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Autore: Ink Voice    16/07/2014    9 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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NOT THE SAME STORY
II - A servizio del Bene

Prologo
Una nuova dimora

«Così è qui che si trova la base segreta dei nostri…» sussurrai a Chiara. Lei sbuffò, arricciando le labbra, poi annuì; scendemmo le scale ed entrammo in un’altra stanza. Spostai il mio sguardo sul nuovo spettacolo che ci si presentava alla vista.
Eravamo nel Monte Corona, in una delle sue sale più grandi, in cui la faceva da padrone un enorme lago sotterraneo. In realtà sapevamo tutto questo solo grazie a ciò che ci aveva detto Rowan, perché la stanza era totalmente riempita dalla nebbia; la presenza del lago la intuivamo dal frusciare delle onde che qualche pesce - o Pokémon, visto che eravamo all’interno delle barriere - smuoveva nuotando.
«Prof, non converrebbe usare Scacciabruma? Qui non si vede nulla ad un palmo dal proprio naso» disse una ragazzina, di cui non conoscevo il nome, che faceva parte del nostro gruppetto. Tremava infreddolita: lì dentro la temperatura era davvero bassa, nonostante fossimo a metà luglio, e lei, come tutti noialtri, indossava abiti estivi. Aveva ragione, ad ogni modo: nemmeno riuscivo a vedermi le scarpe. La nebbia nascondeva i dettagli delle varie figure e vedevo solo sagome sfocate e colorate. Ebbi la sensazione di essere diventata improvvisamente miope.
«Non ce n’è bisogno» rispose l’anzianissimo professor Rowan, pacato. «Siamo praticamente già arrivati. Ho bisogno solo di un Pokémon Volante che agiti le ali per dissipare la nebbia intorno a noi…»
Inarcai le sopracciglia e borbottai: «Direi che ci serve Scacciabruma eccome.»
«No, no, basta un po’ di vento… ah, tanto imparerete a sfruttare le capacità naturali dei vostri Pokémon prima o poi… peccato non ve lo abbiano già insegnato, è così importante. Eleonora, su, chiama la tua Altaria.»
Presi la Poké Ball di Altair in tasca e la aprii, senza lanciarla in aria - se non l’avessi ripresa al volo allora sì che avremmo avuto bisogno di Scacciabruma. La mia adorata Altaria, il primo Pokémon che avevo ricevuto appena arrivata nell’Accademia, uscì dalla sfera in un lampo di luce bianca e rossa che per un momento rischiarò la foschia, ma appena questo si dissolse le sagome del Pokémon e dei miei compagni tornarono confuse e sfumate.
«Altair, ehm… agita le ali…» dissi insicura, rivolta con il capo al punto da cui proveniva il suo verso melodioso. Emise un’esclamazione stranita, ma prima che potessi darle altre indicazioni iniziò a sbattere le ali morbide e cotonate - nel vero senso della parola - con una certa forza. La nebbia si dissipò intorno a noi in poco tempo. Prima che essa potesse riavvolgere le figure di Chiara, Camille, Gold, dei miei conoscenti Matt ed Allyn, dell’altra ragazza e del professore, quest’ultimo andò verso la parete rocciosa alla nostra sinistra e poggiò una mano sul muro. Poi chiamò qualcuno sul PokéGear, gli chiese di “aprire il passaggio” e riattaccò senza salutare.
Per un po’ tutto fu immerso nel silenzio più totale e per romperlo decisi di richiamare Altaria nella Poké Ball. Si udì poi uno strano rumore accompagnato da una vibrazione del suolo. La parete di fronte a noi si stava aprendo: lentamente entrammo nel buio corridoio nascosto e, quando l’ultimo della fila passò attraverso la “porta”, essa si richiuse. La roccia cozzò con un rumore piuttosto forte.
«Bene… se nessuno dei vostri Pokémon conosce Flash, è ora di tirare fuori le torce.»
«Il mio Emolga lo conosce!» esclamò la ragazzina dal nome a me sconosciuto. Il Pokémon uscì dalla sfera e, su ordine dell’Allenatrice, si illuminò come una lucciola - come un Volbeat o un Illumise. Volteggiando attorno alla testa di Rowan, il primo della fila, fece luce tutt’intorno a noi.
Le pareti di roccia erano strette, spoglie e anguste; il soffitto pure era basso - ma tanto nessuno del nostro gruppo brillava per altezza. Era terribilmente sgradevole camminare lì in mezzo, immersi nell’umidità che ci appiccicava i vestiti addosso e nella corrente fredda che ci faceva rabbrividire ad ogni passo. Probabilmente, appena arrivati, avrei abbracciato il corpo caldo di Altair per almeno mezz’ora.
Dopo alcuni minuti di camminata, in cui il silenzio l’aveva fatta da padrone, ci ritrovammo davanti ad un’altra porta. L’acciaio con cui era stata fabbricata era indistruttibile da mezzi comuni, a detta di Rowan: era stato infatti temprato con l’aiuto di qualche Pokémon. L’anziano professore digitò un lungo codice su una piccola tastiera a lato del portone. Pochi secondi dopo, una lucina verde sullo stipite lampeggiò due o tre volte e ci lasciò entrare.
Non avrei saputo dire se mi sarei mai adeguata all’ambiente della base segreta: così come avevo fatto l‘abitudine a vivere nell’Accademia, ora avrei dovuto chiamare quel posto la mia nuova casa. L’ingresso era una stanza ampia in cui si incrociavano sei corridoi; le pareti erano ricoperte da acciaio scuro, simili a quelle delle celle in cui il Victory Team aveva rinchiuso me, Chiara, Camille e Gold alla fine dell’anno all’Accademia e da cui eravamo usciti vivi solo grazie al sacrificio di Aristide - e all’aiuto di Lance, Rocco, Camilla e altri. Striscie azzurre e rosse tracciavano percorsi di linee spezzate lungo le pareti, e si illuminavano ad intermittenza: un momento il colore era vivido e spiccava sul grigio scuro del muro, un altro era praticamente spento. Sul soffitto, invece, delle semplici lampadine irradiavano l’ambiente con una timida luce bianca. Riuscii a scorgere nei corridoi buchi nell’acciaio da cui spuntavano cristalli dello stesso colore delle striscie luminose. Quelle pietre meravigliose mi piacquero subito: erano il marchio di fabbrica della base segreta nel Monte Corona.
L’ambiente mi ricordò vagamente la sala delle Poké Ball, all’ultimo piano dell’Accademia; dalle pareti scure, non molto grande, c’era un particolare tavolo a forma di spirale che la faceva da padrone, su cui venivano poste innumerevoli sfere. Al loro interno, in attesa di essere scelti dal loro futuro Allenatore, aspettavano pazientemente le più svariate specie di Pokémon. “Addentrandosi” nel tavolo, percorrendo la spirale, si dava un’occhiata a quelli disponibili e se ne sceglieva uno. Io avevo ottenuto, con quel metodo, Swablu, Ralts e Cranidos, e avevo catturato per conto mio uno Starly, una Shinx e una Budew. La mia migliore amica Chiara lì aveva preso Piplup, Pidgey, Mareep e Amaura; poi con un colpo di fortuna e tanto impegno aveva catturato un possente, grandioso Gyarados.
Però il tutto era molto diverso dall’Accademia in sé: avevamo detto definitivamente addio a Giubilopoli. La cosa mi rese malinconica: non eravamo più nella campana di vetro dell’Accademia, con la piacevole illusione di essere al sicuro dai pericoli del mondo esterno. Ora ci toccava lavorare e, soprattutto, combattere quella guerra.
Restammo in silenzio a contemplare il tutto per un po’, poi Rowan ci riportò alla realtà. «I dormitori sono uno nel terzo corridoio a partire da sinistra, che è quello per i maschi, mentre le ragazze devono andare nel terzo da destra. Sulle porte delle stanze troverete le indicazioni.»
Il dormitorio femminile era la prima porta sulla destra. Era una sala davvero enorme, ben illuminata stavolta, nonostante le pareti fossero omogenee - quindi scure - con il resto della base. Tre lunghe file di letti a castello occupavano tutta la stanza: dovevano essere stati almeno una sessantina di letti in totale, rigorosamente bianchi - il cuscino, le lenzuola, tutto era uniformemente di quel colore. Anzi, erano centoventi, siccome contavano sia quelli di sopra che quelli di sotto. Alcune brande erano già state occupate: le ragazze - e i ragazzi - più grandi, infatti, erano partite la sera e dovevano essersi già sistemate.
C’era Ilenia, una mia carissima amica e uno dei miei principali punti di riferimento, seduta su un letto in fondo alla stanza, sulla destra. Mollai le buste contenenti i miei averi - quel poco che avevamo comprato il giorno prima a Sabbiafine, dopo aver perso tutto con il crollo dell’Accademia - ai piedi del letto più vicino e corsi da lei. «Ehi, Ile! Va bene se mi metto qui sopra, vero?» le chiesi, arrampicandomi senza aspettare risposta sul letto a castello.
«Tesoro!» salutò lei, gentile come suo solito. «Certo che no! Ma qui vogliono che ci disponiamo in ordine…»
«Stai scherzando, spero» borbottai. «E secondo quale criterio?»
«Temo di no… hanno già messo i nomi per i letti. Comunque seguendo l’alfabeto.»
Scoprii che il mio posto era parecchio lontano dal suo. Accanto a me c’era Camille e sotto Chiara. In teoria io avrei dovuto occupare il letto in basso, ma Cynthia mi cedette quello di sopra. La bionda non mi stava propriamente simpatica, essendo piuttosto spaccona e fin troppo sarcastica e pungente, sicura di sé a causa della sua bravura con i Pokémon. Però era sempre meglio di avere qualcuna che non conoscevo.
Mentre aspettavamo altre indicazioni ci sistemammo. Camille si sciolse i codini, cosa che praticamente mai le avevo visto fare, e la sua bella e folta chioma di capelli lunghi, color carota, coprì buona parte del letto non appena si distese. Io mi cambiai i vestiti in uno dei cinque bagni presenti - pregai con tutto il cuore di non trovare mai nemmeno un accenno di fila - e poi liberai i miei Pokémon: Altaria, Gallade, June, Rocky, Diamond e Pearl.
Lo stesso fecero, o avevano fatto, le altre: il Charizard di Ilenia stava per sfondare il letto sopra il suo, quindi lo dovette richiamare giù. Nel frattempo lei coccolava Arcanine, che le teneva la testa in grembo, mentre i suoi altri Pokémon Tyranitar, Vibrava, Zebstrika e Rapidash se ne stavano accucciati intorno al suo letto. Empoleon e Ampharos, due dei Pokémon di Chiara, aiutavano la ragazzetta a scaricare disordinatamente i suoi vestiti sul letto. Il Delphox di Camille era nella Poké Ball così come altri suoi Pokémon, ma Meowstic e Flabébé erano seduti sul letto insieme a lei, esplorando il nuovo ambiente con lo sguardo.
Oltre a noi quattro, c’erano ovviamente Cynthia con i suoi Crobat e Weavile - si era distesa sul letto in compagnia delle sfere di Heracross, Floatzel, Toxicroak e Whirlipede - e altre ragazzine più o meno della mia età che conoscevo solo di nome o di vista. Altre invece avevano l’aspetto di adulte, quindi dovevano lavorare da tempo nella base segreta e terminato da anni gli studi all’Accademia: non le avevo mai viste.
Ci rilassammo aspettando che il dormitorio si riempisse ulteriormente. Certi letti erano liberi, almeno una ventina; alcune ne approfittarono per sistemarci momentaneamente le loro cose. Dopo un po’ arrivò la ex capopalestra di Evopoli, Gardenia, a chiamarci. Ci guidò fino ad una porta nello stesso corridoio, più avanti rispetto a quella nostra: era la mensa. Dava sia sul corridoio C, dove c’era il dormitorio maschile, che sul D: era davvero spaziosa. I ragazzi erano arrivati poco prima di noi. Riconobbi Daniel, Lorenzo, George, Gold e altri volti conosciuti, prima che Camilla e Bellocchio prendessero la parola.
«A quanto pare… ci siamo tutti!» esordì la Campionessa. «Come ben sappiamo, ieri il Victory Team ha distrutto l’Accademia in cui molti ragazzi si stavano allenando nell’attesa di iniziare a lavorare per le Forze del Bene, causando un terremoto con un vero e proprio esercito di Diglett e Dugtrio che ha fatto collassare l’edificio su sé stesso. Confermo che non ci sono stati decessi tra i ragazzi, anche se qualcuno si è fatto male. Essendo l’Accademia all’interno di un sistema di barriere che ingloba l’intero percorso tra Giubilopoli e Canalipoli, non sarà difficile ripulire la zona al riparo dagli occhi di coloro che non fanno parte della realtà Pokémon.»
Bellocchio annuì. «Esattamente: le barriere che dividono il mondo Pokémon da quello prettamente umano non sono state attaccate dai Victory e abbiamo la situazione sotto controllo. Ma la cosa più importante è che è ora di muoversi, e di farlo in fretta. Finora abbiamo sempre evitato un attacco diretto per svariate ragioni… ma se non ci sbrighiamo non riusciremo più a difendere né noi, né i Pokémon ancora liberi, né tantomeno il resto del mondo.»
La porta improvvisamente si spalancò. Sandra entrò come una furia muovendo passi pesanti come suo solito, dopodiché si stagliò di fronte alla folla di ragazzi con le mani sui fianchi. I suoi chiari occhi celesti, dello stesso colore dei capelli tenuti sempre corti, scrutavano la folla con durezza e severità. «Allora? Cominciamo?»
Se non avesse avuto sangue freddo e altrettanta pazienza, Bellocchio si sarebbe battuto il palmo della mano sulla fronte; ma era pur sempre lui uno dei vertici delle Forze del Bene, nonché un esperto e famoso agente della Polizia Internazionale; aveva un contegno da mantenere. Lance e Rocco avevano seguito la Capopalestra in silenzio; con molta imperturbabilità il primo la apostrofò: «Cara cugina, di preciso, cosa dovremmo cominciare?»
«L’addestramento di questi ragazzi, ovviamente» ribatté lei.
Rocco inarcò le sopracciglia e Lance proseguì con una certa freddezza: «Vogliamo dar loro qualche spiegazione in più, prima di buttarli in un covo nemico in pasto ai suoi capi?»
Sinceramente, nonostante non vedessi l’ora di iniziare ad allenarmi e di rendermi utile, oltre che migliorarmi, l’idea di dover fronteggiare di nuovo Cyrus mi intimoriva. La prima ed ultima volta che l’avevo incontrato ero ammanettata in una cella ed erano nella stessa situazione, in stanze vicine, Chiara, Camille e Gold. Mi aveva detto qualcosa di sospetto, rimasto imprecisato, sul mio conto - e su quello di Gold e Camille.
A quanto pareva, ero speciale. Proprio come gli altri due: Gold non sapeva nulla di ciò di cui aveva parlato Cyrus, ne sapeva quanto me - quindi niente, ma Camille nascondeva il segreto. Quel qualcosa di speciale in me aveva indotto il Victory Team ad abbassare le barriere che nascondevano il quartiere nord di Nevepoli, la nostra città natale, dove si trovavano la Palestra e il Tempio di Regigigas. Da più di nove anni i Pokémon erano costretti a vivere separati dagli esseri umani, dopo un periodo di pace in cui le due specie avevano collaborato in uno stretto, pacifico contatto, lavorando assieme.
Questo perché nove anni prima del mio ingresso in quella stessa base segreta, otto se si parlava di quello nella realtà dei Pokémon, il Victory Team aveva iniziato a dare segnali di vita e si era poi mostrato per quello che era: una macchina da guerra comandata da alcuni degli uomini peggiori che fossero mai esistiti al mondo, gli stessi che erano stati a capo delle organizzazioni criminali in ogni regione anni prima ancora.
Io e Chiara, ignare dell’esistenza dei Pokémon come gran parte del resto dell’umanità, eravamo entrate apparentemente per caso nel quartiere nord di Nevepoli, attirate dalla curiosità e dallo stupore nell’assistere alla sparizione del cosiddetto Monte di Nevepoli e chiedendoci perché nessuno se ne fosse accorto. L’immagine del Monte era offerta dalle barriere che dividevano la realtà Pokémon da quella umana per allontanare gli ignoranti dal quartiere nord celato oltre quello spettro di montagna, tanto ripida da non poter essere scalata. In ogni caso, chiunque si fosse avvicinato sarebbe stato indotto immediatamente a cambiare strada.
Avevamo incontrato Bianca, la Capopalestra emerita della città, che ci aveva raggiunte notando una presenza inaspettata nella zona; inizialmente ci eravamo rassegnate a togliere il disturbo vista la sua riluttanza a volerci dare spiegazioni. Ma poi, arrivate al Lago Arguzia per distrarci un po’, come per dimenticarci di quello che era successo, eravamo state attaccate da degli Snover arrabbiati e solo l’aiuto della donna ci aveva salvate. Dopodiché si era vista costretta a farci entrare in quel nuovo mondo. Eravamo partite per Giubilopoli, eravamo arrivate all’Accademia ed avevamo iniziato ad allenarci. Avevamo dovuto cambiare la nostra realtà, il modo di pensare, ciò in cui avevamo sempre creduto, persino noi stesse: eravamo maturate e cresciute, caratterialmente parlando; i Pokémon non ci facevano più paura e la lontanza da casa non era più un dolore lancinante al cuore.
I primi guai erano arrivati quando io, Chiara, Camille e Gold eravamo caduti in una trappola, semplice ma inaspettata, e un ragazzino infiltratosi nell’Accademia ci aveva teletrasportati via. Incarcerata in una cella di una base nemica, essendo stata separata dai miei compagni che erano stati confinati nelle stanze accanto, io avevo incontrato Cyrus, uno dei Comandanti. Aveva iniziato ad accennare qualcosa sul mio conto, sul fatto che, a parte Chiara, tutti i ragazzi che erano stati rapiti fossero diversi e per questo speciali, quando senza tanti complimenti i nostri salvatori avevano portato lo scompiglio necessario per trarci in salvo. La situazione era complicata, perché i Victory si erano comportati come se non fosse stato così importante trattenerci lì. Cyrus mi aveva promesso che ci saremmo reincontrati e che la situazione sarebbe cambiata: quella volta non avrebbero lasciato correre.
Io però ancora non sapevo cosa avessi di tanto speciale e perché fossi stata introdotta a forza in quel mondo, perché di questo si trattava. Mi dispiaceva aver trascinato Chiara con me, mi sentivo in colpa, perché lei era una ragazzina assolutamente normale che non meritava le crudeltà della guerra. E neanche io, in effetti, ma a quanto pareva la mia vera identità valeva più delle mie apparenze.
Avevamo trovato tanti amici e compagni di avventure lì all’Accademia, che altro non era che un posto al riparo dal conflitto e non una scuola nel vero senso della parola. Avevamo detto addio alla nostra famiglia, alla nostra casa, e avevamo dovuto trovare loro dei rimpiazzi. Ai miei genitori, a causa della mia identità, erano stati rimossi i ricordi di avere una figlia; era stato un brutto colpo e il pensiero mi doleva, ma soprattutto non mi negavo di bruciare d’invidia nei confronti di Chiara, che aveva potuto reincontrare i suoi genitori. I miei avevano cancellato i rapporti con l’intera città - non abitavano più a Nevepoli - e si erano fatti una nuova vita. 
Dopo essermi persa, come mio solito, in ricordi e pensieri tanto numerosi quanto confusi, riportai l’attenzione sulla scena in corso nella mensa. Lance aveva perso la pazienza - era difficile riuscire a mantenerla più di tanto, quando si trattava di dialogare con la testardissima Sandra - e si era messo a litigare con la cugina, mentre i ragazzi che fino al giorno prima erano stati all’Accademia - non erano presenti coloro che da tempo lavoravano nella base segreta - li guardavano attoniti. A quanto pareva non mi ero persa niente di troppo importante.
Bellocchio batté le mani e gli occhi di tutti tornarono su di lui e su Camilla, mentre i due Domadraghi si lanciavano occhiate eloquenti. «Ehm, come diceva Sandra… dovrete iniziare ad allenarvi più duramente e a tempo pieno, ma non subito. Prima dovrete decidere che ruolo volete avere nelle nostre fila, stasera passeremo nei dormitori a raccogliere le vostre idee e vi prepareremo all’addestramento. Avrete qualche giorno di tempo per schiarirvi le idee, ma mi spiace non potervi garantire di poter accontentare i vostri desideri: abbiamo bisogno di un buon numero di spie, combattenti e tecnici, ma il resto delle occupazioni deve essere adeguatamente coperto e non tutti possono avere uno dei ruoli sopracitati se ci saranno richieste eccedenti. È tutto per ora.»
In un trambusto di sedie spostate e ragazzi che si alzavano, tornammo tutti nei rispettivi dormitori.
«Tu hai già deciso?» chiesi a Chiara mentre ci sedevamo sui letti.
Fece spallucce. «Prima devo valutare le opportunità, non ho molte idee. E tu?»
Risposi lo stesso. In realtà ero abbastanza sicura di aver già fatto la mia scelta: il mio più grande desiderio, lo avevo capito poco tempo dopo essere arrivata all’Accademia, era lottare al fianco dei miei Pokémon. Le lotte, per quanto il mio livello non fosse ancora molto alto, mi attraevano enormemente e mi ritenevo perlomeno bravina.
Conoscevo solo alcune delle molteplici possibilità che ci sarebbero state offerte. Il ruolo di spia non mi ispirava affatto: non mi piaceva l’idea di dover agire nascosta essendo in costante pericolo - come se con gli altri lavori non si rischiasse la vita, d’altronde, ma erano molto diversi da quello. C’erano i tecnici, che lavoravano con i computer e si districavano tra codici, allarmi da disattivare, documenti importanti sottratti al nemico o altri trovati dagli esploratori, che andavano decodificati e interpretati. L’esplorazione non mi dispiaceva come possibilità, ma in confronto alla passione e al dinamismo della lotta Pokémon non era niente.
Mi sentii come animata da un fuoco vivo e potente che mi spingeva a dare il massimo e a prendere una volta per tutte la decisione di combattere. I secondi passavano e non facevo altro che pensare a quanto ardentemente desiderassi quel futuro per me: combattere insieme ad Altair, Aramis, June, Rocky, Diamond e Pearl. E, perché no?, qualche altro Pokémon, se avessi avuto la possibilità di prenderne altri.
Guardai Chiara e lei ricambiò, capendo che avevo preso una decisione. Sorrisi e le annunciai: «Io combatterò.»




Ti aspetteresti mai un simile cambiamento in te?





Prologo - Rivisto in data 25 settembre 2015. Addio Giubilopoli → Una nuova dimora.




Angolo ottuso di un'autrice ottusa
E così ho iniziato a rivedere anche questa seconda parte, avvantaggiandomi almeno un bel pezzo di essa. Purtroppo non era solo la prima parte, che ho riscritto completamente, ad essere parecchio disastrata: ho riletto stralci di questi primi capitoli e quasi mi buttavo dalla finestra. No, ma seriamente, devo lasciarvi pezzi di alcuni angoli ottusi che mi hanno fatta sbellicare - si ride per non piangere - insieme alle scene clou del capitolo che sono esilaranti e pietose. Ecco a voi, popolo di EFP (?)
“Dopo alcuni minuti di camminata, in cui il silenzio l’aveva fatta da padrone, ci ritrovammo davanti ad un’altra porta. L’acciaio di cui era costituita sembrava indistruttibile: probabilmente era stato temprato con l’aiuto di qualche Pokémon. Magari aveva usato, in qualche modo, Ferroscudo su di esso…” co… cosa
“-Abbiamo allestito in una notte i dormitori dove starete…” prima si dormiva sul pavimento
“In teoria io dovevo occupare il letto giù, ma Cynthia mi cedette quello sopra. Dopodiché mi diede un’energica pacca sulla spalla che mi fece sprofondare il naso nel cuscino.” così divertente che vorrei morire
“La gente crede che il crollo sia stato dovuto a causa delle fondamenta instabili e dei materiali da costruzione utilizzati. Speriamo solo che nessuno si faccia troppe domande, ma la vedo dura…” che bello aver riscritto la prima parte e aver messo l’Accademia in the ass del percorso tra Giubilopoli e Canalipoli (non ricordo il numero, abbiate pietà), tra l’altro nascosta da barriere, e non dover ripubblicare idiozie del genere. Ah, ops, le ho appena ripubblicate per sfottermi in allegria. Gioia!
Che poi il mitico Bellocchio, capo assoluto delle Forze del Bene, faceva certi discorsoni in questo prologo! Ben tre righe a battuta - in totale le battute erano due - di WOW questo sa il fatto suo.
“Questa storia sarà piuttosto piena di roba. Ve lo prometto.” pffff ahahahahahah okno in effetti avevi ragione zia.
Passando alle cose serie e smettendo di sputt- prendere in giro la me di un anno e mezzo fa circa, consiglio a chi vuole ripassarsi, in attesa dell'arrivo della terza parte, un po' di questa seconda, di rileggere i capitoli II, III, V - giusto perché la prima apparizione di Oxygen&bros è importante, VI, VII, IX, X e XII. Poi fate come preferite: fino al capitolo XII/XIII ci saranno le modifiche più sensibili, perché guardando velocemente i capitoli successivi, quelli mi sono sembrati messi bene. O almeno spero, sigh. Con calma modificherò tutto; oggi, lunedì 14 dicembre, ho appena finito di rivedere il capitolo VI, quindi ogni po' di giorni metterò la nuova stesura di un capitolo per volta.
Spero che chi ha letto questo prologo abbia avuto un'impressione positiva della storia, sia nel constatare i miglioramenti se già aveva letto la prima versione, sia che sia (?) un novello lettore. Fatemi sapere, magari ;u; A presto!
Ink Voice
  
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