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Autore: Red_head    17/07/2014    1 recensioni
C'era una stampa alta almeno un metro e mezzo e larga una cinquantina di centimetri davanti a lui. C'era sempre stata, dacché la sua giovane mente riusciva a ricordare: il faro d'Ar – Men era sempre stato appeso accanto alla porta finestra che dava sulla terrazza, protetto dal vetro trasparente e contornato dalla cornice di legno dipinto di azzurro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La fontaine d'Ar – Men,
photofraphie Guillaume Plisson.



C'era una stampa alta almeno un metro e mezzo e larga una cinquantina di centimetri davanti a lui. C'era sempre stata, dacché la sua giovane mente riusciva a ricordare: il faro d'Ar – Men era sempre stato appeso accanto alla porta finestra che dava sulla terrazza, protetto dal vetro trasparente e contornato dalla cornice di legno dipinto di azzurro.
Era imponente, quel faro, alto più di trenta metri, arroccato su uno scoglio al largo della costa bretone: durante la bella stagione cercavano di dipingere di bianco la parte alta e di blu la scritta “Ar – Men”, posta a circa metà di quella fascia lattea che i guardiani del faro tentavano di mantenere il più candida possibile, ma era difficile poiché il faro d'Ar – Men aveva sempre presentato delle grandi difficoltà a coloro che erano incaricati di mantenerlo attivo, in passato, in buone condizioni adesso, nel presente.
Quella fotografia l'aveva sempre affascinato, ci fu un periodo in cui si faceva raccontare le storie legate a quel faro ogni sera, prima di addormentarsi, cullato non solo dalla voce di coloro che amava di più al mondo, ma anche dalla soffice pelliccia di Lucifer, il suo adorabile cucciolo.
E ancora adesso, anche se ormai aveva sette anni e si ostinava ad andare a dormire senza essere accompagnato da nessuno, senza le mani calde dei suoi genitori a rimboccargli le coperte fino al mento, quando era stanco per una giornata troppo pesante a scuola, oppure demoralizzato perché non era riuscito a eseguire alla perfezione un nuovo stile di nuoto in piscina o un tuffo, allora entrava nella stanza padronale della casa insieme a Lucifer e timidamente, torturandosi il lembo inferiore della casacca del pigiama, chiedeva in un filo di voce che cosa era successo a uno dei guardiani di Ar – Men e sapeva che quei sorrisi in risposta e le coperte scostate nel lettone matrimoniale per fargli spazio, erano un chiaro invito ad accoccolarsi fra i loro corpi caldi e ad appisolarsi ascoltando l'ennesima storia riguardo a “l'Inferno degli Inferni”.
Sì, in teoria non doveva essere così affascinato da un edificio che portava un nome così negativo, non avrebbe dovuto chiamare il suo husky come il capo degli inferi, ma a lui non importava: quella fotografia l'aveva accompagnato passo dopo passo dacché era nato, era la prima cosa che vedeva quando entrava in casa, in fondo al corridoietto dell'ingresso e l'ultima a sfiorare con gli occhi azzurri nel momento in cui si ritirava nella sua stanza, la sera.
Amava quella fotografia, era legata a quella casa, a loro, alle leggende, alle favole, al mare. Era azzurro e lui adorava visceralmente quel colore.

[ … ]
___ « Aveva poco più di trent'anni quando arrivò per la prima volta ad Ar-Men.» Osservò le lunghe dita di suo padre che gli indicavano la stampa alta più di un metro e mezzo appesa al muro del salotto. « A quel tempo vi si poteva accedere solo dal mare, quando questi era calmo e tramite una scialuppa.»
___ « Che cos'è una scialuppa, papà?»
Le labbra carnose increspate in un sorriso divertito, contornate da uno strato di barba non fatta da un paio di giorni: era domenica e papà non si faceva mai la barba durante il week end. A volte non la faceva nemmeno negli altri giorni, a dirla tutta.
___ « E' una piccola barca. Si mette sulle grandi navi per poter permettere ai viaggiatori di mettersi in salvo qualora qualcosa non dovesse andare bene nella nave grande.»
___ « Ah! Oui, je comprends. Continua!»
___ « Agli ordini!» Rise appena prima di continuare il racconto. « Dunque … gli addetti al faro accompagnavano i Guardiani ad Ar – Men e portavano loro i viveri via mare. Era l'inizio dell'inverno del 1923 quando Monsieur Foucault venne accompagnato all'Inferno degli Inferni. Lui era originario di Marsiglia, aveva sempre vissuto lì prima di accettare il lavoro in Bretagna e non aveva la minima idea del perché venne trasbordato insieme a cibo, acqua e una cassa di armagnac in tutta fretta.»
___ « E perché l'hanno fatto? Stava antipatico ai tizi della sciaRuppa?»
___ « Scialuppa.»
___ « Scialuppa.» Ripeté in una leggera smorfia. Non gli piaceva essere corretto, per niente.
___ « Perché molto presto non sarebbe stato più possibile, al signore della barca - »
___ « Scialuppa!»
Sentire suo padre ridere, era una delle cose che preferiva al mondo.
___ « Sì, al signore della scialuppa, non sarebbe più stato possibile mantenere la barca accostata al molo senza che le onde ve la scaraventassero contro.» Strinse le labbra forte fra loro e si rese conto da solo di aver messo su un broncio triste, infantile, ma dopo tutto aveva solo sette anni, poteva ancora giocare la carta dell'età. Non interruppe il padre e, anzi, lo incitò in un cenno del capo a continuare e lui gli sorrise, dolcissimo come sempre. « Monsieur Foucalt si trovò solo.» Ora gli tremava il labbro inferiore: conosceva bene quella storia, gliel'avevano raccontata almeno venti volte e gli faceva sempre lo stesso effetto. « Ar – Men era eretto sopra a uno scoglio affiorante, al largo della Bretagna, in pieno Oceano Atlantico. Come si dice “mare” in francese?»
___ « Mer!» Esclamò a pieni polmoni, con un gran sorriso.
___ « Parfait. “La mer” è un sostantivo femminile, tanto simile alla parola “mère”, madre, e a Monsieaur Foucault non piaceva per niente sua madre.»
Lui non ce l'aveva nemmeno una madre, ma non si era mai lamentato della cosa, per questo ogni volta che arrivava quella parte della storia aggrottava le sopracciglia e guardava storto il padre, con uno strano ghigno un po' schifato ad arricciargli la bocca rossa.
___ « Il mare, per Foucault, era sua madre. La odiava, perché tante volte lo aveva tradito. La amava, perché nonostante tutto, non riusciva a vivere lontano da lei.»
E la prima notte che Foucalt passò nel faro di Ar – Men, nevicò. Nevicò intensamente per l'intera nottata e il giovane uomo rimase molto tempo a guardare il fascio di luce che imperterrito illuminava la tempesta di neve. Il mare aveva incominciato a ingrossare e alcune volte le onde andavano a percuotere il portone di acciaio dell'ingresso del faro, provocando un cupo rimbombo che si propagava per tutta l'altezza della potente struttura. Venne l'alba e Foucault spense la lampada del cilindro delle lenti, sotto la cupola di vetro della sommità del faro. Lo spettacolo, nella luce vivida del mattino, fu per lui impressionante. Il guardiano non aveva mai visto un mare così maestoso: per potenza, per colore, per suono, per forma.
Scese in cucina, la sua mente cullata dal blu immenso dell'oceano e cominciò a prepararsi il caffè; mentre l'acqua era sul fuoco, diede un'occhiata attraverso l'oblò, fuori e la vide danzare sulle onde. Una vecchia goletta ad armo aurico procedeva al traverso, a poco più di cinquanta metri dal faro!
___ « Oh no!» si tappò la bocca con entrambe le mani: lo sapeva, sapeva dell'arrivo di quella nave, sapeva che gli occhi del Guardiano avrebbero incrociato la sua sagoma, ma ogni volta si sorprendeva, si preoccupava e come ad ogni racconto, suo padre gli accarezzò la nuca, alla base dei capelli castani e continuò tranquillamente a parlare.
A bordo della goletta Focault poté intravedere solo il timoniere, in piedi, alla ruota. Il guardiano pensò di essere vittima di un'allucinazione quando scorse distintamente che si trattava di una giovane donna dai lunghi capelli rossi. Indossava un abito leggero, estivo, ma nero, tipico delle contadine di Bretagna. Così assurdo era quell'abito, in mare, con quel gelo, quanto impossibile quella presenza femminile a bordo. Foucault restò come ipnotizzato a guardare la goletta, per qualche istante, mentre scompariva dal ristretto campo visivo che offriva il suo punto di osservazione.
Scese di corsa al piano sottostante, si affacciò ad un altro oblò, ma non la vide.
Scese di istinto per la ripida scala, giù fino alla piattaforma sugli scogli, all’aperto.
Appena varcata la soglia del portone di acciaio venne travolto da un’ondata gelida e cadde violentemente, finendo contro il parapetto della piattaforma, e solo grazie a questo non fu scaraventato in mare. Passato il frangente, una volta rialzatosi, si precipitò verso l’entrata del faro, rimasta aperta. Aveva commesso una sciocchezza imperdonabile, uscendo all’aperto con un tempo simile e rischiando così stupidamente la vita. Ripensò a quella apparizione. Non poteva essere vera. Foucault ebbe un brivido: quella goletta aveva tutte le vele spiegate! Nessuna nave poteva resistere, così invelata, a quel vento. E poi quella donna! Assurdo!
___ « Era sicuramente un miraggio, papà!» Anticipò le parole di suo padre il quale, sorridendo, annuì lentamente.
Doveva trattarsi di un miraggio, di un’illusione ottica, almeno di questo cercò di convincersi il guardiano che salì affannosamente i sette piani del faro per controllare da lassù che cosa avesse effettivamente visto. A più di un miglio di distanza ormai, verso Nord, le bianche vele della goletta sembravano resistere alla forza del vento, né lo sbandamento era eccessivo. Le seguì, stordito, con lo sguardo per lunghi attimi, ma ad un certo punto, all’improvviso, il veliero si ingavonò paurosamente e mise gli alberi in acqua, scomparendo alla vista.
Foucault attese col fiato sospeso di vedere ricomparire la velatura.
Passarono i secondi, poi i minuti, ma il guardiano rimase a lungo a guardare prima di capire che la piccola nave non si sarebbe più salvata.
Prese il binocolo e invano scrutò la superficie schiumosa del mare: bagnato fradicio, batteva i denti per il freddo e per l’emozione di ciò che aveva visto. ___ « Secondo te era stata veramente un'allucinazione?» Si sentì domandare, dolcemente.
___ « Mhn … no!» Rise perché mettevano in scena quello scambio di battute ogni volta che gli raccontava le avventure del guardiano Foucault e nessuno dei due si stancava mai di quel siparietto.
___ « Esatto. Non era stata un'allucinazione: la goletta era vera ed era appena naufragata, ma Foucault si rifiutava di credere che alla guida della nave poteva esserci stata una donna. Una donna! Come poteva essere reale la visione di quell'abito leggero, agitato dal vento? Dei capelli rossi, scarmigliati, bagnati dall'acqua salata?»
Il Guardiano Foucault chiamò i soccorsi col codice morso e il messaggio fu ricevuto da due navi mercantili e da un incrociatore della Marina Militare Francese, che arrivò sul luogo del naufragio verso mezzogiorno. Perlustrò a lungo nonostante le condizioni del mare peggiorassero di ora in ora e infine se ne andò, comunicando che le ricerche non avevano dato alcun frutto.
Foucault stilò il suo rapporto, guardandosi bene dallo scrivere dello strano timoniere e nemmeno rivelò che quella goletta aveva tutta la tela a riva: non sarebbe stato credibile data la forza del vento e lo stato del mare. Giunse la notte e il guardiano del faro non riusciva a chiudere occhio. Il mare era ingrossato paurosamente e il vento arrivava ormai a sessanta nodi con raffiche fino a settanta. Le onde spazzavano il faro, alto trentasette metri, fino quasi alla metà della sua altezza. Era stato necessario applicare le spranghe al portone e le lastre di ferro agli oblò ai piani inferiori.
Il faro tremava sotto i colpi del mare. Il frastuono era assordante.
Foucault aveva paura. Il mare, se voleva, poteva avere la meglio sul faro e distruggerlo.
Il fragore della tempesta sovrastava ogni rumore, quindi il lamento di donna che Foucault ogni tanto sentiva, non poteva che essere frutto della sua immaginazione. Del resto non poteva fare nulla, se non controllare che la lampada, lassù, fosse sempre accesa, e pregare che il faro non crollasse, insieme alla sua mente. All’alba il vento superava costantemente i settanta nodi e i marosi erano diventati così giganteschi che gli spruzzi sormontavano, a volte, la cupola di vetro della sommità del faro. Il guardiano si alzò dal suo letto senza aver dormito per tutta la notte e andò in cucina a preparare la colazione.
Mentre l'acqua era sul fuoco diede un’occhiata fuori.
La vide danzare su quel mare d’inferno, lenta e maestosa.
Con tutte le vele spiegate.
La donna, al timone, si girò lentamente verso il faro, ed il suo sguardo triste penetrò fin dentro le pupille di Focault, e la sua voce delicata risuonò nella mente di lui...
___ « Scusami se ti ho turbato … » Sbarrò gli occhi, attonito, si voltò di scatto verso la porta d'ingresso dell'appartamento parigino: Lucifer si scagliò contro il padrone per fargli le feste, augurargli il ben tornato, mentre lui si limitò a serrare forte le labbra e i pugni delle manine, emozionato.
Si sentiva gli occhi liquidi e il cuore battere forte: tu – tum, tu – tum, tu – tum. In uno scatto rivolse lo sguardo al padre che sorrideva, contento e decise evidentemente di stare al gioco.
___ « Mi chiamavo Cécile e nacqui a Camaret, laggiù, sulla costa.» Il nuovo arrivo indicò in un gesto morbido della mano destra la stampa del faro, mentre appoggiava il borsone per terra, davanti a loro. Non si spogliò della giacca primaverile, continuò invece la recita. « La mia vita era semplice, dedicata al lavoro nei campi di mio padre e alla cura dei suoi animali; ma ero anche radiosa per l'amore che nutrivo per Julien.»
Lo percepì lo scambio di sguardi fra loro due, c'era elettricità nell'aria quando erano nella stessa stanza, si respirava amore.
___ « Dovevamo sposarci in primavera …» Sorrise, dolcemente. « Di non so più quale anno, ormai. Julien era un mercante e questa è la sua nave.»
___ « L'attimo dopo', Cécile era seduta vicino al braciere che riscaldata la cucina del faro.» Riprese suo padre, la voce narrante. « Le mani appoggiate sulle ginocchia, strette tra loro. I capelli rossi e bagnati ricadevano a ciocche gocciolanti sul suo bel viso di giovane donna. Poteva avere vent’anni.»
___ « Sento che non mi temi più! E te ne sono grata.» Cécile.
___ « Stai cercando Julien?» Foucault, il guardiano.
___ « No, lui è all'Inferno.»
I suoi occhi saettarono rapidi verso il quadro della stampa: l'Inferno degli Inferni, il faro di Ar – Men.
___ « Cerco il mio bambino.»
L'espressione del guardiano fu di pura sorpresa.
La donna continuò a raccontare, guardando languidamente le braci del faro. ___ « Julien mi mise incinta. Promise di sposarmi, ma dopo che ebbi partorito, con un inganno, lo portò via. Doveva disfarsi di me e del bambino. Era fidanzato, venni a sapere, con una donna della ricca borghesia di Vannes, stava per sposarla e non voleva scandali.»
___ « Rapì il tuo bambino?»
___ « Sì. E salpò.»
Scrutò l'orizzonte da ogni punto possibile di Camaret e alla fine, disperata, si arrampicò sulla scogliera: sconvolta, amareggiata, completamente sopraffatta dal dolore. A piedi nudi, scalfiti dalle rocce frastagliate, cercò le vele bianche della goletta per ore intere.
___ « Non vidi altro che il mare.» Sussurrò “Cécile”, sospirando. « Il mare che mi accolte l'attimo dopo.»
___ « Ti togliesti la vita?»
___ « Così si pensò in paese, ma scivolai.»
___ « Povera Mademoiselle Cécile …» Sussurrò piano, abbassando lo sguardo sulle proprie manine che stringevano forte l'orlo inferiore della maglietta. Cécile era disperata, una creatura smarrita dallo sguardo perso nel braciere della luce del faro, i cui bagliori le balenavano sul viso.
___ « Giorni dopo la goletta di Julien tornò in porto con il solo equipaggio, ma senza il suo comandante. Nessuno sapeva cosa gli fosse accaduto: semplicemente una mattina non lo trovarono più nella sua cabina. Non fu mai trovato.»
___ « La nave fu messa alla fonda e qualche tempo dopo, marcì.»
Riprese a narrare suo padre che, in un gesto fluido, afferrò i fianchi della sua “Cécile”, accogliendone il peso sulle proprie gambe. « Mademoiselle Cécile se ne impossessò, la fece sua.»
Si guardarono negli occhi e sorrisero, divertiti, pronte a recitare le battute finali.
___ « La uso quando voglio, per navigare in queste acque alla ricerca del mio bambino!» Cécile.
___ « Mi dispiace … » Il guardiano, Focault.
___ « Per quanto io l'abbia cercato, non sono mai riuscita a trovarlo.» Suo padre.
___ « Sono costernato, Cécile.» Suo padre.
___ « Ma ora sono qui. Da te.» Olivier.
___ « Da me?» Dean.
Suo padre Olivier, completamente calato nella parte, passò un braccio intorno alle spalle dell'altro suo papà, Dean e gli afferrò dolcemente il mento con la mano opposta.
___ « Oui, mon cher.»
Continuavano a sorridere e si baciarono, lentamente, a fior di labbra, com'erano soliti fare.
___ « PAPA'! CHE SCHIFO!»
Dean scoppiò a ridere, Olivier alzò gli occhi al soffitto e si voltò per fargli una linguaccia che fu ben lieto di ricambiare.
___ « Ad ogni modo …» Riprese la voce narrante. « Sebbene il primo turno di Foucault ad Ar-Men sarebbe dovuto durare due settimane, il mal tempo perdurò per più di tre mesi con inaudita violenza e per più di tre mesi Foucault restò prigioniero del faro. L'unico suo collegamento fu il radiotrasmettitore morse, con il quale poteva comunicare il suo stato di salute, che peraltro rimase sempre buono, e ricevere incoraggiamenti e promesse di pronto recupero, puntualmente rimandate.»
___ « Ogni mattina gli abitanti dell'isola di Sein, distante più di venti miglia dallo scoglio di Ar-Men, scrutavano l’orizzonte per vedere se il faro era ancora intero, oppure demolito dalla forza del mare.» Continuò Olivier, che si prodigò a dargli fastidio scompigliandogli i capelli castani. « Mai si era verificato un inverno così terribile, mai un guardiano era rimasto intrappolato così a lungo. Però il faro resistette.»
___ « E un bel giorno il mare di placò! Placati anche tu, papà!» Sfuggì alla manona del suo papà biondo e balzò in piedi, divertito. « Monsieaur Foucault divenne il più famoso guardiano di Ar – Men! Divenne super popolare in Bretagna!»
___ « Sì.» Convenne Dean, sorridente. « Per tutta la vita, però, non rivelò mai a nessuno il suo segreto.» Gli scoccò un occhiolino, rapido. « Colui che aveva creduto essere suo padre, il pescatore marsigliese dalla dura scorza, ma dall’animo buono, in gioventù aveva lavorato per un mercante bretone dalle parti di Capo Finisterre. Ed un giorno lontano aveva portato un dono, grande e segreto, alla propria moglie.»
___ « Sì, e da quel giorno Foucault il marsigliese, non odiò più il mare.» Questa volta era il suo turno di sorridere.
Osservò i suoi genitori abbracciati sul divano, due paia d'occhi color miele e azzurro intenso che lo fissavano radiosi, allegri, felici e non poté fare a meno si lanciarsi addosso ai suoi due papà.
___ « Papà! Sei tornato prima!» Trillò baciando Olivier su una guancia.
___ « Volevo farvi una sorpresina, microbo.» Lo chiamava sempre così: microbo, o marmocchio, peste, ogni tanto gli dava della lince spastica perché sosteneva che aveva le stesse movenze di quei felini da cuccioli, ferine, quasi eleganti, ma alla fine impacciate, quindi spastiche. Non che lui sapesse cosa volesse dire la parola “spastico”, in realtà, ma andava bene così.
___ « Com'è andata a New York? Hai incontrato Svetlana?» Domandò Dean col suo solito tono di voce carezzevole e una carezza la lasciò anche fisicamente sul collo del suo sposo, in un gesto completamente spensierato, automatico, al quale Olivier reagì con un sorriso.
___ « Sì, è dei nostri.»
___ « Per cosa? Per cosa!? Ditelo anche a me!» Esclamò saltellando come un pazzo, cosa che fece aggrottare la fronte a suo padre Olivier dato che gli era seduto addosso.
___ « Stai calmo! Ti spezzo tutti gli ossicini se non ti plachi, eh!»
___ « Sì dai, dopo! Ma cosa fate con zia Lana? Eh? Eh? Eh?»
Si guardarono per un attimo prima di sorridere flebilmente.
___ « Zia Lana ha accettato di tornare a Parigi.»
___ « Per cosa!? Wow!»
___ « Per aiutarmi!» Rispose Olivier, in un sorriso soddisfatto.
___ « P A P A'! Daaai! Smettila! Dimmi per cosa!»
___ « Uno spettacolo, sweety.» Papà Dean era sempre più tenero.
___ « Che spettacolo? Ehi, aspetta …» Ragionò un attimo, aggrottò le sopracciglia e finalmente il suo visetto infantile esplose in un sorriso. « Lo farete? Tutto voi? Tu lo scrivi, tu fai le coreografie?! E zia Lana ti aiuta!?» Non sapeva cosa volesse dire “spastico”, ma la definizione di “coreografia” gli era ben chiara nella mente: era cresciuto così, vedendo papà Dean scrivere, dipingere, dirigere squadroni di scenografi mentre papà Olivier ballava.
Aveva sempre ballato dacché aveva memoria e anche quando si era ritirato compiuti i quarant'anni, aveva continuato nel campo: era diventato il maestro dell'École dell'Opéra de Paris, dopo essere stato il primo ballerino dell'Opéra per anni. E della Royal Ballet Company, prima. E prima ancora del New York City Ballet. E, in ultimo e per dieci, lunghi anni, de La Corte dei Miracoli, la compagnia di danza fondata da loro due, che aveva sgomitato fra le grandi compagnie di tutto il mondo, riempiendo i teatri di ogni città che toccava con lo spettacolo “Azzurro”, gran successo dapprima londinese, quindi europeo, in fine mondiale.
Ogni giorno quando entrava in casa vedeva la stampa del faro di Ar – Men, quindi si faceva un giro del salotto, a volte solo con gli occhi, altre camminava e sfiorava la cornice azzurra che circondava il quadro del ritratto di suo padre Olivier truccato e vestito come il protagonista di “Azzurro”, che ballava un assolo durante il secondo atto. E l'aveva dipinto papà Dean, naturalmente. C'erano un sacco di fotografie appese a una parete, tutte incorniciate dello stesso colore, ovviamente: zia Thalie e zio Tristan e i suoi cugini, che erano più grandi di lui, Sophie, Jules e Mathieau. C'era la bisnonna, ancora incredibilmente viva – lo diceva lei, davvero, lui non si era mai sognato nemmeno di pensarla una cosa simile! Ciel, che lui non aveva conosciuto, il primo “figlio” dei suoi genitori, almeno così Dean e Olivier definivano lo splendido husky bianco che faceva capolino in alcune fotografie appese al muro. Zia Svetlana, stupenda nel suo tutù bianco e poi nero, mentre ballava “il Lago dei cigni” insieme a papà Olivier, a New York. Azalea, la strana signora rossa che aveva sposato l'amico inglese di papà Dean, Taylor, che ora viveva con lei a Parigi e insieme avevano aperto un Bistrot cinema, dalle parti dell'Arc de Triomphe. Nonno Hamilton: non aveva conosciuto nemmeno lui, ma papà Dean gliene aveva parlato talmente tante volte, descrivendolo così bene in ogni sua sfumatura, che a lui sembrava di averlo sempre accanto. Forse era così. Zia Thalie dice sempre che coloro che ami non ti lasciano mai, nemmeno quando chiudono gli occhi per sempre. C'era anche la nonna, che abitava a Cannes e ogni tanto veniva a Parigi a trovarli: era una bella donna bionda, dolce, gli portava sempre un sacco di regali e lui le voleva bene. Sapeva che papà Olivier era ancora arrabbiato con lei, ma lui era così: fuori era sempre scontroso, ma dentro aveva un cuore grande, grande e quando la nonna ripartiva per la Costa Azzurra, dopo le sue visite al nord, la abbracciava sempre.
E poi c'erano loro due, nel corso degli anni, in giro per il mondo, che ridevano, guardavano un monumento, camminavano mano per la mano, si abbracciavano, si baciavano. Tenevano in mano un'ecografia e piangevano, ma gli avevano sempre detto che quelle erano lacrime di gioia perché il piccolo alieno che si intravedeva in quella strana polaroid nera e bianca, era lui. E loro l'avevano fortemente voluto e da subito amato.
___ « Thomas, ti sei imbambolato?» Papà Dean gli pizzicò una guancia e lui gli sorrise, scuotendo il capo.
___ « Stavo pensando.»
___ « Toh! Il microbo pensa!»
___ « Papà! Smettila di trattarmi male!» Sbuffò tirando un morso alla spalla di Olivier il quale rise di gran gusto prima di abbracciarlo forte: se lo schiacciò contro il petto e in primis gli sfregò le nocche sulla testa, scompigliandogli tutti i capelli castani. « Ahia! Mi fai male, mi fai male! Papà, papà, salvami!» Ma Dean rideva, come sempre e alla fine Olivier lo abbracciò, tenendolo stretto al petto.
___ « Era un po' che non ci chiedevi di raccontarti la storiella del faro, mon cher… tutto bene?»
___ « Certo!» Si accoccolò fra le braccia di papà Olivier, che si erano fatti gentili e protettive, così come quelle di papà Dean, che abbracciava il suo amato e a lui accarezzava distrattamente un braccio con la punta delle dita. « Mi piace la storia di Monsieur Focault, lui è diventato una leggenda vivente anche se non aveva la mamma.»
Gli sfuggì lo sguardo che i suoi due padri si scambiarono, ma poté quasi sentirla sulla pelle la preoccupazione che li logorava ogni volta che toccava quell'argomento, quindi saltò seduto ben dritto con la schiena, con un bel sorriso dipinto sul visetto.
___ « E' come me! Ma io sono più fortunato, perché ho due papà. E la nonna, la bisonna, le zie e gli zii, i miei cugini, Lucifer … insomma, se Monsieaur Focault è diventato un grande guardiano pur essendo cresciuto con un solo papà, io che ne ho due posso conquistare il mondo!» Li guardò arcuare quasi contemporaneamente le sopracciglia, mettere su un'espressione sorpresa prima di godersi le loro risate. Calde, carezzevoli, musicali.
___ « Che scemo!»
___ « Papà!»
___ « Conquisterai il mondo, Thomas. Questo è poco, ma sicuro.»















Questa leggenda non è una storia di mia invenzione. Il faro di Ar - Men esiste davvero e anche la stampa a cui mi sono ispirata ( ringrazio la pagina FB del faro per avermi ispirata! ). Comunque ... chi mi segue conosce già Olivier e Dean, chi non mi segue sappia che hanno una loro storia dedicata nel mio account, il cui titolo è Azzurro. Appena ho sentito la storia del faro mi sono venuti in mente loro e ho voluto scrivere questa breve storiella per deliziarmi e deliziarvi - spero! - facendo un tuffo nel loro futuro.
Adoro il carattere di Olivier, adoro il suo modo di essere padre.
Dean .. Dean è Dean, è l'uomo ideale, lo amo a prescindere e il piccolo Thommy probabilmente diventerà un serial killer. O un tuffatore professionista. O un costumista. O un mantenuto. Magari prima o poi lo scopriremo insieme.
bacibà!
  
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