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Autore: Nyktifaes    17/07/2014    4 recensioni
Questa storia si è classificata prima al contest 'Canon VS Fanon' indetto da Exoticue, e portato a termine da Lui_LucyHP. Ha inoltre ottenuto il "Premio Canon" (miglior coppia canon) e il "Premio Originalità".
Alcuni dei momenti più significativi della gravidanza di Hugo.
Urla, sorprese e una piccola mente tanto dolce quanto sveglia.
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hugo Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Questa storia partecipa al contest "Canon vs Fanon" indetto da Exoticue.
Pu non essendo la prima volta che pubblico in questa sezione, non posso di certo definirmi una veterana. Con questa shot ho espresso lo sconfinato amore per la Romione, mia otp per eccellenza.
Spero che questa piccola creazione sia di vostro gradimento. ^^
Nyk
[correzioni successive al giudizio di Lui_LucyHP]

 
Questione di nomi


Il piccolo Hugo imparò presto il nome di suo padre.
Tutto cominciò con un urlo, dei pesanti sospiri e tanta conigliesca gioia. Sua madre, precisa dipendente ministeriale, aveva come unico difetto delle corde vocali eccessivamente potenti e una terribile propensione alla distruzione del sistema uditivo altrui, con o senza magia.
Fu così che, dopo l’ennesimo ansito e un assordante “Ron!”, la prima cellula del piccolo Hugo prese forma.
La seconda volta che la giovane mente – se di mente si può parlare alla quinta settimana – percepì il nome di suo padre, fu quando il poveretto venne informato di stare per avere un nuovo pargoletto.
Era un venerdì pomeriggio e Hermione aveva fatto ritorno a casa in tutta fretta, dopo che un’illuminazione l’aveva improvvisamente colta, tra la firma di un documento e l’altro.
Sfilò con i piedi gli alti decolleté neri, che si depositarono ordinatamente nella scarpiera della stanza accanto, e si intrufolò furtivamente nel bagno del pian terreno. Si muoveva silenziosa, facendo attenzione a non sbatacchiare nulla. In mano teneva una semplice scatoletta bianca.
I tre minuti seguenti furono quantomeno estenuanti. Dopo aver seguito le istruzioni riportate sulla confezione, parve interessarsi alle dimensioni del suo stesso bagno, che misurò attentamente percorrendolo da cima a fondo svariate volte. Ogni tanto accennava all’oggettino bianco posato sul lavandino, ma poi scuoteva il capo, sbuffava e tornava a fare avanti e indietro per la stanza.
«Per Merlino, sei o non sei una Grifondoro? Tira fuori il coraggio e leggi il responso, su». In circostanze ordinarie avrebbe ricordato a chiunque che parlare da soli è uno dei primi sintomi della maggior parte dei disturbi mentali, ma quella di certo non era una situazione ordinaria.
Posò con forza le mani sul marmo del lavandino e si osservò riflessa nello specchio. Sembrava un gufo spennacchiato - considerò, inorridita. Quello che qualche ora prima era stato un perfetto chignon aveva assunto le sembianze della coda di Grattastinchi durante la caccia agli gnomi da giardino. Il viso era stravolto e le sopraciglia sembravano intenzionate a scavare un fosso tra gli occhi. Perfino i vestiti erano sgualciti e dalla camicetta erano saltati i primi bottoni. Nell’insieme il suo aspetto era la semplice dimostrazione fisica delle sue momentanee condizioni mentali.
Raccolse tutto il coraggio rosso-oro di cui era in possesso e afferrò il test.
Due lineette.
Positivo.
Un’ora dopo Ron rincasò e la trovò in cucina, intenta a fissare un oggettino dalla forma allungata. Si avvicinò e, sorridendo, le scoccò un bacio sulla guancia.
«Ciao, Hermione! Com’è andata a lavoro? Sei tornata presto, pensavo avessi il colloquio, oggi. Hai già preparato la cena?». L’insensibilità di Ron toccò livelli epici, quella sera. Si sedette al tavolo senza badare granché alla moglie, troppo impegnato a sfogliare la Gazzetta. «Hai sentito? Sembra che i folletti stiano ricominciando a lamentarsi per quei manufatti che-» alzò lo sguardo, ma sua moglie nemmeno lo guardava «Hermione, tutto bene? Oh, ma quello è un altro fermometro?». E indicò quel qualcosa che teneva tra le mani.
Finalmente la strega sembrò ritornare alla realtà e porse l’oggetto al marito.
«No, Ron. Questo non è un termometro». Sospirò «Sono incinta».
Al che, Ron, precipitò a terra.
«Ronald!» esclamò Hermione. Ma quella non sarebbe stata di certo l’ultima volta che avrebbe strillato il nome completo del marito, quella sera.
«Per le mutande di Merlino, non potevi dirmi di sedermi?» ora era lui a fare l’isterico.
«Tu eri seduto, Ronald».
«Intendevo sul pavimento 
Ovviamente Hermione nemmeno tentò di attaccare la ferrea logica del marito, limitandosi a ignorarlo. Intanto lui, ancora sul pavimento, tentava di rimettersi in piedi. E con sé anche un po’ del suo precario equilibrio mentale.
«E chi l’ha detto, quel coso? È solo una babbanata, di certo si sbaglia.» Parve addirittura sollevato dalla logica della sua conclusione. E gli occhi di lei si riempirono di lacrime. «Su, non fare così! È che questo non è il momento adatto per un altro bambino: Rose non ha nemmeno un anno e mezzo, c’è la tua promozione al dipartimento della Regolazione della Legge Magica e io sono esausto a causa dei nuovi cadetti. Un altro figlio non potrei proprio reggerlo, ora».
Anche in seguito, Hermione asserì che il ceffone che gli mollò, per quanto atto violento, fu totalmente meritato. Insieme all’urlo disumano che lo accompagnò: “Ronald!”.
E questa fu la volta in cui Hugo capì che suo padre poteva essere “Ron” o “Ronald”, a seconda delle esigenze del momento.
In seguito vi furono diverse altre occasioni durante le quali, il piccolo Hugo, poté essere certo di aver imparato il nome di suo padre. Pochi giorni dopo, ad esempio, Ron riuscì a farsi perdonare per la terribile reazione alla notizia della gravidanza. Fu un’impresa complessa e particolare, degna del suo ideatore. Hermione si era rifiutata di parlargli per giorni, arrivando a trascorrere più tempo a casa dei suoi genitori che con lui. Ovviamente, anche la compagnia di sua figlia Rose gli era quasi preclusa, dato che la bambina passava gran parte del tempo con la madre o con i signori Weasley.
Quando Hermione tornò a casa, quella sera, fu accolta da un particolare aroma. Tolse il pesante mantello di lana e si diresse verso la cucina. Lì, attorniato da pentole, coperchi e una moltitudine indistinguibile di ingredienti, c’era Ron. I capelli imbiancati di farina, come nel più classico dei film babbani che lui non aveva mai visto e i vestiti zeppi di macchioline e schizzi variopinti. Quando alzò lo sguardo e vide sua moglie che lo osservava – che osservava lui e tutto il casino che aveva combinato – sorrise cautamente. Schiarì la voce e tentò di pulirsi le mani sul golfino, originariamente rosso e ora, non solo chiazzato, ma anche pericolosamente tendente al color uovo.
Ron si era impegnato tanto e questo dovette riconoscerlo anche Hermione che, masticando la cena interamente preparata dal marito, cercava di tenere a mente che fosse suo preciso compito continuare a essere arrabbiata con lui. Ma era troppo commossa dalle attenzioni che riceveva e dalle continue domande di Ron “Ti piace questo? Non è che c’é troppo sale? Non si sente, quindi, che mi sono scordato di tenere la bacchetta abbastanza distante durante la cottura?”, tanto che, a fine pasto, un leggero sorriso aleggiava già sul suo volto.
Ron, comunque, non era rassicurato. La cena era andata bene, addirittura Hermione aveva finto di non sentire i frammenti di guscio delle uova mentre masticava il dolce. Si era inoltre premurato di farle sapere che non aveva assolutamente – beh, quasi – usato la magia, certo che lei avrebbe apprezzato il pensiero. Ma se non fosse stato abbastanza?
Si alzò da tavola e ritornò, poco dopo, con una sfera di vetro tra le mani.
Si schiarì la voce, a disagio.
«Ecco, questo è il tuo bouquet».
Il giorno del loro matrimonio si era impegnato particolarmente per ricordare con esattezza la pronuncia di quella parola e fortunatamente non l’aveva dimenticata.
La porse a Hermione e lei lo osservò, soppesandolo tra le mani. La sfera era divisa trasversalmente: da una parte conteneva una sabbia finissima e dall’altra acqua cristallina. Le ricordò una sfera di cristallo, solo che al suo interno vedeva sabbia e acqua, invece che qualche scadente premonizione. Nel suo baricentro, proprio sulla linea di confine tra i due elementi, qualcosa allungava le sue radici nella rena. Non era più grande di una biglia e possedeva il colore delle profondità dell’oceano.
«È… molto carino, Ronald. Ma questo non è un bouquet, i bouquet sono delle composizioni floreali».
L’aveva chiamato Ronald, brutto segno.
Si schiarì nuovamente la voce.
«Lo so, infatti lo è. È un fiore di Molpe».
Hermione rimase un momento interdetta e volse lo sguardo sul marito, un sopraciglio inarcato.
«Che cos’è?».
Ron si schiarì la voce per la terza volta, quella sera, e pensò che se fosse andato avanti così l’indomani mattina avrebbe avuto un ottimo mal di gola. E anche un ricovero al San Mungo per esaurimento nervoso.
«Si chiama Molpe, è una pianta semiacquatica che cresce sul fondale marino. È molto particolare perché ha le caratteristiche delle piante che crescono sulla terra ferma, però ha bisogno dell’acqua salata per sopravvivere. Ed è molto rara, sì». Ron si voltò altrove, a disagio. Gli sembrava di essere tornato indietro di un decennio, quando la sera, davanti al fuoco, ripeteva la lezione per il giorno seguente sotto lo sguardo critico e sapiente di Hermione.
E anche in quel momento, la suddetta, aveva quello sguardo.
Ciò ovviamente causò un momento di confusione nel rosso, già certo di aver sbagliato qualcosa.
«Io non ne ho mai sentito parlare. E ho letto-».
«Tutti i libri in merito. Ne sono certo, Hermione». Scosse il capo, sollevato. «Ma questa pianta è segnata in pochi libri ed è difficile da studiare, dato che le sirene non permettono che gliele si portino via. E poi sono legate più a leggende che altro. Infatti-»
«Quindi è difficilissimo procurarsi un esemplare di Molpe?». Hermione assottigliò lo sguardo e Ron gonfiò il petto, orgoglioso.
«Esattamente».
«E come avresti fatto, tu, ad averne uno?».
«Ho i miei metodi.» Borbottò lui, buttando fuori l’aria e facendo tornare il petto alle dimensioni normali.
Bastò uno sguardo di Hermione perché Ron decidesse che sarebbe stato meglio rispondere.
«L’ho chiesta per favore a Neville».
«E lui te l’ha data? E come hai fatto a sapere della sua esistenza?».
«Hermione, potresti per favore abbandonare i tuoi modi da tribunale dell’inquisizione per un momento?» Ron non aveva la benché minima idea di cosa avesse appena detto, ma Hermione usava sempre quella frase quando lui cercava di capire se qualche suo collega le si era avvicinato troppo, perciò l’aveva ripetuta. E poi gli era sembrata un’uscita così intelligente.
Lei continuò a fissarlo.
«E va bene, lui me ne ha parlato e io potrei averlo minacciato un tantino per farmela dare».
Vedendo che però Hermione non stava prendendo per niente bene la notizia – a meno che un improvviso scatto del capo e una delle sue occhiatacce volessero esprimere felicità – tentò di rimediare.
«Ma non è questa la cosa importante! Insomma…», sbuffò, sbatacchiando i piedi a terra. «La cosa importante è che quando mi ha raccontato di questa pianta, io ho pensato subito a te! E al fatto che sarebbe perfetta, perché dicono che ci vogliono diversi mesi affinché nasca il fiore e che le sirene debbano accudirlo proprio come si fa con un neonato. E io, con la Molpe, voglio dirti che sì, insomma, io davvero sono contento che ce ne dovremmo prendere cura». Sbuffò ancora, sotto le lentiggini le sue guance scottavano. «Del bambino, intendo, non della Molpe. Anche della Molpe, ma questo lo farai tu perché a te piacciono queste cose. Infatti io volevo regalarti un libro, ma poi ho pensato che questo fiore sarebbe stato meglio di qualsiasi enorme e vecchio tomo. Senza offesa. E poi tu li hai già letti tutti, i libri in circolazione, quindi io...».
Ma non c’era bisogno di aggiungere altro perché, in tutto quel farneticare, Hermione aveva colto ciò che davvero Ron voleva dirle. Gli occhi le si fecero umidi e, alzandosi in piedi, allargò le braccia. «Oh, Ron! Vieni qui».
Lui non se lo fece ripetere due volte e l’abbracciò con tanta foga da sollevarla da terra.
«Mi dispiace di essermi comportato come un idiota», borbottò, il volto sepolto tra i folti capelli di Hermione.
«Tu sei un idiota», ridacchiò lei.
«Davvero, insomma… Non è vero che non potrei reggere un altro bambino o che non è il momento adatto. Ogni momento è giusto, forse questo non è il migliore, ma noi ce la faremo. E poi qualsiasi bambino con i miei capelli e il tuo cervello è un dono meraviglioso».
Hermione tirò sul con naso e annuì, stringendosi più forte al marito.
«Grazie per la Molpe, è davvero bellissima».
Ron chinò il capo e le baciò le labbra. Una mano sfiorò il ventre di lei, già amando la vita che si celava a pochi centimetri di distanza.
Hermione fu un po’ meno contenta quando scoprì che tra le clausole dell’accordo di Ron e Neville c’era anche il diritto di quest’ultimo di presentarsi tre volte alla settimana per continuare a studiare la Molpe, alla quale non aveva voluto rinunciare davvero. E fu ancora meno contenta quando scoprì che lui avrebbe dovuto cantare per coccolare il giovane fiore e farlo crescere sano e forte.
Fu da subito evidente che, però, gli sforzi – e la pazienza – di Hermione avrebbero dato buon frutto. Mentre quello che era stato un semplice bulbo blu scuro si era trasformato in un piccolo bocciolo sempre più tendente al cobalto, il ventre di Hermione si era ingrossato ogni giorno di più, fino a che, alla ventesima settimana, il bimbo fu abbastanza grande da scalciare per la prima volta. Inaspettatamente non si trattò del solito leggero sfioramento che lascia le mamme estasiate, bensì di un poderoso calcio nella zona dei reni. Hermione fu costretta a piegarsi dal dolore tra le coperte del letto, dato che, il piccolo Hugo, si era fatto sentire per la prima volta proprio nel momento del quasi guadagnato sonno di sua madre.
«Ah, questo bambino ha carattere! È già tutto suo padre!». Inutile dire che Ron era stato immediatamente orgoglioso della forza di suo figlio e che non aveva badato particolarmente a Hermione, accanto a lui e dolorante. Insieme avevano poi preso ad accarezzare il bambino da sopra il ventre di sua madre, fino a che non si fu calmato e poterono addormentarsi.
Quella notte, il piccolo Hugo, mentre si beava di quelle carezze e di tutto quell’affetto che percepiva attorno a sé, prese coscienza di qualcosa. Forse sarebbe il caso di dire che avvertì qualcosa, in fondo si trattava di un feto di soli cinque mesi. Un feto molto forte e intelligente, a detta di suo padre.
Aveva sempre sentito che c’era qualcosa di diverso tra i tocchi gentili, le parole dolci che lo accompagnavo in ogni momento, il tocco leggiadro e quella voce melodiosa che cantava per lui. Tra tutto ciò e quelle altre carezze un po’ più rudi, la risata tonante e quel “Ron” urlato che le accompagnava quasi sempre, c’era qualcosa di profondamente diverso. Alle prime sensazioni non sapeva dare un nome, vi associava solo quell’amore ancestrale e misterioso che ogni bambino, fin dall’attimo del concepimento, sente per la propria madre. Alle altre, invece, ricollegava quell’insieme di suoni e di note alte che formavo la parola “Ron” o “Ronald”.
Quella notte il piccolo Hugo si addormentò con la percezione che, in realtà, non c’era alcuna differenza tra le sensazioni senza nome e “Ron”. Si esprimevano in maniera diversa e in momenti diversi, ma l’affetto che si infiltrava oltre la pelle e la carne per arrivare fino a lui, era perfettamente identico.
In fondo, si trattava solo di una questione di nomi.

Altri quattro mesi dopo, con ben dodici giorni di ritardo, Hermione e Ron si apprestavano a raggiungere il San Mungo, dato che il loro bambino aveva scelto quel giorno come il glorioso dì per mostrarsi al mondo.
«Ronald!».
«Ecco, piccolino, sono certo che tu abbia capito che il tuo papà si chiama Ron. Ma in tutti questi mesi non credo tu abbia davvero potuto sentire il nome della tua mamma, perché… Hermione!».
E Ron urlò il nome di sua moglie quando quest’ultima, in preda ad una dolorosa contrazione, gli ficcò le unghie della mano.




La "Molpe" è una pianta di mia invenzione, immagino ve ne siate accorti. Avevo bisogno di un fiore che rappresentasse l'amore di Ron per Hermione e i suoi figli, qualcosa di abbastanza dolce e particolare da indurre il perdono di Hermione. Non trovando nulla del genere mi sono arrangiata e l'ho creata direttamente (:
La Molpe è una pianta semiacquatica, che cresce sul fondale marino, solitamente nel nord dell'Atlantico. Affonda le radici nella sabbia, ma i suoi petali hanno bisogno dell'acqua salata per respirare. Non è esattamente come le piante babbane, in quanto il bulbo color blu oltremare, nel giro di nove mesi, si trasforma direttamente in un fiore dai grandi petali di un particolare color cobalto scintillante. Le sirene vi sono molto affezionate e utilizzano il particolare colore dei petali per svariate mansioni. Si pensa che per farla crescere bene serva appunto il canto e l'affetto che mettono le sirene. Essendo così rara - data la difficoltà nell'arrivare al fondale, nel rubarne qualche esemplare alle sirene e nell'allevarlo fuori dall'oceano - non ne si conoscono esattamente le proprietà magiche.
Ecco, la mia mente malata ha partorito pure tutte le generalità AHAHAH
   
 
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