Ho deciso di
rispolverare qualche vecchia fanfic e reinserirla nel
sito, un po’ corrette ed aggiustate^^
Alcune
probabilmente le conoscete, perché tanto tempo fa già
le avevo messe su queste pagine e per vari motivi le avevo tolte… ma adesso mi
è venuta voglia di reinserirle con le dovute correzioni, quindi questa è solo
la prima^^
UN AMICO IN DONO
Did I
Ever Take You In My Arms,
Look You In The Eye, Tell You That I Do,
Did I Ever Open Up My Heart
And Let You Look Inside.
If I Never Did It, I Was Only Waiting
For A Better Moment That Didn't Come.
There Never Could Be A Better Moment
Than This One, This One.
The Swan Is Gliding Above The Ocean,
A God Is Riding Upon His Back,
How Calm The Water And Bright The Rainbow
Fade This One To Black.
Did I Ever Touch You On The Cheek
Say That You Were Mine, Thank You For The Smile,
Did I Ever Knock Upon Your Door
And Try To Get Inside?
If I Never Did It, I Was Only Waiting
For A Better Moment That Didn't Come.
There Never Could Be A Better Moment
Than This One, This One.
The Swan Is Gliding Above The Ocean,
A God Is Riding Upon His Back,
How Calm The Water And Bright The Rainbow
Fade This Swan To Black.
What Opportunities Did We Allow To Flow By
Feeling Like Like The Timing Wasn't Quite Right?
What Kind Of Magic Might Have Worked If We Had Stayed Calm,
Couldn't I Have Given You A Better Life?
Did You Ever Take Me In Your Arms,
Look Me In The Eye, Tell Me That You Do?
Did I Ever Open Up My Heart,
Let You Look Inside?
If I Never Did It, I Was Only Waiting
For A Better Moment That Didn't Come.
There Never Could Be A Better Moment
Than This One, This One.
The Swan Is Gliding Above The Ocean,
A God Is Riding Upon His Back,
How Calm The Water And Bright The Rainbow
Fade This Swan To Black.
(Paul
McCartney, This one, 1989)
“Shaka…
Shaka…
perché non ti svegli?”
“Voglio dormire Mio Signore… null’altro sento di poter fare…”
“Perché Shaka? E’ triste
udire simili cose da te…”
“Non sono più degno di te, Mio Signore; l’umanità…
la mia umanità… sta prendendo il sopravvento…”
“Ma essa ti porta
unicamente tristezza…”
Un sospiro si levò dalle labbra rosee, lievemente
schiuse, del giovane sdraiato nel buio. Le mura della Sesta Casa erano cupe
quella mattina o tali lui le percepiva, giacché neanche il raggio di sole che
filtrava dall’unica finestra della stanza riusciva a scalfire le palpebre
serrate, quei suoi occhi, i quali seppur quasi sempre
chiusi, percepivano nitidamente ogni realtà… di solito…
In quel momento, tutto ciò che il santo di Virgo
scorgeva chiaramente era la profonda amarezza del proprio cuore. Da quando un
tale malessere era sceso, come un’implacabile cappa di viscido petrolio, dentro
di lui? Forse era sempre stato suo ma, semplicemente,
il ritorno dall’Ade lo aveva reso, in qualche modo, più debole di fronte ai
richiami insistenti di un’umanità che aveva cercato, fin da bambino, di
sconfiggere… Era a causa dell’esperienza scioccante di una morte volontaria
seguita da una rinascita quasi forzata? Non gli erano forse sempre appartenuti
quegli stessi sentimenti che adesso lo facevano così tanto
soffrire?
Certo… quegli occhi verdi che ammiccavano con malizia
e dolcezza alla vita, non li aveva mai realmente sradicati dalla sua anima ma
aveva imparato ad accettare e ad elevarsi al di sopra di simili emozioni, come
solo l’uomo più vicino a Dio sarebbe stato in grado di fare.
“Perché, perché ora non
più?” esclamò, scostando con rabbia il lenzuolo e mettendosi seduto, le mani
sul volto, confuso più dalle proprie reazioni emotive che dal sentimento da cui
esse erano causate.
Anni di lotta contro se stesso si rivelavano dunque,
ora, del tutto inutili? Scosse il
capo, posando languidamente un piede sul pavimento, in una delle sue naturali
movenze androgine che lo facevano apparire, agli occhi altrui, una creatura
quasi evanescente, irreale, una creatura alla quale tutti dovevano rispetto,
amata sinceramente ma in qualche modo distante. A lui questo non
importava, ma almeno da una persona avrebbe desiderato,
per una volta, essere guardato semplicemente come un essere umano, benché questo
fosse del tutto contrario a ciò che si era da sempre imposto. Cresciuto e divenuto Saint nella sua lontana India, assorbendo la
profonda spiritualità e l’ascetico approccio alla vita tipico di quei mistici
luoghi, a null’altro avrebbe dovuto aspirare, se ne rendeva perfettamente
conto.
E c’era riuscito, a lungo e
per questo si detestava ancora di più; tutto era completamente rovinato,
distrutto da un futile sentimentalismo degno di una ragazzina? Strinse le
labbra, in una smorfia di totale disgusto nei confronti della propria persona e
si diresse verso la vasca, per crogiolarsi in un bagno rilassante; poi sarebbe
andato dagli alberi di Sala, si sarebbe seduto in mezzo a loro e si sarebbe
immerso nella meditazione, dura, severa, un raccoglimento interiore atto a
strappare via dalla sua anima quell’assurdità che lo stava portando così
prossimo al crollo emotivo.
“Pensaci tu a portargli i nostri pensieri e il nostro saluto; sei l’unico che riesca ad avvicinarsi realmente
al suo cuore…”
Mu arrossì all’osservazione arguta di Aiolia ma non ribatté nulla, limitandosi a scrutare la
reazione di Aldebaran al suo fianco; il gigante del Toro non diede segno di
avere percepito il messaggio insito in quella frase ma d’altronde era troppo
innocente per lasciar entrare nel proprio spirito ogni sfumatura maliziosa.
Mu si domandò, tuttavia, se Aldebaran fosse
veramente l’unico a non avere compreso… nessuno fece una piega, quindi era
probabile una tale ipotesi. Il santo dell’Ariete fu lieto e sollevato di ciò,
non avrebbe ritenuto opportuno che il complesso gioco di emozioni
ruotante intorno al solitario compagno della Sesta Casa fosse reso di dominio
pubblico. Nessuna voce, veritiera o meno, doveva giungere a
turbare Shaka, per questo fulminò con lo sguardo il santo di Leo, per
fargli notare la leggerezza commessa.
Una leggerezza di cui Aiolia doveva essersi reso
conto da solo perché i suoi occhi brillarono di rabbia contro se stesso.
Aiolia e Mu erano gli unici ad avere compreso, forse
perché più degli altri si erano avvicinati a Shaka; il cuore del biondo custode
della Sesta Casa era un enigma per chiunque, ma qualche piccolo segnale lo
lanciava anche lui e coloro che meglio lo conoscevano avevano imparato a
leggere in quei minimi accenni di umana reazione.
Ne avevano parlato, avvedendosi
in tal modo di essere giunti alla medesima conclusione: Shaka ultimamente si
sentiva solo e il suo cuore cominciava a rivelarsi più fragile di quanto
avessero mai pensato… un cuore che palpitava per qualcuno e che da quel
qualcuno bramava attenzioni senza osare chiederle, per un misto di timidezza ed
orgoglio.
Mu era ormai consapevole di essere
lui quel qualcuno ed Aiolia aveva confermato tale ipotesi; fu in
quell’occasione, quando ne parlarono la prima volta, che Mu si confidò con Leo
a proposito del proprio rapporto con Aldebaran, non poteva fare altrimenti,
perché proprio Aldebaran era il motivo che lo costringeva a ferire
indirettamente Shaka.
Erano seduti sopra ad un muretto, quel giorno, Mu ed
Aiolia, quando ne parlarono, ai piedi della collina lungo la quale si arrampicavano le Dodici Case dello zodiaco. Intorno il vociare delle guardie che si allenavano, ma
distante, giungeva a loro portato da una brezza leggera e non riusciva ad
oscurare il canto degli uccelli che si rincorrevano nel cielo limpido. Il santo
di Aries li osservava, con gli occhi immensi sgranati
sulle sconfinate distese della volta celeste, mentre Leo osservava lui, quasi
come se con quello sguardo insistente volesse strappargli una decisione.
“Io non posso dare a Shaka quello che lui vorrebbe
da me” aveva detto Mu, prevedendo ogni domanda diretta e senza distogliere lo
sguardo dalle evoluzioni perfette delle creature alate sopra di loro “Questo
mio cuore io l’ho già donato ad un’altra persona, come questa persona mi ha donato il suo…”
Il sospiro di Aiolia lo
convinse ad abbassare il volto, per posarlo finalmente sull’amico il quale, a
sua volta, aveva rivolto lo sguardo a terra. Lo risollevò quasi subito per
porre la propria domanda:
“Aldebaran… vero?”
Mu annui, semplicemente, e Aiolia sorrise:
“Avrei dovuto capirlo… e come vedi, un po’ lo sospettavo…”
Quindi si alzò, sgranchendosi le
membra come un leone che era stato a lungo disteso al sole e aggiunse, prima di
allontanarsi:
“In questo caso non c’è nulla che si possa fare,
Shaka dovrà accontentarsi della tua amicizia…”
Aiolia finse una leggerezza che evidentemente non
provava e Mu rimase a guardarlo mentre scompariva
oltre la gola che lo avrebbe introdotto alle vie segrete lungo le Dodici Case;
poi, Aries abbassò nuovamente il capo e quello che iniziò come un sospiro, si
trasformò in un autentico gemito di dispiacere puro.
“Mu, ti sei incantato? Sei ancora tra noi?”
La voce sbarazzina di Milo lo riportò bruscamente
alla realtà del momento; perché si era focalizzato, con tale concentrazione, su
quel ricordo, al punto di estraniarsi da tutto? Per tranquillizzare i compagni
che lo scrutavano perplessi, sorrise e raccolse il sacchetto ricolmo di lettere
e doni.
“Mi conviene andare ora” sentenziò “Altrimenti
scomparirà nei suoi giardini e non mi azzarderei certo ad interrompere la sua
meditazione.”
Con un cenno del capo, si accomiatò dai ragazzi e
aveva già compiuto parecchi passi quando Aiolia lo
raggiunse per posargli una mano sulla spalla. Mu si arrestò, interrogando
l’amico con lo sguardo.
“Shaka è triste, più che mai… sai quale sarebbe per
lui il regalo più bello…”
Mu fece per ribattere, ma Aiolia lo prevenne:
“Non parlo del tuo cuore, non ti chiedo di innamorarti
forzatamente di lui, come lo si potrebbe chiedere a
qualcuno? Non sono così ottuso ma…”
Si bloccò, probabilmente in cerca delle parole
giuste per esprimere quello che la mente gli suggeriva e, prima di concludere, sospirò chiudendo un attimo gli occhi:
“Io non credo che lui pretenda questo…”
Il santo di Aries rimase
soprappensiero per qualche istante, con le sue iridi smeraldine lievemente
lucide ma fondamentalmente imperturbabili, enigmatiche, quindi si limitò ad
annuire, riprendendo il proprio cammino senza più voltarsi indietro.
L’acqua
tiepida accarezzava le sue membra tese in seguito ad una notte popolata da
sogni caratterizzati unicamente da due occhi verdi… quei due occhi dai quali
lui agognava un riflesso diverso, non quella formale distanza,
quel rispetto… occhi dai quali bramava un sorriso. Shaka rimpiangeva il sonno
senza sogni che solitamente scandiva le sue nottate,
Shaka rimpiangeva la propria perfezione spirituale, detestava quell’umanità che
gli stava invadendo l’anima… lui voleva solo pace…
Si maledisse, ancora una volta da
quando si era risvegliato; a tal punto si era spinta la sua fragilità?
Al punto di fargli desiderare l’elevazione spirituale unicamente per sfuggire
alle proprie umane pulsioni? Non era questo che aveva imparato in anni di
rigido addestramento e privazioni.
Si erse, sorgendo dalla vasca come una driade da una
polla incantata, e rimase così, in apparenza immobile, per parecchi istanti, se
non fosse stato per quell’impercettibile fremito che
lo scuoteva, come un giunco tormentato da una brezza leggera ma insistente e
frustrante.
Si riscosse con uno scatto nervoso ed uscì dalla
vasca, drappeggiando un telo di sobrio tessuto intorno al proprio corpo,
rabbrividendo inaspettatamente: il fresco era arrivato senza preavviso e dalla
finestra aperta l’aria entrava liberamente, spazzando via la calura che aveva
impregnato quella stanza nel corso dell’afosa estate greca.
Si strinse nelle spalle; certo un po’ di freddo non
l’avrebbe messo in difficoltà; bevve un sorso d’acqua ed indossò la lunga
tunica intrisa dei sapori dell’India lontana, quindi, a piedi nudi, senza
sentire il bisogno di dedicarsi ad una seppur frugale colazione, si diresse
flemmaticamente verso la porta che l’avrebbe condotto ai suoi amati giardini; lì,
sicuramente, avrebbe ritrovato la pace interiore… se così non fosse stato, se
neanche gli alberi di Sala, con la loro mistica aura fossero
riusciti ad infondergli la loro essenza, Shaka non si sarebbe più sentito degno
di ritenersi ciò che era agli occhi di tutti e di se stesso.
Era già nei pressi della porta
quando un gentile influsso palesò la sua presenza, era vicino, molto
vicino e la voce del suo cosmo gli parlava:
“Mi permetti di entrare, custode della Sesta Casa?”
Shaka si irrigidì,
consapevole dello scherzo che il destino stava giocando alle sue spalle,
spazzando via, in un colpo solo, ogni proposito che si era auto-imposto poco
prima. C’era un certo calore in quella frase convenzionale ma
ancora non abbastanza; avrebbe dovuto rispondere, sì o no, qualunque cosa, che
avrebbe pensato, l’ospite, di quell’ingiustificato silenzio da parte sua?
Stava per formulare un invito che fosse
abbastanza sostenuto da mascherare il proprio turbamento, quando la voce ancora
parlò, in modo diverso e con un tono che fece correre un fremito intenso lungo
la spina dorsale di Virgo.
“Shaka, ti prego, mi permetti di entrare?”
Il primo impulso fu quello di ribattere malamente, ma come perdonarselo in seguito? Così, raccolse
le proprie energie e la propria calma in un profondo
sospiro e si decise a compiere i doveri di padrone di casa. Scandagliò i piani
della mente per mettersi in contatto spirituale con colui che
richiedeva una risposta e formulò, tranquillo, il proprio invito:
“Entra Mu, ti attendo nei
miei giardini…”
L’attimo dopo si irrigidì,
con una smorfia di disappunto; perché aveva detto una cosa del genere? Perché invitare qualcuno nei suoi giardini? Chi aveva
parlato? Non poteva essere stato lui, non si era reso minimamente conto di
quello che sarebbe uscito dalle sue labbra.
“Io… sto impazzendo… sono completamente sconnesso…”
balbettò, mentre apriva la porta che dava sul suo regno.
Ormai era fatta e tornare indietro era impossibile;
avrebbe significato ammettere una debolezza che assolutamente non intendeva
mostrare, neanche al giovane che stava varcando ora le soglie del suo tempio…
no… neanche per lui…
A cosa sarebbe servito? A renderglielo più vicino?
La propensione ad illudersi non apparteneva al sacro guerriero di Virgo.
Scuotendo il capo e gettando indietro una ciocca che gli ricadeva sulla spalla,
ornandogli il petto come un prezioso gingillo dorato, entrò nei giardini,
dirigendosi a passo sostenuto ed insolitamente nervoso verso gli alberi di
Sala.
Mu era inquieto ma, come suo solito, nascondeva
quella forma di preoccupazione dietro ad un viso calmo, pacato.
Era insolito il comportamento di Shaka. Non era da lui invitare qualcuno nel
suo labirinto privato, nella sua oasi di Santo
Raccoglimento.
In parte ne era lusingato, ma
era soprattutto preoccupato. Sapeva bene che se Shaka, o la parte del suo amico
che teneva ad un legame con lui, lo aveva invitato, era per diminuire quel
distacco classico che il Santo della sesta casa dimostrava con tutti. Il
giovane tibetano ne aveva la
certezza assoluta.
Eppure, il ragazzo sapeva che,
come sempre, avrebbe dovuto usare la parte del suo carattere che tutti
decantavano: la sua capacità di superare ogni cosa con un sorriso. Così, mentre
attraversava le mura della casa, verso la porta sulla dimensione dei Sala, prese coscienza della sua forza, ma non per
superbia, quanto per altruismo.
Se tra i due qualcuno aveva bisogno di aiuto, questi era Shaka, anche se entrambi soffrivano per
una situazione completamente incerta.
Lo scorse quasi subito, puntino luminoso con quei
capelli che danzavano, turbinando insieme ai petali pianti dai due alberi;
perché quella pioggia? Rifletteva forse la tristezza del cuore che con essi batteva in perfetta armonia? Mu si fermò, mentre un velo di profonda malinconia scese come un sipario scuro
ad ottenebrare il suo animo.
“Avvicinati, Mu.. non
restare lì come una statua…”
Aries sorrise; anche se Shaka teneva gli occhi
chiusi, anche se appariva completamente immerso nel proprio personale universo,
disinteressato e inconsapevole di ciò che gli accadeva intorno, in realtà
vedeva molto meglio di chiunque altro e niente sfuggiva
ai suoi sensi quasi onniscienti…
Eppure, nonostante tutto, era un essere umano e Mu
non era lì, quel giorno, per trattarlo come una divinità o comunque
come un oggetto prezioso a cui dovere il massimo rispetto; Mu era venuto a
trovare un amico che compiva gli anni e a portargli l’amicizia di tutto il
Grande Tempio.
Stringendo a sé la cesta affidatagli dai compagni,
riprese ad avanzare, fino a portarsi di fronte al giovane indiano e, senza
attendere un invito, osò sedersi al suo fianco; nessuno si era mai spinto a
tanto, ne era consapevole ma era disposto a rischiare
anche una sfuriata; era ben deciso a mettersi al medesimo livello di Shaka, era
lì per parlare con un amico, non con un semidio.
Come si era aspettato, Shaka non fece una piega; non
diede segno di apprezzare quel gesto ma neanche si
adirò con lui.
“Cosa posso fare per te,
Mu?”
Tutto qui, una semplice domanda, senza che la
posizione del corpo o i lineamenti del viso subissero una seppur vaga
mutazione; era come se nulla di nuovo fosse accaduto e Shaka non si decideva a
discendere tra gli uomini.
“Magari, come prima cosa, guardarmi in faccia quando
mi parli…”
Shaka ebbe un lieve moto di sorpresa, Mu avrebbe pensato addirittura di spavento se ciò non gli fosse
sembrato assurdo; non ottenne risposta… evidentemente, Shaka non sapeva come
comportarsi in situazioni così confidenziali. Deciso ad andare fino in fondo
nei propri intenti, Mu tentò di fare del proprio meglio per toglierlo
dall’imbarazzo:
“Non credo di averti chiesto
troppo… oggi vorrei parlare con un amico…”
Il
silenzio scese assoluto e così totale che era possibile udire il lieve fruscio
dei petali, quando si incrociavano nel loro volo o
allorché si posavano, sofficemente, sul prato; ma Shaka poteva udire anche i
palpiti del proprio cuore e l’affanno
del proprio respiro. Il suo corpo reagiva spontaneamente alle parole di Mu, al
di fuori del suo controllo; lui gli ordinava disperatamente di restare calmo,
di non cadere nella trappola, perché la pace interiore non doveva essere
turbata da nulla.
Ma quale pace interiore, poi?
Quella che continuava a fingere senza provarla realmente? Quella che avrebbe
desiderato, con tutto se stesso, ritrovare?
E al tempo stesso, perché
respingere per forza quella felicità, quel calore che gli carezzava lo spirito,
sciogliendo la pietra che da tempo ormai gli opprimeva il cuore?
Per paura, naturalmente, simili sensazioni lo
terrorizzavano… eppure, Mu non intendeva spaventarlo, Mu voleva solo essere
gentile… Mu si stava rivolgendo a lui come ad un amico.
Pose fine all’attesa di entrambi, schiudendo le
palpebre, quel tanto che bastava per accontentare il giovane al suo fianco, ma
ancora non osava voltarsi verso di lui e guardarlo realmente; non lo fece
finché ancora la voce flautata e questa volta maliziosamente ironica del santo di Aries non giunse di nuovo alle sue orecchie, accompagnata
da una risatina appena accennata:
“Ciao, Shaka; ben tornato tra i comuni mortali.”
Virgo si voltò con uno scatto nervoso, non sapeva
neanche lui perché, forse per apostrofarlo con una frase cattiva ma,
scontrandosi con lo smeraldo puro di quelle iridi d’antica essenza, plasmati in
mondi che nulla avevano da invidiare ai paradisi spirituali nei quali la sua
anima eternamente fluttuava, ogni istinto bellicoso si dissolse in un mutismo
impregnato di timidezza.
Mu di Aries… l’unica
creatura al mondo in grado di ridurlo in un tale stato, di gettarlo in una
confusione di pensieri e di intenti a causa della quale sentiva di meritare la
dannazione eterna.
Era come una sfida… nessuno di loro abbassava lo sguardo ma unicamente lui, Shaka, la viveva come tale;
l’espressione di Mu era tutt’altro che bellicosa e non era neanche fredda o
impassibile. Shaka non sapeva stabilire cosa ci fosse
in quegli occhi e in quelle labbra che formularono nuove parole:
“Sai che giorno è oggi?”
Shaka colse al volo l’occasione per riconquistare il
dominio dei propri nervi e, sollevando il viso verso il cielo sereno, assunse
con naturalezza la solennità che gli era propria:
“Quale importanza può avere un giorno nel
susseguirsi dell’eternità?”
L’imprevisto era di nuovo in agguato e si manifestò
nel gesto improvviso di Mu; era raro che Aries perdesse la propria stabilità emotiva ma in quell’istante, nel suo movimento nervoso,
c’era tanta rabbia, frustrazione, forse tristezza… era impossibile per Shaka
non percepirli. Il santo della Prima Casa, con un balzo, si ritrovò
inginocchiato di fronte a lui, allungò le mani, gliele posò sulle spalle,
stringendo con una foga tale che Shaka si lasciò sfuggire un’esclamazione
di protesta, soffocata sul nascere dal discorso concitato di Mu:
“Perché non la smetti? Perché non ti decidi a scendere da lassù una buona volta e non
permetti a chi lo desidera di restarti vicino, tra esseri umani… tra amici!”
Il raggelante silenzio scandì gli istanti
successivi, durante i quali Mu non cambiò la propria posizione e Shaka sentiva
le sue dita che lo afferravano, quasi a volergli strappare la carne, dilaniarlo… ma non era cattiveria… forse un disperato
tentativo di ottenere qualcosa. Un refolo di vento introdusse, come a volerne sottolineare il significato essenziale, il sussurro di Mu:
“Buon compleanno, Shaka…
buon compleanno da me, da tutti noi, da tutti i tuoi amici…”
Il santo di Virgo si strappò, con una pura
dimostrazione di forza, a quel contatto, a quello
sguardo; si sentiva minacciato, perché nuovamente perdeva il controllo… intimorito
da che cosa? Dalla felicità soffocante che lo faceva tremare, da quel pizzico
insistente agli occhi… cos’era? Non lacrime, non era assolutamente possibile,
né concepibile che lui si sentisse tanto commosso fino alle lacrime… per una
cosa del genere, una futilità tanto palese agli occhi degli
Dei… agli occhi degli Dei o ai suoi occhi? Non era, quella, una ridicola scusa
per fuggire a ciò che gli stava accadendo?
Mu era rimasto in ginocchio,
lo scrutava, dal basso, mentre Shaka guardava lontano, un punto indefinito
davanti a sé, o forse non guardava realmente nulla; lentamente, abbassò il
capo, serrando le palpebre e riaprendole subito dopo; non sapeva cosa avrebbe
detto a Mu, non sapeva neanche come quei bizzarri momenti lo facessero sentire. Avrebbe lasciato fare
all’istinto; mentre ricercava, con il proprio sguardo, lo sguardo
del compagno, notò per la prima volta la cesta, con il telo di stoffa leggera
che ne celava il contenuto.
Mu
non sapeva spiegarsi il motivo della propria reazione così colma di rabbia; era
giunto lì con l’intento di rapportarsi con Shaka da amico ma,
di fronte alla resistenza di quest’ultimo, la solita flemma del custode della
Prima Casa era venuta meno. Lo scopo che si era prefissato era troppo
importante, si era reso improvvisamente conto di quanto per lui fosse
essenziale assolverlo, non per un vano moto d’orgoglio ma
per l’affetto autentico che nutriva nei confronti di quel ragazzo al fianco del
quale aveva trascorso i suoi primi anni da Saint. Quand’erano piccoli, i loro
spiriti erano affini, spesso si trovavano da soli, a parlare di ciò che
ritenevano importante, del loro ruolo di sacri guerrieri e dei misteri
sconfinati del cosmo.
Poi, gli anni avevano reso Shaka distante dal mondo,
distante dai compagni ed anche da lui che era stato, per tanti versi, il suo
amico del cuore… un amico che Mu, ora ne era
consapevole, era deciso, a tutti i costi, a ritrovare.
Seguì con attenzione ogni movimento di Virgo e,
quando gli occhi azzurri, che il giovane aveva accettato di aprire per lui, si
posarono sulla cesta che Mu teneva al proprio fianco, Aries la prese e si alzò,
tendendola al compagno con entrambe le mani, ripetendo, a voce più alta,
autoritaria, come a voler significare che ciò che diceva non ammetteva
repliche:
“Buon compleanno, Shaka!”
Il santo di Virgo aveva gli occhi sbarrati, Mu non
glieli aveva mai visti tanto grandi, perché così immensi erano solo quando Shaka li apriva, dopo aver raccolto un cosmo dal
devastante potenziale, per liberare tale energia e colpire, in modo
distruttivo, il nemico che aveva di fronte… e Mu non era mai stato tra questi
nemici, neanche quando, durante la guerra civile al Santuario, si erano trovati
in opposti schieramenti. E non era certo per
distruggere che ora a Mu li mostrava in tutta la loro superba grandezza; per
una volta, quelle iridi di zaffiro erano colme di meraviglia, fragilità…
umanità… e, proprio per questo, erano più belle che mai.
“Che… che cosa c’è lì dentro?” mormorarono le
labbra, fanciullesche e rosee, come boccioli di rosa mai fioriti; perché Shaka
era così, un guerriero di indomabile ardore, saggio
come un essere millenario, ma fanciullo e vergine nei suoi rapporti col mondo.
“I pensieri di tutti i tuoi amici…” rispose Mu e,
mentre le mani femminee di Shaka si allungavano, timidamente, con una
goffaggine che non era mai stata sua, a prendere quel canestro dal misterioso
contenuto, con la delicatezza di chi si trova a maneggiare un fragile tesoro,
il cuore e gli occhi di Aries si colmarono di una
dolcezza infinita.
Reggendo il proprio dono tra le mani, Shaka
indietreggiò di qualche passo, le palpebre ora quasi del
tutto chiuse, a lasciar filtrare un solo raggio d’azzurro intenso, il
viso abbassato sull’oggetto; solo quando si ritrovò nuovamente tra gli alberi
di Sala, si chinò, accovacciandosi a gambe incrociate, lo sguardo fisso sulla
cesta e così rimase immobile, per lunghi istanti. Dava l’impressione di una
statua di cera assolutamente priva di respiro e soffio vitale.
Mu sorrise; anche nell’aprire un dono, Shaka aveva
bisogno di raccogliersi in se stesso. Aries non si sarebbe stupito se si fosse messo a meditare, per ore, prima di decidersi a
sollevare quel telo, dando alla luce i segreti che esso celava… segreti umani e
terribilmente semplici se confrontati a ciò che la mente di Shaka conosceva e
vedeva giornalmente… ma il loro valore era realmente così infimo al cospetto
delle vastità dello spirito? Mu non lo credeva, perché sotto quel telo era
racchiuso tutto l’amore che forse Shaka non aveva mai percepito, un universo per
lui ancora totalmente sconosciuto.
Era
come stringere tra le mani un piccolo universo che racchiudeva ciò che i suoi
compagni non avevano mai avuto il coraggio di dirgli o di dimostrargli… certo non
a causa loro… Questi erano i pensieri che affollavano la mente di Shaka mentre contemplava la cesta, estraniato da tutto il
resto, anima e corpo focalizzati su quell’oggetto, tanto piccolo nell’infinità
assoluta del tutto ma forse contenente quanto di più immenso il suo spirito
avesse mai percepito.
Strinse tra due dita un lembo del tessuto e, con
calma studiata, lo sfilò, lentamente; non voleva lasciarsi prendere dalla
fretta, una voce dentro di lui gli suggeriva di vivere quei momenti istante per
istante, per non rimpiangere dopo di non averne
assaporato ogni singolo, minuscolo frammento.
Il panno scivolò via, rivelando un variopinto
universo di personali, piccole follie: oggetti, lettere, bigliettini, il tutto
adagiato su un guanciale tricolore di petali… Shaka non dovette concentrare
molto la fantasia per indovinare come essi
provenissero dalle rose bianche, nere e rosse di Aphrodite, come sua doveva
essere la minuscola e elegante grafia che spiccava sul bigliettino in testa a
tutti gli altri.
Shaka lo prese, lo lesse:
“Il mio regalo sono i petali di rosa, Piccolo Buddha, nient’altro mi sembrava
indicato da parte mia; ricordano un po’ i petali di Sala, no? Per questo li
dovresti apprezzare, buon compleanno e vienimi a trovare nei
miei giardini ogni tanto, non hanno molto da invidiare ai tuoi, sai?^*^”
Il santo di Pisces che a stento, qualche volta, gli
aveva rivolto la parola, aveva scelto un modo delizioso per rompere il ghiaccio
tra loro… per tentare di farlo almeno… ora tutto dipendeva da Shaka e lui ne era ben consapevole. Non era altrettanto certo di sapere
come si sarebbe comportato; doveva ammetterlo, parecchie sfaccettature della
propria persona sfuggivano a egli stesso, per quanto,
a detta di tutti, ne sapesse più di chiunque altro sulle inconoscibili
contrade dello spirito.
Era
un sorriso quello che aleggiava sulle labbra di Shaka? In un primo momento, Mu
credette di avere assistito ad un fugace miraggio ma,
continuando ad osservarlo, da qualche passo di distanza, fu costretto a
confermare la prima impressione. Un vago, etereo sorriso mentre, con il pollice
e l’indice, raccoglieva un petalo rosso e se lo portava alla bocca, poi alle
narici, saggiandone la delicata fragranza.
Quell’espressione rara non cambiò
mentre, uno ad uno, scopriva i doni e le parole d’amicizia impresse sui
pezzi di carta colorati; ogni Gold Saint aveva lasciato la propria firma in
quella cesta, partecipando con quelli che erano quasi simboli di
riconoscimento: lo scorpioncino di pezza, per
esempio, era chiaramente di Milo. Mu sapeva che, insieme ad
Aphrodite, era tornato nel negozietto dove aveva acquistato, molto tempo prima,
quelli identici che aveva regalato a Camus e, fortunatamente, ne avevano
trovato un altro.
Uno ad uno, sorgevano dalla
cesta piccole meraviglie, imbevute del desiderio di dare affetto a chi non si
era mai mostrato in grado di riceverlo; ma forse, quel giorno, qualcosa sarebbe
cambiato.
Era questa, in fondo, la speranza che aveva spinto gli animi di tutti a mettere
in quel tentativo la propria parte, seppur minima, ognuno con la propria indole
e le proprie capacità emotive.
Persino l’algido Camus aveva partecipato, lui che
forse, in quanto a distacco, riusciva a volte a superare lo stesso Shaka;
eppure Camus si era fatto il proprio gruppetto di amici,
probabilmente più che altro grazie al rapporto che aveva instaurato con Milo e
che, per certi versi, si era rivelato una fortuna per il guerriero dei ghiacci.
Mu avrebbe voluto, dal canto suo, rivestire per Shaka il medesimo ruolo ma non era possibile; Milo era il compagno di Camus…
Mu non poteva diventare il compagno di Shaka… ma amico sì, bastava che Virgo lo
desiderasse e Mu gli avrebbe fatto da guida, nel mondo dei comuni mortali, come
il Buddah era stato sua guida nel mondo degli spiriti.
Lo stesso Mu era solitario, riflessivo, la sua
natura era fondamentalmente spirituale ma, al tempo
stesso, la sua indole gli permetteva di equilibrare tali tendenze con la
capacità di stare bene tra compagni; suo scopo era fare in modo che per Shaka
fosse lo stesso e per questo era disposto a prenderlo per mano.
Era proprio il regalo di Camus che adesso Virgo
osservava, quel cristallo di ghiaccio perenne che neanche i raggi del sole
sarebbero riusciti a sciogliere; sarebbe rimasto lì, nel tempio di Virgo, in
eterno, e ogni volta che Shaka lo avesse desiderato, avrebbe potuto prenderlo
in mano, come adesso stava facendo e sondare i segreti di qualche nuova
dimensione incantata attraverso l’immacolata trasparenza.
E dopo quello, uno dopo
l’altro, gli altri doni; Mu non li aveva visti tutti prima che la sporta
venisse coperta e anche adesso non li notò, preso com’era ad osservare le
espressioni che si susseguivano sul volto di Shaka; per il sacro guerriero di
Virgo, si trattava di nuove scoperte e nuove emozioni, era come un bambino che,
con approccio innocente, si appropriava di tesori mai visti prima.
L’esplorazione della cesta ebbe una durata
interminabile, almeno questa era l’impressione di Mu; la sospensione di quegli
attimi era tale che potevano essere passate ore, come
pochissimi minuti. Alla fine, il volto di Shaka si levò, cercando il suo,
ancora quel sorriso disarmante che Mu ricambiava, intuendo cosa il compagno
stava per dire:
“Mi sembra che, qui dentro, manchi all’appello
qualcuno…”
Mu si lasciò sfuggire un
risolino tra le labbra appena schiuse, sommesso, con l’eleganza discreta e
spontanea che sempre lo caratterizzava e che gli impediva di abbandonarsi a
plateali manifestazioni, perché lui era pacato in tutto, nella rabbia esplosiva
e nella gaia ilarità dei momenti di gioia.
Avanzò, un passo dopo l’altro, finché non giunse
abbastanza vicino da potersi nuovamente inginocchiare davanti al compagno e gli
tese una mano, il palmo rivolto verso l’alto, un
chiaro invito che, dopo un attimo di esitazione, Shaka non osò rifiutare. Le
loro dita, fini e lunghe, bianchissime come l’avorio più puro, si sfiorarono, dapprima timidamente e poi, quelle di Mu si chiusero
con decisione su quelle di Shaka, per prevenire ogni impulso alla fuga, rischio
sempre in agguato da parte del timido custode del Sesto Tempio.
“Io… ho portato me in
dono…”
Shaka ebbe un moto di sorpresa e le sue labbra si schiusero ma non riuscì a dire nulla; invece, dopo avere
sbarrato per un istante gli occhi, li richiuse un poco e abbassò lo sguardo.
Solo dopo un nuovo, lunghissimo silenzio, le sue labbra esalarono un sospiro
che si mutò in parole:
“Ed è il dono più bello per
me…”
Mu annuì e il suo cuore esplose di gioia, perché il
miracolo si era compiuto. Si alzò, senza lasciare la mano di Shaka che fu costretto, in tal modo, a seguirlo in quel movimento; era
giunto il momento di tentare il passo successivo:
“Esci con me; vieni a ringraziare i ragazzi di
persona…”
Il sorriso di Shaka si accentuò ed accompagnò il
cenno di dissenso del capo:
“Ringraziali tu da parte mia, ti
prego… dammi ancora un po’ di tempo… forse… più tardi…”
Il santo di Aries rispose
con un sospiro ma non era deluso in fin dei conti: non poteva pretendere
troppo, tutto in una volta.
“Come preferisci ma permettimi una cosa…”
Non aggiunse altro e suggellò la frase gettando le
braccia intorno al collo di Shaka ed attirandolo verso di sé, stringendolo
forte; si sentiva bene, perché quella creatura che in tal modo stringeva era
l’amico del cuore ritrovato, ne era certo… e non l’avrebbe
più lasciato fuggire via.
“Oddio, ma dove vogliono arrivare?!
Non è bello nei confronti di Aldebaran…” dal punto in
cui si trovava, lo scorpione poteva solo vedere i gesti dei due silenziosi
amici, finalmente ritrovati, dopo anni di lontananza. A quattro zampe, sul
pavimento della sesta casa, sbirciava all’interno dei sacri giardini attraverso
una piccola fessura della porta socchiusa. La curiosità tutta umana di Milo
aveva preso il sopravvento all’ultimo momento e non ce l’aveva
fatta a stare lontano dalla sesta casa. Occultando completamente la sua
persona, spiava i due compagni con un ghigno sulle labbra.
“Beh, speriamo che non si bacino! Questo non potremmo tenerlo nascosto ad Aldebaran, non sarebbe giusto
nei suoi confronti…” sentenziò con serietà esagerata Aphrodite, seduto a gambe
larghe sulla schiena dell’amico e facendosi leva con le mani premute contro le
spalle del greco, per infilare meglio il naso attraverso la fessura e osservare
con rapito interesse la dolce scena appena consumatasi di fronte a lui.
“Sentite… se vi ho permesso di partecipare a
qualcosa come questo non è per giudicare negativamente le azioni di Mu e poi…
voi due non dovreste neppure dare da vedere di conoscere la storia di Mu e
Aldebaran…” Aiolia era frustrato dall’idea di aver fatto un bel guaio, ma
dopotutto aveva solo leggermente anticipato i tempi, questo un po’ lo
consolava.
In realtà si sentiva mortalmente in colpa, ma non voleva affatto dire di avere sbagliato, il suo orgoglio
non glielo permetteva. Comunque, era difficile tenere
nascosto qualcosa a Milo ed Aphrodite, se loro avevano anche il più blando
sospetto su qualcosa!
“Tanto prima o poi lo
diranno a tutti! Oh, ma guardate come sono belli!”
Milo si avvicinò leggermente, per guardare meglio.
“Siete due cretini, andiamo via che è meglio per
entrambi.. se se ne accorgono ci fanno la pelle…”
Aiolia fece per voltarsi, ma rimase con gli occhi sbarrati di fronte alla
figura imponente di Aquarius che lo osservava, le mani intrecciate sul petto e
lo sguardo severo, da maestro, che mai abbandonava il suo viso chiaro.
Con un gesto gelido, spinse da parte lentamente
Aiolia, dirigendosi direttamente verso Milo e Aphrodite, prendendoli per le
orecchie e tirandoli via lontano dalla porta.
La festa era finita: Camus,
senza dire una parola a Pisces e Scorpio, trascinando i due ragazzi
dolorosamente dietro di lui, si allontanò intimando al Leone:
“Per ora porto via i bambini. Se non sei fuori in
pochi minuti torno qui e serbo lo stesso trattamento
anche a te!”
Aiolia deglutì.
Sapeva che l’avrebbe fatto e, comunque,
avevano finito di sbirciare come dei ragazzini. Con un sorriso soddisfatto
sulle labbra, si avvicinò alle pesanti porte e chiuse lentamente il piccolo
spiraglio.
Quando Mu l’aveva abbracciato, la scorza che si era
formata nel corso di anni infiniti, si era sciolta in
pochi attimi… erano bastate quelle braccia e quel tenero bacio sulla guancia
con il quale Aries si era congedato poco dopo. Shaka gli aveva chiesto di
salutare Aldebaran da parte sua, infarcendo la battuta con un occhiolino
malizioso. Gli occhi di Mu, quegli occhi che sempre
splendevano assorbendo i raggi del sole, si erano oscurati per un istante,
questa era stata la sensazione di Shaka e Virgo credeva anche di conoscere i
reconditi motivi di quel malessere improvviso.
Shaka ancora sorrideva, dopo averlo visto
allontanarsi; si ripromise di rasserenare sempre Mu sotto quell’aspetto, dato
che null’altro che amicizia Aries poteva concedergli… e Virgo nulla di più
desiderava, perché non era certo lui stesso di poter concedere altro… l’amore?
Certo, lo amava, ma la percezione dell’amore che Shaka arrivava a concepire,
era puramente spirituale, platonica, completamente libera da ogni connotazione
fisica… forse per questo il rapporto di Mu con Aldebaran non
lo turbava affatto… non tanto da gettarlo nella disperazione comunque,
perché non gli impediva di amare la fonte dei suoi sogni; il proprio amore,
puro e distante dal piano materiale, gli bastava.
E finalmente, grazie alla
visita di Mu, aveva ritrovato la pace perché aveva potuto fare luce in se
stesso… soprattutto aveva ritrovato un amico, l’amico che, ora poteva
affermarlo con certezza, gli era mancato per anni.
Si chiese se raggiungere o meno
gli altri… forse più tardi aveva promesso a Mu… forse quel giorno no, non
ancora, forse neanche domani… ma adesso si sentiva nuovamente bene.
Sereno sul volto e nel cuore, si accovacciò ancora,
nella posizione del loto, la cesta tra le gambe e la sua mente si innalzò, mutandosi in mistica invocazione:
“Mio Signore…
“Sono qui, Shaka… sono sempre stato con te, lo sai…”
“Ora sto bene, Mio Signore… non è
più turbata la mia anima…”
“Lo vedo, figlio mio… e ne sono lieto…”
Intorno, i petali di Sala danzavano, quasi volessero
anche loro festeggiare quel giorno in cui, anni prima, il loro puro custode aveva visto la luce, per illuminare il mondo, ancora una
volta, come sempre era stato nei secoli.