Alexander
entrò di soppiatto nello studio del padre, trovandolo vuoto
e silenzioso, il
posto perfetto per nascondersi da quell’arpia della sua
maestra di etichetta.
Odiava quella vecchia bacchettona che si divertiva a frustargli le mani
o il
sedere quando non stava ben dritto o si impappinava mentre parlava.
Quel giorno
poi sembrava ancora più scorbutica del solito e Alex se ne
voleva proprio stare
alla larga da lei e dal suo frustino.
Sapeva
che suo padre era ancora via per lavoro mentre sua madre era da una sua
amica.
Quindi sapeva che nessuno lo sarebbe andato a cercare nello studio di
suo
padre, dato che l’accesso era limitato ad un paio di
servitori e ai membri
della famiglia. Alexander chiuse la porta a chiave, gusto per avere il
tempo di
nascondersi se qualcuno fosse entrato, e andò alla ricerca
di qualcosa da
leggere per passare il tempo. Sulla scrivania c’erano molti
appunti e libri che
sapeva non avrebbe neppure dovuto sfogliare ma c’erano anche
tanti ripiani con
disposti libri su libri ma erano testi complicati, che nessuno pensava
sarebbero stati interessanti per un bambino di 5 anni. Ma Alexander
adorava
leggere quelle cose, anche se spesso non le capiva del tutto. Erano i
trattati
e gli studi alchemici che lo affascinavano: trovava incredibile poter
creare da
delle semplici erbe quello che richiedeva immense quantità
di magia. Peccato
che nella sua famiglia l’alchimia non era vista come una vera
e propria arte
magica, quindi non gli veniva insegnata. Alexander cercava sempre di
informarsi
e studiare le proprietà delle piante e quel giorno avrebbe
fatto lo stesso se
non avesse notato un libro nuovo.
Era
viola molto scuro, con delle scritte bianche in rilievo, dalla
copertina ruvida
e consunto nei lati. Non era molto grande e le pagine erano spesse.
Alexander
rimase un po’ perplesso da quel libretto che sembrava un nano
in mezzo ai
grandi tomi che lo attorniavano, così decise di leggerlo
anche se non gli
sembrava molto interessante. Il titolo era “Storia del dio
traditore”. Iniziò a
leggerlo.
Capitolo
I
Della
creazione
All’alba
dei tempi,
quando nulla di ciò che conosciamo esisteva ancora, gli dei
che governano la
nostra realtà guardarono il nulla che li circondava e ne
rimasero rattristati
perché le loro grandiose menti immaginavano cose che non
erano mai esistite e
che desideravano vedere compiute.
Il
signore degli dei,
Tron’ra Kar, chiamò quindi a consiglio tutti i
suoi fratelli e disse loro:
“Molto
tempo ormai è
passato da quando ho iniziato ad esistere, da quando tutti noi abbiamo
iniziato
ad essere, e mai, in questo nulla che ci circonda, abbiamo trovato
appagamento.
Noi guardiamo l’assenza e il caos senza provare nulla. Siamo
in uno stato
vegetativo da così tanto tempo che alcuni di noi stanno
diventando a loro volta
assenza” gli dei furono d’accordo con lui, molti si
stavano spegnendo davanti a
quel nulla. Tron’ra Kar parlò ancora
“nella mia mente e nei miei pensieri vedo
cose che non esistono e a cui vorrei dare un nome senza riuscirci. Vedo
forme e
colori che questo nulla non mi mostreranno mai. So che per molti di voi
è lo
stesso” ancora assenso da parte degli altri dei
“Per vedere compiuto ciò che
desidero ho deciso quindi di usare me stesso, la mia stessa energia, e
creare
dal nulla ciò che sogno”
Alexander
sbuffò e iniziò a saltare le pagine di quel
capitolo noioso. Tutti conoscevano
la storia della creazione del mondo e dell’universo, di come
il signore degli
dei Tron’ra Kar aveva modellato il cielo e le stelle, la
terra e i mari. Di
come la sua compagna Isiesis aveva creato i primi esseri viventi,
piante e
animali. Di come Partavin avesse modellato i prototipi di tutte le
razze
senzienti conosciute: umani, elfi, nani, gnomi, orchi e altri che ora
non
esistevano più. Di come Avelar avesse infuso in loro un
intelletto al di sopra
di quello di tutte le altre creature, la voglia di imparare, scoprire
il mondo
e di migliorarlo secondo i loro desideri. Ed, infine, accortosi che non
tutte
le creature desideravano creare e migliorare la loro terra ma, anzi, la
volessero conquistare e distruggere, Morvar le differenziò,
non più solo
nell’aspetto, ma anche nelle capacità e
nell’intelletto.
Vedendo
ciò che avevano creato gli dei si sentirono stanchi e
felici. Decisero quindi
di bearsi della loro opera, guardando i frutti del loro lavoro crescere
e diventare
più belli di come mai avrebbero potuto sognare.
Alexander
saltò quei capitoli e riprese a leggere da dove la storia
sembrava diventare
interessante.
Capitolo
V
Del
dono di Quarv
Il
dio Quarv aveva
partecipato con la sorella Avelar alla creazione delle menti di tutte
le razze
e aveva molto amato ciò che era riuscito a creare. Esso
vedeva ciò che di bello
le sue creature riuscivano a fare ma il suo sguardo non riusciva a
cogliere che
erano poche le razze che creavano e, invece, erano molte quelle che si
limitavano a gioire dei frutti della terra. Pochi erano, allora, quelli
che
desideravano distruggere dato che rispecchiavano la
mentalità di chi li aveva
creati. Gli dei Quarv e Avelar avevano creato qualcosa di sublime
quando
avevano infuso l’intelligenza nelle razze senzienti, ma il
loro lavoro si era
limitato a quella fatica, mentre le altre divinità avevano
aiutato i loro pari
a creare molte cose diverse. La voglia di distruggere di alcuni esseri
non era,
però, del tutto una cosa cattiva, dato che essi desideravano
distruggere per
far spazio a cose più belle e grandiose, non per il semplice
gusto di
cancellare qualcosa che altri avevano creato.
Morvar,
però, non
riusciva a capacitarsi che si potesse voler distruggere ciò
che veniva creato e
pensò che fosse una cosa malvagia. Parlò quindi
con il signore degli dei,
Tron’ra Kar, e gli disse che Quarv e Avelar avevano fallito
nel loro compito:
avevano creato, si, esseri in grado di rendersi simili agli dei nel
creare cose
ma anche esseri infinitamente pigri e altri molto malvagi che avrebbero
lasciato decadere o avrebbero distrutto ciò che altri
creavano. Morvar non fu
giusto, nel parlare in quella maniera dell’opera delle altre
divinità, ma non
riusciva a capire la mentalità di quegli esseri e degli dei
fratelli. Neppure
Tron’ra Kar riusciva a capire quelle menti e lo
spaventò il pensiero che un
giorno tutto sarebbe potuto tornare al nulla. Così
ordinò a Morvar di fare in
modo che quegli esseri smettessero di oziare e distruggere, diventando
come gli
altri che creavano. Ma per il dio non fu possibile cancellare quello
che Quarv
e Avelar avevano creato e quindi differenziò le razze,
cercando di rendere più
forti e numerosi quelli che creavano. Saputolo, Avelar non se la prese
molto,
in fondo sapeva che erano stati lei e il fratello a dare vita a quelle
creature
che altrimenti sarebbero state solo bestie, ma Quarv si
sentì tradito.
Aveva
infuso tutto il
suo amore e il suo ingegno in quel progetto e non poteva credere che il
signore
degli dei non avesse compreso il motivo del suo operato, ma
l’avesse
semplicemente considerato maligno e avesse dato il compito ad un altro
di porvi
rimedio.
Quarv
era cosciente del
motivo per cui certi esseri non producevano e altri distruggevano: il
dio aveva
una mente acuta e sapeva che se tutti quegli esseri avessero iniziato a
creare
insieme avrebbero sommerso in fretta l’intero mondo del loro
operato, senza
però godersi i frutti del loro lavoro. Aveva quindi pensato
di renderli
creativi ma anche introspettivi e desiderosi di migliorarsi. Ecco
perché alcuni
rimanevano oziosi e altri distruggevano ciò che creavano,
per potersi godere la
vita e migliorarla.
Ma
questo gli altri dei
non lo capivano e Morvar, soprattutto, pensava che in Quarv ci fosse
qualcosa
di sbagliato, pensava che l’altro dio odiasse quello che
stavano facendo e che
volesse distruggerlo, per tornare al nulla da cui tutto era cominciato.
Nulla
sarebbe mai stato tanto lontano dai desideri di Quarv ma presto nessuno
desiderò più avere a che fare con lui, neppure
l’amata sorella e nel suo animo
iniziarono a nascere pensieri e sensazioni orribili, che mai nessuno
aveva
provato, e che vennero trasmesse alle razze in cui lui aveva infuso
l’intelligenza.
Gli
esseri che prima
distruggevano solo sporadicamente ora divennero sempre più
cruenti e iniziarono
a trarre piacere da quello che facevano, tanto che non fu
più sufficiente, per
loro, distruggere cose inanimate. Iniziarono a torturare i componenti
delle
altre razze, cercando un modo di distruggerli ma, al tempo, non
esisteva la
morte, così che i prigionieri erano costretti a subire
infinite torture senza
riuscire a trovare pace.
Terrorizzato
da quello
che la sua rabbia stava producendo, Quarv cercò di
riequilibrare le forze che
erano state divise da Morvar molto malamente. Le razze creatrici erano
intelligenti e prolifiche, protetti da belle e solide città
ma erano deboli e,
una volta catturati, soffrivano molto e non riuscivano a scappare o
ribellarsi.
Le razze distruttrici erano, invece, forti ma stupide, guerrieri poco
prolifici
e nomadi. Abituati al dolore e ai patimenti, avevano un grande spirito.
Quarv,
amava entrambe
le razze, e non desiderava la scomparsa di nessuna delle due. Diede
quindi la
magia alle razze creatrici, che sarebbero quindi riuscite a
proteggersi, e diede
la pietà e l’amore per la famiglia agli altri,
così da mitigare la loro brama
di sangue. E a tutti diede la possibilità di morire,
lasciando i patimenti e la
miseria, anche se decise che alcune razze sarebbero state
più longeve di altre,
in base alla loro intelligenza e voglia di migliorare. Pensò
di aver fatto un
lavoro sublime e di essersi riscattato per i suoi errori ma gli dei non
riuscivano a vedere il suo lavoro oggettivamente e si fissarono
soltanto su
quella sua strana creazione: la morte. Troppo simile alla distruzione
per loro.
Non vedevano la liberazione negli occhi dei poveri prigionieri che
erano stati
torturati per tanto tempo e ora non sentivano più il dolore.
Ton’ra
Kar chiamò Quarv
al suo cospetto e gli impose di cancellare la morte ma il dio non
poteva farlo.
Venne allora definitivamente allontanato dalla corte degli dei e
mandato sulla
terra per vedere la disperazione delle creature che
l’abitavano e pentirsi di
quello che aveva fatto.
La
storia continuava con la permanenza del dio Quarv sulla terra e dei
suoi
pensieri sugli esseri che la popolavano. Il capitolo si concludeva con
il
ritorno del dio nelle aule degli dei, sempre convinto di aver agito
bene e
sempre allontanato dai suoi simili.
Capitolo
VII
Dell’annullamento
Gli
dei da molto tempo
avevano perso interesse per il primo pianeta da loro creato e se ne
erano
completamente disinteressati, andando a concentrare i loro sforzi e i
loro
pensieri nella creazione di altri posti. Ma a Quarv non era stato
permesso di
seguirli, dato che tutti ormai pensavano che lui fosse malvagio e non
volevano
che corrompesse di nuovo l’operato delle altre
divinità. Quarv rimase quindi a
vegliare sul primo pianeta creato e amò profondamente tutto
ciò che in esso
nasceva e mutava. Non aveva più il potere di mutare nulla
lui stesso, dato che
grande fatica gli era costato riparare ciò che Morvar aveva
malamente cercato
di aggiustare. Quarv però poteva sussurrare alle orecchie
delle sue creazioni,
così che loro scoprissero più facilmente come
affrontare un problema. Il dio
amava così tanto quel mondo che non gli mancavano i suoi
simili che gli avevano
ormai completamente voltato le spalle e avrebbe solo desiderato esserne
parte
integrante.
Ma
gli altri dei
avevano ancora paura di lui e temevano che avrebbe trovato un modo per
distruggere ciò che di nuovo stavano creando. Decisero
quindi che era il
momento di mettere fine alla sua esistenza. Quarv lo sentì
che loro stavano per
venirlo a prendere ed ebbe paura per il suo pianeta perché
una volta che lui
fosse stato annullato loro avrebbero potuto distruggere anche il
pianeta.
Decise quindi di annullarsi da solo per proteggere il mondo che amava.
Fece a
pezzi la sua essenza e la tessé per creare una barriera che
proteggesse il
pianeta ma, in quel momento, ebbe paura e capì di non
volersi annullare del
tutto. Provò un terrore che mai prima di allora nessuno
aveva provato e le
creature che tanto amava provarono per la prima volta quello che anche
lui
provava. La notte era calata su quelle terre e la paura del dio fece
nascere
degli incubi e delle cose malvagie che iniziarono ad infestare come un
cancro
la terra, i cieli e i mari. Il dio ebbe ancor più paura,
temendo di aver
commesso un errore irreparabile e cercò in tutte le maniere
di porvi rimedio
prima di scomparire per sempre ma non aveva più il potere di
proteggerli.
Quarv
fece quindi
l’unica cosa che gli riuscì ad escogitare in quei
momenti concitati. Staccò dei
piccoli pezzi di sé stesso e li lasciò cadere
sulla terra come piccole sfere di
luce. Chiunque le avesse trovate sarebbe stato investito da poteri che
gli
avrebbero permesso di controllare la paura e i demoni. Alla morte della
persona
che aveva trovato l’energia del dio, essa si sarebbe
sprigionata e sarebbe
andata a cercare un altro corpo in cui insediarsi. Il dio
strappò dodici pezzi
di sé stesso ma infuse solo tre poteri in essi,
perché era riuscito a pensare
solo a tre modi per combattere la paura e i demoni.
Il
primo dono che fece
al mondo fu “Voce di comando”. Con esse le persone
avrebbero potuto piegare la
paura e i demoni con un urlo o un semplice sussurro. Voce di comando
era un
potere che permetteva di controllare la paura e di modificare i
pensieri di chi
ne veniva assoggettato per renderlo immune ad essa e farlo combattere
per un
bene superiore.
Il
secondo dono che
fece fu “Necromanzia”. Con essa si sarebbero potuti
risvegliare i morti per
farli combattere al posto delle persone vive e anche controllare quei
mostri
che non erano più vivi. Necromanzia era un potere pensato
per liberarsi dei
demoni ma anche per proteggere ciò che viveva.
Il
terzo e ultimo dono
fu “Chiaroveggenza”.
Alexander
si fermò per un attimo, stupito, ma poi riprese a leggere.
Il
terzo e ultimo dono
fu “Chiaroveggenza” Con esso si sarebbe potuto
sapere in anticipo dove i demoni
avrebbero attaccato e schivarli o annientarli. Chiaroveggenza era un
potere
pensato per proteggere e conservare ciò che di buono
c’era al mondo.
Quarv,
una volta donato
ciò al mondo, non ebbe più paura
perché il suo più grande desiderio si era
avverato: ora lui faceva parte del mondo che amava e
l’avrebbe protetto in
eterno. Gli dei, vedendo ciò che Quarv aveva fatto,
dovettero ricredersi e
seppero che lui era stato il migliore e il più amorevole di
tutti loro.
Alexander
chiuse il libro e rimase a fissare il vuoto per alcuni minuti, come
svuotato.
Ripose il libro e uscì dallo studio del padre per guardare
il cielo. Era
rimasto profondamente colpito da quel racconto come non lo era mai
stato da
nient’altro, neppure dai racconti macabri che sua nonna gli
aveva sempre letto
prima di andare a letto. Per una qualche strana ragione ora sentiva il
suo dono
di prevedere il futuro come una grande responsabilità e ne
aveva paura. Il suo
era il dono di un dio e con esso lui avrebbe dovuto proteggere e
combattere i
demoni e le cose cattive ma lui aveva paura e temeva di fallire
perché si
sentiva debole. E questi sentimenti sarebbero solo peggiorato con il
tempo dato
che non sarebbe riuscito a salvare il proprio padre e altre brutte cose.
Ma
al momento giusto, anche se non poteva ancora saperlo, Alexander
sarebbe
riuscito ad accettare il dono e avrebbe perso per sempre la paura di
fallire.
Quel giorno non era ancora arrivato, però era arrivata la
sua maestra di
etichetta, infuriata e con il frustino già pronto per lui.
Alex ritornò al
presente e si preparò a subire una sonora sculacciata dalla
maestra e poi da
suo padre, che non voleva che lui saltasse le lezioni.