CAKE BAKERY
Era
l’8 di Dicembre e,
a Londra, si respirava l’aria natalizia già da un
bel pezzo. Era felice,
allegro e spensierato.
Il
Natale a Londra, era
meraviglioso. Ogni anno che passava, la capitale inglese si riempiva
sempre più
di mercatini di Natale, mentre luci e luminarie accendevano le vie
principali
della città: le luci di Oxford Street venivano accese il 3
novembre e lo
stesso, accadeva per quelle di Regent Street e Bond Street, restando
accese
fino al cinque di gennaio.
Tra
le tante bancarelle
presenti, oltre ai soliti grandi mercati di Camden Town, Portobello e
Borough
Market, che a Natale si arricchivano di nuovi colori, i più
belli in assoluto –
e per giunta, più visitati dai turisti – erano
Covent Garden e soprattutto il
mercatino di Natale di Borough Market, presso London Bridge-Kennington,
il più
popolare di tutti.
Tutti
gli anni, durate
il periodo natalizio, la città pareva diversa, rinata.
Metteva di buon umore
lui, e la sua famiglia.
Ma
c’era una cosa in
particolare, che lo rendeva ancora più felice: la vigilia di
Natale. C’era un
motivo ben sensato, del perché così tanto
clamore, per questo giorno: il suo
compleanno.
Una
volta tirato fuori il
cartone dell’albero, fu la volta degli addobbi.
‹‹Accidenti,
ma quanto
pesa? MAMMAAAA!!!!›› urlò da sopra la
mansarda, in cerca di un po’ di aiuto da
parte di sua mamma, Johannah. ‹‹Mamma, ho sei
scatoloni uno sopra l’altro. Non
riesco a tenerli tutti. Vieni a darmi una mano!››
Aveva
i sei scatoloni
tutti in pila che traballavano e pareva che, da un momento
all’altro, sarebbero
finiti in terra. Fortunatamente però, Johannah giunse in suo
soccorso.
Non
appena Louis la
vide, sprizzò di felicità.
‹‹Grazie
al cielo,
temevo non arrivassi più.››
Senza
aggiungere altro,
dette a sua madre tre degli scatoloni – i meno pesanti
ovviamente – ed uscì da
quel luogo così angusto. Detestava la mansarda.
Con
un piccolo salto,
scese anche l’ultimo gradino della scala a chiocciola in
ferro battuto.
‹‹Siamo
pronti per
montare l’albero?›› disse con un
sorriso smagliante dipinto sul viso.
Nonostante dovesse compiere ventitré anni, alle volte,
soprattutto in questo
periodo dell’anno, dava l’impressione di essere un
bambino di dieci anni, che
credeva ancora a Babbo Natale.
Johannah
non rispose,
sorrise al figlio ed annuì. Anche lei adorava fare
l’albero. Le metteva
allegria: tutte quelle palline, quei led colorati, i fiocchetti, le
ghirlande,
il puntale, i nastri, tutto. Il Natale, era senza dubbio, il periodo
più bello
dell’anno.
‹‹Allora,
Louis, cosa
vorresti come regalo di compleanno, quest’anno? Sai che ti
è concesso
sceglierne uno. Ahahah.›› affermò sua
madre.
Esatto.
L’unica cosa
che a Louis tanto non garbava, era proprio il fatto che, come regali, o
riceveva
quelli per il compleanno, oppure quelli per Natale.
Quando
era piccolo, ad
esempio, non poteva mai festeggiare in quanto, i suoi compagni di
scuola, erano
tutti in vacanza e, ovviamente, dovevano passare la vigilia di Natale
con la
propria famiglia. Forse solo questa, era la cosa che lo rattristava un
po’.
‹‹Quest’anno,
ho deciso
di volere una torta bellissima. Hai presente?››
Johannah,
mentre
allestiva l’albero, contorse la bocca in
un’espressione di concentrazione.
‹‹Come
le torte che
fanno in quel programma su Real Time?›› chiese
poi.
‹‹Sì,
mamma. Proprio
quello. Proprio come: Il boss delle torte. Ne voglio una simile. Questo
però,
varrà sia come regalo di Natale, che come regalo di
compleanno.››
Johannah
tirò su un
sospiro di sollievo – in maniera sarcastica, logicamente.
– Sapeva benissimo
che, quelle torte, costavano fior di quattrini e, purtroppo, lei non
poteva
permettersi il lusso di comprare al figlio una torta alta quattro,
cinque, sei
piani.
‹‹Ovviamente
però, se
questo ti è possibile, certo.›› disse
quella frase con un tono di speranza. Non
aveva mai avuto una torta simile.
Johannah
sorrise
tristemente. Lasciò da parte l’albero e si
avvicinò a Louis, abbracciandolo
intensamente.
‹‹Ti
voglio così bene,
Louis. Sei un bravo ragazzo. Ti prometto che avrai quella torta che
tanto
desideri.›› gli accarezzò i capelli
castani, scostandogli quel ciuffo ribelle
che gli cadeva davanti agli occhi. Azzurri come il mare. Tali e quali a
quelli
del padre. Alle volte, le dava l’impressione di essere
proprio lui, quando
aveva vent’anni.
‹‹Ti
preoccupi così
tanto per me.›› aggiunse lui, ricambiando il
caldo e affettuoso abbraccio di
sua mamma. ‹‹Sai mamma, l’altra sera,
quando ero in giro per il centro, mi è
capitato di leggere un ‘Cercarsi personale’ affisso
sulla vetrina della Louis
Hungarian Patisserie. Se non mi sbaglio, cercano due o tre persone. Non
so bene
di cosa si tratti; ma credo per le pulizie del
locale.››
Johannah
lo guardò un
po’ incerta. Cosa intendeva?
‹‹Cosa
vuoi dire,
Louis?››
Seppur
di mala voglia,
Louis si staccò dalle braccia di sua madre, allontanandosi
quel tanto da
bastargli per guardarla negli occhi. Incrociò le gambe.
‹‹È
da diversi giorni
che mi frulla in mente l’idea di cominciare a lavorare. Anche
un lavoretto
così, giusto per arrangiare. Magari, se lavorassi anche io,
posso aiutarti con
le spese della casa.››
A
Johannah le vennero
gli occhi lucidi.
Da
quando Troy era
morto, si era occupata lei del figlio, della casa, di tutto. Sebbene
avessero
problemi economici – ovviamente non di estrema
gravità – Johannah, non aveva
mai fatto mancare nulla, al proprio figlio. Aveva sempre fatto dei
sacrifici,
pur di renderlo felice; e forse, Louis, voleva ricambiare il favore.
‹‹Amore,
ma non è
necessario.››
‹‹No,
mamma. Ho quasi
ventitré anni. È giunto il momento di prendere le
mie responsabilità,
cominciando a trovarmi un lavoro. Sano io, l’uomo di
casa.›› disse con un po’
di sarcasmo nel tono, giusto per smorzare un po’ la tristezza
che si stava
respirando in quel momento. Johannah lo colse subito, e rise anche lei.
Gli
fece una carezza con
il dorso della mano, sfiorandogli a malapena la guancia.
‹‹Sei
un bravo ragazzo,
Louis. Spero che riesca a colpire il capo.››
Louis
rise, a quella
battuta. Non perché fosse divertente in sé per
sé, ma perché gli venne in mente
Buddy, ‘il boss’.
*
Erano
le 16:42 e, come
di routine, a Londra nevicava. Faceva un freddo pazzesco. Louis era
completamente imbottito: cappello, sciarpa e guanti di lana, cappotto e
stivali
felpati. Sembrava dovesse andare a sciare.
‹‹Mamma
mia, che cazzo
di freddo!›› sbottò poi, mentre
cercava di rannicchiarsi il più possibile in se
stesso. Maledisse il giorno in cui decise di non prendere la patente.
Ma perché
era stato così stupido? Per giunta, quel pomeriggio,
c’era lo sciopero degli
autobus, delle metro, dei tram, di tutti i fottuti mezzi pubblici della
città.
Dalla
sua bocca, usciva
una condensa piuttosto spessa; sembrava nebbia, tanto era fitta.
‹‹Se
non muoio
congelato ora, non lo farò mai
più.›› continuò poi. La
pasticceria, distava
cinque isolati da casa sua. Le altre volte, in estate soprattutto, non
era poi
così male, passeggiare per le strade di Londra, ma in pieno
inverno, era un
vero e proprio sgomento; soprattutto se si era a piedi senza nessun
mezzo
pubblico a disposizione.
Mancava
un solo isolato
e, finalmente, giunse a destinazione.
Il
cartello era ancora
affisso lì, sulla vetrata:
‘Cercasi
personale per pulizie, all’interno del locale’.
Ciò
stava ad indicare
solo una cosa: non avevano trovato nessuno, ancora. Meglio
così. Aprì
istintivamente la porta. Il suo arrivo, venne identificato dal suono
del
campanello, affisso su di essa.
‹‹Ehm..
sera?››
Non
appena entrò nel
locale, Louis venne inebriato da un misto di profumi: cioccolata calda,
pasticcini, muffin, brioche, persino profumo di tè.
Inspirò a pieni polmoni.
Certo che, una buona tazza di cioccolata calda con doppia panna e una
brioche
ripiena di crema, gli avrebbe fatto senza dubbio bene.
Magari
dopo.
Una
volta entrato nel
locale, la gente si voltò verso di lui, ma solo
perché, all’apertura della
porta, era entrato un vento gelido e, senz’altro, qualcuno si
era messo persino
a bestemmiare in turco.
‹‹Buonasera,
desidera?››
Una
cameriera
belloccia, si era messa a sua disposizione. Louis era un po’
imbarazzato. Non
aveva mai avuto un vero e proprio colloquio di lavoro.
‹‹Ehm…
sono qui per
l’annuncio in vetrina.››
indicò un punto alle sue spalle, in direzione della
vetrata. La ragazza si scostò leggermente,
dimodoché potesse vedere il punto
indicato dal ragazzo.
‹‹Oh,
sì. Sei qui per il posto di lavoro!
Bene, accomodati pure nell’ufficio del capo.
C’è un altro ragazzo, anche.
Vieni, ti accompagno.››
Ester
– almeno così
Louis aveva letto sul suo cartellino –
l’accompagnò dietro il bancone.
Passarono dalla cucina: vide una quindicina di operai che armeggiavano
con
fondant, cioccolato plastico, pasta di zucchero, crema al burro,
praline e chi
più ne ha, più ne metta.
Lì
dentro, c’era un
profumo a dir poco fantastico. A Louis cominciarono a far male le
papille
gustative e la sua salivazione cominciò ad aumentare
notevolmente. Temeva che,
da un momento all’altro, si fosse affogato con la stessa. Era
diventato quasi
impossibile deglutire. Doveva uscire di lì. Alla svelta.
Dopo
aver superato con
un po’ di difficoltà la cucina, Ester
aprì una porta a vetri dove, ad
attenderlo, c’era il capo e un altro ragazzo. Entrambi si
girarono, non appena
questa fu aperta.
‹‹Capo,
qui c’è un
altro ragazzo che è interessato al
lavoro.››
Louis
era alquanto
agitato ed imbarazzato. Non aveva mai fatto un colloquio di lavoro,
prima di
allora. Era sempre stato a casa, passando il tempo a dipingere.
‹‹Ciao.
Tu sei?››
Louis
ingoiò un groppo
piuttosto amaro. Il cuore gli stava battendo talmente forte tanto da
temere
che, da un momento all’altro, gli uscisse dal petto, cadendo
in terra.
Nonostante se la stesse facendo addosso, trovò un
po’ di coraggio e si
presentò:
‹‹Io
sono Louis
Tomlinson, Signore.›› si avvicinò a
passo svelto alla scrivania del capo e, con
una certa fiducia in se stesso, gli strinse la mano. Non aveva ancora
notato il
ragazzo che stava seduto prima di lui. Era così concentrato
sulla figura del ‘boss’
che si dimenticò di tutto.
‹‹Piacere
di
conoscerti, omonimo della mia pasticceria. Io sono John Oliver. Lieto
di
conoscerti. Prego, accomodati.››
scherzò il capo. Louis, sentendo quel tono
così amichevole, si rilassò un po’.
Solo
dopo essersi
tranquillizzato e sedutosi sulla poltrona, finalmente, si accorse del
ragazzo.
Si girò verso di lui e gli sorrise timidamente. Aveva i
capelli ricci, un po’
arruffati e abbastanza lunghi. La pelle era praticamente chiarissima,
tanto da
sembrare un vampiro. Gli occhi erano di un verde così
intenso che, a Louis,
parvero di vetro.
‹‹Ciao,
io sono Harry
Styles.››
Louis,
per niente
intimidito questa volta, afferrò con piacere la mano del
ragazzo, stringendola
con sicurezza ma, al contempo, con disinvoltura.
‹‹Bene,
visto che vi
siete presentati, vorrei che
mi parlaste
un po’ di voi, di ciò che vi piace fare, e quali
sono state le vostre
esperienza lavorative. Sempre se avute, chiaro.››
I
due ragazzi si
guardarono in attesa che, uno dei due, parlasse. Louis fece un cenno ad
Harry,
spronandolo. Così fece. Fu lui ad aprire le danze.
‹‹Ho
vent’anni ma,
nonostante la mia giovane età, ho avuto diverse esperienza
lavorative: ho
cominciato a lavorare quando avevo tredici anni. Aiutavo mio padre in
ferramenta. Poi, a quindici, ho cominciato a lavorare in una
panetteria;
esperienza di appena sei mesi; a sedici e a diciassette, ho lavorato al
mercato
generale di Londra, come scaricatore di merci; dai diciotto ai
diciannove, come
imbianchino. Adesso, sono in cerca di qualcosa.››
Louis
quasi si
vergognò. Quel ragazzo aveva lavorato praticamente tutta la
vita – sebbene
avesse compiuto solo lavori umili – ma erano pur sempre
lavori. Lui invece,
cosa aveva fatto? Nulla.
‹‹Direi
che hai
lavorato quasi tutta la tua vita.›› espose il
capo, compiaciuto. Harry annuì e
sorrise a sua volta.
‹‹E
tu? Cosa mi dici di
te, Louis?››
Sentì
improvvisamente
caldo. Cosa poteva dirgli? Bugie? No. Non sarebbe stato giusto. Avrebbe
detto
semplicemente la verità.
‹‹Non
ho mai lavorato
in via mia. Ho una grande passione, ed è quella della
pittura. Il mio sogno,
era quello di trasferirmi in Italia e di iscrivermi
all’Accademia delle Belle
Arti ma, come vede, sono qui in cerca di un lavoro per aiutare mia
madre ad
arrivare a fine mese. Sebbene non abbia mai lavorato, sono pronto a
sporcarmi
le mani e di farle vedere di cosa son capace di fare. Sono determinato
e molto
serio. Se mi danno un qualcosa da compiere, lo svolgo senza esitare, e
non
smetto di farlo, se non lo porto a termine.››
John
Oliver, era
alquanto entusiasta di entrambi i ragazzi che si erano presentati
quella sera.
Gli unici, per giunta. A
loro, serviva
un posto di lavoro e denaro, a lui, qualcuno che gli facesse le pulizie
durante
la notte.
‹‹Sono
molto contento di
entrambi. Per me, siete assunti. Potete cominciare già da
questa sera, appena
chiude il locale. Vi farò recapitare ad entrambi, una copia
della chiave,
l’attrezzatura e gli indumenti necessari per la pulizia degli
impianti. Il
pagamento è di 120£ a settimana. Lavorerete dopo
l’ora di chiusura, nonché le 22:30
fino alla mattina alle 05:30, non appena la pasticceria
riaprirà. Tengo
particolarmente alla pulizia del mio locale e mi auguro che voi
possiate
compiere un buon lavoro. Sarete addetti anche allo scarico delle merci
e alla
sistemazione di essi. Ogni giorno ci arrivano i prodotti freschi.
Altrimenti..
non saremmo una delle migliori pasticcerie di
Londra.››
John
si alzò in piedi e
i due ragazzi lo imitarono. Strinse loro la mano e gli
accompagnò fuori dal suo
ufficio.
‹‹Venite
qui almeno
mezz’ora prima. Vi darò delle direttive e la
vostra uniforme. A stasera,
ragazzi.››
Non
appena il capo
chiuse la sua porta a vetri, Louis fece un salto di gioia, abbracciando
il
ragazzo che si trovava di fronte a lui. Anche Harry ricambiò
quell’abbraccio
inaspettato. Certo che è proprio
strano,
questo Louis. Manifesta così la sua felicità?
Abbracciando chiunque gli capiti
davanti?
‹‹Mamma
sarà così
felice. Non ci credo!›› espose poi, staccandosi
da quell’abbraccio – forse un
po’ fuori luogo – Cosa aveva fatto? Non lo
conosceva nemmeno.
‹‹Sono
felice per te.››
sorrise il riccio. Louis ricambiò con un po’ di
difficoltà. C’era da dire che,
quel tale, Harry, era davvero.. Bello? Era
normale utilizzare un aggettivo del genere, per un ragazzo?
Sì, se la persona
ad averlo esposto, era omosessuale. Difatti, Louis lo era; quindi non
aveva di
cui preoccuparsi.
Da
quanto tempo era
gay? Forse dai tempi delle elementari? No, forse qualcosa prima. Non se
lo
ricordava affatto. Era comunque da tanto, tantissimo tempo. Forse da
sempre.
‹‹Grazie,
anche io lo
sono per te.››
Tra
i due calò un
imbarazzante silenzio, presto interrotto da Ester che, improvvisamente,
irruppe
nelle cucine.
‹‹Ragazzi,
dovete
uscire da qui.›› li avvertì. I due
obbedirono, senza esitare.
*
Louis
ed Harry erano
rimasti a chiacchierare del più e del meno, una volta usciti
dalla cucina. Si
erano seduti al tavolino e avevano ordinato una cioccolata calda e due
cupcakes
ai fichi, a testa. Parlarono a lungo; tanto a lungo che, Louis,
dimenticò
persino di avvertire sua mamma della riuscita del colloquio lavorativo.
‹‹Merda.
Ho dimenticato
di avvertire mia madre. E sono…››
guardò l’orologio ‹‹Le
19:05. Che idiota. Avrà
chiamato sicuramente la polizia o le guardie della
regina.››
Harry
scoppiò a ridere,
piegandosi leggermente in avanti e mantenendosi la pancia. Louis, dal
canto
suo, rise a sua volta, vedendo la così inaspettata reazione
del ragazzo. Se
avesse continuato a ridere in quel modo, avrebbe vomitato tutto sul
tavolino.
‹‹Già
mi immagino la
scena..›› Louis si alzò in piedi e,
con aria teatrale, cominciò a recitare una
sceneggiata che, apparentemente, doveva raffigurare la madre disperata,
le
guardie della regina e lui stesso. Harry rise ancora di più.
C’era
da dire che, quel ragazzo, era davvero molto simpatico. Eppure lo
conosceva da quanto? Due ore? Aveva sempre avuto questo.. Pregio? Di individuare immediatamente di
che pasta fosse la persona
con cui aveva a che fare e, all’apparenza, Louis sembrava
davvero una bravo
ragazzo: simpatico, genuino, socievole e.. e
cosa altro? No Harry. Non ci pensare nemmeno. Louis è un
maschio. E tu cosa
sei? Un maschio. Vuoi andare di nuovo dallo psicologo? Infischiatene di
quanto
sia bello; di quanto siano accattivanti i suoi occhi, di quanto il suo
sorriso
sia così fottutamente contagioso; di quanto..
No.
Harry non sarebbe mai cambiato; non lo spaventava nemmeno lo psicologo.
Non più. Perché aveva accettato se stesso, per
com’era.
Suo
figlio non ha nessuna malattia,
signor Styles.
E
allora perché gli piacciono gli
uomini? Non è una malattia questa?
*
Quando
Louis tornò a casa, erano le 20:30; aveva giusto il tempo di
farsi
una bella doccia e di mettere qualcosa sotto i denti. Aveva preferito
non
chiamare sua mamma, decidendo che le avrebbe fatto una bella sorpresa.
Quando
infilò la chiave nella serratura, andando ad aprirla,
notò che
questa era chiusa. Diede due mandate verso destra, e la porta blindata
si aprì.
‹‹Mamma?››
la chiamò Louis. Johannah non rispose. Poggiò la
propria
tracolla sul comò ed appese i propri abiti.
Proseguì verso la cucina,
continuando a chiamare Johannah.
Una
volta arrivato nella stanza, notò un biglietto sul tavolo
della cucina.
Lo afferrò e lo lesse a mente:
Tesoro,
sono stata invitata a cena
fuori dal Sig. Brown. Ricordi chi è, vero? Nick Brown. Non
aspettarmi alzato.
Ti ho lasciato del pollo nel forno. Spero tanto che il tuo colloquio
sia andato
bene. Chiamami appena puoi. Un bacio. Mamma.
Louis
sorrise. Sì, si ricordava bene di Nick. Era un suo collega
di lavoro
e, con lei, era sempre stato molto gentile. Si vedeva lontano un
miglio, che si
piacevano a vicenda. C’era solo d’aspettarsela,
questa loro uscita. Louis non
poteva che esserne felice.
Prese
il cellulare e compose il numero. Rispose dopo un paio di squilli:
Amore?
‹‹Mamma!
Sono stato preso.›› gioì lui. Johannah
a suo seguito.
O
mio Dio, Lou, sono così felice
per te. Quando cominci?
‹‹Questa
sera. Dalle 22:30 alle 05:30 del mattino.››
Accidenti.
Così tardi?
‹‹Sì.
Ma non sono da solo. C’è un altro ragazzo, assieme
a me. Ha la mia
stessa età. Forse un po’ più piccolo.
Ma non sono da solo, tranquilla mamma.
Pensa a divertirti. Adesso vado a mangiare. Ci sentiamo domattina. Un
bacio.››
Chiuse
la telefonata e prese il pollo che, la mamma, gli
aveva conservato. Era ancora caldo.
*
Erano
le dieci in punto, non appena varcò la soglia della
pasticceria.
Harry era già lì dentro. Nel locale non
c’era praticamente nessuno, sebbene
mancasse mezz’ora alla chiusura.
Non
appena Harry lo vide, si alzò dallo sgabello sul quale era
seduto, e si
accinse a salutarlo con una pacca amichevole sulla spalla.
‹‹Io
a quest’ora sono praticamente nel sonno più
profondo.›› scherzò Harry,
sbadigliando e stropicciandosi gli occhi. Louis, invece, ammise che,
prima
delle due di notte, non prendeva mai sonno.
‹‹Beato
te, guarda. Io arrivo sempre stanco, a casa.››
‹‹Io
invece passerei la notta a dipingere. Amo la pittura e, difatti, la
maggior parte delle tele che ho dipinto, le ho fatte nel bel mezzo
della
notte.››
‹‹Sai
dipingere?›› proferì stupito Harry.
Louis annuì ripetutamente. Si
appassionava ogni qual volta si intraprendeva un discorso inerente la
pittura.
‹‹Sì.
Mio padre era un pittore, mia madre è una scultrice. Io
avevo deciso
di seguire le orme di mio padre e, magari un giorno, di poter mostrare
i miei
lavori, in una galleria d’arte. Dopo il diploma, avevo
intenzione di….›› si
interruppe. Sbaglio ho già
raccontato
questa storia? ‹‹Beh, il resto lo
sai.›› sorrise poi, guardando
intensamente negli occhi il riccio.
Ma
cosa sei? Cristo Santo!
*
Dopo
quasi un quart’ora dal loro arrivo, le saracinesche si
chiusero e, dal
retro, uscì John Oliver con due enormi borsoni e due paia di
mazza da ambedue
le mani: due scope, e due tira acqua.
‹‹Buonasera,
ragazzi. Qui dentro ci sono le vostre uniformi e, in
quest’altro, ci sono tutti i prodotti per la pulizia. Entro e
non oltre le
02:00, dovrete aver finito di pulire ogni zona del locale, compreso i
sanitari.
Non voglio che qualcuno si lamenti della sporcizia che
c’è nei cessi!›› rise
leggermente e lo fecero anche i ragazzi. ‹‹Alle
02:30 arriverà il carico delle
merci. Questa è la lista di tutti i prodotti che dovrete
scaricare-›› John
porse ad uno dei due un foglio con su scritto una sfilza di cose. Harry
lo
prese e, una volta datogli una rapida occhiata, notò che,
più o meno, ci
sarebbero stati almeno una trentina di elementi per prodotto. I
prodotti erano
all’incirca una cinquantina: tra dozzine e dozzine di uova,
latte, burro,
farina, zucchero, coloranti, cioccolato. Harry sgranò gli
occhi, mostrandolo a
Louis che, a sua volta rimase sconvolto.
Quella
notte, sicuramente, sarebbe stata una delle notti più dure
della
loro vita.
*
La
pasticceria aveva chiuso da poco ma il personale era ancora tutto
lì
dentro. Ester, una volta toltasi la divisa, si sedette comodamente su
uno
sgabello ed assaporò una fetta di torta alla ciliegia. Non
aveva ancora cenato.
Louis
ed Harry, invece, ascoltavano le ultime direttive del capo.
‹‹Questa
è la lista,
queste sono le vostre uniformi. Non mi resta che augurarvi un buon
lavoro,
ragazzi.››
I
due lo ringraziarono
cordialmente e, con una stretta di mano, si salutarono. Poco dopo,
anche Ester
e il resto dello staff, uscì fuori dal locale, lasciandoli
completamente soli.
La saracinesca dell’entrata principale, venne chiusa,
provocandone un
fastidioso rumore. Il carico delle merci, sarebbe stato effettuato dal
retro,
presso l’entrata del magazzino.
‹‹Bene
Tomlinson, è ora
di rimboccarsi le maniche.›› sorrise Harry,
dirigendosi verso un angolo remoto
della cucina per potersi cambiare.
‹‹Certo
Styles. È ora
di cominciare.›› Louis lo seguì a
ruota e, una volta privatosi ed appeso i
propri abiti, si infilò la divisa da lavoro.
‹‹Sembro
uno
spazzacamini, con questo ridicolo cappello.››
notò Harry, specchiandosi. Alcuni
ricci castani fuoriuscivano da esso, e Louis non poté fare a
meno di guardarli.
Erano bellissimi all’apparenza e, senza dubbio, sarebbero stati
bellissimi anche
al tatto. Sicuramente dovevano essere morbidi e profumati.
Gli
sarebbe piaciuto
sentire il loro odore e, magari, anche la loro consistenza.
Ma
cosa cazzo stai pensando, Louis? La smetti di fare il finocchietto
sdolcinato?
Si
insultò mentalmente.
Avrebbe voluto anche picchiarsi, ma si astenne almeno da quello.
‹‹Allora,
dividiamoci
il lavoro. Io mi occupo della parte nord della cucina e tu di quella
sud, così
come l’ufficio del capo. Per i cessi, invece, tiriamo a
sorte. Ahahah!›› rise
Harry, scherzando. Louis sapeva benissimo quanto difficile fosse pulire
i
gabinetti pubblici. Lui stesso non sarebbe mai andato a pisciare in un
cesso
pubblico.
‹‹Sono
due. Tiriamo a
sorte quello che dobbiamo pulire. Testa: quello del personale, Croce:
quello
degli utenti. Okay?›› propose Louis. Harry,
sebbene un po’ scettico, accettò.
Non era un tipo particolarmente fortunato. Cacciò fuori
dalle tasche una
moneta. Sperò con tutto se stesso che gli uscisse testa. Se
proprio doveva
pulire un cesso, avrebbe preferito almeno quello del personale che,
apparentemente, doveva essere più pulito.
Fachepossausciretestafachepossausciretestafachepossausciretesta
Afferrò
la monetina
caduta sul palmo della mano destra e, come di consueto, la
passò sul dormo
della sinistra, coprendola con l’altra mano.
Fachepossausciretestafachepossausciretestafachepossausciretesta
Dette
una leggera
sbirciatina.
Fachepossausciretestafachepossausciretestafachepossausciretesta
Croce.
Fanculo.
Come
immaginava, la
fortuna non girava mai dalle sue parti. Imprecò contro di
Louis che, dal canto
suo, scoppiò a ridere felice, saltellando per tutta la
cucina.
‹‹Vai
a farti fottere,
Louis.›› disse serio. ‹‹Hai
barato!››
‹‹La
volpe che non
arriva all’uva, dice che è acerba. Io ho giocato
lealmente. Non ho nemmeno
preso la monetina di tasca mia. È la tua. Quindi, va a
pulire il cesso degli
utenti.›› gli diede una finta pacca amichevole
sulla spalla.
‹‹Ti
consiglio di fare
quello prima, così ti togli il
pensiero.››
‹‹Fottiti
due volte,
Tomlinson.›› rise questa volta. Louis assieme a
lui.
*
‹‹Cosa
farai a Natale,
Louis?›› cominciò Harry, mentre
sfregava con forza della pasta di zucchero
rimasta appiccicata al bancone di alluminio. Louis fece il vago,
continuando a
svolgere il suo lavoro.
‹‹A
dir il vero, il 24
dicembre è il mio compleanno, non so mai cosa si festeggia.
È una cosa bella,
festeggiarlo in questo periodo ma…››
Puliva
tutti gli
utensili e, al contempo, le ante delle credenze. Harry rimase allibito.
Non
aveva mai incontrato nessuno che compiesse gli anni il giorno della
vigilia di
Natale. Scoppiò a ridere. Questo però, non
piacque molto a Louis.
‹‹Ma
che sfiga è mai
questa? Scommetto che nessuno mai è venuto alla tua
festa.››
Louis
smorzò un sorriso
molto malinconico. Era proprio così. Aveva festeggiato il
compleanno sempre in
compagnia dei propri parenti. Harry, dal canto suo, capì
dopo un po’ che,
quella sua affermazione, non rese molto felice il suo collega.
‹‹Ehm..››
si grattò in
testa, spostando qualche ricciolo che fuoriusciva dal cappello.
‹‹Mi spiace.
Forse sono stato un po’ troppo
schietto.››
Louis
scrollò le
spalle. Dopotutto, non aveva nessuna colpa lui. Chiunque si sarebbe
messo a
ridere. Harry, era uno di quelli.
‹‹Sta
tranquillo. Non
sei il primo e non sarai l’ultimo. È una vera e
propria rogna.›› cercò di
smorzare una risata; ne strappò una anche ad Harry.
*
Erano
le 02:22 del
mattino e, il camion delle merci, arrivò con qualche minuto
di anticipo. Un
sonoro clacson avvertì i due ragazzi che, non appena lo
udirono, si
precipitarono sul retro del locale.
Aprirono
la saracinesca
e fuori, c’era un gigantesco camion con le ante completamente
spalancate. C’era
di tutto e di più all’interno di quella cella
frigorifera.
‹‹Bene
ragazzi, questa
è la merce. In meno di mezz’ora, dobbiamo
sgomberare il camion. Tra un’ora ho
un’altra consegna dall’altra parte della
città.››
Louis
ed Harry si
guardarono disperati. Sarebbero riusciti a tirar fuori la merce in meno
di
mezz’ora? Si rimboccarono le maniche e si misero
all’opera.
*
‹‹E
questo è l’ultimo
sacco di farina.››
Louis
si accasciò a
terra, assieme al sacco di farina. Poggiò la schiena contro
la parente bianca
e, per qualche minuto, chiuse gli occhi. Era stanco morto. Non aveva
mai
lavorato così tanto in vita sua.
‹‹Mi
sento peggio della
pezza che ho utilizzato per pulire il cesso degli utenti. Hai presente
come si
può sentire uno straccio? Ecco, io sto
peggio.›› ammise Harry, accasciatosi
come una balena spiaggiata, sul bancone in metallo. Entrambi erano
completamente spompati. Però, in compenso, avevano finito
con quasi due ore di
anticipo. Ora potevano riposare, almeno un po’.
Dopo
qualche attimo
però, si udì una risata. Proveniva da Harry.
Louis aprì istintivamente gli
occhi.
‹‹Cosa
c’è?››
‹‹Hai
tutta la faccia
sporca di farina.›› disse continuando a ridere.
Provò a pulirsela ma, avendo le
mani imbrattate più della faccia, non poté che
peggiorare la situazione;
provocando un’ulteriore risata da parte del riccio.
‹‹Sta
fermo. Ti stai
impiastricciando ancora di più.›› si
alzò dal bancone e andò verso il ragazzo.
Prese uno strofinaccio pulito e si inginocchiò dinnanzi a
Louis.
‹‹Ecco
perché ho
preferito che ti occupassi tu dei sacchi di farina.
Ahahah!››
Delicatamente,
cominciò
a pulire il viso di Louis.
‹‹Sta
zitto e toglimi questa
roba dalla faccia.›› rise lui, alzando
leggermente il collo, dimodoché a Harry,
risultasse più facile pulirlo. Chiuse completamente gli
occhi, lasciandosi
trasportare dai delicati gesti concentrici che Harry stava compiendo.
Se avesse
continuando in quel modo, di sicuro si sarebbe addormentato. Gli stava
piacendo
un botto.
D’un
tratto però, non
sentì più nulla.
‹‹Già
fatto?›› disse,
senza aprire gli occhi. Dall’altra parte, non ci fu risposta.
‹‹Harry?
Sono pulito?››
proseguì; ma non appena andò per aprire gli
occhi, fu costretto a richiuderli
immediatamente. Le labbra di Harry si erano praticamente unite alle
sue. Un
bacio indifeso. Nient’altro.
Porcocazzoporcocazzoporcodiquelcazzo
La
testa di Louis era
una miniera di pensieri, emozioni. Il suo cuore batteva
all’impazzata, pronto
ad esplodere da un momento all’altro.
Istintivamente,
non
appena sentì le labbra di Harry premere un po’ di
più, gli cinse il collo con
il proprio braccio, provando a schiudere leggermente la bocca
dimodoché
potessero baciarsi sul serio.
Così
fece. Harry ebbe
il via libera. Assaporò ogni angolo della sua bocca: la
lingua, il palato,
l’interno delle guance. Tutto. Aveva un buon sapore. Sapeva
ancora di
dentifricio, misto al cioccolato, che avevano mangiato poco prima.
Anche
Harry, aveva un
buon sapore, pensò Louis. L’unica cosa negativa
però, era che sapeva
leggermente di nicotina. Non gli disturbava tanto però, in
quanto era stato
fumatore anche lui, qualche anno prima.
Quel
bacio poi,
cominciò ad intensificarsi ancora di più. Harry
intrappolò Louis tra le sue
braccia, poggiando entrambi le mani sul muro; dal canto suo, invece,
Louis si
mise diritto con la schiena, e intrecciò le proprie braccia,
al busto allenato
del ragazzo che aveva di fronte, allargando leggermente le gambe
dimodoché
Harry vi si trovasse in mezzo.
I
respiri si fecero
sempre più corti e mozzati. Non si erano ancora staccati per
riprendere aria.
Poco importava però. Quel momento era praticamente
fantastico.
‹‹Sei
bellissimo››
cominciò ad ansimare Harry.
‹‹Anche
tu lo sei.››
proseguì Louis.
‹‹L’avevo
intuito che non
fossi etero.›› sussurrò poi Harry,
cominciando ad accarezzare i morbidi e lisci capelli di Louis, una
volta
privato del cappello. Lui fece la stessa cosa. Gli tolse quel ridicolo
cappello
e cominciò a stringere fra le dita quei ricci
così morbidi. Giurò di non aver
mai toccato capelli
così belli e soffici
in vita sua.
‹‹Ti
ho messo gli occhi
addosso da subito.›› ansimò Louis, non
appena un ginocchio di Harry gli sfiorò
la virilità. Strizzò gli occhi ed
inarcò leggermente la schiena. La testa
cominciò a fargli male. Se avesse aperto gli occhi, di
sicuro, la vista sarebbe
risultata annebbiata. Era praticamente accecato
dall’eccitazione.
Harry
lo intuì subito
e, dolcemente, fece scivolare una mano lungo il cavallo dei jeans di
Louis,
cominciando a strofinare. Louis strinse i pugni. I jeans erano davvero
troppo
stretti ormai.
‹‹Non
voglio farlo in
una squallida cucina di una pasticceria. Non sono quel tipo di persona.
Voglio
continuare a vederti. Non solo a lavoro.››
Sussurrò
poi Harry,
continuando sempre a sfregare con delicatezza la virilità di
Louis. In quel
momento, se lo sarebbe sbattuto sul bancone, scopandoselo
più forte che poteva;
ma nemmeno lui era quel tipo di persona. Non avrebbe scopato nel bel
mezzo di
una cucina.
‹‹N-Nem-Nemmeno
io.››
balbettò Louis, cercando di non raggiungere
l’orgasmo con una semplice
‘toccatina’. Harry sorrise e, dandogli un ultimo
bacio a stampo, allontanò la
mano da lì e si mise in piedi.
‹‹Vuoi
che ti aiuti ad
alzare?›› porse la mano a Louis che, ancora
frastornato, l’afferrò. Si alzò
facendo leva sulle proprie ginocchia, ancora un po’ tremanti.
I due si
guardarono intensamente negli occhi. Harry gli accarezzò con
il dorso della
mano una guancia, perfettamente liscia; dopodiché
passò al mento. Lo afferrò
con il pollice e l’indice.
‹‹Sei
stupendo, Louis.
Te lo ripeterei all’infinito.›› ammise
Harry, arrossendo leggermente. Louis
fece lo stesso. Le sue gote presero un colorito rossastro,
vergognandosi anche
per il rigonfiamento evidente che i suoi jeans avevano assunto.
‹‹Credo
che accettare
questo lavoro, è la cosa migliore che mi sia mai capitata in
tutta la vita.››
proseguì poi Harry, sorridendo felice.
‹‹Sì.
Credo di non aver
mai voluto così tanto, in vita mia, pulire i cessi
pubblici.››
Cinque
mesi dopo.
La
pasticceria non era
mai stata così piena. Era – stranamente
– una bellissima giornata primaverile
di sole. Harry e Louis non avevano smesso un secondo di lavorare.
Continuavano
a sfornare cupcakes, muffin e ciambelle, ininterrottamente; per non
parlare poi
delle crostate ai mirtilli e crema di cocco: la loro
specialità.
Erano
trascorsi appena
cinque mesi, da quando erano entrati come sguatteri
all’interno della
pasticceria, pulendo cessi e scaricando merce e, solo dopo un mese, il
capo si
era accorto dell’incredibile dote che, i due ragazzi, avevano
nell’inventare e
preparare dolci.
Tutto
era partito da
una piccola prova che, durante il turno, Harry e Louis, avevano tentato
di
fare; così, per gioco. Avevano preparato un muffin ai
mirtilli e crema di cocco.
Una volta cucinato, non erano nemmeno riusciti ad assaggiarlo, in
quanto il
loro turno era terminato e dovevano sgomberare tutto, dimenticando
però di
togliere di mezzo ciò che avevano preparato.
Quando
poi il capo li
chiamò nel proprio ufficio, la videro brutta. Erano convinti
che gli avrebbe
sbattuti fuori entrambi. Invece, li promosse a pasticceri. Disse loro
di aver
mangiato per caso un muffin, trovato sulla cucina. Lo
collegò immediatamente a
loro due, in quanto la notte, nel locale, non c’era nessun
altro.
‹‹Non
ho mai mangiato
nulla di simile. Il gusto, il profumo, la consistenza, sono
sbalorditivi. Siete
promossi a pasticceri. Aiuterete gli altri a preparare dolci, da
oggi.››
Il
salario, ovviamente,
era più proficuo e, i problemi economici di Louis, andarono
così via via a
scemare.; riuscendo ad arrivare tranquillamente a fine mese e, alle
volte, a
mettere anche qualche sterlina da parte.
Sia
lui che Harry,
erano talmente felici; non solo per la sbalorditiva e inaspettata
promozione;
anche – e soprattutto – perché, dopo
quella notte, non avevano mai smesso un
attimo di vedersi. Cominciarono a frequentarsi assiduamente, mettendosi
successivamente insieme.
Harry
viveva per Louis,
e viceversa.
Grazie
a quel lavoro,
apparentemente schifoso, si erano trovati e, sicuramente, non si
sarebbero mai
più persi di vista.