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Autore: Saecchan    02/09/2008    9 recensioni
"Il desiderio di abbandonarsi al piacere.
Il timore delle lacrime.
"
Una oneshot su un sogno di Bella; l'immagine straziante della sofferenza di Edward.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' la seconda fanfic su Twilight che posto.

Ovviamente non è niente di che, ma avevo voglia di presentare un Edward sprofondato nel desiderio dell'essere semplicemente umano, di voler semplicemente piangere un dolore.

Niente di che, infondo.

Hope you enjoy.

(Anche se farà schifo, lasciate un commento per farmi sapere >_<)


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La notte in cui Edward fuggì dalla mia stanza –diretto a caccia-, feci un sogno.

 

Nel sogno io camminavo lentamente, ero sicuramente a La Push, dato che innanzi a me si alzava la piccola casetta Black.

Camminavo, senza pensare a nulla. Camminavo e basta.

D’un tratto dalla porticina uscì la figura bronzea di Jacob.

Jacob, il mio migliore amico.

Jacob, il mio secondo amore.

Restava ritto davanti la porta, guardandomi profondamente.

D’un tratto si precipitò sul mio corpo esile, stringendomi con il braccio e attorcigliando le dita nei miei capelli dietro la nuca.

Le nostre labbra si incontrarono d’impatto.

Il calore, il calore, il calore.

Violento, senza paura, senza limiti.

 

Vorrei non aver mai provato quelle emozioni, quelle sensazioni.

Eppure era così.

Sentivo il suo corpo sul mio, le sue labbra sulle mie, il suo respiro intrecciato al mio.

Sentivo Jacob.

In quel momento io e Jacob fummo una sola cosa.

Con la testa vuota, seguivo solamente i sensi.

Sentii una vocina nella mia testa dire “Rilassati Bella. Lasciati andare, non avere paura”.

 

Probabilmente quello fu il più bel sbaglio che abbia mai compiuto in vita mia.

Ma non importava.

Ho avuto quello che volevo.

E sapevo benissimo che solo Jacob avrebbe potuto sfamare il mio desiderio, che -ahimè- cresceva di giorno in giorno.

Ma io sono solo una stupida ed inutile umana.

Cosa c’è di male?

 

Il suo petto sudato, i suoi occhi profondi, il suo corpo assoluto contro la mia pelle albina, le mie guance rosse.

Non importava più nulla, non pensavo più a nulla.

Tutto quello che volevo, era solo restare con lui.

Muovendoci come onde nel mare, ci sentimmo.

E questa volta realmente.

Non avevamo più paura, non avevamo più timore di nascondere il nostro amore.

Io lo amavo.

Lo amavo.

 

Intorno a noi niente esisteva, niente appariva com’era. Tutto aleggiava come la rugiada all’alba di una nuova primavera.

Era tutto così naturale.

D’un tratto un velo di pioggia iniziò a cadere sui nostri corpi nudi e abbracciati.

Ma la pioggia, quella pioggia, sono sicura che non fosse pioggia.

Erano lacrime.

Lacrime che rigavano il mio volto felice.

E così: nudi, abbandonati al più dolce piacere, piangemmo.

 

Ma sarebbe stata anche la pioggia di lacrime che avrei voluto piangere.

Sarebbe stata la pioggia di lacrime che avrebbe voluto piangere.

Sarebbe stata la pioggia di lacrime che infondo, avrebbe ripulito tutto lavando via ogni peccato commesso.

 

Il sogno cambiò.

Non ero più a La Push; e neanche con Jacob.

Ero seduta per terra, su qualcosa di umido.

Mi alzai e notai che era erba.

Ero nella nostra radura.

 

Stranamente sentii nell’aria una voce.

Rimbombava dolcemente nella mia testa.

Era una voce straziata dal dolore, ma stranamente vellutata.

 

Oh, natura. Natura, madre mia.

Perché non posso? Perché non posso?

Tu mi hai creato, tu mi possiedi, tu mi dai vita; ma perché, madre mia, perché io non posso?

 

Girai freneticamente il volto cercando di seguire la voce, ma non riuscii a scorgere nulla. Neanche tra gli alberi.

La preghiera straziante continuava supplicando il giudizio di qualcosa più grande di noi.

 

Oh, madre mia, perché?

Ho mai tradito qualche tua sacra legge?

Ho mai cercato di distruggere quel che tu crei con tanto giudizio?

Perché, madre, perché?

Se potessi, se potessi solo una volta.

 

Continuai a girare in tondo per la radura, cercando qualcosa che probabilmente non esisteva neanche.

 

Oh, madre mia adorata, perché?

Se solo potessi, se solo potessi, una sola goccia mi basterebbe.

Una sola mi farebbe lieto per l’eternità.

Una sola, la prego, la scongiuro.

Non chiedo altro.

 

Non so perché, ma mi fermai.

Mi sedetti.

Lasciai rotolare le lacrime sulle mie guance.

 

 

Sapevo a chi apparteneva la voce.

 

La prego, madre adorata, la prego.

Non desidero altro.

Non bramo altro.

Mi lasci versare una sola lacrima.

Una sola.

Non chiedo altro.

 

Il mio cuore smise di battere.

Probabilmente ero morta, e quella ero il più bell’inferno che abbia mai potuto immaginare.

 

La scongiuro, la imploro.

Mi lasci versare una sola piccola lacrima per l’amore ch’ho perduto.

La prego.

Sarei anche libero di morire, ma la prego, mi lasci calare una sola lacrima.

Una sola lacrima per tutto quello ch’avevo e ch’ho perduto.

Per sempre.

Una sola lacrima, è questo il mio desiderio.

 

Davanti a me, stava inginocchiato su una gamba come un gatto.

Edward.

Gli occhi erano di un colore mai visto sul suo volto.

Erano verdi, erano intensi, erano profondi.

E il suo volto era straziato dal più intimo delle emozioni.

Le lacrime cadevano incessantemente, illuminando il suo viso da angelo.

Ma mi guardava senza luce, senza sentimento.

I suoi occhi erano semplicemente grondanti di dolore eppure emanavano una tranquilla quiete. Come quando una persona cade nella più profonda sofferenza.

 

Cercai di allungare la mano, tentando di sfiorargli il volto, ma lui era lontano.

Anche se a qualche metro da me, lui era lontano.

E io non potevo più fare altro.

A cosa serviva inseguirlo, se lui stesso aveva scelto di morire a costo di poter piangere per mostrarmi il suo dolore?

 

Sono più che sicura, che al mio posto ai suoi occhi vi era il sorriso sadico di Jacob.

 

Una peccatrice merita di essere perdonata, se ha strappato le ali del più splendido degli arcangeli?

 

Edward chiuse quietamente gli occhi.

 

Bella?

 

Disse una voce nell’aria.

 

Sono qui, mio amore, sono qui. Non piangere più, non piangere più te ne prego. Perdonami, perdona il mio peccato ed accettami, anche se dovessi perdere altri cent’anni ed invecchiare.

Farei di tutto per te, ma non piangere.

 

Bella?

 

Ripeté la voce.

 

Mi sentii scuotere dalle spalle.

“Bella?! Bella mi senti?”, disse la voce che ora non sembrava più aleggiare nell’aria ma appartenere al viso pallido e freddo che mi sovrastava.

“…-he c’è?”, chiesi assonnata.

“Stai piangendo”.

“-osa..?”, ripetei.

“Stai piangendo. E’ quasi tutta la notte che piangi. Iniziavo a preoccuparmi”, disse la voce vellutata.

Mi strofinai gli occhi e mi accorsi che avevo tutta la faccia bagnata.

Alzai lo sguardo ed incontrai quello dell’arcangelo più splendido steso accanto a me.

Per l’emozione, per il ricordo di quella sua straziante supplica, scoppiai a piangere come non avessi mai fatto.

“Ma B-bell-…”, disse con tono sorpreso.

Mi aggrappai violentemente alla sua camicia e coprii la faccia continuando a piangere senza freni.

“Perdonami, perdonami. Devi perdonarmi”, cominciai a farneticare soffocata dai singhiozzi.

Sentii le sue braccia attorno a me.

Strinsi le dita e soffocai il mio dolore nella sua camicia di morbida seta.

 

  
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