds of a Feather)

 

 

Fu l'odore del caffè a svegliarlo, a trascinarlo giù dal letto, la mente ancora annebbiata dal sonno. Solo quando entrò in cucina, trovandovi Natasha seduta al tavolo, una gamba allungata su una sedia vuota, si ricordò degli eventi della sera precedente. Le immagini lo colpirono una dopo l'altra, costringendo il suo cervello a rimettersi bruscamente in moto.

“Ehi,” la donna aveva rialzato lo sguardo da un libro che aveva trovato chissà dove.

“'Giorno,” fu tutto ciò che riuscì ad articolare mentre la squadrava da capo a piedi. Indossava ancora i vecchi vestiti sgualciti che le aveva prestato: alla luce del giorno gli sembrò giovanissima. Una ragazzina. (Il pensiero non fece granché per il precario stato della sua coscienza.)

“Ho appena fatto il caffè,” gli indicò la caraffa fumante sul bancone della cucina con un cenno del capo e un leggero sorriso. Pareva di buon umore.

Clint annuì, come decidendo di affrontare le cose una alla volta, senza fretta, determinato a riflettere il più razionalmente possibile. C'era una vaga possibilità che si fosse sognato tutto. Giusto?

Era piuttosto sicuro che l'ultima volta che aveva fatto colazione con una donna dopo aver passato la notte con lei, risalisse agli anni del suo matrimonio con Bobbi. Aveva dimenticato come ci si sentisse, a condividere uno spazio con qualcuno, a non sentire l'impellente bisogno di fuggire (ammettendo, comunque, che scappare da casa sua gli avrebbe potuto creare non pochi problemi). Non aiutava la fastidiosa sensazione che gli era scesa lungo la schiena, rendendolo improvvisamente cento volte più consapevole della presenza fisica di Natasha in quella stanza, in casa sua, con addosso i suoi vestiti.

Quello che era successo era stato... strano. Se avesse dovuto spiegarlo a qualcuno, una parte di lui l'avrebbe definita la migliore scopata della sua vita. Nessun coinvolgimento, nessuna paranoia, nessun pensiero di troppo. Era andata dritta al punto, l'aveva travolto senza dargli il tempo di accorgersi di un bel niente. Puro istinto.

D'altro canto, il fatto che fosse stata Natasha ad esaudire quella fantasia inespressa, non poteva non turbarlo. Era stato qualcosa che aveva visto nei suoi occhi, quando si erano fatti scuri e torbidi. Un'oscurità diversa da quella a cui si era ormai abituato, qualcosa di viscerale, di animalesco. Possibile, poi, che il suo comportamento gli avesse suggerito un'idea di ingenuità?

Nella sua mente non era così che la Vedova Nera seduceva definitivamente le sue vittime. L'immaginava composta, calibrata e controllata in ogni suo gesto, gemito, soffio. Natasha era stata disordinata, persino goffa, come se non avesse avuto la più pallida idea di cosa fare, di dove mettere le mani. Sembrava si fosse sforzata di parlare una lingua che non conosceva (ma che la Vedova sapeva a menadito), inventandosi le parole, le espressioni, i gesti, tutto da capo.

Clint sapeva perfettamente che sul lavoro e nella vita di tutti i giorni, Natasha era due persone diverse. All'inizio della loro amicizia la differenza era stata labile, appena percettibile, ma col passare degli anni le due persone si erano progressivamente diversificate l'una dall'altra: professionale, letale e precisa sul campo, gelidamente sarcastica, irruenta e nonostante tutto bruscamente amichevole nella vita privata. Aveva imparato a leggere tra le righe della sua onnipresente coltre di manifestata sicurezza: Clint sapeva che fingeva solamente di sapere ogni cosa, sempre e comunque.

Era proprio l'idea che quella Natasha avesse sentito il bisogno di un contatto tanto intimo, impedendogli di toccarla, evitando di baciarlo, che gli aveva stretto un fastidioso nodo allo stomaco, che mescolava il desiderio di rifare tutto da capo con il disagio più acuto. Gli aveva messo addosso un disperato e presuntuoso bisogno di aiutarla, di rassicurarla, senza lasciargli al tempo stesso alcuna soluzione per farlo. Non erano mai stati tanto vicini e contemporaneamente tanto distanti: non avrebbe potuto sfiorarla neanche se avesse voluto.

Clint si rendeva conto di essere rimasto impotente, abbandonato completamente al suo controllo, incapace di poter formulare una soluzione o sottrarsi alle sue attenzioni. Forse avrebbe dovuto farlo, fermarla, invitarla a ripensarci. Aveva, invece, ceduto al suo stesso istinto, concedendole carta bianca. Ma non era stato una sua vittima: Natasha non l'aveva sedotto, non l'aveva ingannato con una qualche articolata commedia, solo cercato rifugio nel suo appartamento. Quello che era seguito non gli era sembrato programmato.

Il senso di colpa non tardò a palesarsi, un peso familiare depositato all'altezza del petto.

“La Hill ci vuole vedere.” La voce di Natasha lo riportò rapidamente coi piedi per terra.

Clint finì di versarsi una generosa tazza di caffè, e andò a sedersi al tavolo.

“Ha detto perché?”

“No.”

L'ordinarietà della conversazione, del comportamento ostentato dalla ragazza, rispetto alla straordinarietà della notte appena passata, lo destabilizzava. Possibile che per lei fosse tutto normale? Che non fosse cambiato niente? Non era sicuro che la sensazione che gli aveva preso lo stomaco alla constatazione, fosse sollievo.

“Ha chiamato anche Jean.”

“Jean?” Si ritrovò a domandare, rialzando uno sguardo interrogativo su di lei.

“Magari la ragazza del market?”

“Oh. Jean,” annuì, come per darle conferma.

“Dovresti chiamarla.” Il suggerimento, snocciolato con disinteresse mentre Natasha si rimetteva in piedi, gli gelò, senza alcun preavviso, il sangue nelle vene. Gli passò alle spalle, raggiungendo il lavello per posarvi la sua tazza ormai vuota.

“Perché?”
La donna, tornata nel suo campo visivo, si strinse nelle spalle, indecisa. “Hai detto che ti piaceva.”

Quindi era stato uno sfogo. Uno sfogo e nient'altro. Non realizzò la delusione fino in fondo: le circostanze gli sembravano talmente bizzarre da impedirgli di ragionarci lucidamente. Di solito era lui che, trascorsa la notte con qualcuno, si lasciava prendere dai dubbi e dalle paranoie, dal disagio che gli metteva le ali ai piedi, facendogli abbandonare silenziosamente e vigliaccamente il campo. Stavolta, invece, era stata Natasha a prendere l'iniziativa: non solo non se n'era andata, ma anzi, era rimasta, si comportava come avrebbe fatto in qualsiasi altra situazione, non una traccia di imbarazzo nella sua voce o nel suo viso, non un segnale che potesse avvertirlo di una farsa, di una facciata. Gli aveva mostrato un'altra parte di lei, una che non aveva mai visto, una che non riusciva ancora a capire, che forse neanche gli piaceva, ma comunque vera. Reale.

“Passo da casa e ci vediamo allo SHIELD Center,” aggiunse in tono pratico. Clint si accorse che aveva ai piedi gli stivali che aveva lasciato nel suo appartamento mesi prima, dopo che un temporale li aveva colti per strada. Era stata una delle prime volte in cui l'aveva sentita ridere. Ridere davvero. La donna che l'aveva tanto disperatamente immobilizzato al divano la sera precedente, sembrava inconciliabile con la Natasha che aveva appena fatto il caffè. Eppure qualcosa gli diceva che non c'era alcuna contraddizione, che erano, in realtà, la stessa persona. Uno dei due lati meno danneggiato dell'altro, ma comunque parte della medesima moneta.

“Va bene.” Si limitò a prenderne atto, concedendole un sorriso non troppo convinto.

Aveva recuperato la sua borsetta, unico effetto personale con cui era arrivata a sopravvivere al cestino della spazzatura. Si stava dirigendo verso la finestra del salotto.

“A più tardi,” non si voltò neanche per guardarlo.

“A dopo.”

Le sue parole si dispersero al vento del primo mattino. Natasha se n'era già andata.

Clint rimase immobile a guardarsi attorno.

Si sentiva strano. Vuoto.

 

*

 

Si era ripromesso di non rifarlo. Per nessun motivo, in nessun'altra circostanza, quale che fosse il suo stato mentale. Era stato ben presto costretto a rendersi conto che dire di no a Natasha era ben più facile a dirsi che a farsi.

Non ci era riuscito quando, a conclusione di una missione particolarmente complicata in Egitto si erano ritrovati ad aspettare la squadra d'estrazione nella minuscola stanzina di uno sgangherato albergo di periferia. L'aria caldissima e pesante, il sudore a ricoprire la pelle di entrambi, non avevano fatto altro che surriscaldare gli animi. Si era accorto di essere rimasto a guardarla un po' troppo a lungo, un po' troppo intensamente solo quando Natasha si stava già muovendo verso di lui, l'espressione prosciugata da qualsiasi divertimento. Proprio come aveva fatto nel suo appartamento, l'aveva spogliato dello stretto indispensabile, costretto ad aggrapparsi alla testiera arrugginita del letto con entrambe le mani, l'aveva travolto col suo peso, col suo odore, con la sua pelle morbida. L'aveva guardata per tutto il tempo, scavato nei suoi occhi mentre il calore del suo corpo l'avvolgeva, trascinandolo sempre più giù, sempre più giù...

Il crollo del letto sotto l'impeto delle sue brusche manovre, li aveva fatti ridere incontrollabilmente per svariati minuti, consentendogli di posticipare almeno per qualche ora la gelida sensazione che, la prima volta, non aveva tardato a subentrare al piacere.

Non ci era riuscito, quando, in Corea, dopo aver sventato un attacco terroristico, avevano rischiato di cadere nelle mani della milizia armata del gruppo che l'aveva organizzato. La corsa al quinjet che li aspettava, lontanissimo, eppure unica loro possibilità di fuga, era stata infinita. Il medico a bordo del velivolo aveva appena finito di visitarli, di rimediare al rimediabile, che Clint si era ritrovato davanti Natasha, visibilmente scossa, le guance ancora rosse per lo sforzo. L'aveva sospinto nel bagno e richiuso la porta alle spalle di entrambi. Quando l'aveva sentita mal trattenere i suoi gemiti scomposti, mentre gli tirava indietro i capelli per costringerlo a starle lontana, quando aveva afferrato a piene mani il lavandino su cui era seduta , stringendo fino a farsi male, aveva realizzato di esserne già diventato dipendente. I loro brividi d'agitazione si erano presto trasformati in tutt'altro. Quando l'urgenza fu bruciata del tutto, si erano aiutati l'un l'altra a rimediare ai punti di sutura maldestramente saltati.

Non ci era riuscito quando un'aspra discussione, riguardo la messa al sicuro di civili durante uno scontro a fuoco in Honduras, era successivamente degenerato prima in male parole e poi in un violento corpo a corpo. La conclusione del combattimento era stata molto più piacevole del suo inizio. Il segno del morso che gli aveva lasciato sul collo, mentre gli legava i polsi tra loro, aveva impiegato più di due settimane a svanire.

Non ci era riuscito al ritorno di un'esasperata Natasha dalla missione che l'aveva vista impegnata nella valutazione dell'eccentrico miliardario Tony Stark.

Non ci era riuscito in altre numerose occasioni, più di quante avrebbe mai voluto ammettere. Oscillava continuamente tra la più ferma convinzione che due adulti consenzienti dovessero avere il pieno potere di fare qualsiasi cosa volessero e la sensazione opposta che gli suggeriva che c'era qualcosa di potenzialmente sbagliato in tutte quelle intime, impersonali collisioni. Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, magari con Phil, ma si era dovuto arrendere all'evidenza che non conosceva nessuno fuori dallo SHIELD, nessuno di cui si fidasse. Se l'organizzazione fosse venuta a conoscenza di tutte quelle pratiche improprie, lo Strike Team Delta sarebbe stato rapidamente smantellato, rapporti disciplinari distribuiti senza alcuna esitazione.

Era in trappola, il senso di colpa e il disagio ormai tutt'uno con il piacere che Natasha riusciva a dargli e che non aveva paura di prendersi da lui, la netta sensazione che lo stesse trascinando in territorio oscuro e pericoloso.

E poi c'era stata Odessa.

 

*

 

Controllò nello specchietto retrovisore, senza riuscire a vedere nient'altro che il blu del mare, il grigio della strada, il verde delle scogliere e il rosa del cielo al tramonto. Eppure quel fastidioso rimescolio allo stomaco le suggeriva che c'era qualcosa di strano, una minaccia, forse, a cui non riusciva a dare ancora un nome o un volto, ma comunque presente, pronta all'azione.

Strinse il volante tra le mani, accelerando leggermente l'andatura..

Una rapida occhiata all'ingegnere seduto al suo fianco le bastò per accorgersi della sua più totale agitazione.

Beva un po' d'acqua,” suggerì, ottenendo solo un frenetico cenno d'assenso.

Un ometto piccolo, calvo, una grossa barba bianca e grigia, ingiallita in prossimità del naso e della bocca. Da quando avevano oltrepassato il confine dell'Iran, non aveva mai smesso di guardarsi attorno, angosciato, a tamponarsi la fronte sudata con il fazzoletto di stoffa a quadretti che teneva sempre in mano.

Se solo potessi p-parlare con m-mia moglie,” balbettò, accennando la stessa identica richiesta che era andato ripetendole per giorni, ormai.

Gliel'ho già detto. Lo SHIELD provvederà a metterla in contatto con la sua famiglia non appena saremo certi di averla al sicuro.”

Quindi a-ammette che adesso n-non s-siamo al sicuro?”

Saremo al sicuro solo quando avremo raggiunto il punto di ritrovo.”

Quanto m-manca?”

Non molto.”

L-Lei si rende conto d-del pericolo che h-ho corso accettando il v-vostro aiuto, s-sì?”

Me ne rendo conto.”

Lo s-spero. F-Forse... forse sarei d-dovuto rimanere a Teheran. Dopotutto... d-dopotutto avrei corso m-men -”

L'orribile presentimento di Natasha si era acuito di colpo. Non fece in tempo a scorgere la figura nera che si era stagliata loro davanti, improvvisamente uscita allo scoperto rinunciando alla protezione della vegetazione che cresceva sul lato destro della strada. La deflagrazione strappò le parole di bocca all'ingegnere nucleare al quale lo SHIELD aveva promesso passaggio sicuro fuori dall'Iran. I quattro copertoni dell'auto esplosero contemporaneamente, facendole perdere il controllo del veicolo.

Il grido di terrore dell'uomo al suo fianco le riempì le orecchie mentre cercava di raddrizzare le ruote, di evitare che la macchina puntasse dritta verso il ciglio della scogliera.

SI TENGA FORTE!” Fu tutto ciò che riuscì a pronunciare un attimo prima che l'auto saltasse nel vuoto, precipitando per svariati metri. Il contraccolpo provocato dal violento impatto del cofano con l'acqua le assicurò una frustata di dolore in tutto il corpo. Perse i sensi per un paio di secondi, prima di ritornare bruscamente cosciente: la macchina stava sprofondando sott'acqua a velocità impressionante.

Merda.” Tentò di ignorare il tremore alle mani, costringendosi a non prestare attenzione alla fastidiosa realizzazione che sembrava premere disperatamente da qualche parte nella sua testa, che smaniava perché Natasha la concretizzasse fino in fondo. Sgombrò la mente e si liberò della cintura di sicurezza. Fece altrettanto con l'ingegnere svenuto, mentre tentava di mettere insieme un piano per uscire da lì. L'acqua aveva riempito quasi del tutto l'abitacolo: sapeva che se non si fosse data una mossa, fuggire sarebbe stato del tutto impossibile.

Contò alla rovescia da dieci a zero.

Si spostò sul sedile del passeggero, prese un'ultima profonda boccata d'ossigeno e si immerse. Afferrò l'ingegnere per la camicia e combatté contro la violenza dell'acqua che avrebbe voluto scaraventarla all'indietro, impedirle di uscire dal finestrino abbassato. Dopo quella che le era parsa un'eternità, riuscì a spingersi fuori dalla macchina, a nuotare fino alla superficie, portando con sé l'uomo ancora privo di sensi.

Annaspò furiosamente in cerca d'aria, i polmoni in fiamme. Non perse tempo: raggiunse la spiaggia che distava una decina di metri dal punto in cui erano precipitati. Quando toccò finalmente terra l'ingegnere aveva ripreso conoscenza, confuso e nel panico.

Forza,” tentò di rassicurarlo, continuando a tenerlo per un braccio mentre tornavano finalmente all'asciutto. “Dobbiamo trovare un posto in cui nasconderci.”

C'era la possibilità che chiunque li avesse attaccati fosse ancora nei paraggi per assicurarsi che la caduta o il mare, o tutti e due, avessero completato il lavoro a dovere. Natasha stava passando rapidamente in rassegna tutti i luoghi della spiaggia che avrebbero potuto fare al caso loro, la strada e le abitazioni più vicine... ma capì che sarebbe stato tutto inutile, quando la figura nera che le aveva tagliato la strada, si materializzò a pochi metri di distanza.

Un uomo. Capelli lunghi, una maschera a coprirgli il viso. Armato di un grosso fucile, avanzava verso di loro. La luce aranciata del tramonto brillava contro il suo braccio metallico.

Lo stomaco le sprofondò brutalmente. Quell'informazione che aveva tentato di ignorare, si palesò crudelmente davanti ai suoi occhi: se alla Red Room le avevano raccontato qualcosa di anche solo lontanamente simile ad una fiaba della buonanotte, quella era stata la leggenda del Soldato d'Inverno. Non più un uomo, ma un'arma. Nessuna coscienza, nessun sentimento, nessun ricordo o passato. Solo la costante, pressante necessità di portare a termine gli ordini ricevuti. Natasha non l'aveva mai visto prima d'allora, ma non ne aveva mai messo in dubbio l'esistenza. Dopotutto non era un po' la versione estrema di ciò che avevano fatto a lei? Plasmato i suoi ricordi di volta in volta, a seconda delle circostanze. Ma se la Red Room le aveva dato la possibilità di essere chiunque, il Soldato d'Inverno non era nessuno. Come si fa a controllare un uomo che non è un uomo? Natasha sapeva benissimo che la risposta era solo una: non si poteva e basta.

Stia dietro di me,” ordinò all'ingegnere, ansante e pallidissimo, ricacciando a sua volta indietro la paura che aveva cominciato a serpeggiarle nello stomaco, implacabile. Nessun trucchetto l'avrebbe salvata da quella situazione.

Inspirò a fondo prima di estrarre rapidamente la piccola semi-automatica nascosta nella tasca interna del giubbotto, l'unica arma ancora a sua disposizione. Prese la mira e sparò: pochi colpi, alcuni andarono a conficcarsi nel giubbotto anti-proiettile, altri vennero schivati senza alcuna difficoltà, uno tintinnò contro l'avambraccio metallico, deviando la propria traiettoria per andare a schiantarsi nella parete di scogli.

Natasha gettò a terra la pistola, inutile. Il cuore le batteva furiosamente in petto. La consapevolezza di essere pericolosamente vicina alla fine le scese giù per la gola come un sapore amaro. Prese l'unica decisione a sua disposizione – non avrebbe compromesso la missione – facendo scudo del suo corpo per proteggere l'ingegnere rattrappito su se stesso alle sue spalle.

Stia indietro,” gli ripeté, sentendosi sul punto di cedere, di far cadere la maschera, lasciargli intravedere la paura.

La deflagrazione di un singolo sparo le rimbombò nelle orecchie, nella gabbia toracica, sotto i piedi. Prima un bruciore intenso, e poi un dolore sordo. Implacabile. Il calore familiare del sangue che le scendeva sul ventre, i fianchi. Abbassò lo sguardo per accorgersi di essere stata colpita appena sopra il bacino. La pallottola l'aveva passata da parte a parte. Il leggero tonfo che era seguito allo sparo la costrinse a voltarsi all'indietro: sui sassi umidi di salsedine, giaceva l'ingegnere. Morto. Un buco rosso in mezzo alla gola a segnalare dove il proiettile l'aveva colpito, dopo averle trapassato la carne. Un colpo da maestro.

Si portò istintivamente una mano alla ferita e fece pressione, tornando a fronteggiare il Soldato. Ma non c'era più nessuno sulla spiaggia insieme a lei. Solo il tramonto di Odessa, un cadavere, la consapevolezza di aver fallito per la prima volta dopo ben cinque anni di permanenza allo SHIELD.

Fu costretta a fare appello a tutta la concentrazione rimastale per obbligarsi all'azione: mettendo un piede dopo l'altro si affaticò in direzione della casa che riusciva a scorgere in lontananza. Forse cento, duecento metri più in là. Avrebbe dovuto chiamare rinforzi, avvertire Fury del clamoroso buco nell'acqua e aveva poco tempo per farlo prima che i sensi venissero a mancarle.

Non si chiese mai perché il Soldato d'Inverno le avesse risparmiato la vita.

La risposta era ovvia.

Non era lei la sua missione.

 

*

 

Non aveva avuto il coraggio di entrare.

Natasha stava bene, era fuori pericolo, aveva solo bisogno di tempo. Tempo per riprendersi. Eppure si era ritrovato da solo, seduto nell'atrio deserto dell'ospedale, osservando il susseguirsi degli infermieri e dei dottori, del direttore Fury, della Hill, persino di Coulson.

Non aveva avuto il coraggio di muoversi. Era poi così sbagliato volerla vedere da solo? L'idea di dover condividere quel momento con qualcun altro, chiunque fosse stato, gli sembrava inconcepibile. Natasha aveva rischiato di morire: il pensiero che ci fosse andata tanto vicina, gli faceva girare la testa.

 

Non avrebbe dovuto dividerci!”

Barton, calmati,” Fury l'aveva fissato con aria stanca, ma ferma.

Sapeva il rischio che correva? Lo sa almeno per chi cazzo lavora quel... q-quello stracazzo d'automa?”

L'agente Romanoff è perfettamente in grado di gestire una missione in solitaria, Barton.”

Questo lo sapeva. Lo sapeva benissimo.

Davvero? Ne è proprio sicuro?” Lo stava contraddicendo per il puro gusto di farlo. Perché era arrabbiato e avrebbe voluto farlo sapere al mondo intero. “Perché mi sembra che sia in una stanza d'ospedale con un dannato buco nella pancia!”

Lo SHIELD ha il diritto di assegnare i suoi agenti a qualsiasi missione ritenga necessaria.”

Bè, stavolta si è sbagliato. Si è sbagliato di grosso.”

Barton.”

No.”

 

Non erano stati gli unici ad approfittare dell'orario delle visite. Aveva riconosciuto diverse segretarie dello SHIELD, persino alcune reclute che Natasha doveva aver allenato nei periodi morti tra un incarico e l'altro, altri dipendenti di vari reparti. Qualcuno le aveva portato dei fiori, dei cioccolatini, anche qualche palloncino o peluche comprato all'ultimo momento nel negozio di souvenirs dell'ospedale. Orsetti di peluche per Natasha Romanoff, la constatazione l'aveva fatto sorridere, anche se per poco.

 

Hai intenzione di entrare prima o poi?”

Clint si era stretto nelle spalle. Non aveva bisogno che Phil Coulson sottolineasse l'assurdità del suo comportamento. Se n'era già abbondantemente accorto.

Sta bene, lo sai? E' fuori pericolo.”

Poteva morire.”

Ma non è morta,” abbozzò un sorriso nella sua direzione. “Non era uno dei tuoi validi motivi per festeggiare?”

Non c'è niente da festeggiare.”

Natasha è viva.”

Ma poteva non esserlo!” La voce gli era uscita strozzata su quell'ultima sillaba. Il calore dell'imbarazzo gli era salito fin sulle guance, gli stava facendo pizzicare gli occhi.

Clint...”

Vado a prendermi un caffè.”

Aveva tagliato corto e se n'era andato.

 

Era andato e venuto dall'ospedale più volte di quante avrebbe voluto ammettere. Qualcosa gli diceva che non era stata la presunzione di volerla vedere da solo a spingerlo a rimandare quel momento. Piuttosto l'entità della sua reazione... quella – non c'era altro modo per dirlo – l'aveva spaventato. Era stato come avanzare nel buio ad occhi chiusi per mesi, anni, per poi essere costretto a fermarsi di punto in bianco, a tornare a vedere per accorgersi di essere sul bordo del precipizio, pronto a precipitare oltre con la minima oscillazione. Accanto a lui poteva esserci o non esserci qualcun altro. Era solo? Oppure...

 

Agente Barton?”

Clint rialzò lo sguardo su Maria Hill, le mani congiunte dietro la schiena. L'unica cosa che avrebbe voluto sentire era una scusa ufficiale dello SHIELD per le sue scelte del cazzo in merito di priorità, missioni e agenti da assegnarvi. Non rispose, limitandosi a prendere atto della sua presenza.

L'agente Romanoff ha chiesto di lei.”

La sfacciataggine con cui l'aveva accolta si sfaldò come neve al sole.

Natasha aveva chiesto di lui. Mentre se ne stava seduto come un dannato coglione a guardare gente che andava e veniva, a raccogliere il coraggio per farsi finalmente vedere, Natasha si era domandata che fine avesse fatto. Perché il suo partner non era ancora andato a trovarla? Che cazzo aspettava?

Il nodo alla gola si era fatto insopportabile. Fu costretto a distogliere lo sguardo per impedirle di accorgersi dei suoi occhi umidi.

Grazie.”

 

E allora non aveva potuto far altro che prendere la situazione di petto... o quasi. Introdursi di soppiatto nell'ospedale a notte fonda, come un ladruncolo qualunque, era stato fin troppo semplice. Aveva salutato un paio di guardie che conosceva, fingendo di essere lì per qualcos'altro. Qualcosa di urgente, qualcosa che non poteva essere rimandato. Si era imparato a memoria il percorso che l'avrebbe condotto alla stanza di Natasha: l'aveva fatto giorni prima, senza avere il coraggio di mettere in atto i suoi propositi.

Si nascose dai pochi infermieri del turno di notte che percorrevano ancora i corridoi, dagli inservienti che pulivano il pavimento, gli auricolari nelle orecchie.

Scivolò nella camera 311 senza un rumore. La luce della luna che filtrava dalle finestre gli permetteva di distinguere il letto dai macchinari e dalla sagoma della donna. Il suo respiro, autonomo, ritmato da quello elettronico dei marchingegni che la circondavano. Restò a fissarla per un lunghissimo attimo, sentendosi estremamente a disagio. Solo dopo aver contato fino a dieci – una pessima abitudine che era stata lei ad attaccargli – si decise ad asciugarsi i palmi sudati sui pantaloni, ad afferrare la sedia abbandonata contro la parete opposta, ad avvicinarla al letto e a sedersi, accompagnando il movimento con un leggero sospiro.

Natasha dormiva girata sul fianco sano. Il camice dell'ospedale lasciava intravedere uno spicchio della sua schiena pallida e, più sotto, le bende che le circondavano il bacino.

Clint si sporse leggermente verso la sponda laterale del letto, appoggiandovi entrambe le braccia, il mento su quelle. Era piuttosto sicuro che se l'avesse scoperto a fissarla nel sonno, gli avrebbe volentieri tirato un calcio nelle palle. Sapeva che se lo sarebbe meritato.

Socchiuse gli occhi ed inspirò a fondo.

Forse non erano passati che pochi secondi o forse si era assopito. Quando tornò a guardarla, Natasha era sveglia e lo stava osservando, un'espressione indecifrabile sul volto. Fece per ritrarsi, rimettersi dritto sulla sedia, ma, con uno scatto repentino, la ragazza gli afferrò una mano, stringendola gelosamente tra le sue. Ci appoggiò la guancia sopra, soffice e liscia sotto le sue dita ruvide. Si vergognò di quel contatto, come se avesse in qualche modo profanato qualcosa di delicato con quelle sue stupide mani d'arciere. Gli ci volle un po' per rendersi conto del perché gli risultasse tanto strano: Natasha non gli aveva mai permesso di toccarla, non per il puro gusto di farlo, non senza un motivo secondario o contingente.

“Sarei dovuto venire prima,” si ritrovò a sussurrare, la voce fastidiosamente incerta. Di nuovo quel nodo alla gola, di nuovo quello stupido prurito agli occhi.

“Sì.” Non c'era accusa nella sua voce, solo sollievo.

“Mi dispiace.”

“E' okay.”

“Stai bene?”

Giurò di aver visto l'ombra di un sorriso incresparle le labbra.

“Ora sì.”



 
****************
 
Tutto è bene quel che finisce bene... o almeno sembra :P Ho colto l'occasione per tirare nel mezzo il Soldato d'Inverno rifacendomi a quanto detto dalla stessa Natasha nel secondo Capitan America, incastrando l'evento tra la sua apparizione in Iron Man 2 e quella di Clint in Thor. La linea temporale è *più o meno* quella.
Mancano ancora 4 capitoli alla fine, quindi ci siamo quasi \O/
Ringraziamenti di rito alla socia all'estero, Eli, e a tutti coloro che leggono/commentano :3 stavolta in particolar modo a Blackmoody perché mi ha suggerito la canzone dei Civil Dust in esergo in questo capitolo e io gliel'ho scippata senza un domani :P (rendeva troppo bene la situazione - soprattutto - di Clint di questo capitolo!).
Ancora grazie e alla prossima!
S.

 
  
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