Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Amens Ophelia    17/07/2014    12 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 



20. … et nos cedamus Amori

 

 
Un bouquet fiorito e profumato, fatto recapitare a casa; una festa degna di restare negli annali della città; un regalo da mozzare il fiato… C’erano tanti modi per immaginarlo, ma Hinata non aveva mai pensato seriamente a come avesse potuto festeggiare i suoi diciotto anni, un po’ perché abituata a reputare il raggiungimento della maggiore età come una pura formalità e un po’ perché negli ultimi anni non c’erano stati grandi spiragli positivi, fra le mura domestiche. Il proprio compleanno, in fondo, era sempre stato l’ultimo dei suoi pensieri.
          Improvvisamente, però, era tutto cambiato e lei si trovava lì, quel ventisette dicembre, proprio in virtù degli esiti – negativi, ma non per questo in grado di abbatterla – di tale mutamento.
          Esistevano diverse maniere per celebrare il fatidico traguardo agognato da qualsiasi adolescente, ma un’aula di tribunale era sicuramente quello che nessuno si sarebbe mai aspettato. Eppure, lei non aspirava a chieder di meglio.
 
Si girò con calma per scrutare il pubblico alle proprie spalle – che rumoreggiava, poco prima dell’udienza – e scorse diversi volti familiari, mescolati a quelli di alcuni ufficiali, giornalisti e cittadini comuni. C’era Fugaku, ancora in piedi, ai margini della sala, che scambiava qualche parola con dei colleghi e rivolgeva a lei e a Hiashi degli sguardi carichi di quell’autorità rasserenante che solo lui era in grado di esprimere. Qualche fila dietro di lei, invece, riusciva quasi a distinguere la voce chiara, pacata e profonda di Itachi, preso a chiacchierare con Neji e Sasuke; non erano voluti mancare a quell’appuntamento con la resa dei conti, non solo perché testimoni del suo ritrovamento al cantiere, ma, soprattutto, perché artefici del miracolo. Se avesse posseduto l’ardore giusto, non avrebbe esitato un solo secondo a definirli come gli uomini della sua vita – di quella frazione d’esistenza che possedeva tutte le qualità per poter essere considerata tale, almeno.
         Colui che avrebbe invece gridato al mondo essere sempre stato, nel bene e nel male, il suo punto di riferimento sedeva accanto a lei, rigido ma composto, con lo sguardo fisso al banco degli imputati. Per degli osservatori esterni sarebbe potuto apparire come una persona fredda, imperturbabile, persino vuota, incapace di amare, ma Hinata aveva ricevuto la prova che tutto ciò era solo pura apparenza. Il modo in cui le sfiorava le dita della mano – abbandonata sul seggiolino di legno -, di tanto in tanto, o i sorrisi appena abbozzati agli angoli delle labbra, in sua direzione, erano solo la punta dell’iceberg di un sentimento paterno di affetto e preoccupazione ben radicato e profondo.
          «Mi dispiace… non ho potuto far niente per cambiare data», le ripeté per la quinta volta, quella mattina, guardandola negli occhi.
          Quelli dell’uomo erano così fermi, fieri e chiari da poterle ispirare solo fiducia e gratitudine. Sì, riconoscenza per averla aiutata a crescere forte e con un cuore puro, incapace di spezzarsi anche sotto i colpi più duri, per esserle stato accanto e averla sostenuta mentre affrontava una fase delicata e dolorosa, e per non averla abbandonata – come invece aveva temuto potesse fare.
          Nonostante il suo essere arcigno, dispotico e severo, aveva sempre e solo cercato di proteggerla, di evitarle situazioni del genere; Hinata l’aveva capito e, del resto, i guai non se li era mai andati a cercare da sola. Aveva solo seguito il suo cuore: poteva farsene una colpa?
           La risata rilassata di Neji, in fondo all’aula – cui avevano risposto un sonoro grugnito di Sasuke e una nuova esplosione di spensieratezza di Itachi –, le confermò che essere suddita di Amore e delle sue disposizioni sarebbe sempre restato il suo imperativo. Avrebbe affrontato momenti anche peggiori di quello, forse, ma poter contare sull’affetto e la salvezza dei suoi cari l’avrebbe ripagata di ogni pericolo corso.
           «Insomma, il proprio compleanno non dovrebbe essere trascorso in un luogo come questo», mormorò Hiashi, senza abbassare lo sguardo.
            Hinata sorrise, nel tentativo di rasserenarlo. «Non importa, anzi, sono lieta che oggi tutto finisca». “E che inizi la nostra primavera”, avrebbe aggiunto, se l’entrata in scena del suo avvocato non l’avesse distratta. Avrebbe gradito che a occuparsi del caso fosse stato il padre, ma capì che ciò non sarebbe potuto avvenire, essendo lei – la figlia – la parte lesa, e l’àmbito della contesa diverso da quelli su cui lui giornalmente lavorava.
            «Bene, allora ti lascio con il signor Yumita. Andrà tutto per il meglio», affermò il genitore, accarezzandole il capo. Strinse la mano al suo collega, capo della procura di “Crimini violenti”, e si accomodò una fila dietro la ragazza.
            Hinata salutò educatamente l’uomo che si era messo all’opera per lei fin dalla fase istruttoria e ascoltò con calma le sue ultime spiegazioni riguardo il processo. 
            Ecco, tutto si sarebbe chiuso lì, in quell’aula. Non si curava delle pene che il magistrato avrebbe inflitto agli imputati, del clamore che l’evento avrebbe sicuramente destato nella comunità – se ancora fosse esistito qualcuno che non ne aveva ricevuta notizia –, o di qualsiasi cosa sarebbe potuta accadere di lì in avanti.
            Non era sola, non lo sarebbe mai stata.
 
L’acceso colore rosso della chioma della prima accusata ad essere chiamata in causa catturò lo sguardo della ragazza, impedendole di ascoltare ciò che il suo avvocato e il giudice le stessero chiedendo. Improvvisamente, tutto il mondo sparì, di fronte agli occhi stanchi, abbassati e privi di barriere – come occhiali o lenti a contatto – della Uzumaki.
            Non riusciva ad odiarla. Non ce l’aveva fatta nemmeno nei giorni che l’avevano separata dal processo, quando si era trovata a pensare ai motivi che l’avessero spinta a procurarle tanto dolore. Aveva formulato e scartato diverse ipotesi – semplice antipatia, gelosia scolastica o di matrice amorosa? -, giungendo alla verità grazie a una ricostruzione degli eventi ragionata con il cugino, dopo tante riflessioni, ma nemmeno così era stata in grado di avvertire risentimento e sete di vendetta.
            Certo, a essere sinceri non provava troppa pietà per Karin, né poteva ancora dire di essere disposta a perdonarla su due piedi, soprattutto perché aveva ingannato Neji e finto di essere innamorata di lui per servirsene. Il consanguineo non era un mezzo per raggiungerla e abbatterla, non era un freddo automa incapace di provare emozioni! Ecco, se si fosse limitata ad affrontarla apertamente, anche a schiaffeggiarla o a insultarla, senza dover ricorrere a ricatti e alla manforte di Hidan, nessuna delle due si sarebbe trovata là e, forse, lei sarebbe riuscita a comprenderla, scusarla e conoscerla.
            Quelle mani davanti al viso, mentre le veniva posta la fatidica domanda “L’imputata si dichiara innocente o colpevole?”, però, la colpirono profondamente. Era una ragazza sola, ora più che mai. Una diciottenne cui non erano state offerte alternative di miglioramento, fra l’affidamento a una zia poco interessata alla sua crescita e le cattive compagnie, fra la scuola e i pub più malfamati. Comprese che la vita di Karin si era sempre svolta tra un estremo e l’altro, tra la normalità – magari non del tutto integra, ma da ricostruire con qualche margine di successo – e la distruzione – propria e altrui.
            «Dunque, signorina Uzumaki, come si dichiara?». Ancora quella domanda, a pungolarla.
            «Innocente», scattò prontamente il suo difensore, incurante delle obiezioni.
            La rossa alzò lentamente il volto, mentre le sue mani raggiungevano il grembo, strette in una morsa che era fragile e debole quanto lei, in quel momento. «Colpevole», gracchiò con un filo di voce, lanciando uno sguardo vuoto in direzione di Hidan.
 
***
 
Il ragazzo dai capelli argentei aveva mantenuto la propria aria strafottente e imperturbabile per tutta la durata dell’interrogatorio, senza farsi scrupoli di rispondere in modo maleducato alle domande postegli, né temendo le minacce di aggravanti per tale condotta irrispettosa verso chi incarnava la legge.
            Aveva osservato apertamente Hinata, senza però lasciar trasparire alcuna emozione sul volto; in quei frangenti, tutta la sua sbruffonaggine spariva e le parole con cui avrebbe desiderato replicare a Toshiro Yumita gli morivano in gola. Non riusciva a credere che fosse riuscita davvero a sfuggirgli, anzi, a fermarlo, quella notte. E l’aveva fatto quando era visibilmente a pezzi, una preda facile e inerme, paradossalmente. Ricordava il suo sguardo vuoto, mentre le aveva violentemente sfilato il reggiseno, così come quasi percepiva ancora l’acqua fredda che l’aveva bagnato mentre lui stesso l’aveva estratta dalla vasca. Cos’era, quella fanciulla? Perché il suo sguardo chiaro e privo di lacrime riusciva a mettergli i brividi?
             Gli bastava scrutare Karin per ritornare in sé. Era diviso tra la voglia di insultarla – la migliore delle alternative, se scartava l’ucciderla e il ferirla gravemente – e di esserle stranamente grato. Sì, perché quel processo avrebbe segnato in qualche modo il suo riconoscimento ufficiale come ragazzo difficile, anzi, come malvivente, al pari del rinomato Kakuzu. Oh, Jashin avrebbe chiuso un occhio se per una volta lui avesse stimato quel suo compagno di scorribande come un idolo!
             «Ha dichiarato di essere innocente, quindi la prego di prendere parte al dibattimento e rispondere alle mie domande in modo appropriato», lo esortò Yumita, spazientito dall’ennesima dimostrazione di sfrontatezza del giovane. «Il suo modus operandi è stato diverso, stavolta: nessuno spargimento di sangue, lacerazione fisica o tracce che possano far pensare a un rituale. A prima vista, è parso come un caso a sé stante, ma abbiamo controllato le testimonianze di altre ragazze aggredite, di giovani coinvolti in risse fuori dai locali, e sottoposto loro una sua foto: tutti l’hanno riconosciuta, signor…».
             «Hidan», tagliò corto lui, poco incline ai convenevoli.
             «Il suo capo d’accusa si aggrava».
             «Tanto meglio», mormorò a denti stretti.
             Una parte di lui non desiderava altro che il carcere, ma ancora non sapeva dire se fosse quella che l’avrebbe voluto salvare o meno. La galera lo avrebbe messo sulla retta via, forse, oppure avrebbe contribuito a renderlo ancora peggiore, più infuriato e pericoloso di quanto non fosse già così; per quanto si sforzasse di capire quale sarebbe stato l’esito della reclusione – un salvataggio o una condanna, per la sua anima? –, nessuna delle alternative gli dispiaceva. Cosa aveva da perdere, in fondo, una volta sbattuto dietro le sbarre? Un impiego saltuario come operaio edile e la libertà – della quale non aveva mai goduto come si dovrebbe, dati 
i bassifondi che frequentava e l’asprezza della sua esistenza.
            «Senza contare che la signorina Uzumaki ha espressamente fatto il suo nome, durante la deposizione in commissariato», proseguì il pubblico ministero, nella figura del signor Yumita.
            Sapeva anche questo ed era il motivo principale per cui desiderava ucciderla.
            Si era rivolta a lui per intraprendere una spedizione punitiva nei confronti di Hinata, la sua rivale in amore, con il duplice scopo di ferirla e spezzare il cuore di Sasuke; tentativi andati a vuoto, da quanto aveva potuto osservare alcuni minuti prima dell’inizio dell’udienza, dacché l’Uchiha si era avvicinato alla vittima e l’aveva confortata.
             Karin aveva domandato il suo aiuto per poi fallire nei propri intenti, consegnarsi alla polizia – spinta ai ferri corti da un potente senso di colpa – e citare il suo nome! Doveva essere pazza.
             Hidan strinse i denti e ignorò le domande al vetriolo con cui l’avvocato della Hyuga lo incalzava, così come non si degnò di rispondere alle successive sollecitazioni dell’Accusa.
             Gli chiedevano il motivo di quell’attacco verso Hinata, perché si fosse inspiegabilmente trattenuto dal violarla e l’avesse poi lasciata al cantiere… come se lui non ci avesse mai pensato, in quelle settimane! Come se fosse giunto a delle conclusioni! La ragazza dai capelli blu, semplicemente, lo aveva mosso a pietà, quando si era lasciata cadere nella vasca. Aveva temuto il peggio, non vedendola muoversi nell’acqua fredda, e l’idea di aver causato la morte di qualcuno, in quei minuti di panico, l’aveva turbato oltre ogni dire. Era un controsenso: voleva davvero essere un violento, un criminale, un ceffo al pari di Kakuzu, ma tale prospettiva, quella notte, gli aveva raggelato il sangue nelle vene. Chi voleva prendere in giro? Non era capace di uccidere; per quanto fosse consumato dalla delinquenza, non era marcio quanto credeva. Di conseguenza, poteva aspirare a salvarsi?
             Tornò a osservare la Hyuga e sospirò, ritrovandosi il suo sguardo chiaro e vigile addosso. Vedendola tanto determinata, in quell’aula, quasi non credeva di averle potuto fare del male; insomma, quale ragazza, dopo un tentativo di stupro, riusciva ancora a guardare il nemico negli occhi? Era da ammirare, non poteva negarlo. Il modo in cui il suo viso lo condannava ma, allo stesso tempo, lo spingeva verso la propria redenzione, poi, lo aiutò a fare chiarezza fra i tormenti.
             C’erano possibilità di recupero anche per lui, dunque? Non lo sapeva, ma poteva comunque provarci.
             «Finiamola qui; sono colpevole», ammise, stremato, lasciando di stucco il proprio difensore.
             La follia era davvero contagiosa.
 
***
 
Steso sul letto ancora disfatto – Mikoto non era riuscita a estirpargli quella cattiva abitudine che Itachi, invece, non aveva mai messo in atto –, Sasuke osservava il soffitto blu della sua stanza, con un avambraccio appoggiato sulla fronte e la luce arancione del lampione stradale dritta negli occhi. Il sole era calato troppo in fretta, ancora più velocemente di quanto solesse fare di norma in dicembre, secondo il suo parere, e la mattinata in tribunale si era esaurita altrettanto celermente.
            Si era tutto risolto per il meglio, sì, ma non riusciva a sorridere come avrebbe dovuto. La giustizia aveva trionfato, il torto subìto da Hinata era stato condannato, eppure non si sentiva sereno; non dopo aver appreso della condanna di una compagna di classe, di una ragazza con cui aveva, tra l’altro, fatto sesso. Nonostante il giudice avesse proferito le sue decisioni, il moro non poteva esimersi dal biasimarsi.
             Era tutta colpa sua. Già prima del processo aveva capito quale fosse stato il motivo che aveva spinto Karin a commissionare a Hidan un tale crimine e durante l’udienza, qualche ora prima, ne aveva avuta la conferma.
            Perché non facciamo coppia fissa?, gli aveva chiesto, una sera d'ottobre, dopo che lui si era alzato dal suo letto e si era rivestito.
            Perché non sono innamorato di te. Poteva rimproverarsi per aver riferito la verità?
            E poi gli sovvenne la scazzottata con Neji, alla festa di compleanno di Naruto; la Uzumaki aveva assistito e, senza dubbio, lo aveva aizzato lei contro Sasuke.
            Da lì in avanti, per quanto le acque sembrassero essersi calmate, le cose erano segretamente precipitate: Karin aveva escogitato un raccapricciante piano atto a umiliarlo, farlo sentire indesiderato e non ricambiato da Hinata, proprio ferendo quest’ultima. Una bassezza morale che non si sarebbe mai aspettato da una compagna di classe e che, anche dopo la sentenza del magistrato, non riusciva comunque a non collegare alla propria condotta libertina dei mesi passati.
            Se solo avesse provato a spiegare alla rossa che non desiderava intrecciare alcuna relazione con una ragazza, limitandosi invece al puro appagamento fisico, forse lei avrebbe compreso; o forse no, dacché la causa della sua gelosia era l’osservazione diretta della nascita dello strano, impredicibile e meraviglioso legame che si stava formando tra lui e la Hyuga.
            Capì che ciò che era successo si sarebbe compiuto comunque, sia che lui avesse trattato la Uzumaki con sensibilità, sia che si fosse mantenuto un bastardo di prima categoria. Era un dato di fatto, un’amara constatazione che non riuscì a sollevarlo.
 
«Possibile che tu sia sempre lì a poltrire?», lo ridestò Itachi, irrompendo nella stanza, senza nemmeno bussare; dopotutto, la porta era socchiusa
, per una volta, e il ventitreenne aveva interpretato quel particolare come un invito a introdursi nel territorio di Sasuke.
            «E possibile che tu, invece, non abbia nient’altro di meglio da fare che pensare a me?», bofonchiò l’altro, tirandosi su.
            Il maggiore avanzò di qualche passo, uscendo dall’ombra, e si sedette affianco al fratello. «È un modo carino per consigliarmi di farmi una vita?».
            «No, è un modo carino per dirti di farti i caz-».
            «Stai pensando alla sentenza, non è vero?», lo interruppe, guardandolo negli occhi.
            Sasuke abbassò lo sguardo, nel tentativo di nascondergli le riflessioni da poco interrotte, ma ancora ben leggibili sul volto.
             Le capacità deduttive dell’aniki erano incredibilmente ammirevoli, sebbene irritanti; perché non aveva intrapreso la carriera di poliziotto, come loro padre? O di psicologo, magari. Ancora non comprendeva cosa lo avesse spinto a laurearsi in Ingegneria, dal momento che avrebbe eccelso in qualsiasi facoltà. Non era certamente stato un percorso di studi facile, il suo, anzi, pensare a certi tomi su cui il laureato aveva sputato sangue lo faceva rabbrividire, ma perché limitarsi a un futuro lavoro così gettonato, sicuramente alla portata di più persone rispetto a un ruolo di spicco nel commissariato o a un comodo impiego da strizzacervelli?  Ovviamente, Sasuke ammirava il fratello, la sua capacità di andare a fondo in ogni cosa che intraprendeva, riportando encomiabili risultati, ma non veniva a capo della sua scarsa inclinazione a brillare, a spiccare sugli altri, per rimanere invece nell’ombra, in tutta la sua umiltà.
             Ecco, Itachi era modesto, non possedeva aspirazioni all’altezza del proprio acume, e tale caratteristica era comune anche alla sfera affettiva.
             Sasuke ancora ricordava un dialogo tenuto con Hinata, qualche giorno prima: la ragazza gli aveva fatto notare come il ventitreenne, anche in occasione della propria festa di laurea, non avesse ardito ad accostarsi a Konan, la giovane per cui il suo cuore aveva a lungo palpitato, e il moro era rimasto colpito da quell’osservazione. Non si era mai preoccupato troppo delle faccende amorose del fratello, ma saperlo così sensibile e poco incline al prendersi a tutti i costi ciò – o meglio, chi – gli piaceva, da una parte lo sconvolgeva – mettendo in evidenza quanto le loro indoli, sotto quel punto di vista, fossero diverse – e, dall’altra, gli accendeva nel petto maggiore ammirazione verso l’aniki. Itachi non era puro istinto, ma ponderatezza, razionalità… la voce della coscienza che a lui mancava, forse. Sasuke, invece, nonostante gli ottimi risultati scolastici, era l’incarnazione dell’impulsività, del temperamento meno logico, della risolutezza ad assecondare le proprie smanie, e Hinata era l’esempio più calzante di tutto ciò: aveva cercato di rinunciarvi, di farla avvicinare a Naruto, eppure si era scoperto innamorato di lei, tanto invaghito da non permettersi di perderla di vista nemmeno per un secondo. Beh, fatta eccezione per quella sera.
            «Una condanna giusta, non trovi? Cinque anni e nove mesi per quel farabutto e sei mesi di domiciliari e lavori socialmente utili per Karin; le è anche stato accordato il permesso di proseguire privatamente gli studi, in modo da potersi diplomare perfettamente in tempo con voi…».
             «Itachi, non sarebbe dovuto succedere», lo bloccò il fratello, rialzando il viso e stringendo i pugni.
             L’aniki sbatté le palpebre, sorpreso da quella reazione. «Certo, senza dubbio. Nessuno meriterebbe un’aggressione».
             «Non è questo il punto. Il fatto è che l’unico ad esserne uscito senza conseguenze sono io. Hinata è stata ferita, Karin e Hidan hanno affrontato un processo… ma la causa di tutto è il sottoscritto. Perché Hinata, nonostante ciò, non ha capito quanto sia stato rischioso starmi vicino? Perché ancora non rinuncia a me?».
             «Preferivi quando ti evitava?», ribatté il maggiore, aggrottando le sopracciglia. Vide Sasuke sospirare e scuotere la testa in segno di dissenso, ma non gli diede occasione di spiegarsi. «Ti senti responsabile, lo so, ma non devi addossarti le colpe dell’accaduto. Dopotutto, amavi Karin? Intendevi legarti a lei?».
             «No, ma se l’avessi fatto…».
             «E sei stato tu a chiamare Hidan? Gli hai chiesto tu di aggredire Hinata?».
             Una ruga di rabbia si formò tra le sopracciglia del diciottenne. «Certo che no!», ringhiò, non capendo dove volesse andare a parare.
            «Bene, allora perché dovresti sentirti colpevole?», concluse retoricamente Itachi.
            Era incredibile quanto quelle poche battute del ragazzo fossero state in grado di spazzare via i dubbi e le dolorose accuse che Sasuke aveva rivolto verso se stesso; aveva ragione, non era responsabile degli eventi accaduti, ma accettare tale rivelazione e, soprattutto, capire quanto Hinata fosse profondamente innamorata di lui – tanto incantata da non rinunciare all’Uchiha nemmeno dietro la volontà del padre – era difficile. Ci sarebbero volute settimane, forse mesi, per rendersene conto, ma quel dialogo con Itachi era già un ottimo punto di partenza, dopotutto.
            Osservò il fratello rialzarsi con calma dal letto e camminare verso la porta della stanza. Appoggiò una mano sull’infisso, finse di grattare via qualcosa di invisibile dal legno e lanciò un’occhiata fugace a Sasuke.
            «Ho sentito che ci saranno i manicaretti di Ichiraku», mormorò con vaghezza, continuando nella sua occupazione insensata.
            «Ah?», domandò l’altro, come appena risvegliatosi da un sogno.
            «La festa dagli Hyuga, per il compleanno di Hinata. Le ho rinnovato gli auguri via telefono, poco fa, e mi ha raccontato dei preparativi», spiegò con nonchalance. «Hanno chiamato il catering di Ichiraku».
            «Mi hai forse scambiato per quel pozzo senza fondo di Naruto?». La cosa lo infastidiva sottilmente.
            «A proposito, c’è pure lui».
            «E con questo? Mica sono la sua ombra!», protestò il ragazzo.
            Itachi trattenne una risata. «Certo che no. Sembra che lo sia diventata quella ragazza dai capelli rosa».
            «L’avrà sfinita, ecco com’è andata».
            Il ventitreenne si voltò verso il fratello, incrociando le braccia al petto; se non ci fossero state quelle lunghe ciocche nere a coprirle, avrebbe intravisto le sue orecchie rosse dalla frustrazione, dal desiderio che l’aniki si togliesse cortesemente dal suo campo visivo e lo lasciasse in pace.
            «Perché parti col presupposto che non si sia semplicemente innamorata di lui?», lo rimbeccò, invece.
            Stavolta fu Sasuke a trattenersi dal ridergli in faccia. «Ma per favore! Innamorarsi di uno come Naruto… ti pare possibile?».
            «Beh, Hinata lo era, no?», gli ricordò.
            Il diciottenne annuì appena, impercettibilmente, chiudendo gli occhi. “Acqua passata!”, si trovò a pensare, sorridendo sotto i baffi.
            «Ad ogni modo, mi spieghi perché sei qui? Oggi è un giorno estremamente significativo e importante per la tua rag-».
            «Non è la mia ragazza!», arrossì Sasuke, bloccandolo. O forse lo era?
            «Oh, fintanto che resterai qui e non trascorrerai il compleanno con lei, è poco ma sicuro!».
            «Cosa dovrei fare? Non le ho nemmeno comprato uno straccio di regalo!», osservò, allargando le braccia.
            «Secondo te, lo pretenderebbe da Sasuke Uchiha?». Il neolaureato adorava ricorrere alle domande retoriche per mettere in crisi il fratello, non c’erano dubbi.
            «Mi sembrava giusto…».
            Itachi sospirò esasperato; non perdeva facilmente le staffe, con tutto l’aplomb di cui poteva fregiarsi, eppure Sasuke, quella sera, stava dando il massimo per innervosirlo.
            «Senti, vuoi che ti metta un fiocco in testa e ti chiuda in un pacco o ci arrivi da solo, otouto?», quasi gridò, prima di uscire definitivamente dalla stanza.
            Sasuke si alzò di scatto e prese a camminare nervosamente per la camera, facendo la spola tra la scrivania e la porta, soffermandosi di tanto in tanto vicino alla finestra; il cielo era scuro, ormai, e coperto da un denso strato di nubi. Forse sarebbe piovuto, oppure, data la bassa temperatura, addirittura nevicato, eppure non poté evitare di afferrare le chiavi poste sul comodino e fiondarsi fuori dalla stanza.
             «Se Hiashi Hyuga mi dà fuoco, ti uccido, Itachi!», lo minacciò, prima di uscire di casa e salire in auto.
            «Sarebbe divertente, ma alquanto impossibile», mormorò il diretto interessato, per poi spiegare ai genitori dove fosse diretto il secondogenito.
            Strano a dirsi ma, almeno per una volta, Fugaku non ebbe niente da ridire.
 
***
 
Il pensiero che lei potesse ballare con qualcun altro e non con lui lo stava già divorando al primo dei cinque semafori che lo dividevano da villa Hyuga. Aveva imparato a contarli, dopo tutte quelle volte che – prima della laurea di Itachi – aveva percorso il tragitto che li separava, nel vano tentativo di andare a casa sua e parlarle; tutto si era sempre concluso con un mesto ritorno a casa, talvolta senza nemmeno che lui fosse sceso dall’auto.
            Stavolta sarebbe stato diverso, sicuramente. Non avrebbe permesso a nessuno di guastare l’idillio che si stava creando fra lui e Hinata e, onde ribadire a se stesso la propria risolutezza, parcheggiò in fretta e furia l’auto lungo il marciapiede che fiancheggiava la proprietà degli Hyuga.
             Il cancello, come sempre, era aperto e attraversarlo gli riuscì più facile dell’ultima volta, quando vi era giunto a bordo della vettura del padre.
 
Si sarebbe aspettato di trovarsi dei buttafuori possenti, sull’uscio – di quelli con una lista di invitati da controllare e le braccia grosse e muscolose quanto quelle di Rocky Balboa –, ma ad accoglierlo, invece, c’era una certa Testa-quadra di sua conoscenza che, al solito, stava prorompendo in schiamazzi e risate. Il moro storse la bocca, temendo di doversi sorbire tutta serata un Naruto ubriaco e preda di conati di vomito; pronto a tornare a malincuore all’auto, vedendo così sfumare l’occasione di rivolgere gli auguri alla festeggiata, venne però trattenuto da una presa salda sul polso.
            «Ehi, Sasuke! Ti aspettavamo da un po’. Cos’è, non trovavi più il vestito da damerino?», lo canzonò l’Uzumaki, tirandogli un lembo della felpa. Inutile dire che scatenò le risate di Sakura e del gruppetto che gli si era riunito attorno.
            L’Uchiha si affrettò a divincolarsi dall’amico con una manata e non poté che rivolgersi una carrellata di rimproveri mentali per non essersi ricordato di cambiarsi – o, almeno, rendersi più presentabile –, prima di uscire di casa.
            «Che ci fate qua fuori?», chiese – in realtà poco interessato alla risposta –, osservando i volti di Rock Lee, Shikamaru ed Ino.
            «Te l’ho detto: ti aspettavamo! Siamo una squadra, no?», gli strizzò l’occhio l’Uzumaki, depositando nelle mani del ragazzo un pacchetto rivestito di carta lilla.
            Sasuke lo osservò per qualche istante con aria interrogativa, come se non avesse mai visto qualcosa del genere prima di allora; rivolse quello stesso sguardo dubbioso ai compagni di classe e capì ben presto – non appena Naruto, con la sua consueta finezza, lo spinse verso l’interno – quale fosse il suo compito.
            Avrebbe voluto protestare, aggrapparsi all’intelaiatura della porta e rimanere sull’uscio, oppure prendere a cazzotti l’amico e intimargli di pensare ai propri affari, ma non riuscì a fare nulla di tutto ciò, anzi, si trovò addirittura a sorridere, una volta entrato nell’abitazione. Era grato ai ragazzi, alla loro premura – irruenta, certo, ma genuina, spontanea, assolutamente sincera –, al pensiero che avevano rivolto a Hinata; averlo coinvolto in quel progetto, nonostante non ne sapesse nulla, poi, era stato davvero un gesto meraviglioso.
            «D’accordo», mormorò, avanzando di propria volontà verso l’androne da dove proveniva la musica, in tutta tranquillità, «glielo consegnerò io. Grazie».
 
Trovare la festeggiata non sarebbe stata un’impresa facile, in mezzo a tutta quella confusione. Sasuke non si aspettava che la ragazza potesse invitare tanta gente, ma intuì che dietro ci fosse l’organizzazione di Hiashi; probabilmente, la diretta interessata avrebbe volentieri fatto a meno di quella pompa magna, del ricevimento e dei regali, ma il padre non avrebbe mai permesso alla figlia di non celebrare il raggiungimento della maggiore età senza una festa ufficiale.
            Così, tra volti noti e altri mai incontrati – ma presumibilmente parenti degli Hyuga, accomunati tutti da meravigliosi capelli scuri e occhi color perla –, il ragazzo cominciò ad aguzzare la vista, alla ricerca della fanciulla. Maledizione, perché quell’impiastro di Naruto non gli dava una mano a scovarla? Lanciò un rapido sguardo verso la tavolata del rinfresco e capì come mai l’Uzumaki non avesse tempo per aiutarlo.
            «Uchiha Sasuke. Perché non sono sorpreso della tua visita?».
            Quella voce lo fece rabbrividire; impiegò dieci secondi abbondanti prima di decidersi a voltarsi.
            «Signor Hyuga», mormorò, affrontando con fatica il suo sguardo deciso, «… mi dispiace».
            «Di essere qui stasera o, in generale, di calpestare il suolo terrestre?».
            Il sopracciglio alzato del quarantacinquenne catturò l’attenzione del ragazzo, fornendogli forse il coraggio necessario per ribattere.
            «La seconda che ha detto, non di certo la prima», gli rispose senza esitazioni, lasciandolo di stucco. Hiashi dovette ammettere a se stesso che il ragazzo possedeva fegato, in effetti.
            «Senti, Sasuke, Hinata…».
            «Le ho fatto correre un mare di guai, lo so, e mi dispiace profondamente, mi creda, ma ho sempre cercato di fare del mio meglio per soccorrerla. Non sono la persona più in gamba del mondo, né la più affidabile o la più espansiva e… dolce». Una smorfia di disgusto gli fece piegare gli angoli della bocca; Dio, quanto si sentiva stupido! Perché l’aveva interrotto e stava affrontando quel discorso? Era troppo tardi, però, per ritrarre la mano: il sasso era già stato lanciato, tanto valeva andare a fondo. «Eppure, Hinata mi ha permesso di cambiare, anzi, di conoscere un lato di me mai venuto a galla; solo lei c’è riuscita. Davvero, farei di tutto per proteggere sua figlia, per renderla felice, per…».
             «Lo so. Tuo padre me ne ha parlato», sospirò lo Hyuga, abbassando le palpebre. Era felice che il ragazzo avesse confessato qualcosa di tanto importante e personale proprio davanti a lui; lo riteneva un comportamento maturo, sincero e ammirabile, seppur – da buon padre protettivo – ciò lo infastidisse un tantino.
             Sasuke non sapeva che dire. Non si aspettava che Fugaku avesse potuto intercedere in suo favore presso il glaciale Hiashi, onde spianargli un po’ la strada per l’approvazione della sua frequentazione con la fanciulla.
             «D-davvero?», riuscì solo a farfugliare, stupito.
             «Non mi piaci, ma a Hinata sì e credo che questo basti», dichiarò l’uomo, risollevando le palpebre. L’Uchiha quasi non credette ai propri occhi quando vide stamparsi sul volto del suo interlocutore l’ombra di un sorriso. «Ora va’ di là», proseguì l’avvocato, indicandogli una porta in fondo al salone, «e vedi di non farla piangere, altrimenti non sarò altrettanto misericordioso, la prossima volta che mi vedrai».
              Se il pacchetto che ancora stringeva in mano non fosse pesato come un promemoria, Sasuke sarebbe rimasto a osservare Hiashi per un quarto d’ora buono, a bocca spalancata, nel tentativo di farsi pure venire in mente parole efficaci con cui ringraziarlo.
              Si voltò con un sorriso interiore che superava di gran lunga i trentadue denti bianchi sfoderati in quel frangente.
 
***
 
Ancora una volta si trovava a una festa senza capire bene come ci fosse finita. Succedeva sempre così, di recente, nella sua vita: prima il compleanno di Naruto, poi la laurea di Itachi, infine il proprio diciottesimo. Stavolta, inoltre, non indossava nemmeno l’abito nero che era riuscito a infonderle tanto coraggio nelle precedenti situazioni e, quasi a voler sottolineare il fatto – o accertarsi che non stesse sognando –, prese a lisciare nervosamente fra le dita il morbido bordo di raso del vestito color malva.
            Subito dopo pranzo, si era ritirata in camera, pronta a chiudere gli occhi, schiacciare un pisolino e dimenticare tutto ciò che era successo la mattina – e nelle ultime settimane –, ma dovette immediatamente rivedere i suoi piani perché ad attenderla in piedi sul suo letto, con una scatola tondeggiante in mano, c’era Hanabi.
            Buon compleanno, nee-chan!, aveva urlato in sua direzione, la tredicenne, porgendole il presente.
            Ed eccolo lì, il suo regalo, ad abbracciarla e sostenerla come una dolce carezza attorno al corpo. Era stato un pensiero inaspettato, che l’aveva colpita direttamente al cuore e che riusciva ancora a farla sorridere.
            «Mi spieghi cosa ci fai, qui? Gli invitati sono di là», le ripeté per la terza volta Neji, parandosi di fronte alla diciottenne.
            «Ecco, avevo sete e…».
            «C’è ogni sorta di bevanda, nell’altra stanza, e tu ti rintani nella penombra della sala da pranzo! Certo che sei pazzesca: hai affrontato un energumeno, un processo e Sasuke Uchiha in persona, eppure tremi di fronte all’idea di essere al centro di una stupidissima festa».
             La ragazza arrossì lievemente, riconoscendo che il cugino non aveva tutti i torti. «Due minuti e arrivo, davvero. Tu torna pure di là: Hanabi è sul punto di prendere ancora a schiaffi Kiba, temo».
             «Cosa?! Non dirmi che sta di nuovo cercando di farla ridere con le sue barzellette indecenti!», si allarmò Neji, sempre iperprotettivo nei confronti della ragazzina. Bastò un cenno di assenso della fanciulla per spingerlo a intervenire.
 
Hinata inspirò profondamente, cercando di inglobare abbastanza aria nei polmoni da sollevarsi dalla sedia senza provare la necessità di restare ferma lì per tutta la notte. Erano le ventuno e cinquantatré ed era il suo compleanno: aveva ancora più di due ore a disposizione per rendere quella giornata addirittura più significativa.
            Certo, sarebbe bastato molto meno di una festa del genere per far sì che il suo diciottesimo fosse perfetto. Una persona, i suoi occhi, la sua voce, ad esempio.
            «Comunque, Neji si sbaglia: Sasuke Uchiha, oggi, non l’hai ancora davvero affrontato».
            Hinata non aveva mai prestato troppa fede a quella credenza dell’esprimere un desiderio mentre si soffiano le candeline sulla torta e, di certo, non avrebbe cominciato a farlo quella notte, dacché il catering teneva ancora blindatissimo in frigorifero il dolce preparato per la festeggiata; eppure, mai si sarebbe aspettata che il suo più grande sogno si potesse materializzare davanti agli occhi, mentre era in procinto di uscire dalla cucina. In quel momento, poi, possedeva un’ulteriore ottima ragione per rimanervi.
             «Sasuke…», sussurrò incredula, sorridendo.
             Il moro si richiuse velocemente la porta alle spalle, creando così una barriera tra loro e i convitati, il mondo esterno. La raggiunse con una falcata, appoggiò il dono sul tavolo e l’abbracciò. Non c’era logica, nessun ragionamento, dietro quell’azione: desiderava solo percepire il suo calore, baciarla e comunicarle quanto fosse felice di vederla, di saperla al sicuro, finalmente.
             «Sei straordinaria. Voglio dire, oggi hai veramente mostrato quanto tu sia irriducibile…».
             «Non pensiamoci più, d’accordo?», propose lei, sussurrando al suo orecchio. Quella richiesta era tanto sincera e modesta da non poter incontrare obiezioni.
              Il ragazzo sciolse l’abbraccio e le accarezzò lentamente il volto, guardandola negli occhi. Era meravigliosa in quell’abito delicato e con i capelli raccolti in una treccia che le cadeva sulla spalla destra. Ma, più della bellezza, a colpirlo era la sua forza d’animo, la sua capacità di non lasciarsi travolgere nemmeno dagli eventi più turpi; quell’energia positiva si rifletteva nel suo sorriso radioso.
             «Il fatto che l’udienza sia caduta proprio nel giorno del tuo complean-».
             «Davvero, Sasuke, non parliamone», abbassò lo sguardo, sul punto di ripensare a Karin, alla sua solitudine persino più accentuata, ora, e anche di lasciarsi prendere da una certa dose di rabbia che ancora le pizzicava il cuore.
             «Scusami, hai ragione. Sono ripetitivo, lo so, è solo che non riesco a pensare ad altro che te, a quanto sei diversa da ciò che chiunque si aspetterebbe», sussurrò a un centimetro dalla sua bocca, socchiudendo gli occhi.
              Non poté trattenersi dal baciarla e, nello scoprirla piacevolmente sorpresa e coinvolta, la baciò di nuovo, di nuovo ancora, fino a non sentire più le proprie labbra, a perderne il controllo e la cognizione di confine; era come se si fossero ormai fuse con quelle della Hyuga. La sua lingua si fece prontamente spazio nella cavità orale della ragazza, riprendendo una danza interrotta prima delle vacanze invernali, nello stanzino del bidello.
              «Buon compleanno», sospirò sul suo collo, spingendole la treccia dietro la spalla.
              Lambì ogni centimetro di pelle scoperta, ma i semplici baci non bastavano più; ciò che era sempre stato – un animale, un agglomerato di puro istinto carnale – sgomitava dentro di lui perché andasse oltre; la bestia che soggiaceva nel ragazzo desiderava fortemente premerla contro il tavolo, farla materialmente sua, solamente sua, contro ogni inibizione morale, e le leggere carezze che Hinata dedicava alla sua chioma – accompagnate da respiri lunghi e profondi –, erano quell’incentivo in più che avrebbe permesso al Sasuke-peccatore di appagare i propri istinti.
              “Fermati”, si ripeteva, stringendo le dita attorno alla vita della ragazza, quasi tremando. “Rovineresti tutto, razza di deficiente!”. Il processo aveva condannato Hidan, era vero, ma la memoria di Hinata non avrebbe archiviato con facilità ciò che era avvenuto quella notte d’ottobre, ne era certo.
               Le pallide falangi della Hyuga, più calde del previsto, scesero velocemente ad incontrare quelle contratte dell’Uchiha – che trattenevano convulsamente delle pieghe dell’abito. Sciolsero la morsa, con lenta dolcezza, e s’intersecarono perfettamente alle sue.
            «Sto bene», lo rassicurò, immaginando cosa gli stesse passando per la mente.
            Il ragazzo si bloccò, al suono di quelle parole, ed alzò il volto, incrociando così lo sguardo sereno della fanciulla. Strinse forte le sue mani e le portò al petto, scuotendo la testa.
            «Hinata…».
            «Sto davvero bene, quando sono con te. Il resto sparisce, che sia passato o futuro: vedo solo il presente», gli sorrise. Se ne sarebbe mai convinto? Forse c’era bisogno di una prova più persuasiva.
             Liberò velocemente i palmi dalla presa di Sasuke e li posò sulle sue guance, prendendolo in contropiede. Lo stupore aumentò a dismisura quando il moro trovò le labbra della corvina sulle proprie. Lo stava baciando lei, di sua iniziativa, proprio come la prima volta, in palestra; ancora stentava a credere che quell’episodio fosse stato reale, ma passarle le dita fra le ciocche che sfuggivano alla pettinatura, avvertire il suo fiato caldo sul viso e la morbidezza del suo corpo contro il proprio lo aiutarono a convincersene.
              “Cedere, cedere sempre, all’amore, quando è autentico. I suoi colpi potranno anche essere mortali, ma cosa non lo è, a questo mondo?”, comprese, in un barlume di razionalità.
            «Anche per me è lo stesso», le giurò.
 
Un improvviso tonfo contro la porta li fece sussultare e li costrinse a staccarsi. Che fosse Neji o, peggio ancora, Hiashi?
            La risata di Naruto – accompagnata da qualche grido in direzione di Kiba – fece loro tirare un sospiro di sollievo.
            «Forse dovremmo andare di là», osservò Hinata, ricordandosi della promessa fatta al cugino.
            L'Uchiha annuì appena, ma il pacchetto lilla abbandonato sul tavolo attirò la sua attenzione.
            «Aspetta», la bloccò, porgendoglielo, «questo è per te. L’hanno incartato i ragazzi e…». “E io non ho partecipato”, avrebbe voluto aggiungere.
            «Veramente mi hanno già regalato un abbonamento settimanale per il cinema», mormorò confusa, intenta a scartare il dono.
            Quella rivelazione sconvolse Sasuke; cosa significava? Chi si era preso la briga di organizzare tutto quel sotterfugio per salvarlo da una magra figura? Naruto, Sakura o Shikamaru?
            La risata spontanea della festeggiata lo colpì come uno strale al cuore. Cosa diavolo c’era di tanto divertente, in quella scatolina?
            «È meraviglioso», esclamò, quando riuscì a prendere fiato.
            Sconcertato, il moro le strappò di mano il biglietto, appena ripiegato.
            «Ma come?! Non ti basto io, come regalo? Sei proprio esigente, Hina-chan!». Una breve pausa, prima di completare la lettura. «Tanti auguri dal tuo Sasuke».
             Naruto, senza ombra di dubbio: la grafia disordinata e il pessimo gusto ne erano prove schiaccianti.
             «Lo uccido», mormorò a denti stretti, accartocciando il foglietto in un pugno. «Che figura di merda!».
             Hinata posò l'involucro vuoto sul tavolo e non esitò ad abbracciare il ragazzo – di spalle –, cogliendolo di sorpresa. «Non potrei chiedere un regalo migliore», arrossì, al riparo dietro le sue scapole. «Grazie, Sasuke».
             Per tutta risposta, lui le strinse una nocca ferma sul suo petto e sorrise, scuotendo la testa: «Quando capirai che il vero dono sei tu?».
 
Aprì la porta con una calma quasi solenne e la musica elettronica – un genere che di sicuro non aveva scelto la Hyuga – li accolse come un bombardamento dritto ai timpani. Durò un millesimo di secondo, perché quando Hinata gli strinse la mano – di nuovo
, Sasuke non percepì che il proprio cuore.
            «Ventitré luglio», affermò lei, decisa, osservando gli astanti che se la spassavano allegramente nel salone della villa.
            L’Uchiha si girò di scatto a fissarla, non capendo cosa stesse improvvisamente dicendo. «Cosa?».
            «Una volta mi chiedesti quando fosse il tuo compleanno. È il ventitré luglio, Sasuke. Mi dispiace non averlo saputo prima», confessò, dedicandogli uno sguardo sereno.
            Sicuramente Itachi aveva esaudito una richiesta della corvina, svelandole il giorno in cui fosse nato l’otouto. Il pensiero che quella domanda di scarsa rilevanza – che le aveva posto la volta in cui si erano trovati a collaborare gomito a gomito per la ricerca sull’età vittoriana – fosse rimasta impressa nella mente della compagna lo fece sentire come se mai prima di allora avesse compreso di essere davvero al mondo.
            Se ancora poteva sentirsi un essere umano – e non un animale, un ammasso di istinti ciechi e carnali, di rabbia, desiderio e distruzione –, lo doveva a quella ragazza, che anche allora non intendeva lasciar andare le sue falangi, conducendolo al centro della sala.
            Sasuke incrociò lo sguardo di Hiashi Hyuga e lo vide sorridere sotto i baffi mentre lui, inaspettatamente, si trovò costretto a strofinarsi un occhio con la mano libera, per scongiurare un’improvvisa presa di coscienza della propria fortuna, sotto forma di lacrima.
            Forse, nonostante la felpa sportiva e le sue maniere spesso brusche, l’uomo non l’avrebbe ancora ucciso. 



 ----------------- Note dell'autrice ----------------
Non sono un’esperta di Diritto, ahimè, perciò ho scritto la prima parte di questo capitolo basandomi su ciò che ho letto in rete, su alcuni testi scolastici e sul prezioso contributo di arcx (di nuovo, grazie infinite!). Spero di non aver fatto confusione e che risulti tutto abbastanza chiaro; per scongiurare qualche incomprensione, fornisco delle delucidazioni. In linea di massima, ho cercato di seguire il procedimento penale statunitense (perché un po’ più noto, grazie a film e telefilm), tuttavia ho fatto ricorso anche a qualche nozione più familiare al nostro ordinamento; essendo la Konoha della mia storia un luogo non geograficamente collocabile nella Terra che abitiamo – e in un’epoca imprecisa –, avevo un po’ carta bianca, diciamo.
Il pubblico ministero – che si è occupato della fase istruttoria, della difesa di Hinata e, di conseguenza, dell’accusa di Hidan – è Toshiro Yumita (pura inventiva!), collega di Hiashi, ma capo della procura di “Crimini Violenti” (nome che devo alla cara arcx!).
Il giudice – facendo riferimento all’ordinamento americano – ha posto ad entrambi gli imputati (Karin e Hidan), la domanda “L’imputato si dichiara innocente o colpevole?”; la ragazza, ovviamente – essendosi autodenunciata alla polizia – ha dichiarato la propria colpevolezza (e quindi non ha dovuto sostenere alcun dibattimento con il pubblico ministero), mentre Hidan, giurando la propria innocenza, se l’è vista con Yumita, salvo poi fare retrofront e condannarsi al carcere.
La scelta delle pene non è stata facile; ho cercato e ricercato casi analoghi realmente accaduti, ma non ho trovato molto, quindi ho deciso di condannare Karin a sei mesi di domiciliari e lavori socialmente utili, poiché si era pentita, denunciata e aveva collaborato con le forze dell’ordine, mentre Hidan, anche in virtù dei suoi precedenti, è stato punito per tentata violenza sessuale (ha come intervallo da un anno e mezzo a cinque anni, ma con il patteggiamento si può puntare sui due terzi del massimo della pena, quindi tre anni e tre mesi), violenza privata (due anni e sei mesi, così da creare un precedente per il prossimo processo sulle risse e sulle aggressioni a scopo rituale), per un totale di... cinque anni e nove mesi! (Ancora una volta, devo un grosso favore ad arcx ;)).
Scusate la lunghissima nota, ma ci tenevo a precisarlo – o provarci, almeno ahah. Spero sia tutto un pochino più chiaro e, nel caso così non fosse, sono qui per ulteriori spiegazioni – con tutti i miei limiti!


GOMENASAI!!! Scusate, scusate davvero il ritardo! Dicevo che ci avrei messo un po', a causa degli esami, ma pensavo di riuscire ad aggiornare a giugno... e invece! 
Vi sono mancata almeno un pochino? Voi sì, quanto Sasuke e Hinata. 
Vi ringrazio per seguire ancora la storia e vi comunico che il prossimo (ultimo) capitolo sarà online in tempi più brevi (magari addirittura settimana prossima) :)
Permettetemi di ringraziare di cuore la cara Ayumu_7 per aver segnalato la storia per le scelte (con una recensione esageratamente meravigliosa, anche lei!) :') 
Spero di potervi risentire presto, davvero. Il capitolo è stato di lunga e ardua stesura, quindi mi farebbe molto piacere poter conoscere il vostro parere. Arigatou!
Alla prossima, 

Ophelia

 
   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Amens Ophelia