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Autore: Bill Kaulitz    17/07/2014    3 recensioni
‹‹Sembro uno spazzacamini, con questo ridicolo cappello.›› notò Harry, specchiandosi. Alcuni ricci castani fuoriuscivano da esso, e Louis non poté fare a meno di guardarli. Erano bellissimi all’apparenza e, senza dubbio, sarebbero stati bellissimi anche al tatto. Sicuramente dovevano essere morbidi e profumati. Gli sarebbe piaciuto sentire il loro odore e, magari, anche la loro consistenza.
Ma cosa cazzo stai pensando, Louis? La smetti di fare il finocchietto sdolcinato?
[LARRY STYLINSON]
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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CAKE BAKERY

 ‹‹Jingle bells, jingle bells, Jingle all the way! O what fun it is to ride in a one-horse open sleigh!!›› Louis canticchiava allegramente quel motivetto da quasi dieci minuti, mentre si affannava a prendere gli scatoloni da sopra la mansarda.

Era l’8 di Dicembre e, a Londra, si respirava l’aria natalizia già da un bel pezzo. Era felice, allegro e spensierato.

Il Natale a Londra, era meraviglioso. Ogni anno che passava, la capitale inglese si riempiva sempre più di mercatini di Natale, mentre luci e luminarie accendevano le vie principali della città: le luci di Oxford Street venivano accese il 3 novembre e lo stesso, accadeva per quelle di Regent Street e Bond Street, restando accese fino al cinque di gennaio.

Tra le tante bancarelle presenti, oltre ai soliti grandi mercati di Camden Town, Portobello e Borough Market, che a Natale si arricchivano di nuovi colori, i più belli in assoluto – e per giunta, più visitati dai turisti – erano Covent Garden e soprattutto il mercatino di Natale di Borough Market, presso London Bridge-Kennington, il più popolare di tutti.

Tutti gli anni, durate il periodo natalizio, la città pareva diversa, rinata. Metteva di buon umore lui, e la sua famiglia.

Ma c’era una cosa in particolare, che lo rendeva ancora più felice: la vigilia di Natale. C’era un motivo ben sensato, del perché così tanto clamore, per questo giorno: il suo compleanno.

 

Una volta tirato fuori il cartone dell’albero, fu la volta degli addobbi.

‹‹Accidenti, ma quanto pesa? MAMMAAAA!!!!›› urlò da sopra la mansarda, in cerca di un po’ di aiuto da parte di sua mamma, Johannah. ‹‹Mamma, ho sei scatoloni uno sopra l’altro. Non riesco a tenerli tutti. Vieni a darmi una mano!››

Aveva i sei scatoloni tutti in pila che traballavano e pareva che, da un momento all’altro, sarebbero finiti in terra. Fortunatamente però, Johannah giunse in suo soccorso.

Non appena Louis la vide, sprizzò di felicità.

‹‹Grazie al cielo, temevo non arrivassi più.››

Senza aggiungere altro, dette a sua madre tre degli scatoloni – i meno pesanti ovviamente – ed uscì da quel luogo così angusto. Detestava la mansarda.

Con un piccolo salto, scese anche l’ultimo gradino della scala a chiocciola in ferro battuto.

‹‹Siamo pronti per montare l’albero?›› disse con un sorriso smagliante dipinto sul viso. Nonostante dovesse compiere ventitré anni, alle volte, soprattutto in questo periodo dell’anno, dava l’impressione di essere un bambino di dieci anni, che credeva ancora a Babbo Natale.

Johannah non rispose, sorrise al figlio ed annuì. Anche lei adorava fare l’albero. Le metteva allegria: tutte quelle palline, quei led colorati, i fiocchetti, le ghirlande, il puntale, i nastri, tutto. Il Natale, era senza dubbio, il periodo più bello dell’anno.

‹‹Allora, Louis, cosa vorresti come regalo di compleanno, quest’anno? Sai che ti è concesso sceglierne uno. Ahahah.›› affermò sua madre.

Esatto. L’unica cosa che a Louis tanto non garbava, era proprio il fatto che, come regali, o riceveva quelli per il compleanno, oppure quelli per Natale.

Quando era piccolo, ad esempio, non poteva mai festeggiare in quanto, i suoi compagni di scuola, erano tutti in vacanza e, ovviamente, dovevano passare la vigilia di Natale con la propria famiglia. Forse solo questa, era la cosa che lo rattristava un po’.

‹‹Quest’anno, ho deciso di volere una torta bellissima. Hai presente?››

Johannah, mentre allestiva l’albero, contorse la bocca in un’espressione di concentrazione.

‹‹Come le torte che fanno in quel programma su Real Time?›› chiese poi.

‹‹Sì, mamma. Proprio quello. Proprio come: Il boss delle torte. Ne voglio una simile. Questo però, varrà sia come regalo di Natale, che come regalo di compleanno.››

Johannah tirò su un sospiro di sollievo – in maniera sarcastica, logicamente. – Sapeva benissimo che, quelle torte, costavano fior di quattrini e, purtroppo, lei non poteva permettersi il lusso di comprare al figlio una torta alta quattro, cinque, sei piani.

‹‹Ovviamente però, se questo ti è possibile, certo.›› disse quella frase con un tono di speranza. Non aveva mai avuto una torta simile.

Johannah sorrise tristemente. Lasciò da parte l’albero e si avvicinò a Louis, abbracciandolo intensamente.

‹‹Ti voglio così bene, Louis. Sei un bravo ragazzo. Ti prometto che avrai quella torta che tanto desideri.›› gli accarezzò i capelli castani, scostandogli quel ciuffo ribelle che gli cadeva davanti agli occhi. Azzurri come il mare. Tali e quali a quelli del padre. Alle volte, le dava l’impressione di essere proprio lui, quando aveva vent’anni.

‹‹Ti preoccupi così tanto per me.›› aggiunse lui, ricambiando il caldo e affettuoso abbraccio di sua mamma. ‹‹Sai mamma, l’altra sera, quando ero in giro per il centro, mi è capitato di leggere un ‘Cercarsi personale’ affisso sulla vetrina della Louis Hungarian Patisserie. Se non mi sbaglio, cercano due o tre persone. Non so bene di cosa si tratti; ma credo per le pulizie del locale.››

Johannah lo guardò un po’ incerta. Cosa intendeva?

‹‹Cosa vuoi dire, Louis?››

Seppur di mala voglia, Louis si staccò dalle braccia di sua madre, allontanandosi quel tanto da bastargli per guardarla negli occhi. Incrociò le gambe.

‹‹È da diversi giorni che mi frulla in mente l’idea di cominciare a lavorare. Anche un lavoretto così, giusto per arrangiare. Magari, se lavorassi anche io, posso aiutarti con le spese della casa.››

A Johannah le vennero gli occhi lucidi.

Da quando Troy era morto, si era occupata lei del figlio, della casa, di tutto. Sebbene avessero problemi economici – ovviamente non di estrema gravità – Johannah, non aveva mai fatto mancare nulla, al proprio figlio. Aveva sempre fatto dei sacrifici, pur di renderlo felice; e forse, Louis, voleva ricambiare il favore.

‹‹Amore, ma non è necessario.››

‹‹No, mamma. Ho quasi ventitré anni. È giunto il momento di prendere le mie responsabilità, cominciando a trovarmi un lavoro. Sano io, l’uomo di casa.›› disse con un po’ di sarcasmo nel tono, giusto per smorzare un po’ la tristezza che si stava respirando in quel momento. Johannah lo colse subito, e rise anche lei.

Gli fece una carezza con il dorso della mano, sfiorandogli a malapena la guancia.

‹‹Sei un bravo ragazzo, Louis. Spero che riesca a colpire il capo.››

Louis rise, a quella battuta. Non perché fosse divertente in sé per sé, ma perché gli venne in mente Buddy, ‘il boss’.

*

Erano le 16:42 e, come di routine, a Londra nevicava. Faceva un freddo pazzesco. Louis era completamente imbottito: cappello, sciarpa e guanti di lana, cappotto e stivali felpati. Sembrava dovesse andare a sciare.

‹‹Mamma mia, che cazzo di freddo!›› sbottò poi, mentre cercava di rannicchiarsi il più possibile in se stesso. Maledisse il giorno in cui decise di non prendere la patente. Ma perché era stato così stupido? Per giunta, quel pomeriggio, c’era lo sciopero degli autobus, delle metro, dei tram, di tutti i fottuti mezzi pubblici della città.

Dalla sua bocca, usciva una condensa piuttosto spessa; sembrava nebbia, tanto era fitta.

‹‹Se non muoio congelato ora, non lo farò mai più.›› continuò poi. La pasticceria, distava cinque isolati da casa sua. Le altre volte, in estate soprattutto, non era poi così male, passeggiare per le strade di Londra, ma in pieno inverno, era un vero e proprio sgomento; soprattutto se si era a piedi senza nessun mezzo pubblico a disposizione.

Mancava un solo isolato e, finalmente, giunse a destinazione.

Il cartello era ancora affisso lì, sulla vetrata:

‘Cercasi personale per pulizie, all’interno del locale’.

Ciò stava ad indicare solo una cosa: non avevano trovato nessuno, ancora. Meglio così. Aprì istintivamente la porta. Il suo arrivo, venne identificato dal suono del campanello, affisso su di essa.

‹‹Ehm.. sera?››

Non appena entrò nel locale, Louis venne inebriato da un misto di profumi: cioccolata calda, pasticcini, muffin, brioche, persino profumo di tè. Inspirò a pieni polmoni. Certo che, una buona tazza di cioccolata calda con doppia panna e una brioche ripiena di crema, gli avrebbe fatto senza dubbio bene.

Magari dopo.

Una volta entrato nel locale, la gente si voltò verso di lui, ma solo perché, all’apertura della porta, era entrato un vento gelido e, senz’altro, qualcuno si era messo persino a bestemmiare in turco.

‹‹Buonasera, desidera?››

Una cameriera belloccia, si era messa a sua disposizione. Louis era un po’ imbarazzato. Non aveva mai avuto un vero e proprio colloquio di lavoro.

‹‹Ehm… sono qui per l’annuncio in vetrina.›› indicò un punto alle sue spalle, in direzione della vetrata. La ragazza si scostò leggermente, dimodoché potesse vedere il punto indicato dal ragazzo.

 ‹‹Oh, sì. Sei qui per il posto di lavoro! Bene, accomodati pure nell’ufficio del capo. C’è un altro ragazzo, anche. Vieni, ti accompagno.››

Ester – almeno così Louis aveva letto sul suo cartellino – l’accompagnò dietro il bancone. Passarono dalla cucina: vide una quindicina di operai che armeggiavano con fondant, cioccolato plastico, pasta di zucchero, crema al burro, praline e chi più ne ha, più ne metta.

Lì dentro, c’era un profumo a dir poco fantastico. A Louis cominciarono a far male le papille gustative e la sua salivazione cominciò ad aumentare notevolmente. Temeva che, da un momento all’altro, si fosse affogato con la stessa. Era diventato quasi impossibile deglutire. Doveva uscire di lì. Alla svelta.

Dopo aver superato con un po’ di difficoltà la cucina, Ester aprì una porta a vetri dove, ad attenderlo, c’era il capo e un altro ragazzo. Entrambi si girarono, non appena questa fu aperta.

‹‹Capo, qui c’è un altro ragazzo che è interessato al lavoro.››

Louis era alquanto agitato ed imbarazzato. Non aveva mai fatto un colloquio di lavoro, prima di allora. Era sempre stato a casa, passando il tempo a dipingere.

‹‹Ciao. Tu sei?››

Louis ingoiò un groppo piuttosto amaro. Il cuore gli stava battendo talmente forte tanto da temere che, da un momento all’altro, gli uscisse dal petto, cadendo in terra. Nonostante se la stesse facendo addosso, trovò un po’ di coraggio e si presentò:

‹‹Io sono Louis Tomlinson, Signore.›› si avvicinò a passo svelto alla scrivania del capo e, con una certa fiducia in se stesso, gli strinse la mano. Non aveva ancora notato il ragazzo che stava seduto prima di lui. Era così concentrato sulla figura del ‘boss’ che si dimenticò di tutto.

‹‹Piacere di conoscerti, omonimo della mia pasticceria. Io sono John Oliver. Lieto di conoscerti. Prego, accomodati.›› scherzò il capo. Louis, sentendo quel tono così amichevole, si rilassò un po’.

Solo dopo essersi tranquillizzato e sedutosi sulla poltrona, finalmente, si accorse del ragazzo. Si girò verso di lui e gli sorrise timidamente. Aveva i capelli ricci, un po’ arruffati e abbastanza lunghi. La pelle era praticamente chiarissima, tanto da sembrare un vampiro. Gli occhi erano di un verde così intenso che, a Louis, parvero di vetro.

‹‹Ciao, io sono Harry Styles.››

Louis, per niente intimidito questa volta, afferrò con piacere la mano del ragazzo, stringendola con sicurezza ma, al contempo, con disinvoltura.

‹‹Bene, visto che vi siete presentati, vorrei  che mi parlaste un po’ di voi, di ciò che vi piace fare, e quali sono state le vostre esperienza lavorative. Sempre se avute, chiaro.››

I due ragazzi si guardarono in attesa che, uno dei due, parlasse. Louis fece un cenno ad Harry, spronandolo. Così fece. Fu lui ad aprire le danze.

‹‹Ho vent’anni ma, nonostante la mia giovane età, ho avuto diverse esperienza lavorative: ho cominciato a lavorare quando avevo tredici anni. Aiutavo mio padre in ferramenta. Poi, a quindici, ho cominciato a lavorare in una panetteria; esperienza di appena sei mesi; a sedici e a diciassette, ho lavorato al mercato generale di Londra, come scaricatore di merci; dai diciotto ai diciannove, come imbianchino. Adesso, sono in cerca di qualcosa.››

Louis quasi si vergognò. Quel ragazzo aveva lavorato praticamente tutta la vita – sebbene avesse compiuto solo lavori umili – ma erano pur sempre lavori. Lui invece, cosa aveva fatto? Nulla.

‹‹Direi che hai lavorato quasi tutta la tua vita.›› espose il capo, compiaciuto. Harry annuì e sorrise a sua volta.

‹‹E tu? Cosa mi dici di te, Louis?››

Sentì improvvisamente caldo. Cosa poteva dirgli? Bugie? No. Non sarebbe stato giusto. Avrebbe detto semplicemente la verità.

‹‹Non ho mai lavorato in via mia. Ho una grande passione, ed è quella della pittura. Il mio sogno, era quello di trasferirmi in Italia e di iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti ma, come vede, sono qui in cerca di un lavoro per aiutare mia madre ad arrivare a fine mese. Sebbene non abbia mai lavorato, sono pronto a sporcarmi le mani e di farle vedere di cosa son capace di fare. Sono determinato e molto serio. Se mi danno un qualcosa da compiere, lo svolgo senza esitare, e non smetto di farlo, se non lo porto a termine.››

John Oliver, era alquanto entusiasta di entrambi i ragazzi che si erano presentati quella sera. Gli unici, per giunta.  A loro, serviva un posto di lavoro e denaro, a lui, qualcuno che gli facesse le pulizie durante la notte.

‹‹Sono molto contento di entrambi. Per me, siete assunti. Potete cominciare già da questa sera, appena chiude il locale. Vi farò recapitare ad entrambi, una copia della chiave, l’attrezzatura e gli indumenti necessari per la pulizia degli impianti. Il pagamento è di 120£ a settimana. Lavorerete dopo l’ora di chiusura, nonché le 22:30 fino alla mattina alle 05:30, non appena la pasticceria riaprirà. Tengo particolarmente alla pulizia del mio locale e mi auguro che voi possiate compiere un buon lavoro. Sarete addetti anche allo scarico delle merci e alla sistemazione di essi. Ogni giorno ci arrivano i prodotti freschi. Altrimenti.. non saremmo una delle migliori pasticcerie di Londra.››

John si alzò in piedi e i due ragazzi lo imitarono. Strinse loro la mano e gli accompagnò fuori dal suo ufficio.

‹‹Venite qui almeno mezz’ora prima. Vi darò delle direttive e la vostra uniforme. A stasera, ragazzi.››

Non appena il capo chiuse la sua porta a vetri, Louis fece un salto di gioia, abbracciando il ragazzo che si trovava di fronte a lui. Anche Harry ricambiò quell’abbraccio inaspettato. Certo che è proprio strano, questo Louis. Manifesta così la sua felicità? Abbracciando chiunque gli capiti davanti?

‹‹Mamma sarà così felice. Non ci credo!›› espose poi, staccandosi da quell’abbraccio – forse un po’ fuori luogo – Cosa aveva fatto? Non lo conosceva nemmeno.

‹‹Sono felice per te.›› sorrise il riccio. Louis ricambiò con un po’ di difficoltà. C’era da dire che, quel tale, Harry, era davvero.. Bello? Era normale utilizzare un aggettivo del genere, per un ragazzo? Sì, se la persona ad averlo esposto, era omosessuale. Difatti, Louis lo era; quindi non aveva di cui preoccuparsi.

Da quanto tempo era gay? Forse dai tempi delle elementari? No, forse qualcosa prima. Non se lo ricordava affatto. Era comunque da tanto, tantissimo tempo. Forse da sempre.

‹‹Grazie, anche io lo sono per te.››

Tra i due calò un imbarazzante silenzio, presto interrotto da Ester che, improvvisamente, irruppe nelle cucine.

‹‹Ragazzi, dovete uscire da qui.›› li avvertì. I due obbedirono, senza esitare.

*

Louis ed Harry erano rimasti a chiacchierare del più e del meno, una volta usciti dalla cucina. Si erano seduti al tavolino e avevano ordinato una cioccolata calda e due cupcakes ai fichi, a testa. Parlarono a lungo; tanto a lungo che, Louis, dimenticò persino di avvertire sua mamma della riuscita del colloquio lavorativo.

‹‹Merda. Ho dimenticato di avvertire mia madre. E sono…›› guardò l’orologio ‹‹Le 19:05. Che idiota. Avrà chiamato sicuramente la polizia o le guardie della regina.››

Harry scoppiò a ridere, piegandosi leggermente in avanti e mantenendosi la pancia. Louis, dal canto suo, rise a sua volta, vedendo la così inaspettata reazione del ragazzo. Se avesse continuato a ridere in quel modo, avrebbe vomitato tutto sul tavolino.

‹‹Già mi immagino la scena..›› Louis si alzò in piedi e, con aria teatrale, cominciò a recitare una sceneggiata che, apparentemente, doveva raffigurare la madre disperata, le guardie della regina e lui stesso. Harry rise ancora di più.

C’era da dire che, quel ragazzo, era davvero molto simpatico. Eppure lo conosceva da quanto? Due ore? Aveva sempre avuto questo.. Pregio? Di individuare immediatamente di che pasta fosse la persona con cui aveva a che fare e, all’apparenza, Louis sembrava davvero una bravo ragazzo: simpatico, genuino, socievole e.. e cosa altro? No Harry. Non ci pensare nemmeno. Louis è un maschio. E tu cosa sei? Un maschio. Vuoi andare di nuovo dallo psicologo? Infischiatene di quanto sia bello; di quanto siano accattivanti i suoi occhi, di quanto il suo sorriso sia così fottutamente contagioso; di quanto..

No. Harry non sarebbe mai cambiato; non lo spaventava nemmeno lo psicologo. Non più. Perché aveva accettato se stesso, per com’era.

Suo figlio non ha nessuna malattia, signor Styles.

E allora perché gli piacciono gli uomini? Non è una malattia questa?

*

Quando Louis tornò a casa, erano le 20:30; aveva giusto il tempo di farsi una bella doccia e di mettere qualcosa sotto i denti. Aveva preferito non chiamare sua mamma, decidendo che le avrebbe fatto una bella sorpresa.

Quando infilò la chiave nella serratura, andando ad aprirla, notò che questa era chiusa. Diede due mandate verso destra, e la porta blindata si aprì.

‹‹Mamma?›› la chiamò Louis. Johannah non rispose. Poggiò la propria tracolla sul comò ed appese i propri abiti. Proseguì verso la cucina, continuando a chiamare Johannah.

Una volta arrivato nella stanza, notò un biglietto sul tavolo della cucina. Lo afferrò e lo lesse a mente:

Tesoro, sono stata invitata a cena fuori dal Sig. Brown. Ricordi chi è, vero? Nick Brown. Non aspettarmi alzato. Ti ho lasciato del pollo nel forno. Spero tanto che il tuo colloquio sia andato bene. Chiamami appena puoi. Un bacio. Mamma.

Louis sorrise. Sì, si ricordava bene di Nick. Era un suo collega di lavoro e, con lei, era sempre stato molto gentile. Si vedeva lontano un miglio, che si piacevano a vicenda. C’era solo d’aspettarsela, questa loro uscita. Louis non poteva che esserne felice.

Prese il cellulare e compose il numero. Rispose dopo un paio di squilli:

Amore?

‹‹Mamma! Sono stato preso.›› gioì lui. Johannah a suo seguito.

O mio Dio, Lou, sono così felice per te. Quando cominci?

‹‹Questa sera. Dalle 22:30 alle 05:30 del mattino.››

Accidenti. Così tardi?

‹‹Sì. Ma non sono da solo. C’è un altro ragazzo, assieme a me. Ha la mia stessa età. Forse un po’ più piccolo. Ma non sono da solo, tranquilla mamma. Pensa a divertirti. Adesso vado a mangiare. Ci sentiamo domattina. Un bacio.››

Chiuse la telefonata e prese il pollo che, la mamma,  gli aveva conservato. Era ancora caldo.

*

Erano le dieci in punto, non appena varcò la soglia della pasticceria. Harry era già lì dentro. Nel locale non c’era praticamente nessuno, sebbene mancasse mezz’ora alla chiusura.

Non appena Harry lo vide, si alzò dallo sgabello sul quale era seduto, e si accinse a salutarlo con una pacca amichevole sulla spalla.

‹‹Io a quest’ora sono praticamente nel sonno più profondo.›› scherzò Harry, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi. Louis, invece, ammise che, prima delle due di notte, non prendeva mai sonno.

‹‹Beato te, guarda. Io arrivo sempre stanco, a casa.››

‹‹Io invece passerei la notta a dipingere. Amo la pittura e, difatti, la maggior parte delle tele che ho dipinto, le ho fatte nel bel mezzo della notte.››

‹‹Sai dipingere?›› proferì stupito Harry. Louis annuì ripetutamente. Si appassionava ogni qual volta si intraprendeva un discorso inerente la pittura.

‹‹Sì. Mio padre era un pittore, mia madre è una scultrice. Io avevo deciso di seguire le orme di mio padre e, magari un giorno, di poter mostrare i miei lavori, in una galleria d’arte. Dopo il diploma, avevo intenzione di….›› si interruppe. Sbaglio ho già raccontato questa storia? ‹‹Beh, il resto lo sai.›› sorrise poi, guardando intensamente negli occhi il riccio.

Ma cosa sei? Cristo Santo!

*

Dopo quasi un quart’ora dal loro arrivo, le saracinesche si chiusero e, dal retro, uscì John Oliver con due enormi borsoni e due paia di mazza da ambedue le mani: due scope, e due tira acqua.

‹‹Buonasera, ragazzi. Qui dentro ci sono le vostre uniformi e, in quest’altro, ci sono tutti i prodotti per la pulizia. Entro e non oltre le 02:00, dovrete aver finito di pulire ogni zona del locale, compreso i sanitari. Non voglio che qualcuno si lamenti della sporcizia che c’è nei cessi!›› rise leggermente e lo fecero anche i ragazzi. ‹‹Alle 02:30 arriverà il carico delle merci. Questa è la lista di tutti i prodotti che dovrete scaricare-›› John porse ad uno dei due un foglio con su scritto una sfilza di cose. Harry lo prese e, una volta datogli una rapida occhiata, notò che, più o meno, ci sarebbero stati almeno una trentina di elementi per prodotto. I prodotti erano all’incirca una cinquantina: tra dozzine e dozzine di uova, latte, burro, farina, zucchero, coloranti, cioccolato. Harry sgranò gli occhi, mostrandolo a Louis che, a sua volta rimase sconvolto.

Quella notte, sicuramente, sarebbe stata una delle notti più dure della loro vita.

*

La pasticceria aveva chiuso da poco ma il personale era ancora tutto lì dentro. Ester, una volta toltasi la divisa, si sedette comodamente su uno sgabello ed assaporò una fetta di torta alla ciliegia. Non aveva ancora cenato.

Louis ed Harry, invece, ascoltavano le ultime direttive del capo.

‹‹Questa è la lista, queste sono le vostre uniformi. Non mi resta che augurarvi un buon lavoro, ragazzi.››

I due lo ringraziarono cordialmente e, con una stretta di mano, si salutarono. Poco dopo, anche Ester e il resto dello staff, uscì fuori dal locale, lasciandoli completamente soli. La saracinesca dell’entrata principale, venne chiusa, provocandone un fastidioso rumore. Il carico delle merci, sarebbe stato effettuato dal retro, presso l’entrata del magazzino.

‹‹Bene Tomlinson, è ora di rimboccarsi le maniche.›› sorrise Harry, dirigendosi verso un angolo remoto della cucina per potersi cambiare.

‹‹Certo Styles. È ora di cominciare.›› Louis lo seguì a ruota e, una volta privatosi ed appeso i propri abiti, si infilò la divisa da lavoro.

‹‹Sembro uno spazzacamini, con questo ridicolo cappello.›› notò Harry, specchiandosi. Alcuni ricci castani fuoriuscivano da esso, e Louis non poté fare a meno di guardarli. Erano bellissimi all’apparenza e, senza dubbio, sarebbero stati bellissimi anche al tatto. Sicuramente dovevano essere morbidi e profumati.

Gli sarebbe piaciuto sentire il loro odore e, magari, anche la loro consistenza.

Ma cosa cazzo stai pensando, Louis? La smetti di fare il finocchietto sdolcinato?

Si insultò mentalmente. Avrebbe voluto anche picchiarsi, ma si astenne almeno da quello.

‹‹Allora, dividiamoci il lavoro. Io mi occupo della parte nord della cucina e tu di quella sud, così come l’ufficio del capo. Per i cessi, invece, tiriamo a sorte. Ahahah!›› rise Harry, scherzando. Louis sapeva benissimo quanto difficile fosse pulire i gabinetti pubblici. Lui stesso non sarebbe mai andato a pisciare in un cesso pubblico.

‹‹Sono due. Tiriamo a sorte quello che dobbiamo pulire. Testa: quello del personale, Croce: quello degli utenti. Okay?›› propose Louis. Harry, sebbene un po’ scettico, accettò. Non era un tipo particolarmente fortunato. Cacciò fuori dalle tasche una moneta. Sperò con tutto se stesso che gli uscisse testa. Se proprio doveva pulire un cesso, avrebbe preferito almeno quello del personale che, apparentemente, doveva essere più pulito.

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Afferrò la monetina caduta sul palmo della mano destra e, come di consueto, la passò sul dormo della sinistra, coprendola con l’altra mano.

Fachepossausciretestafachepossausciretestafachepossausciretesta

Dette una leggera sbirciatina.

Fachepossausciretestafachepossausciretestafachepossausciretesta

Croce.

Fanculo.

Come immaginava, la fortuna non girava mai dalle sue parti. Imprecò contro di Louis che, dal canto suo, scoppiò a ridere felice, saltellando per tutta la cucina.

‹‹Vai a farti fottere, Louis.›› disse serio. ‹‹Hai barato!››

‹‹La volpe che non arriva all’uva, dice che è acerba. Io ho giocato lealmente. Non ho nemmeno preso la monetina di tasca mia. È la tua. Quindi, va a pulire il cesso degli utenti.›› gli diede una finta pacca amichevole sulla spalla.

‹‹Ti consiglio di fare quello prima, così ti togli il pensiero.››

‹‹Fottiti due volte, Tomlinson.›› rise questa volta. Louis assieme a lui.

*

‹‹Cosa farai a Natale, Louis?›› cominciò Harry, mentre sfregava con forza della pasta di zucchero rimasta appiccicata al bancone di alluminio. Louis fece il vago, continuando a svolgere il suo lavoro.

‹‹A dir il vero, il 24 dicembre è il mio compleanno, non so mai cosa si festeggia. È una cosa bella, festeggiarlo in questo periodo ma…››

Puliva tutti gli utensili e, al contempo, le ante delle credenze. Harry rimase allibito. Non aveva mai incontrato nessuno che compiesse gli anni il giorno della vigilia di Natale. Scoppiò a ridere. Questo però, non piacque molto a Louis.

‹‹Ma che sfiga è mai questa? Scommetto che nessuno mai è venuto alla tua festa.››

Louis smorzò un sorriso molto malinconico. Era proprio così. Aveva festeggiato il compleanno sempre in compagnia dei propri parenti. Harry, dal canto suo, capì dopo un po’ che, quella sua affermazione, non rese molto felice il suo collega.

‹‹Ehm..›› si grattò in testa, spostando qualche ricciolo che fuoriusciva dal cappello. ‹‹Mi spiace. Forse sono stato un po’ troppo schietto.››

Louis scrollò le spalle. Dopotutto, non aveva nessuna colpa lui. Chiunque si sarebbe messo a ridere. Harry, era uno di quelli.

‹‹Sta tranquillo. Non sei il primo e non sarai l’ultimo. È una vera e propria rogna.›› cercò di smorzare una risata; ne strappò una anche ad Harry.

*

Erano le 02:22 del mattino e, il camion delle merci, arrivò con qualche minuto di anticipo. Un sonoro clacson avvertì i due ragazzi che, non appena lo udirono, si precipitarono sul retro del locale.

Aprirono la saracinesca e fuori, c’era un gigantesco camion con le ante completamente spalancate. C’era di tutto e di più all’interno di quella cella frigorifera.

‹‹Bene ragazzi, questa è la merce. In meno di mezz’ora, dobbiamo sgomberare il camion. Tra un’ora ho un’altra consegna dall’altra parte della città.››

Louis ed Harry si guardarono disperati. Sarebbero riusciti a tirar fuori la merce in meno di mezz’ora? Si rimboccarono le maniche e si misero all’opera.

*

‹‹E questo è l’ultimo sacco di farina.››

Louis si accasciò a terra, assieme al sacco di farina. Poggiò la schiena contro la parente bianca e, per qualche minuto, chiuse gli occhi. Era stanco morto. Non aveva mai lavorato così tanto in vita sua.

‹‹Mi sento peggio della pezza che ho utilizzato per pulire il cesso degli utenti. Hai presente come si può sentire uno straccio? Ecco, io sto peggio.›› ammise Harry, accasciatosi come una balena spiaggiata, sul bancone in metallo. Entrambi erano completamente spompati. Però, in compenso, avevano finito con quasi due ore di anticipo. Ora potevano riposare, almeno un po’.

Dopo qualche attimo però, si udì una risata. Proveniva da Harry. Louis aprì istintivamente gli occhi.

‹‹Cosa c’è?››

‹‹Hai tutta la faccia sporca di farina.›› disse continuando a ridere. Provò a pulirsela ma, avendo le mani imbrattate più della faccia, non poté che peggiorare la situazione; provocando un’ulteriore risata da parte del riccio.

‹‹Sta fermo. Ti stai impiastricciando ancora di più.›› si alzò dal bancone e andò verso il ragazzo. Prese uno strofinaccio pulito e si inginocchiò dinnanzi a Louis.

‹‹Ecco perché ho preferito che ti occupassi tu dei sacchi di farina. Ahahah!››

Delicatamente, cominciò a pulire il viso di Louis.

‹‹Sta zitto e toglimi questa roba dalla faccia.›› rise lui, alzando leggermente il collo, dimodoché a Harry, risultasse più facile pulirlo. Chiuse completamente gli occhi, lasciandosi trasportare dai delicati gesti concentrici che Harry stava compiendo. Se avesse continuando in quel modo, di sicuro si sarebbe addormentato. Gli stava piacendo un botto.

D’un tratto però, non sentì più nulla.

‹‹Già fatto?›› disse, senza aprire gli occhi. Dall’altra parte, non ci fu risposta.

‹‹Harry? Sono pulito?›› proseguì; ma non appena andò per aprire gli occhi, fu costretto a richiuderli immediatamente. Le labbra di Harry si erano praticamente unite alle sue. Un bacio indifeso. Nient’altro.

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La testa di Louis era una miniera di pensieri, emozioni. Il suo cuore batteva all’impazzata, pronto ad esplodere da un momento all’altro.

Istintivamente, non appena sentì le labbra di Harry premere un po’ di più, gli cinse il collo con il proprio braccio, provando a schiudere leggermente la bocca dimodoché potessero baciarsi sul serio.

Così fece. Harry ebbe il via libera. Assaporò ogni angolo della sua bocca: la lingua, il palato, l’interno delle guance. Tutto. Aveva un buon sapore. Sapeva ancora di dentifricio, misto al cioccolato, che avevano mangiato poco prima.

Anche Harry, aveva un buon sapore, pensò Louis. L’unica cosa negativa però, era che sapeva leggermente di nicotina. Non gli disturbava tanto però, in quanto era stato fumatore anche lui, qualche anno prima.

Quel bacio poi, cominciò ad intensificarsi ancora di più. Harry intrappolò Louis tra le sue braccia, poggiando entrambi le mani sul muro; dal canto suo, invece, Louis si mise diritto con la schiena, e intrecciò le proprie braccia, al busto allenato del ragazzo che aveva di fronte, allargando leggermente le gambe dimodoché Harry vi si trovasse in mezzo.

I respiri si fecero sempre più corti e mozzati. Non si erano ancora staccati per riprendere aria. Poco importava però. Quel momento era praticamente fantastico.

‹‹Sei bellissimo›› cominciò ad ansimare Harry.

‹‹Anche tu lo sei.›› proseguì Louis.

‹‹L’avevo intuito  che non fossi etero.›› sussurrò poi Harry, cominciando ad accarezzare i morbidi e lisci capelli di Louis, una volta privato del cappello. Lui fece la stessa cosa. Gli tolse quel ridicolo cappello e cominciò a stringere fra le dita quei ricci così morbidi. Giurò di non aver mai  toccato capelli così belli e soffici in vita sua.

‹‹Ti ho messo gli occhi addosso da subito.›› ansimò Louis, non appena un ginocchio di Harry gli sfiorò la virilità. Strizzò gli occhi ed inarcò leggermente la schiena. La testa cominciò a fargli male. Se avesse aperto gli occhi, di sicuro, la vista sarebbe risultata annebbiata. Era praticamente accecato dall’eccitazione.

Harry lo intuì subito e, dolcemente, fece scivolare una mano lungo il cavallo dei jeans di Louis, cominciando a strofinare. Louis strinse i pugni. I jeans erano davvero troppo stretti ormai.

‹‹Non voglio farlo in una squallida cucina di una pasticceria. Non sono quel tipo di persona. Voglio continuare a vederti. Non solo a lavoro.››

Sussurrò poi Harry, continuando sempre a sfregare con delicatezza la virilità di Louis. In quel momento, se lo sarebbe sbattuto sul bancone, scopandoselo più forte che poteva; ma nemmeno lui era quel tipo di persona. Non avrebbe scopato nel bel mezzo di una cucina.

‹‹N-Nem-Nemmeno io.›› balbettò Louis, cercando di non raggiungere l’orgasmo con una semplice ‘toccatina’. Harry sorrise e, dandogli un ultimo bacio a stampo, allontanò la mano da lì e si mise in piedi.

‹‹Vuoi che ti aiuti ad alzare?›› porse la mano a Louis che, ancora frastornato, l’afferrò. Si alzò facendo leva sulle proprie ginocchia, ancora un po’ tremanti. I due si guardarono intensamente negli occhi. Harry gli accarezzò con il dorso della mano una guancia, perfettamente liscia; dopodiché passò al mento. Lo afferrò con il pollice e l’indice.

‹‹Sei stupendo, Louis. Te lo ripeterei all’infinito.›› ammise Harry, arrossendo leggermente. Louis fece lo stesso. Le sue gote presero un colorito rossastro, vergognandosi anche per il rigonfiamento evidente che i suoi jeans avevano assunto.

‹‹Credo che accettare questo lavoro, è la cosa migliore che mi sia mai capitata in tutta la vita.›› proseguì poi Harry, sorridendo felice.

‹‹Sì. Credo di non aver mai voluto così tanto, in vita mia, pulire i cessi pubblici.››

 

Cinque mesi dopo.

La pasticceria non era mai stata così piena. Era – stranamente – una bellissima giornata primaverile di sole. Harry e Louis non avevano smesso un secondo di lavorare. Continuavano a sfornare cupcakes, muffin e ciambelle, ininterrottamente; per non parlare poi delle crostate ai mirtilli e crema di cocco: la loro specialità.

Erano trascorsi appena cinque mesi, da quando erano entrati come sguatteri all’interno della pasticceria, pulendo cessi e scaricando merce e, solo dopo un mese, il capo si era accorto dell’incredibile dote che, i due ragazzi, avevano nell’inventare e preparare dolci.

Tutto era partito da una piccola prova che, durante il turno, Harry e Louis, avevano tentato di fare; così, per gioco. Avevano preparato un muffin ai mirtilli e crema di cocco. Una volta cucinato, non erano nemmeno riusciti ad assaggiarlo, in quanto il loro turno era terminato e dovevano sgomberare tutto, dimenticando però di togliere di mezzo ciò che avevano preparato.

Quando poi il capo li chiamò nel proprio ufficio, la videro brutta. Erano convinti che gli avrebbe sbattuti fuori entrambi. Invece, li promosse a pasticceri. Disse loro di aver mangiato per caso un muffin, trovato sulla cucina. Lo collegò immediatamente a loro due, in quanto la notte, nel locale, non c’era nessun altro.

‹‹Non ho mai mangiato nulla di simile. Il gusto, il profumo, la consistenza, sono sbalorditivi. Siete promossi a pasticceri. Aiuterete gli altri a preparare dolci, da oggi.››

Il salario, ovviamente, era più proficuo e, i problemi economici di Louis, andarono così via via a scemare.; riuscendo ad arrivare tranquillamente a fine mese e, alle volte, a mettere anche qualche sterlina da parte.

Sia lui che Harry, erano talmente felici; non solo per la sbalorditiva e inaspettata promozione; anche – e soprattutto – perché, dopo quella notte, non avevano mai smesso un attimo di vedersi. Cominciarono a frequentarsi assiduamente, mettendosi successivamente insieme.

Harry viveva per Louis, e viceversa.

Grazie a quel lavoro, apparentemente schifoso, si erano trovati e, sicuramente, non si sarebbero mai più persi di vista.

   
 
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