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Autore: PerseoeAndromeda    01/09/2008    7 recensioni
Scritta anni fa, per un compleanno di Shaka. Il più imperturbabile degli uomini ha in realtà problemi come tutti i comuni mortali... e sarà un amico a compiere il primo passo per risolverli^^
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aries Mu, Leo Aiolia, Pisces Aphrodite, Scorpion Milo, Virgo Shaka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Shaka… Shaka… perché non ti svegli

Ho deciso di rispolverare qualche vecchia fanfic e reinserirla nel sito, un po’ corrette ed aggiustate^^

Alcune probabilmente le conoscete, perché tanto tempo fa già le avevo messe su queste pagine e per vari motivi le avevo tolte… ma adesso mi è venuta voglia di reinserirle con le dovute correzioni, quindi questa è solo la prima^^

 

 

UN AMICO IN DONO

 

 

Did I Ever Take You In My Arms,
Look You In The Eye, Tell You That I Do,
Did I Ever Open Up My Heart
And Let You Look Inside.

If I Never Did It, I Was Only Waiting
For A Better Moment That Didn't Come.
There Never Could Be A Better Moment
Than This One, This One.

The Swan Is Gliding Above The Ocean,
A God Is Riding Upon His Back,
How Calm The Water And Bright The Rainbow
Fade This One To Black.

Did I Ever Touch You On The Cheek
Say That You Were Mine, Thank You For The Smile,
Did I Ever Knock Upon Your Door
And Try To Get Inside?

If I Never Did It, I Was Only Waiting
For A Better Moment That Didn't Come.
There Never Could Be A Better Moment
Than This One, This One.

The Swan Is Gliding Above The Ocean,
A God Is Riding Upon His Back,
How Calm The Water And Bright The Rainbow
Fade This Swan To Black.

What Opportunities Did We Allow To Flow By
Feeling Like Like The Timing Wasn't Quite Right?
What Kind Of Magic Might Have Worked If We Had Stayed Calm,
Couldn't I Have Given You A Better Life?

Did You Ever Take Me In Your Arms,
Look Me In The Eye, Tell Me That You Do?
Did I Ever Open Up My Heart,
Let You Look Inside?

If I Never Did It, I Was Only Waiting
For A Better Moment That Didn't Come.
There Never Could Be A Better Moment
Than This One, This One.

The Swan Is Gliding Above The Ocean,
A God Is Riding Upon His Back,
How Calm The Water And Bright The Rainbow
Fade This Swan To Black
.

 

(Paul McCartney, This one, 1989)

 

 

 

 

 

 

 

 

“Shaka… Shaka… perché non ti svegli?”

“Voglio dormire Mio Signore… null’altro sento di poter fare…”

Perché Shaka? E’ triste udire simili cose da te…”

“Non sono più degno di te, Mio Signore; l’umanità… la mia umanità… sta prendendo il sopravvento…”

Ma essa ti porta unicamente tristezza…”

Un sospiro si levò dalle labbra rosee, lievemente schiuse, del giovane sdraiato nel buio. Le mura della Sesta Casa erano cupe quella mattina o tali lui le percepiva, giacché neanche il raggio di sole che filtrava dall’unica finestra della stanza riusciva a scalfire le palpebre serrate, quei suoi occhi, i quali seppur quasi sempre chiusi, percepivano nitidamente ogni realtà… di solito…

In quel momento, tutto ciò che il santo di Virgo scorgeva chiaramente era la profonda amarezza del proprio cuore. Da quando un tale malessere era sceso, come un’implacabile cappa di viscido petrolio, dentro di lui? Forse era sempre stato suo ma, semplicemente, il ritorno dall’Ade lo aveva reso, in qualche modo, più debole di fronte ai richiami insistenti di un’umanità che aveva cercato, fin da bambino, di sconfiggere… Era a causa dell’esperienza scioccante di una morte volontaria seguita da una rinascita quasi forzata? Non gli erano forse sempre appartenuti quegli stessi sentimenti che adesso lo facevano così tanto soffrire?

Certo… quegli occhi verdi che ammiccavano con malizia e dolcezza alla vita, non li aveva mai realmente sradicati dalla sua anima ma aveva imparato ad accettare e ad elevarsi al di sopra di simili emozioni, come solo l’uomo più vicino a Dio sarebbe stato in grado di fare.

Perché, perché ora non più?” esclamò, scostando con rabbia il lenzuolo e mettendosi seduto, le mani sul volto, confuso più dalle proprie reazioni emotive che dal sentimento da cui esse erano causate.

Anni di lotta contro se stesso si rivelavano dunque, ora, del tutto inutili? Scosse il capo, posando languidamente un piede sul pavimento, in una delle sue naturali movenze androgine che lo facevano apparire, agli occhi altrui, una creatura quasi evanescente, irreale, una creatura alla quale tutti dovevano rispetto, amata sinceramente ma in qualche modo distante. A lui questo non importava, ma almeno da una persona avrebbe desiderato, per una volta, essere guardato semplicemente come un essere umano, benché questo fosse del tutto contrario a ciò che si era da sempre imposto. Cresciuto e divenuto Saint nella sua lontana India, assorbendo la profonda spiritualità e l’ascetico approccio alla vita tipico di quei mistici luoghi, a null’altro avrebbe dovuto aspirare, se ne rendeva perfettamente conto.

E c’era riuscito, a lungo e per questo si detestava ancora di più; tutto era completamente rovinato, distrutto da un futile sentimentalismo degno di una ragazzina? Strinse le labbra, in una smorfia di totale disgusto nei confronti della propria persona e si diresse verso la vasca, per crogiolarsi in un bagno rilassante; poi sarebbe andato dagli alberi di Sala, si sarebbe seduto in mezzo a loro e si sarebbe immerso nella meditazione, dura, severa, un raccoglimento interiore atto a strappare via dalla sua anima quell’assurdità che lo stava portando così prossimo al crollo emotivo.

 

 

 

 

 

“Pensaci tu a portargli i nostri pensieri e il nostro saluto; sei l’unico che riesca ad avvicinarsi realmente al suo cuore…”

Mu arrossì all’osservazione arguta di Aiolia ma non ribatté nulla, limitandosi a scrutare la reazione di Aldebaran al suo fianco; il gigante del Toro non diede segno di avere percepito il messaggio insito in quella frase ma d’altronde era troppo innocente per lasciar entrare nel proprio spirito ogni sfumatura maliziosa.

Mu si domandò, tuttavia, se Aldebaran fosse veramente l’unico a non avere compreso… nessuno fece una piega, quindi era probabile una tale ipotesi. Il santo dell’Ariete fu lieto e sollevato di ciò, non avrebbe ritenuto opportuno che il complesso gioco di emozioni ruotante intorno al solitario compagno della Sesta Casa fosse reso di dominio pubblico. Nessuna voce, veritiera o meno, doveva giungere a turbare Shaka, per questo fulminò con lo sguardo il santo di Leo, per fargli notare la leggerezza commessa.

Una leggerezza di cui Aiolia doveva essersi reso conto da solo perché i suoi occhi brillarono di rabbia contro se stesso.

Aiolia e Mu erano gli unici ad avere compreso, forse perché più degli altri si erano avvicinati a Shaka; il cuore del biondo custode della Sesta Casa era un enigma per chiunque, ma qualche piccolo segnale lo lanciava anche lui e coloro che meglio lo conoscevano avevano imparato a leggere in quei minimi accenni di umana reazione.

Ne avevano parlato, avvedendosi in tal modo di essere giunti alla medesima conclusione: Shaka ultimamente si sentiva solo e il suo cuore cominciava a rivelarsi più fragile di quanto avessero mai pensato… un cuore che palpitava per qualcuno e che da quel qualcuno bramava attenzioni senza osare chiederle, per un misto di timidezza ed orgoglio.

Mu era ormai consapevole di essere lui quel qualcuno ed Aiolia aveva confermato tale ipotesi; fu in quell’occasione, quando ne parlarono la prima volta, che Mu si confidò con Leo a proposito del proprio rapporto con Aldebaran, non poteva fare altrimenti, perché proprio Aldebaran era il motivo che lo costringeva a ferire indirettamente Shaka.

Erano seduti sopra ad un muretto, quel giorno, Mu ed Aiolia, quando ne parlarono, ai piedi della collina lungo la quale si arrampicavano le Dodici Case dello zodiaco. Intorno il vociare delle guardie che si allenavano, ma distante, giungeva a loro portato da una brezza leggera e non riusciva ad oscurare il canto degli uccelli che si rincorrevano nel cielo limpido. Il santo di Aries li osservava, con gli occhi immensi sgranati sulle sconfinate distese della volta celeste, mentre Leo osservava lui, quasi come se con quello sguardo insistente volesse strappargli una decisione.

“Io non posso dare a Shaka quello che lui vorrebbe da me” aveva detto Mu, prevedendo ogni domanda diretta e senza distogliere lo sguardo dalle evoluzioni perfette delle creature alate sopra di loro “Questo mio cuore io l’ho già donato ad un’altra persona, come questa persona mi ha donato il suo…”

Il sospiro di Aiolia lo convinse ad abbassare il volto, per posarlo finalmente sull’amico il quale, a sua volta, aveva rivolto lo sguardo a terra. Lo risollevò quasi subito per porre la propria domanda:

“Aldebaran… vero?”

Mu annui, semplicemente, e Aiolia sorrise:

“Avrei dovuto capirlo… e come vedi, un po’ lo sospettavo…”

Quindi si alzò, sgranchendosi le membra come un leone che era stato a lungo disteso al sole e aggiunse, prima di allontanarsi:

“In questo caso non c’è nulla che si possa fare, Shaka dovrà accontentarsi della tua amicizia…”

Aiolia finse una leggerezza che evidentemente non provava e Mu rimase a guardarlo mentre scompariva oltre la gola che lo avrebbe introdotto alle vie segrete lungo le Dodici Case; poi, Aries abbassò nuovamente il capo e quello che iniziò come un sospiro, si trasformò in un autentico gemito di dispiacere puro.

“Mu, ti sei incantato? Sei ancora tra noi?”

La voce sbarazzina di Milo lo riportò bruscamente alla realtà del momento; perché si era focalizzato, con tale concentrazione, su quel ricordo, al punto di estraniarsi da tutto? Per tranquillizzare i compagni che lo scrutavano perplessi, sorrise e raccolse il sacchetto ricolmo di lettere e doni.

“Mi conviene andare ora” sentenziò “Altrimenti scomparirà nei suoi giardini e non mi azzarderei certo ad interrompere la sua meditazione.

Con un cenno del capo, si accomiatò dai ragazzi e aveva già compiuto parecchi passi quando Aiolia lo raggiunse per posargli una mano sulla spalla. Mu si arrestò, interrogando l’amico con lo sguardo.

“Shaka è triste, più che mai… sai quale sarebbe per lui il regalo più bello…”

Mu fece per ribattere, ma Aiolia lo prevenne:

“Non parlo del tuo cuore, non ti chiedo di innamorarti forzatamente di lui, come lo si potrebbe chiedere a qualcuno? Non sono così ottuso ma…”

Si bloccò, probabilmente in cerca delle parole giuste per esprimere quello che la mente gli suggeriva e, prima di concludere, sospirò chiudendo un attimo gli occhi:

“Io non credo che lui pretenda questo…”

Il santo di Aries rimase soprappensiero per qualche istante, con le sue iridi smeraldine lievemente lucide ma fondamentalmente imperturbabili, enigmatiche, quindi si limitò ad annuire, riprendendo il proprio cammino senza più voltarsi indietro.

 

 

 

 

 

L’acqua tiepida accarezzava le sue membra tese in seguito ad una notte popolata da sogni caratterizzati unicamente da due occhi verdi… quei due occhi dai quali lui agognava un riflesso diverso, non quella formale distanza, quel rispetto… occhi dai quali bramava un sorriso. Shaka rimpiangeva il sonno senza sogni che solitamente scandiva le sue nottate, Shaka rimpiangeva la propria perfezione spirituale, detestava quell’umanità che gli stava invadendo l’anima… lui voleva solo pace…

Si maledisse, ancora una volta da quando si era risvegliato; a tal punto si era spinta la sua fragilità? Al punto di fargli desiderare l’elevazione spirituale unicamente per sfuggire alle proprie umane pulsioni? Non era questo che aveva imparato in anni di rigido addestramento e privazioni.

Si erse, sorgendo dalla vasca come una driade da una polla incantata, e rimase così, in apparenza immobile, per parecchi istanti, se non fosse stato per quell’impercettibile fremito che lo scuoteva, come un giunco tormentato da una brezza leggera ma insistente e frustrante.

Si riscosse con uno scatto nervoso ed uscì dalla vasca, drappeggiando un telo di sobrio tessuto intorno al proprio corpo, rabbrividendo inaspettatamente: il fresco era arrivato senza preavviso e dalla finestra aperta l’aria entrava liberamente, spazzando via la calura che aveva impregnato quella stanza nel corso dell’afosa estate greca.

Si strinse nelle spalle; certo un po’ di freddo non l’avrebbe messo in difficoltà; bevve un sorso d’acqua ed indossò la lunga tunica intrisa dei sapori dell’India lontana, quindi, a piedi nudi, senza sentire il bisogno di dedicarsi ad una seppur frugale colazione, si diresse flemmaticamente verso la porta che l’avrebbe condotto ai suoi amati giardini; lì, sicuramente, avrebbe ritrovato la pace interiore… se così non fosse stato, se neanche gli alberi di Sala, con la loro mistica aura fossero riusciti ad infondergli la loro essenza, Shaka non si sarebbe più sentito degno di ritenersi ciò che era agli occhi di tutti e di se stesso.

Era già nei pressi della porta quando un gentile influsso palesò la sua presenza, era vicino, molto vicino e la voce del suo cosmo gli parlava:

“Mi permetti di entrare, custode della Sesta Casa?”

Shaka si irrigidì, consapevole dello scherzo che il destino stava giocando alle sue spalle, spazzando via, in un colpo solo, ogni proposito che si era auto-imposto poco prima. C’era un certo calore in quella frase convenzionale ma ancora non abbastanza; avrebbe dovuto rispondere, sì o no, qualunque cosa, che avrebbe pensato, l’ospite, di quell’ingiustificato silenzio da parte sua?

Stava per formulare un invito che fosse abbastanza sostenuto da mascherare il proprio turbamento, quando la voce ancora parlò, in modo diverso e con un tono che fece correre un fremito intenso lungo la spina dorsale di Virgo.

“Shaka, ti prego, mi permetti di entrare?”

Il primo impulso fu quello di ribattere malamente, ma come perdonarselo in seguito? Così, raccolse le proprie energie e la propria calma in un profondo sospiro e si decise a compiere i doveri di padrone di casa. Scandagliò i piani della mente per mettersi in contatto spirituale con colui che richiedeva una risposta e formulò, tranquillo, il proprio invito:

Entra Mu, ti attendo nei miei giardini…”

L’attimo dopo si irrigidì, con una smorfia di disappunto; perché aveva detto una cosa del genere? Perché invitare qualcuno nei suoi giardini? Chi aveva parlato? Non poteva essere stato lui, non si era reso minimamente conto di quello che sarebbe uscito dalle sue labbra.

“Io… sto impazzendo… sono completamente sconnesso…” balbettò, mentre apriva la porta che dava sul suo regno.

Ormai era fatta e tornare indietro era impossibile; avrebbe significato ammettere una debolezza che assolutamente non intendeva mostrare, neanche al giovane che stava varcando ora le soglie del suo tempio… no… neanche per lui…

A cosa sarebbe servito? A renderglielo più vicino? La propensione ad illudersi non apparteneva al sacro guerriero di Virgo. Scuotendo il capo e gettando indietro una ciocca che gli ricadeva sulla spalla, ornandogli il petto come un prezioso gingillo dorato, entrò nei giardini, dirigendosi a passo sostenuto ed insolitamente nervoso verso gli alberi di Sala.

 

 

Mu era inquieto ma, come suo solito, nascondeva quella forma di preoccupazione dietro ad un viso calmo, pacato. Era insolito il comportamento di Shaka. Non era da lui invitare qualcuno nel suo labirinto privato, nella sua oasi di Santo Raccoglimento.

In parte ne era lusingato, ma era soprattutto preoccupato. Sapeva bene che se Shaka, o la parte del suo amico che teneva ad un legame con lui, lo aveva invitato, era per diminuire quel distacco classico che il Santo della sesta casa dimostrava con tutti. Il giovane tibetano ne aveva la certezza assoluta.

Eppure, il ragazzo sapeva che, come sempre, avrebbe dovuto usare la parte del suo carattere che tutti decantavano: la sua capacità di superare ogni cosa con un sorriso. Così, mentre attraversava le mura della casa, verso la porta sulla dimensione dei Sala, prese coscienza della sua forza, ma non per superbia, quanto per altruismo.

Se tra i due qualcuno aveva bisogno di aiuto, questi era Shaka, anche se entrambi soffrivano per una situazione completamente incerta.

Lo scorse quasi subito, puntino luminoso con quei capelli che danzavano, turbinando insieme ai petali pianti dai due alberi; perché quella pioggia? Rifletteva forse la tristezza del cuore che con essi batteva in perfetta armonia? Mu si fermò, mentre un velo di profonda malinconia scese come un sipario scuro ad ottenebrare il suo animo.

“Avvicinati, Mu.. non restare lì come una statua…”

Aries sorrise; anche se Shaka teneva gli occhi chiusi, anche se appariva completamente immerso nel proprio personale universo, disinteressato e inconsapevole di ciò che gli accadeva intorno, in realtà vedeva molto meglio di chiunque altro e niente sfuggiva ai suoi sensi quasi onniscienti…

Eppure, nonostante tutto, era un essere umano e Mu non era lì, quel giorno, per trattarlo come una divinità o comunque come un oggetto prezioso a cui dovere il massimo rispetto; Mu era venuto a trovare un amico che compiva gli anni e a portargli l’amicizia di tutto il Grande Tempio.

Stringendo a sé la cesta affidatagli dai compagni, riprese ad avanzare, fino a portarsi di fronte al giovane indiano e, senza attendere un invito, osò sedersi al suo fianco; nessuno si era mai spinto a tanto, ne era consapevole ma era disposto a rischiare anche una sfuriata; era ben deciso a mettersi al medesimo livello di Shaka, era lì per parlare con un amico, non con un semidio.

Come si era aspettato, Shaka non fece una piega; non diede segno di apprezzare quel gesto ma neanche si adirò con lui.

Cosa posso fare per te, Mu?”

Tutto qui, una semplice domanda, senza che la posizione del corpo o i lineamenti del viso subissero una seppur vaga mutazione; era come se nulla di nuovo fosse accaduto e Shaka non si decideva a discendere tra gli uomini.

“Magari, come prima cosa, guardarmi in faccia quando mi parli…”

Shaka ebbe un lieve moto di sorpresa, Mu avrebbe pensato addirittura di spavento se ciò non gli fosse sembrato assurdo; non ottenne risposta… evidentemente, Shaka non sapeva come comportarsi in situazioni così confidenziali. Deciso ad andare fino in fondo nei propri intenti, Mu tentò di fare del proprio meglio per toglierlo dall’imbarazzo:

“Non credo di averti chiesto troppo… oggi vorrei parlare con un amico…”

 

 

 

 

 

Il silenzio scese assoluto e così totale che era possibile udire il lieve fruscio dei petali, quando si incrociavano nel loro volo o allorché si posavano, sofficemente, sul prato; ma Shaka poteva udire anche i palpiti del proprio cuore  e l’affanno del proprio respiro. Il suo corpo reagiva spontaneamente alle parole di Mu, al di fuori del suo controllo; lui gli ordinava disperatamente di restare calmo, di non cadere nella trappola, perché la pace interiore non doveva essere turbata da nulla.

Ma quale pace interiore, poi? Quella che continuava a fingere senza provarla realmente? Quella che avrebbe desiderato, con tutto se stesso, ritrovare?

E al tempo stesso, perché respingere per forza quella felicità, quel calore che gli carezzava lo spirito, sciogliendo la pietra che da tempo ormai gli opprimeva il cuore?

Per paura, naturalmente, simili sensazioni lo terrorizzavano… eppure, Mu non intendeva spaventarlo, Mu voleva solo essere gentile… Mu si stava rivolgendo a lui come ad un amico.

Pose fine all’attesa di entrambi, schiudendo le palpebre, quel tanto che bastava per accontentare il giovane al suo fianco, ma ancora non osava voltarsi verso di lui e guardarlo realmente; non lo fece finché ancora la voce flautata e questa volta maliziosamente ironica del santo di Aries non giunse di nuovo alle sue orecchie, accompagnata da una risatina appena accennata:

“Ciao, Shaka; ben tornato tra i comuni mortali.

Virgo si voltò con uno scatto nervoso, non sapeva neanche lui perché, forse per apostrofarlo con una frase cattiva ma, scontrandosi con lo smeraldo puro di quelle iridi d’antica essenza, plasmati in mondi che nulla avevano da invidiare ai paradisi spirituali nei quali la sua anima eternamente fluttuava, ogni istinto bellicoso si dissolse in un mutismo impregnato di timidezza.

Mu di Aries… l’unica creatura al mondo in grado di ridurlo in un tale stato, di gettarlo in una confusione di pensieri e di intenti a causa della quale sentiva di meritare la dannazione eterna.

Era come una sfida… nessuno di loro abbassava lo sguardo ma unicamente lui, Shaka, la viveva come tale; l’espressione di Mu era tutt’altro che bellicosa e non era neanche fredda o impassibile. Shaka non sapeva stabilire cosa ci fosse in quegli occhi e in quelle labbra che formularono nuove parole:

“Sai che giorno è oggi?”

Shaka colse al volo l’occasione per riconquistare il dominio dei propri nervi e, sollevando il viso verso il cielo sereno, assunse con naturalezza la solennità che gli era propria:

“Quale importanza può avere un giorno nel susseguirsi dell’eternità?”

L’imprevisto era di nuovo in agguato e si manifestò nel gesto improvviso di Mu; era raro che Aries perdesse la propria stabilità emotiva ma in quell’istante, nel suo movimento nervoso, c’era tanta rabbia, frustrazione, forse tristezza… era impossibile per Shaka non percepirli. Il santo della Prima Casa, con un balzo, si ritrovò inginocchiato di fronte a lui, allungò le mani, gliele posò sulle spalle, stringendo con una foga tale che Shaka si lasciò sfuggire un’esclamazione di protesta, soffocata sul nascere dal discorso concitato di Mu:

Perché non la smetti? Perché non ti decidi a scendere da lassù una buona volta e non permetti a chi lo desidera di restarti vicino, tra esseri umani… tra amici!”

Il raggelante silenzio scandì gli istanti successivi, durante i quali Mu non cambiò la propria posizione e Shaka sentiva le sue dita che lo afferravano, quasi a volergli strappare la carne, dilaniarlo… ma non era cattiveria… forse un disperato tentativo di ottenere qualcosa. Un refolo di vento introdusse, come a volerne sottolineare il significato essenziale, il sussurro di Mu:

“Buon compleanno, Shaka… buon compleanno da me, da tutti noi, da tutti i tuoi amici…”

Il santo di Virgo si strappò, con una pura dimostrazione di forza, a quel contatto, a quello sguardo; si sentiva minacciato, perché nuovamente perdeva il controllo… intimorito da che cosa? Dalla felicità soffocante che lo faceva tremare, da quel pizzico insistente agli occhi… cos’era? Non lacrime, non era assolutamente possibile, né concepibile che lui si sentisse tanto commosso fino alle lacrime… per una cosa del genere, una futilità tanto palese agli occhi degli Dei… agli occhi degli Dei o ai suoi occhi? Non era, quella, una ridicola scusa per fuggire a ciò che gli stava accadendo?

Mu era rimasto in ginocchio, lo scrutava, dal basso, mentre Shaka guardava lontano, un punto indefinito davanti a sé, o forse non guardava realmente nulla; lentamente, abbassò il capo, serrando le palpebre e riaprendole subito dopo; non sapeva cosa avrebbe detto a Mu, non sapeva neanche come quei bizzarri momenti lo facessero sentire. Avrebbe lasciato fare all’istinto; mentre ricercava, con il proprio sguardo, lo sguardo del compagno, notò per la prima volta la cesta, con il telo di stoffa leggera che ne celava il contenuto.

 

 

 

 

 

Mu non sapeva spiegarsi il motivo della propria reazione così colma di rabbia; era giunto lì con l’intento di rapportarsi con Shaka da amico ma, di fronte alla resistenza di quest’ultimo, la solita flemma del custode della Prima Casa era venuta meno. Lo scopo che si era prefissato era troppo importante, si era reso improvvisamente conto di quanto per lui fosse essenziale assolverlo, non per un vano moto d’orgoglio ma per l’affetto autentico che nutriva nei confronti di quel ragazzo al fianco del quale aveva trascorso i suoi primi anni da Saint. Quand’erano piccoli, i loro spiriti erano affini, spesso si trovavano da soli, a parlare di ciò che ritenevano importante, del loro ruolo di sacri guerrieri e dei misteri sconfinati del cosmo.

Poi, gli anni avevano reso Shaka distante dal mondo, distante dai compagni ed anche da lui che era stato, per tanti versi, il suo amico del cuore… un amico che Mu, ora ne era consapevole, era deciso, a tutti i costi, a ritrovare.

Seguì con attenzione ogni movimento di Virgo e, quando gli occhi azzurri, che il giovane aveva accettato di aprire per lui, si posarono sulla cesta che Mu teneva al proprio fianco, Aries la prese e si alzò, tendendola al compagno con entrambe le mani, ripetendo, a voce più alta, autoritaria, come a voler significare che ciò che diceva non ammetteva repliche:

“Buon compleanno, Shaka!”

Il santo di Virgo aveva gli occhi sbarrati, Mu non glieli aveva mai visti tanto grandi, perché così immensi erano solo quando Shaka li apriva, dopo aver raccolto un cosmo dal devastante potenziale, per liberare tale energia e colpire, in modo distruttivo, il nemico che aveva di fronte… e Mu non era mai stato tra questi nemici, neanche quando, durante la guerra civile al Santuario, si erano trovati in opposti schieramenti. E non era certo per distruggere che ora a Mu li mostrava in tutta la loro superba grandezza; per una volta, quelle iridi di zaffiro erano colme di meraviglia, fragilità… umanità… e, proprio per questo, erano più belle che mai.

“Che… che cosa c’è lì dentro?” mormorarono le labbra, fanciullesche e rosee, come boccioli di rosa mai fioriti; perché Shaka era così, un guerriero di indomabile ardore, saggio come un essere millenario, ma fanciullo e vergine nei suoi rapporti col mondo.

“I pensieri di tutti i tuoi amici…” rispose Mu e, mentre le mani femminee di Shaka si allungavano, timidamente, con una goffaggine che non era mai stata sua, a prendere quel canestro dal misterioso contenuto, con la delicatezza di chi si trova a maneggiare un fragile tesoro, il cuore e gli occhi di Aries si colmarono di una dolcezza infinita.

Reggendo il proprio dono tra le mani, Shaka indietreggiò di qualche passo, le palpebre ora quasi del tutto chiuse, a lasciar filtrare un solo raggio d’azzurro intenso, il viso abbassato sull’oggetto; solo quando si ritrovò nuovamente tra gli alberi di Sala, si chinò, accovacciandosi a gambe incrociate, lo sguardo fisso sulla cesta e così rimase immobile, per lunghi istanti. Dava l’impressione di una statua di cera assolutamente priva di respiro e soffio vitale.

Mu sorrise; anche nell’aprire un dono, Shaka aveva bisogno di raccogliersi in se stesso. Aries non si sarebbe stupito se si fosse messo a meditare, per ore, prima di decidersi a sollevare quel telo, dando alla luce i segreti che esso celava… segreti umani e terribilmente semplici se confrontati a ciò che la mente di Shaka conosceva e vedeva giornalmente… ma il loro valore era realmente così infimo al cospetto delle vastità dello spirito? Mu non lo credeva, perché sotto quel telo era racchiuso tutto l’amore che forse Shaka non aveva mai percepito, un universo per lui ancora totalmente sconosciuto.

 

 

 

 

 

Era come stringere tra le mani un piccolo universo che racchiudeva ciò che i suoi compagni non avevano mai avuto il coraggio di dirgli o di dimostrargli… certo non a causa loro… Questi erano i pensieri che affollavano la mente di Shaka mentre contemplava la cesta, estraniato da tutto il resto, anima e corpo focalizzati su quell’oggetto, tanto piccolo nell’infinità assoluta del tutto ma forse contenente quanto di più immenso il suo spirito avesse mai percepito.

Strinse tra due dita un lembo del tessuto e, con calma studiata, lo sfilò, lentamente; non voleva lasciarsi prendere dalla fretta, una voce dentro di lui gli suggeriva di vivere quei momenti istante per istante, per non rimpiangere dopo di non averne assaporato ogni singolo, minuscolo frammento.

Il panno scivolò via, rivelando un variopinto universo di personali, piccole follie: oggetti, lettere, bigliettini, il tutto adagiato su un guanciale tricolore di petali… Shaka non dovette concentrare molto la fantasia per indovinare come essi provenissero dalle rose bianche, nere e rosse di Aphrodite, come sua doveva essere la minuscola e elegante grafia che spiccava sul bigliettino in testa a tutti gli altri.

Shaka lo prese, lo lesse:

“Il mio regalo sono i petali di rosa, Piccolo Buddha, nient’altro mi sembrava indicato da parte mia; ricordano un po’ i petali di Sala, no? Per questo li dovresti apprezzare, buon compleanno e vienimi a trovare nei miei giardini ogni tanto, non hanno molto da invidiare ai tuoi, sai?^*^”

Il santo di Pisces che a stento, qualche volta, gli aveva rivolto la parola, aveva scelto un modo delizioso per rompere il ghiaccio tra loro… per tentare di farlo almeno… ora tutto dipendeva da Shaka e lui ne era ben consapevole. Non era altrettanto certo di sapere come si sarebbe comportato; doveva ammetterlo, parecchie sfaccettature della propria persona sfuggivano a egli stesso, per quanto, a detta di tutti, ne sapesse più di chiunque altro sulle inconoscibili contrade dello spirito.

 

 

 

 

 

Era un sorriso quello che aleggiava sulle labbra di Shaka? In un primo momento, Mu credette di avere assistito ad un fugace miraggio ma, continuando ad osservarlo, da qualche passo di distanza, fu costretto a confermare la prima impressione. Un vago, etereo sorriso mentre, con il pollice e l’indice, raccoglieva un petalo rosso e se lo portava alla bocca, poi alle narici, saggiandone la delicata fragranza.

Quell’espressione rara non cambiò mentre, uno ad uno, scopriva i doni e le parole d’amicizia impresse sui pezzi di carta colorati; ogni Gold Saint aveva lasciato la propria firma in quella cesta, partecipando con quelli che erano quasi simboli di riconoscimento: lo scorpioncino di pezza, per esempio, era chiaramente di Milo. Mu sapeva che, insieme ad Aphrodite, era tornato nel negozietto dove aveva acquistato, molto tempo prima, quelli identici che aveva regalato a Camus e, fortunatamente, ne avevano trovato un altro.

Uno ad uno, sorgevano dalla cesta piccole meraviglie, imbevute del desiderio di dare affetto a chi non si era mai mostrato in grado di riceverlo; ma forse, quel giorno, qualcosa sarebbe cambiato. Era questa, in fondo, la speranza che aveva spinto gli animi di tutti a mettere in quel tentativo la propria parte, seppur minima, ognuno con la propria indole e le proprie capacità emotive.

Persino l’algido Camus aveva partecipato, lui che forse, in quanto a distacco, riusciva a volte a superare lo stesso Shaka; eppure Camus si era fatto il proprio gruppetto di amici, probabilmente più che altro grazie al rapporto che aveva instaurato con Milo e che, per certi versi, si era rivelato una fortuna per il guerriero dei ghiacci. Mu avrebbe voluto, dal canto suo, rivestire per Shaka il medesimo ruolo ma non era possibile; Milo era il compagno di Camus… Mu non poteva diventare il compagno di Shaka… ma amico sì, bastava che Virgo lo desiderasse e Mu gli avrebbe fatto da guida, nel mondo dei comuni mortali, come il Buddah era stato sua guida nel mondo degli spiriti.

Lo stesso Mu era solitario, riflessivo, la sua natura era fondamentalmente spirituale ma, al tempo stesso, la sua indole gli permetteva di equilibrare tali tendenze con la capacità di stare bene tra compagni; suo scopo era fare in modo che per Shaka fosse lo stesso e per questo era disposto a prenderlo per mano.

Era proprio il regalo di Camus che adesso Virgo osservava, quel cristallo di ghiaccio perenne che neanche i raggi del sole sarebbero riusciti a sciogliere; sarebbe rimasto lì, nel tempio di Virgo, in eterno, e ogni volta che Shaka lo avesse desiderato, avrebbe potuto prenderlo in mano, come adesso stava facendo e sondare i segreti di qualche nuova dimensione incantata attraverso l’immacolata trasparenza.

E dopo quello, uno dopo l’altro, gli altri doni; Mu non li aveva visti tutti prima che la sporta venisse coperta e anche adesso non li notò, preso com’era ad osservare le espressioni che si susseguivano sul volto di Shaka; per il sacro guerriero di Virgo, si trattava di nuove scoperte e nuove emozioni, era come un bambino che, con approccio innocente, si appropriava di tesori mai visti prima.

L’esplorazione della cesta ebbe una durata interminabile, almeno questa era l’impressione di Mu; la sospensione di quegli attimi era tale che potevano essere passate ore, come pochissimi minuti. Alla fine, il volto di Shaka si levò, cercando il suo, ancora quel sorriso disarmante che Mu ricambiava, intuendo cosa il compagno stava per dire:

“Mi sembra che, qui dentro, manchi all’appello qualcuno…”

Mu si lasciò sfuggire un risolino tra le labbra appena schiuse, sommesso, con l’eleganza discreta e spontanea che sempre lo caratterizzava e che gli impediva di abbandonarsi a plateali manifestazioni, perché lui era pacato in tutto, nella rabbia esplosiva e nella gaia ilarità dei momenti di gioia.

Avanzò, un passo dopo l’altro, finché non giunse abbastanza vicino da potersi nuovamente inginocchiare davanti al compagno e gli tese una mano, il palmo rivolto verso l’alto, un chiaro invito che, dopo un attimo di esitazione, Shaka non osò rifiutare. Le loro dita, fini e lunghe, bianchissime come l’avorio più puro, si sfiorarono, dapprima timidamente e poi, quelle di Mu si chiusero con decisione su quelle di Shaka, per prevenire ogni impulso alla fuga, rischio sempre in agguato da parte del timido custode del Sesto Tempio.

“Io… ho portato me in dono…”

Shaka ebbe un moto di sorpresa e le sue labbra si schiusero ma non riuscì a dire nulla; invece, dopo avere sbarrato per un istante gli occhi, li richiuse un poco e abbassò lo sguardo. Solo dopo un nuovo, lunghissimo silenzio, le sue labbra esalarono un sospiro che si mutò in parole:

Ed è il dono più bello per me…”

Mu annuì e il suo cuore esplose di gioia, perché il miracolo si era compiuto. Si alzò, senza lasciare la mano di Shaka che fu costretto, in tal modo, a seguirlo in quel movimento; era giunto il momento di tentare il passo successivo:

“Esci con me; vieni a ringraziare i ragazzi di persona…”

Il sorriso di Shaka si accentuò ed accompagnò il cenno di dissenso del capo:

Ringraziali tu da parte mia, ti prego… dammi ancora un po’ di tempo… forse… più tardi…”

Il santo di Aries rispose con un sospiro ma non era deluso in fin dei conti: non poteva pretendere troppo, tutto in una volta.

“Come preferisci ma permettimi una cosa…”

Non aggiunse altro e suggellò la frase gettando le braccia intorno al collo di Shaka ed attirandolo verso di sé, stringendolo forte; si sentiva bene, perché quella creatura che in tal modo stringeva era l’amico del cuore ritrovato, ne era certo… e non l’avrebbe più lasciato fuggire via.

 

 

 

 

“Oddio, ma dove vogliono arrivare?! Non è bello nei confronti di Aldebaran…” dal punto in cui si trovava, lo scorpione poteva solo vedere i gesti dei due silenziosi amici, finalmente ritrovati, dopo anni di lontananza. A quattro zampe, sul pavimento della sesta casa, sbirciava all’interno dei sacri giardini attraverso una piccola fessura della porta socchiusa. La curiosità tutta umana di Milo aveva preso il sopravvento all’ultimo momento e non ce l’aveva fatta a stare lontano dalla sesta casa. Occultando completamente la sua persona, spiava i due compagni con un ghigno sulle labbra.

“Beh, speriamo che non si bacino! Questo non potremmo tenerlo nascosto ad Aldebaran, non sarebbe giusto nei suoi confronti…” sentenziò con serietà esagerata Aphrodite, seduto a gambe larghe sulla schiena dell’amico e facendosi leva con le mani premute contro le spalle del greco, per infilare meglio il naso attraverso la fessura e osservare con rapito interesse la dolce scena appena consumatasi di fronte a lui.

“Sentite… se vi ho permesso di partecipare a qualcosa come questo non è per giudicare negativamente le azioni di Mu e poi… voi due non dovreste neppure dare da vedere di conoscere la storia di Mu e Aldebaran…” Aiolia era frustrato dall’idea di aver fatto un bel guaio, ma dopotutto aveva solo leggermente anticipato i tempi, questo un po’ lo consolava.

In realtà si sentiva mortalmente in colpa, ma non voleva affatto dire di avere sbagliato, il suo orgoglio non glielo permetteva. Comunque, era difficile tenere nascosto qualcosa a Milo ed Aphrodite, se loro avevano anche il più blando sospetto su qualcosa!

Tanto prima o poi lo diranno a tutti! Oh, ma guardate come sono belli!” Milo si avvicinò leggermente, per guardare meglio.

“Siete due cretini, andiamo via che è meglio per entrambi.. se se ne accorgono ci fanno la pelle…” Aiolia fece per voltarsi, ma rimase con gli occhi sbarrati di fronte alla figura imponente di Aquarius che lo osservava, le mani intrecciate sul petto e lo sguardo severo, da maestro, che mai abbandonava il suo viso chiaro.

Con un gesto gelido, spinse da parte lentamente Aiolia, dirigendosi direttamente verso Milo e Aphrodite, prendendoli per le orecchie e tirandoli via lontano dalla porta.

La festa era finita: Camus, senza dire una parola a Pisces e Scorpio, trascinando i due ragazzi dolorosamente dietro di lui, si allontanò intimando al Leone:

“Per ora porto via i bambini. Se non sei fuori in pochi minuti torno qui e serbo lo stesso trattamento anche a te!”

Aiolia deglutì.

Sapeva che l’avrebbe fatto e, comunque, avevano finito di sbirciare come dei ragazzini. Con un sorriso soddisfatto sulle labbra, si avvicinò alle pesanti porte e chiuse lentamente il piccolo spiraglio.

 

 

 

 

 

Quando Mu l’aveva abbracciato, la scorza che si era formata nel corso di anni infiniti, si era sciolta in pochi attimi… erano bastate quelle braccia e quel tenero bacio sulla guancia con il quale Aries si era congedato poco dopo. Shaka gli aveva chiesto di salutare Aldebaran da parte sua, infarcendo la battuta con un occhiolino malizioso. Gli occhi di Mu, quegli occhi che sempre splendevano assorbendo i raggi del sole, si erano oscurati per un istante, questa era stata la sensazione di Shaka e Virgo credeva anche di conoscere i reconditi motivi di quel malessere improvviso.

Shaka ancora sorrideva, dopo averlo visto allontanarsi; si ripromise di rasserenare sempre Mu sotto quell’aspetto, dato che null’altro che amicizia Aries poteva concedergli… e Virgo nulla di più desiderava, perché non era certo lui stesso di poter concedere altro… l’amore? Certo, lo amava, ma la percezione dell’amore che Shaka arrivava a concepire, era puramente spirituale, platonica, completamente libera da ogni connotazione fisica… forse per questo il rapporto di Mu con Aldebaran non lo turbava affatto… non tanto da gettarlo nella disperazione comunque, perché non gli impediva di amare la fonte dei suoi sogni; il proprio amore, puro e distante dal piano materiale, gli bastava.

E finalmente, grazie alla visita di Mu, aveva ritrovato la pace perché aveva potuto fare luce in se stesso… soprattutto aveva ritrovato un amico, l’amico che, ora poteva affermarlo con certezza, gli era mancato per anni.

Si chiese se raggiungere o meno gli altri… forse più tardi aveva promesso a Mu… forse quel giorno no, non ancora, forse neanche domani… ma adesso si sentiva nuovamente bene.

Sereno sul volto e nel cuore, si accovacciò ancora, nella posizione del loto, la cesta tra le gambe e la sua mente si innalzò, mutandosi in mistica invocazione:

“Mio Signore…

“Sono qui, Shaka… sono sempre stato con te, lo sai…”

“Ora sto bene, Mio Signore… non è più turbata la mia anima…”

“Lo vedo, figlio mio… e ne sono lieto…”

Intorno, i petali di Sala danzavano, quasi volessero anche loro festeggiare quel giorno in cui, anni prima, il loro puro custode aveva visto la luce, per illuminare il mondo, ancora una volta, come sempre era stato nei secoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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