PREVIOUSLY ON LKNA: indagando su una serie di vittime cadute misteriosamente in coma,
Bellocchio e Calem si trattengono di notte alle Galeries Ételfay, centro
commerciale di Luminopoli. Con loro sorpresa anche Adele e Katie, due commesse,
si trovano lì, ma il tempo per parlare è poco: entrambe sono lasciate prive di
sensi da Darkrai, un enigmatico mostro in grado di rapire le anime delle
persone, posto che si impadronisca della loro ombra sei ore prima.
Come se non bastasse,
un’altra sorpresa attende i due investigatori improvvisati: la polizia.
Incarcerati con l'accusa di essere i responsabili della sfilza di crimini, la
coppia fugge grazie a Bellocchio che, sfruttando una falla nel sistema del
penitenziario, organizza un'evasione di massa. Giunti sul tetto delle Galeries
per impedire a Darkrai di ultimare il suo “rito”, l'apertura di un varco per il
mondo degli spettri, Calem scopre però che da sei ore non ha più l'ombra e viene
preso. Le forze dell'ordine stanno arrivando: Bellocchio ha solo cinque minuti
per scongiurare l'invasione, ha appena perso l'ombra, ed è completamente
indifeso.
Il
vento che batteva sopra le Galeries Ételfay si era fatto rigido di abbandono.
Luminopoli turbinava al piano di sotto, splendente di lucerne gialle su cui
troneggiava il faro celeste della Torre Prisma. Nessuno sapeva della catastrofe
in procinto di esplodere sopra le loro teste, il che rendeva lo scenario anche
più funesto.
Bellocchio adagiò a terra il corpo inerte di Calem chiudendogli delicatamente
gli occhi, quindi si erse in piedi volgendo lo sguardo a Darkrai. L'ombra,
spettro tetro e inespressivo, a sua volta lo scrutava in tono intimidatorio.
L'uomo però non se ne curò: ne aveva avuto abbastanza.
« Non
giocare con me. Tra sei ore non ti servirò più a nulla. La sola ragione per cui
hai appena preso la mia ombra è perché vuoi imbrogliarmi, vuoi farmi credere di
aver tutto sotto controllo. Vuoi farmi credere di non aver paura ». Strinse il
pugno destro mentre con la mano sinistra tastava il suo taccuino, saldo nella
tasca anteriore « Ma tu hai paura perché sai chi sono. E anche adesso, a
cinque minuti dalla fine, temi che abbia ancora un asso nella manica ».
Darkrai
lo fissò con un'espressione inquisitoria. Ovviamente Bellocchio non era ingenuo:
il suo passato poteva aver impaurito la Dama Cremisi, ma il suo avversario
attuale era molto diverso. Taciturno, perso nel vuoto, non era nemmeno certo che
capisse ciò che stava facendo.
« E in
effetti è così. Perché vedi, io so come funziona il tuo processo di
assimilazione. Una volta che hai preso l'ombra non puoi arrestarlo, e le sei ore
sono dovute solo alla resistenza neutra dell'anima stessa a separarsi dal corpo
» l'uomo sorrise di sbieco « Ma io voglio che lo faccia ».
La
creatura non pareva in grado di produrre suoni, ma fu distintamente percepibile
una sua reazione di sgomento a quelle parole. Tutto nel modo in cui aveva
accolto la notizia pareva domandare: cosa?
« Da
qua non posso fare nulla, e tu avresti vinto. Ma dal mondo in cui porti le anime
perdute voglio scommettere che troverò una soluzione. Certo, come essenza eterea
potrei fare poco » convenne alzando le spalle ironicamente « Ma se io vorrò
essere catturato ora, tu sarai costretto a prendere il corpo con te ».
Puntò l'indice contro l'ombra che, presa completamente alla sprovvista, non
sapeva come reagire « Il mio nome è Bellocchio, e desidero che la mia anima sia
presa! Avanti! ».
Dalla
dichiarazione trascorsero una manciata di istanti: il giovane avvertì una fitta
al petto, le sue gambe persero sensibilità e iniziò a cadere all'indietro, ma
perse conoscenza prima ancora dello scontro con il ruvido terreno sulla sommità
del centro commerciale.
Episodio 1x16
Evoluzione
Si
svegliò in un antro. Era ampio svariati metri quadri, di forma affine a una
semisfera superiore sulla cui base Bellocchio poggiava dai piedi alle spalle. Le
pareti erano ruvide al tatto – vi si trovava a ridosso –, così come il suolo
roccioso su cui era coricato. Mosse le mani lungo il corpo fino alle ginocchia,
verificando di avere ancora tutto con sé, cappotto incluso.
Il suo
primo pensiero fu che, con sua sorpresa, il bluff che aveva escogitato aveva
funzionato. Non era assolutamente vero che il tempo di assorbimento fosse
influenzato dalla resistenza dell'anima, quantomeno non che lui ne sapesse – a
dire il vero le sue conoscenze sul sistema impiegato dai Darkrai erano alquanto
limitate. Ciò, a catena, confermava l'altra ipotesi che aveva maturato nel
tempo: quel Darkrai non era un Darkrai come tutti gli altri. Nelle quasi
trentasei ore in cui l'aveva visto in azione aveva notato a più riprese che
pareva incerto sul suo stesso potere, e il fatto che si fosse lasciato
imbrogliare da Bellocchio era la prova definitiva che fino ad allora era
mancata. Se lo ripeté a mente un paio di volte: amava quando i suoi piani
andavano a buon fine.
Solo a
quel punto si concentrò sul luogo in cui si trovava: era una caverna, ma non una
caverna qualunque. O meglio, lo sarebbe stata se non si fossero considerate due
caratteristiche salienti: la prima era un ampio ciclone di decine e decine di
fantasmi lattei che, Bellocchio intuì, dovevano essere proprio gli spiriti
sottratti in quei giorni; la seconda, invece, saltava subito all'occhio: una
massiccia palla di fiamme roventi che ardeva al centro della spelonca. Di più:
una palla di fiamme roventi tiepida, la temperatura era forse quella di
un falò. La spiegazione era implicita: un fuoco fatuo.
Quella
non era una dimensione parallela. Non era semplicemente possibile: c'era un solo
luogo che poteva potenzialmente contenere un fuoco fatuo paragonabile.
Bellocchio soffocò una risata: quanto era stato stupido. Aveva davvero
bisogno di una testa più grande. Alzò lo sguardo alle anime vaganti e, pur non
identificando quella desiderata, decise comunque di provare a parlarle. « Ehi,
Calem, tu l'hai capito dove ci troviamo? ».
Nessuna
risposta. Chissà che si aspettava.
« Non è
divertente se nessuno mi ascolta. E va bene, lo dirò comunque: dentro un
Dusclops! ». A quelle parole non riuscì più a trattenersi, lasciando
sfuggire un risolino divertito « Capisci? Per tutto questo tempo ci ha fatto
credere di essere un Darkrai per metterci paura, per evitare che osassimo
interferire con la sua opera! Ecco perché sono riuscito a salvare quel bambino,
perché non aveva perfezionato la tecnica! ».
Non lo
disse, ma ciò motivava anche la ragione per cui la madre, che era con il figlio
alle Galeries, non era stata sfiorata: un Pokémon così claudicante nelle sue
sicurezze non poteva permettersi di dover gestire due vittime in contemporanea.
E per questo aveva aspettato a prendere Calem e lui: si era già impegnato con
Adele e Katie. Era tutto così ovvio.
« Vuoi
produrre energia per aprire quel varco, certo » proseguì, questa volta
rivolgendosi direttamente a Dusclops « Ma sei ottuso, irrimediabilmente ottuso,
proprio come lo sei stato nel cercare di imitare un essere che forse avrai visto
mezza volta in vita tua. Hai bisogno di evolverti per farlo, vero? Ma non lo sai
che ciò che hai fatto finora è del tutto inutile? ».
Quasi
fossero la manifestazione della coscienza stessa del Pokémon, gli spiriti
intensificarono la loro velocità di volo, roteando come migliaia di api intorno
all'alveare di fuoco.
« Serve
un Terrorpanno perché tu possa completare il processo evolutivo. E indovina un
po', nessuno qui–– ».
Oh.
Oh. Forse non era stupido come aveva affermato. O forse era solo una
coincidenza, e Dusclops era semplicemente lo spettro più fortunato del mondo.
Bellocchio infilò la mano nel suo cappotto con un fremito strozzato fino a
estrarne un logoro drappo dalle tinte violacee.
Era lo
straccio che gli aveva regalato Tierno dopo la conclusione della sua avventura a
Novartopoli, quello impiegato per ingannare Saul. L'uomo rifletté: un
Terrorpanno non è altro che un cencio intriso di energia spirituale. E dove
poteva esserne maggiormente pregno se non all'interno del corpo di un finto
Darkrai che aveva trascorso gli ultimi giorni a fagocitare decine di anime? Chi
l'avrebbe detto che sarebbe stato proprio il piccolo bambino paffuto a fornirgli
una via di scampo: quello era un Terrorpanno in piena regola. E questo
peggiorava molto le cose.
Perché
sì, avrebbe potuto usarlo per innescare l'evoluzione. Ma in questo modo avrebbe
concesso a Dusclops, o per meglio dire Dusknoir, la potenza necessaria per
aprire il varco e invadere il loro mondo. Se invece si fosse rifiutato lui e le
anime imprigionate non sarebbero mai uscite di lì, e con ogni probabilità il
loro ospite sarebbe partito alla volta di nuovi stermini. Quindi ecco la scelta
del cavaliere bianco, Calem: la vita di pochi contro la salvezza di molti.
Sarebbe stato facile, se non avesse commesso lo smisurato errore di affezionarsi
a coloro che adesso dipendevano da lui.
Rammentò ciò che quell'allenatore presuntuoso gli aveva detto sul tetto:
fare come Serena e attaccare Vivillon.
Se non avesse agito sarebbe stata una sconfitta certa; ma liberandoli avrebbe
avuto anche solo una minima possibilità di fermare Dusknoir. Una minima
possibilità di salvarli tutti.
« Forse
hai ragione, Calem » commentò. Strinse lo strofinaccio tra le mani dopo averne
annusato l'acre aroma di detergenti e lerciume « Forse ho davvero un complesso
dell'eroe ».
Detto
ciò prese la rincorsa e, caricando tutte le forze rimanenti nel braccio destro,
scagliò il panno nella sfera incandescente. Dapprima non accadde nulla; poi,
come reagendo a scoppio ritardato, il globo iniziò a ribollire internamente per
poi espandersi poco a poco. Bellocchio arrettrò finché poté, e a un certo punto
l'espansione parve fermarsi; in seguito senza preavviso l'antro detonò in un
turbinio di fiamme calde, con il tiepido braciere di solo pochi istanti prima
che, carico di nuova energia, ora ardeva come i sobborghi dell'averno.
Bellocchio cacciò un atroce urlo di dolore negli attimi più strazianti della sua
vita, quindi perse i sensi.
Dama
Brianna sedeva nel tetro e desolato ambulatorio dell'Hôpital Regional Leveinard,
il più importante ospedale di Luminopoli e di tutta Kalos. Il fatto di essere
circondata da cadaveri aggrappati a un filo la inquietava non poco, ma sarebbe
stata in grado di sopportarlo per stare vicina a sua figlia. Non erano mai
andate molto d'accordo, loro due: Brianna avrebbe desiderato per Katie un futuro
nella medicina, ma la ragazza si era sempre rifiutata preferendo un'infruttuosa
laurea nel settore umanistico. Pur di far valere le sue ragioni la madre le
aveva tagliato i fondi, costringendola a quel lavoro tanto odiato alle Galeries
Ételfay. Tra l'altro proprio lì era stata scoperta in coma, il che alimentava i
sensi di colpa che la donna cercava di placare.
Ed
eccola lì, Katie: le palpebre socchiuse in stato vegetativo, adagiata sul letto
dell'ospedale, bionda come la sua genitrice che tuttavia ormai era costretta a
tingersi per preservare quel colore. Un rumore di passi echeggiò nella sala,
preannunciando la corsa forsennata di qualcuno all'esterno. Brianna alzò la
testa: un'altra figura aveva fatto capolino dalla porta, anch'ella dai capelli
paglierini che però erano in questo caso spettinati e sporchi in ragione dello
sforzo fisico appena compiuto.
«
Mamma! » esclamò sottovoce Silvia cercando di non produrre rumore eccessivo.
Corse incontro a Brianna con foga, come aveva fatto fino a quel momento. Da
quando aveva scoperto dello stato di sua sorella Katie non si era fermata un
istante, lasciando Novartopoli nel cuore della notte per raggiungere a piedi
Luminopoli, e poi via taxi l'ospedale. E ciononostante, vedendo la sua compagna
di una vita costretta a letto, connessa permanentemente a una macchina
cuore-polmone che segnava sui sessanta battiti al minuto, non riuscì a
trattenere le lacrime. Sprofondò tra le braccia della madre, con cui a
differenza di Katie aveva sempre intrattenuto ottimi rapporti pur non
condividendone alcune scelte.
Forse
il fatto più struggente era che loro due erano le uniche persone a fare
compagnia ai comatosi. Era impossibile che nessuno degli altri avesse un
famigliare, ma anche l'idea che avessero gettato la spugna puramente per l’ora
tarda era comunque tremenda. Nemmeno i parenti di Adele, pur essendo ella una
delle due vittime più recenti, erano venuti ad assisterla. Brianna aveva provato
a telefonar loro, ma non avevano risposto, probabilmente ancora addormentati.
« Cosa
dicono i dottori? » domandò Silvia.
«
Niente di nuovo, non sanno che fare. Se la cosa andrà avanti potrebbero anche
dichiarare l'arrondissement pericoloso ed evacuarci tutti » la voce di Brianna
si spezzò, e la donna dovette faticare per continuare « La mia casa… ».
Silvia
alzò la testa e restituì l'abbraccio, cercando di far forza a sua madre. In quel
momento varcarono la soglia della stanza altri due individui, annunciandosi
l'uno con un colpo di tosse imbarazzato, l'altro con uno sguardo taciturno. Il
primo indossava un semplice maglione in lana beige sotto cui si intravedeva una
camicia a quadri, nonché un paio di jeans trasandati; il secondo un Chesterfield
abbinato ai pantaloni di tela che copriva un'accoppiata di camicia rosso sangue
e cravatta bianca. L’uomo in pullover si precipitò ai letti affiancati di Katie
e Adele, sincerandosi della loro condizione.
«
Craig! » esclamò Silvia « Tu… Tu perché sei qui? ».
Per
te. O meglio, così avrebbe risposto se
avesse avuto un minimo di coraggio. « Ah, Isidore voleva aiuto con le indagini
».
« Non è
vero » lo smentì l'amico con la rapidità di un falco « Anzi, ti ho pure detto
che mi sei d'intralcio ».
« Sì,
grazie mille ». Craig passò a ignorarlo, dedicandosi unicamente alla famiglia
riunita « Niente novità? ».
«
Niente di niente » spiegò Silvia, ripetendo quindi le parole della madre.
Quest'ultima arricchì in seguito il racconto per ovviare alla distanza spaziale
che aveva impedito ai due di sapere gli sviluppi del caso dei coma.
« … C'è
addirittura chi dice che è un castigo divino… Sì, insomma, che abbiamo a che
fare con un Dio. Stanno anche nascendo sette blasfeme ».
« Hanno
paura e quindi decidono di farsi servi del nuovo arrivato. Tipico. Spero almeno
che le autorità non si stiano facendo intimidire da queste idiozie » concluse
fermamente il professore.
Isidore, nel frattempo, non aveva cessato di balzare figurativamente da un letto
all'altro, facendo ondeggiare sinuosamente il suo cappotto. Ogni tanto si era
fermato per qualche secondo, aveva acceso e spento la piccola torcia che aveva
portato con sé, e poi aveva ripreso la sua danza misteriosa.
« La
puoi smettere? » lo riprese Craig, che spesso era egli stesso irritato dal
comportamento tenuto dal suo amico « Almeno una volta nella vita non fare
l'esibizionista ».
« C'è
qualcosa di molto strano » commentò tra sé e sé « Come se il colpevole di tutto
ciò non fosse certo di quello che fa ». Si era fermato di fronte alla postazione
di un atletico ragazzo sulla ventina, una delle prime vittime a cadere.
« Che
dici? ».
« Ti
ricordi quando ti ho fatto notare che quel vecchio ritrovato lungo Rue de
Provence non proiettava alcuna ombra se illuminato? ».
Craig
annuì.
« Beh,
succede anche a tutte le persone qui, Katrina compresa » proseguì ravviandosi i
capelli in un tic nervoso per godersi la piega data dalla pettinatura « Tranne a
questo qua. Lui ce l'ha ancora ».
« E da
ciò cosa deduci? » lo interrogò Silvia incuriosita, pur con una certa dose di
sarcasmo dettato dall'ansia per sua sorella.
« Che
il nostro Dio non si è mai mosso stabilmente dalle Galeries Ételfay ».
I tre
sgranarono gli occhi, e Dama Brianna in particolare: se ciò che Isidore diceva
fosse stato vero, lei aveva involontariamente spedito Katie nella tana del
drago. Ciò le provocò angoscia più di quanta già ne fosse costretta a patire.
« Cosa
te lo fa pensare? » trovò il coraggio di domandare.
« I
ritrovamenti sono sempre avvenuti nella fascia oraria che va dalle quattro del
pomeriggio alle due di notte. Credo che trascorra del tempo tra la selezione
della vittima e il coma effettivo, quindi ci sono dieci ore in cui il Dio
agisce, come il tradizionale orario continuato dei negozi del nono
arrondissement. Nessuna delle persone finite in questa stanza era di famiglia
povera, anzi, erano tutti benestanti, quindi come idea è logica. Scacco ». Si
voltò verso i suoi ascoltatori dopo aver dato loro le spalle fino a quel momento
per osservare il vetro insonorizzato dell’ambulatorio. Fuori stava accadendo un
bel caos, a quanto aveva appena visto. « L'unica eccezione era David Burke, il
qui presente giovane rinvenuto alle cinque e tre minuti della mattina di
domenica dopo che un testimone lo aveva sentito urlare, cosa mai riscontrata
nelle altre occasioni, e che ha ancora l’ombra. Ciò mi fa pensare che forse il
Dio in quel caso era, come dire, di fretta, e ha agito in modo approssimativo. E infine abbiamo Katie
e Adele, che sono rimaste alle Galeries tutto il giorno e sono state catturate
comunque. Il Dio sta là. Scacco matto ».
« Ma,
Izzy caro, che importanza ha? » intervenne Dama Brianna in un intimo tentativo
di discolparsi « L'hanno preso ormai, no? Anzi, li hanno presi, erano due
a quanto pare. Ora sono al sicuro nel Carcere ».
« Non
sono stati loro » replicò Isidore glaciale, accompagnando la frase con
un'eloquente espressione facciale « Craig mi ha confermato che il più vecchio
risponde al nome Warren Peace, un suo collega a breve termine la cui permanenza
a Novartopoli è documentata fino a domenica mattina, mentre il primo
ritrovamento risale a sabato. E in ogni caso, anche se fosse, a occhio e croce
sono appena evasi ».
Detto
ciò si allontanò dalla finestra per ricongiungersi agli altri, seguitando « E il
mio nome è Isidore, non Izzy ».
«
Evasi? » intervenne Silvia « Non è possibile! Dopo la storia del fuggitivo? ».
« Da
quello che ho visto questa volta hanno sfruttato il Ragnarǫk Scenario » rispose
sommariamente, come se stesse parlando di nozioni di dominio pubblico. Le sue
affermazioni avrebbero invece suscitato ondate di dubbi nel gruppo al capezzale
delle ragazze, se i loro moti della bocca non fossero stati interrotti da un
avvenimento ancora più stupefacente.
Fu
Craig il primo ad accorgersene. Distratto dal soliloquio di Isidore il suo
sguardo aveva vagato per la stanza da un volto all'altro, soffermandosi poi
sulla macchina cuore-polmone, e lì se n'era accorto: i battiti per minuto erano
aumentati a settanta.
« Che
sta succedendo? ».
Dama
Brianna stralunò gli occhi, e così fece anche sua figlia: sotto il loro attento
controllo la crescita non si fermava, anzi si affrettava a raggiungere i valori
normali. Nel frattempo Craig e Isidore si erano suddivisi l'ambulatorio per
verificare la situazione, rimanendo a loro volta sorpresi. I sistemi
cardiovascolari di tutti i pazienti della stanza erano entrati in fibrillazione
senza alcuno stimolo esterno. Il secondo dei due esibiva una genuina espressione
di sbalordimento, come raramente faceva; nel caso del primo era qualcosa di più:
era meraviglia, come certificava il sorriso che andava formandosi sul suo volto.
Immediatamente tutti tornarono al giaciglio di Katie, nel mentre inoltratasi
addirittura nella tachicardia. Ti prego, supplicò mentalmente Craig,
vi prego, fatemi questo favore. Regalatemi un giorno felice. La paralisi
estatica dei quattro durò per dodici, lunghissimi secondi. Fu solo a quel punto
che, come al termine di una fiaba appassionante, la giovane dischiuse le
palpebre.
Non
solo lei: tutte le vittime del Dio ripresero simultaneamente coscienza. Alcuni
si destarono seduti, altri non trovarono le forze psichiche per drizzare il
busto; ma tutti, nessuno escluso, uscirono da quell'incubo che aveva tenuto sul
filo del rasoio tutta Luminopoli.
Brianna
esplose senza escalation in un pianto di gioia, abbracciando prima Katie e poi
Adele, ambedue ancora in stato confusionario; Isidore agguantò con la calma più
serafica il suo PSS per avvertire la redazione di Le Monde, per poi
recarsi dai medici e offrire un resoconto del miracolo appena avvenuto, anche se
probabilmente non si sarebbe sbilanciato nel definirlo tale. In un primo momento
a Craig passò per la mente di seguirlo, ma si sentiva pervaso da un'eccitazione
raramente provata in vita sua. In preda a una scarica di adrenalina abbracciò
Silvia, anche lei in piena euforia.
Rimasero stretti l'uno all'altro per un tempo che nessuno dei due fu in grado di
stabilire con certezza, secondo la loro percezione sito da qualche parte tra i
due secondi e le due ore. Quando Craig lasciò al presa sentiva il cuore battere
a mille e il respiro affannoso. Se non l'avesse chiesto ora sarebbe stato
legittimato a buttarsi giù dal Pont Neuf.
«
Tiandrebbediuscireacenainsiemedomanisera? ».
Silvia
rimase spiazzata, in parte per la richiesta in un momento così assurdo, in parte
perché le era sfuggita una parola su tre. Eppure, vuoi per la gioia del momento,
vuoi per una delle altre mille direttive che governano la psiche umana… « Ma sì,
perché no? ».
Sì.
Sì. Aveva detto sì. Ma sì, perché no era un sì, giusto? Decisamente.
« Oh… P-per… Ottimo! Io allora… esco per… ».
Non
concluse la frase, abbandonandola a metà per avviarsi alla porta, balbettando
tra sé e sé. Una volta uscito si guardò attorno: un lungo corridoio privo di
anima viva. Doveva trovare Isidore e raccontargli tutto, aveva un disperato
bisogno della sua opinione di narcisista patologico. Sinistra o destra?
Sinistra, quantomeno se si fosse perso non si sarebbe trovato a una cena
elegante.
Stava
anche iniziando a delirare. Che nottata.
Il cappotto di Bellocchio era
ridotto davvero male, e lui non era messo molto meglio. Giaceva riverso su un
fianco al limitare del tetto delle Galeries, con la spalla sinistra pesantemente
ustionata e bruciature varie disseminate sui vestiti. L’esperienza all’interno
di Dusclops era stata reale solo per lui, perché solo lui lo aveva costretto a
ingurgitare l’intero corpo anziché solamente l’anima; di conseguenza la sfera di
fuoco l’aveva infiammato in prima persona.
Provò ad alzarsi in piedi, ma
riscontrò che non era in grado di issarsi sulle gambe. E quella non era nemmeno
la notizia peggiore: il suo volto, orientato verso il centro della superficie,
stava assistendo a una massa caliginosa che iniziava ad assumere connotati
terribilmente familiari. Un tronco robusto che si confondeva nell’oscurità,
salvo per lineamenti simili a un paio di occhi e una bocca socchiusa che
brillavano di luce dorata, due ampie mani protese verso di lui, un terzo bulbo
luminoso incastonato in una rientranza sulla fronte: Dusclops si era evoluto in
Dusknoir.
Il Pokémon fluttuò nella sua
direzione per qualche metro finché la sua imponente figura non arrivò a
sovrastarlo completamente. Lo scrutò meditabondo, come se fosse incerto su cosa
destinare a colui che aveva provato di tutto per fermarlo. La vita di
quell’omuncolo era adesso a sua completa disposizione. Forse avrebbe voluto
rammentarglielo, ma l’evoluzione non pareva avergli donato la parola.
« Fai di me quello che vuoi,
tanto ho già vinto » lo anticipò Bellocchio, sputando ogni parola dietro l’altra
con irrisione « Li ho salvati tutti. Per una volta
li ho salvati tutti ».
Il terzo occhio di Dusknoir
sfolgorò d’ira e la creatura si predispose a sferrare il colpo finale. Poi, sul
punto di porre definitivamente fine alla vita dell’uomo, fu interrotto da una
voce strascicata proveniente da dietro di lui.
«
Non… ti avvicinare… a Bellocchio ».
I due si voltarono. Entrambi si
erano sorprendentemente dimenticati dell’altra persona che quella notte si
trovava alle Galeries Ételfay: Calem, che ora stazionava eretto, per quanto
ancora leggermente barcollante a causa del balzo mentale, e puntava il dito
contro Dusknoir con l’espressione di chi ha tutta l’intenzione di combattere.
« Che… che cosa… » farfugliò
Bellocchio.
« Mi hai sentito? » lo incalzò il
ragazzo « Non provarci nemmeno. Prima di invadere Luminopoli dovrai vedertela
con me ». Contemporaneamente, avendo ripreso il pieno controllo delle facoltà
motorie, strinse nella mano destra l’unica Poké Ball non vuota che aveva con sé.
« Non farlo… » Bellocchio strinse
i denti, soffocando gli spasmi di dolore « Swellow non ha speranza, non può
nemmeno colpirlo… ».
« Nemmeno lui può colpire Swellow
».
« Non gli servirà… Il Gelopu–– ».
«
Pensi che non lo sappia? » ribatté acido Calem « Ma cosa dovrei
fare, starmene qui a guardare? Se c’è una minima possibilità di fermarlo devo
provarci. Devo attaccare Vivillon ».
Bellocchio inspirò ed espirò.
Aveva compiuto la medesima scelta pochi minuti prima, sarebbe stato ipocrita
insistere oltre. Con un cenno di assenso gli fece capire che era con lui, e il
giovane annuì di rimando. La pupilla infernale di Dusknoir arse di luce per un
istante. Erano pronti.
«
Nessuno si muova! ».
Una vampata incandescente sfondò
la porta d’ingresso al tetto dei grandi magazzini lasciando entrare una mezza
dozzina di Arcanine ringhianti. Subito dopo di loro fece irruzione un plotone di
poliziotti in divisa indaco con strette tra le mani pistole precauzionali, e i
suoi componenti si disposero in formazione d’emergenza non appena si accorsero
della silhouette ultraterrena che li stava scrutando. In poco più di qualche
secondo l’intera zona fu letteralmente invasa dalle forze dell’ordine di cui
tutti si erano scordati.
Tutti meno Calem.
Il ragazzo tratteneva a stento
una risata sardonica. Il loro nemico, fino a un attimo prima in netto vantaggio,
adesso era stato attorniato da ogni lato e se anche solo avesse provato ad
alzare un dito sarebbe stato investito da scariche di fiamme roventi. Del resto
non aveva pensato nemmeno per un secondo che Swellow potesse farcela, stava
semplicemente temporeggiando per attendere gli agenti.
« Ehi, Bellocchio, alla fine
anche io ho imparato qualcosa da te » sorrise beffardo « Ora so parlare a
cascata fino a trovare una via d’uscita ».
La coppia si scambiò un sorriso
complice. Che avventura bizzarra, era stata: erano entrati alle Galeries Ételfay
da nemici giurati e ne erano usciti da uomini che si rispettavano
vicendevolmente, che avevano compreso veramente l’uno i pensieri dell’altro. E a
unirli non era stata l’atmosfera amichevole in cui erano stati immersi nei
giorni precedenti grazie ai tre bambini con cui viaggiavano, no: era stato un
nemico comune contro cui avevano sentito il bisogno di coalizzarsi.
« Tornando a te, Dusknoir »
riprese Calem nel silenzio generale della polizia, tanto sicuro di sé da
arrogarsi il diritto di parlare per loro « Ti suggerirei di sparire il prima
possibile. Ritorna da dove sei venuto e non ti faremo niente ».
Bellocchio sgranò gli occhi. Un
brivido gli percorse la spina dorsale da cima a fondo mentre un’assurda ipotesi
prendeva forma nella sua mente. Per quando riuscì a mettere a fuoco l’intuizione
era ormai totalmente certo di aver individuato l’ultima tessera del puzzle.
Ritorna da dove sei venuto.
Ritorna.
RITORNA
R
I T
O
«
Ritornare! » esclamò. I presenti lo squadrarono straniti ma lui non
se ne curò, trascinandosi a fatica e dolorosamente verso il Pokémon braccato in
trappola « È questo che cercavi di dirci, vero? Non volevi fare nessun rito…
ngh… nessuna invasione. Non volevi far
uscire qualcuno da quel mondo… Volevi
ritornarci ». Cadde prono a terra per lo sforzo, ma facendo appello a ogni
sua energia e al soccorso di uno degli agenti riuscì ad alzarsi in piedi.
Dusknoir non parlò, non essendone
in grado; ma un cenno del suo corpo fu più che sufficiente a confermare il lampo
di Bellocchio.
« Ma perché… » proseguì l’uomo
tra gli spasmi « … perché non ci sei ancora tornato? Hai…
ngh… Hai già il potere per… ».
In risposta la creatura allungò
la mano verso di lui. D’istinto gli Arcanine digrignarono i denti
minacciosamente, costringendo Bellocchio a restare dov’era. Non che gli
servissero informazioni ulteriori: nel palmo tetro che aveva di fronte brillava
qualcosa di celeste, qualcosa che sospettava di conoscere.
Prima che potesse metterla a
fuoco Dusknoir si chinò e fece rotolare l’oggetto misterioso ai suoi piedi. «
No! » gridò il giovane all’indirizzo
dei mastini abbaianti che erano pronti a incenerirlo. Quindi si staccò dal suo
supporto umano per avvicinarsi al bagliore. Sperava non si trattasse di quello
che pensava, visti i tormenti che il suo simile aveva causato in passato; ma se
davvero lo fosse stato, era una cosa che doveva fare da solo.
Ed eccolo lì, tra le sue mani: un
frammento turchino che brillava nel buio. Identico in ogni aspetto a quello
rinvenuto nel nido dei Beedrill, ed ebbe modo di accertarsene confrontandoli.
Aggrottò la fronte, non capendo.
« Non riuscivi a tornare lì… per
questo? ». Era possibile che anche
come Dusclops avesse sempre avuto la possibilità di andarsene e semplicemente
fosse stato trattenuto in questo mondo da quell’imperscrutabile frantume di
pietra? E che si fosse evoluto solo per espellerlo dal suo corpo? Ma
perché avrebbe dovuto ancorarlo
all’universo in cui si trovava? Troppe, troppe domande.
« Dove l’hai preso? » lo
interrogò, ma come prevedibile non ottenne alcuna replica. Dusknoir fluttuava
statico lì, l’unico occhio fisso su di lui, a deriderlo perché lui
sapeva, lui doveva
per forza sapere il segreto che si celava dietro quelle gemme. Non
sarebbe riuscito a estorcergli nulla di significativo.
« Vattene. Sei troppo debole per
combattere, te lo si legge in faccia ». Colpa della pietra, forse. I Pokémon
sembravano patirne l’effetto più che gli umani. « Vattene » ripeté Bellocchio
con veemenza, drizzandosi definitivamente in piedi « Torna nel tuo mondo e non
farti più vedere ».
Dusknoir annuì per l’ultima
volta, posando lo sguardo uno per uno sulle tremanti guardie che recitavano di
malavoglia il ruolo delle autorità. La bocca sita sul busto si contorse in un
ghigno mentre il suo corpo assumeva un colorito violaceo.
« Debole, eh? » commentò
sprezzante Calem, ridacchiando a sua volta « Bellocchio potrà essere di buon
cuore, ma non hai fatto i conti con me. Mi sarai molto utile contro Astra ». Tra
le espressioni attonite degli astanti scagliò la Poké Ball che aveva finto per
tutto quel tempo contenere Swellow, rivelando che in realtà l’aveva furtivamente
scambiata con una delle sue vuote prima di puntarla contro il suo nemico.
Nessuno ebbe un tempo di reazione sufficientemente rapido per rendersi conto di
cosa stesse succedendo, nemmeno lo stesso Dusknoir: la sua sagoma scintillò di
un rosso sangue prima di svanire all’interno della sfera. Dopo tre secondi le
molecole interne si stabilizzarono e il Pokémon Pinza, già indebolito, cessò di
lottare.
«
Cosa hai fatto! » sbraitò uno degli agenti in un impeto d’ira.
Avrebbe voluto aggiungere qualcosa di simile a “ora non potremo più interrogarlo!”, ma si rese conto che pur essendo
un’espressione accurata sarebbe suonata fin troppo bizzarra.
« Rilassati » lo acquietò un
altro, probabilmente più alto in grado a giudicare dall’uniforme. « E voi due »
soggiunse nei confronti di Calem e Bellocchio « ora tornerete con noi al Carcere
».
La coppia sobbalzò. Il più
giovane dovette trattenersi per non assalire il suo interlocutore « Ma che state
dicendo? Abbiamo appena salvato Luminopoli, se vi è sfuggito ».
« Questo è tutto da verificare »
replicò glaciale l’ufficiale « Non siamo in possesso di prove che vi scagionino.
Nel frattempo sarete posti in arresto preventivo ».
Bellocchio sbuffò contrariato.
Calem ebbe una reazione meno contenuta e mise mano alla sua cintura, provocando
il ringhio ostile degli Arcanine attorno a lui.
«
Fermi! ».
Un coro di voci dubbiose e “chi
è?” in stereofonia accompagnò l’entrata in scena di un altro personaggio. Il
suo vestito era nero con rigature fiammanti, i suoi capelli rossi come un bosco
in fiamme, il suo sguardo lucido e carismatico nonostante l’ora tarda. Al suo
seguito c’era una giovane bruna, a occhio e croce la sua assistente. Nessuno dei
poliziotti fiatò al suo ingresso, sbigottiti e incapaci di credere a ciò a cui
stavano assistendo.
« Lasciateli liberi » ordinò
imperiosamente, con l’accento di chi è certo che la propria disposizione sarà
eseguita « Li avete sentiti, no? Questi sono i nostri salvatori ».
« I-intermediario Faubourg… !
Signore… Le prove… » balbettò l’ufficiale con il coraggio che trovò dalla sua
posizione di garante della giustizia.
«
Intermediario? » sussurrò Bellocchio a Calem.
«
Un politico importante di Kalos » gli spiegò sottovoce «
Non so bene neanche io cosa faccia, ma è
influente ».
« Tutte le vittime note del falso
Dio si sono risvegliate pochi minuti fa, quindi potrete constatare dalle loro
testimonianze che la maggioranza non conoscerà nemmeno di volto questi due
gentiluomini » rispose disteso Lysandre con un affabile sorriso « Se ciò non
dovesse essere sufficiente, confido che troverete inequivocabili le
registrazioni delle telecamere puntate sul tetto delle Galeries negli attimi
precedenti il vostro arrivo ».
La guardia che per prima aveva
aggredito Calem si interpose come poteva « Ma signore, l’evasio–– ».
« Smettila! » lo riprese
l’ufficiale con uno schiaffo sulla guancia « Ancora rispondi all’Intermediario?
».
« Non c’è bisogno di essere
violenti, signor Thorne » lo placò Lysandre « L’evasione è opera loro, ma è
stata orchestrata per il nostro bene. Vi sono casi in cui il fine può
giustificare i mezzi ». Detto ciò si diresse verso Calem e portò in avanti la
mano fino a stringerla « Di cosa si trattava? ».
« Io… Era un Dusknoir… Signore,
ha parlato di telecamere? ».
« Oh, sì, ho fatto modo di
appostarne qualcuna negli edifici circostanti su consiglio di una mia conoscente
» l’uomo controllò il proprio orologio da taschino « A tal proposito, dovrebbe
arrivare a momenti ».
« Serena! » esclamò Bellocchio, e
non si trattava solo di una realizzazione estemporanea: la sagoma della ragazza
era apparsa sulla porta, trafelata per la corsa lungo le scale dell’edificio.
Immediatamente corse incontro al giovane e lo abbracciò con forza, facendolo
quasi sbilanciare sulle sue precarie gambe.
« Ti avevo detto di restare
lontana dalle Galeries! ».
« Dopo una settimana passata con
te ho imparato che ascoltarti provoca più danni che non farlo » replicò lei
ilare « Alla fine ce l’hai fatta a salvare il mondo, giusto? O… Beh, insomma, ho
presunto che stessi facendo quello ».
« A dire il vero il grosso l’ha
fatto Calem ».
Serena rabbrividì alla sola
pronuncia del nome. Come se non si fosse accorta fino a quel momento della sua
presenza si girò verso destra, trovandolo accanto a Lysandre. « Ah, ci sei anche
tu ».
Il ragazzo protese la mano per
una stretta che avrebbe dovuto nelle sue idee sostituire l’abbraccio a
Bellocchio, ma Serena si rifiutò categoricamente producendo un silenzio
imbarazzante. L’adulto del trio lo ruppe dopo qualche attimo « Come facevi a
sapere che le telecamere ci sarebbero state utili sul tetto? ».
« Pff, un gioco. Quando ho saputo
del vostro arresto via telefonata immaginavo che la ragione per cui vi eravate
fermati alle Galeries fosse ancora là. Trovato mi ha detto del tuo piano di
evasione e, facendo due più due, l’unico punto da cui sareste potuti rientrare
era qua sopra » glossò Serena « Sinceramente non credevo che ci sareste davvero
rimasti, ma per sicurezza ho chiesto al signor Faubourg di piazzare delle
telecamere per sorvegliare la zona ».
Bellocchio convenne che come
deduzione era invidiabile, ma fu impossibilitato a esternare quella
considerazione: un grido di euforia proveniente da un altro punto del tetto gli
ricacciò il complimento tra le corde vocali.
« Fratellone! ».
Serena sgranò gli occhi in
un'espressione che fondeva sorpresa, esasperazione e collera. La sorgente
dell'esclamazione era appena entrata – o uscita – dall'accesso principale della
zona e ora si stava dirigendo a tutta velocità verso il gruppo. In un attimo fu
loro addosso: Lysandre fu costretto a scansarsi frastornato per lasciare passare
una bambina iperattiva che ora stava facendo le feste a Calem come a un padre
militare di ritorno da una missione in territorio estero.
« Shana! » sobbalzò Calem « Cosa
diamine ci fai qui? ».
Serena, sentendosi chiamata in
causa, si precipitò a dire la sua « Già, bella domanda! Ti avevo detto di
restare al Centro Pokémon! Perché non ascolti mai? ». Bellocchio non trattenne
un sorrisetto: quantomeno ora la sua amica sapeva cos'era essere lui ogni santo
giorno da quando aveva deciso di viaggiare con quel gruppo.
« Scusa, ma c'era mio fratello in
pericolo, secondo te cosa dovevo fare? » si giustificò la ragazza. Quindi tornò
a colui che ancora stringeva tra le piccole braccia, il quale era visibilmente
imbarazzato « È vero che sei stato tu a sconfiggere il cattivo? ».
Calem fu titubante nel
rispondere, e in suo soccorso giunse Bellocchio « Verissimo, l'ho visto io.
Senza di lui non sarei nemmeno vivo ».
« Wow! Aspetta che lo dica a
Tierno e Trovato! Loro non ce l'hanno un fratello così, no! Saranno
invidiosissimi! Mi racconti tutto? ».
Lysandre nel frattempo aveva
assistito alla scena divertito, anche se non sempre con la massima attenzione –
la sua mente tendeva a divagare su argomenti del tutto casuali, e questa volta
il ricordo prescelto per essere rivissuto in pochi attimi era stato un
pomeriggio trascorso alla casa di sua nonna, tra le chiavi inglesi del deposito
attrezzi. La sua capacità di memorizzazione ed elaborazione era tuttavia tanto
fuori dal comune da consentirgli simili diversioni senza perdere una battuta dei
discorsi che si svolgevano, tecnica senz'altro utile affinata nelle tediose
udienze al Parlamento di Luminopoli. Si avvicinò all'uomo dal cappotto marrone,
lasciando che quel giovane che viaggiava con lui si godesse il suo momento di
gloria mentre gli agenti di polizia si ritiravano.
« Dusknoir, quindi? Grazie al
cielo, temevo si trattasse di un Darkrai ».
Bellocchio lasciò da parte Calem,
Serena e Shana, focalizzandosi su quell'alto funzionario che gli aveva appena
rivolto la parola con uno dei più assurdi metodi per cominciare un dialogo. «
Lei… lei sapeva? ».
« Beh, in realtà non ne ero certo
per evidenti ragioni: non potevo provare che le vittime avessero visitato un
luogo in comune sei ore prima del ritrovamento. Però esaminandole mi ero accorto
che quasi tutte erano prive di ombra. Non ho dato l'allarme solo perché uno di
loro l'aveva ancora, e ciò indicava che non poteva essere un Darkrai » spiegò
l'Intermediario con la calma più serafica « Ma non era nemmeno un Dusknoir,
giusto? ».
« Come? ».
« Le bruciature sul suo
soprabito. Così, senza occhiali, mi viene da pensare che siano causa del fuoco
fatuo di un Dusclops ».
« Lei è davvero straordinario »
commentò Bellocchio con sincera ammirazione. Poi, dal nulla, gli sovvenne un
particolare che aveva dimenticato dopo la fortunosa evasione dal Carcere « Mi
scusi, potrei chiederle un favore? ».
« Se posso fare qualcosa per il
nostro salvatore, lo farò con piacere ».
« Non ho potuto fare a meno di
notare che lei ha una certa influenza sulle forze dell'ordine. Nella cella con
me c'era uno, di nome fa Saul… Beh, non so il cognome. Senza di lui io e Calem
non ce l'avremmo fatta, staremmo ancora brancolando nel buio » il giovane parve
molto imbarazzato per la richiesta « Era vicino al rilascio, non vorrei che per
colpa dell'evasione che abbiamo organizzato… ».
« Ho capito » annuì con un
sorriso condiscendente Lysandre « Farò sì che non debba scontare pene ulteriori.
La questione del cognome mi rammenta che non ci siamo ancora presentati
dovutamente, a proposito ».
« Oh, ha ragione! Il mio nome è
Bellocchio ».
« Ah! » esclamò quello
meravigliato « Anche lei un soprannome? ».
« Eh, una specie ».
« Il mio è Elisio » proseguì
tendendogli la mano « Molto piacere ».
L'uomo ricambiò la stretta
vigorosa di Faubourg. Alzò lo sguardo al cielo stellato, dove l'assenza di luna
lasciava quel punto d'osservazione, rialzato e quindi protetto da buona parte
dell'inquinamento luminoso della metropoli, occultato nella penombra. Ma ecco
che, stagliato all'orizzonte, i primi raggi solari riflessi facevano capolino
rischiarando quello spicchio del firmamento. L'alba era incombente; e, anche per
loro, il peggio era ormai passato. La luce sarebbe tornata a splendere presto.
Ma non così in fretta: per ancora qualche minuto, o forse solo qualche secondo,
sia lui che Calem potevano godersi la loro ricompensa.
Quel martedì era trascorso
splendidamente per Trovato. Serena lo aveva accompagnato al Musée Révolu
d’Illumis, nei cui meandri avevano piacevolmente smarrito il senso del tempo; e
ora in quel sole che tramontava dolcemente sull'orizzonte cittadino vedeva
riflessi i tratti di pittori impressionisti. La vivacità di Pissarro, l'eleganza
di Degas, persino la follia di Cézanne si affastellavano nelle sue tinte
arancioni. A dirla tutta era stato rapito soprattutto dalla chioma bionda della
sua amica, domandandosi se la scelta di spendere con lui le sue ultime ore da
viaggiatore non fosse stata dettata da un ultimo desiderio implicito; in altre
parole, se avesse intuito i suoi sentimenti per lei. Elucubrazioni inutili,
aveva concluso.
Ma tutte le cose belle giungono
al termine, e anche la sua piacevole vacanza era ormai al crepuscolo. Salutati
più in basso Tierno e Shana in un addio che per sua fortuna gli aveva
risparmiato le lacrime per la solitudine successiva, si stavano ora inerpicando
su un altopiano periferico dell'undicesimo arrondissement, dove era sita la casa
dei suoi nonni. Lì avrebbe atteso con pazienza, nel quieto vivere dei Fletchling
plananti, la data della partenza definitiva. Serena ogni tanto ci aveva provato
a instillargli quella domanda che tanto rifiutava di porsi da sé:
perché non ti opponi? E la risposta
era banale: non riusciva. Non riusciva a pensare alla sua voce che sovrastava
quella della madre, o quella di Serena stessa, le due figure attorno cui era
ruotata gran parte della sua giovane vita. Così come sapeva che non avrebbe mai
rivelato personalmente alla ragazza di essere innamorato perché sapeva di non
avere speranza, così sarebbe partito verso nuovi orizzonti perché conscio che
sarebbe stato inutile protestare.
« Grazie » disse a un tratto,
rivolto alla sua compagna di viaggio « Possiamo anche fermarci qui… Io… Io non…
Visto che… ». Le sue difficoltà comunicative non lo aiutarono in questo
frangente, facendolo risultare tutt'altro che convincente.
Serena, d'altronde, si limitò a
sorridere come se ciò la divertisse. « Non devi affrontare questa cosa da solo
».
Trovato comprese e, pur sapendo
di star prolungando la sua sofferenza, accettò di percorrere insieme quegli
ultimi metri. La modesta magione famigliare proiettava la sua ombra
sull'ingresso, conferendo al contempo frescura in quel dì afoso e un'aura
malinconica al portone. Il giovane si fece coraggio e, preso un profondo
respiro, bussò.
Attese meno di quanto credeva
perché aprissero, e capì anche perché subito dopo: non era stato nonno o nonna
ad aprire. Era stato Tierno.
Gli occhi di Trovato quasi
fuoriuscirono dalle orbite per lo sconcerto. « Cosa… Tu come… ».
« SORPRESAAAAA~! » gridò
il dodicenne in risposta, e alla sua voce se ne era unita una esuberante e
acuta, il che segnalava la presenza di Shana. Il ragazzo fu sempre più perplesso
e il suo sguardo invocò la spiegazione di Serena, chiusa in un ghigno ermetico.
Doveva trovare la sua faccia la cosa più spassosa del mondo.
« Cosa, per te ti avremmo
salutato in quel modo stupido? » gli domandò concitatamente Shana mostrandosi
alla soglia « “Abbiamo viaggiato insieme per poco, ma è stato come un secolo”…
Dai, potevi cascarci solo tu! ». Il tutto era accompagnato da risate di
intermezzo che Trovato non sapeva bene se intendere come prese in giro o
dichiarazioni di felicità.
« Ma quindi… No, scusate, ma io
non capisco ».
« Siamo amici, no? » riprese il
discorso Tierno « Non ce ne andremmo mica a spassarcela sapendo che tu sei qui
tutto solo! Quindi abbiamo chiesto ai tuoi nonni, e loro hanno accettato! ».
« Hanno accettato cosa? ».
« Uff, certo che sei proprio
tonto! » sbottò Shana « Staremo qui con te, no? Finché non parti! Due settimane
tutti insieme a divertirci! Chissà quante cose ci saranno da fare qui a
Luminopoli! Certo, non il museo però, eh… Quello no! ».
Trovato non riusciva a
capacitarsi della situazione. Tornò su Serena, la cui espressione seriosa nel
frattempo era arrivata a un passo dallo scoppiare. « Tu… Tu lo sapevi? ».
« Ma certo che lo sapevo! Dovevo
solo tenere la sorpresa e rallentarti mentre loro ti anticipavano qui! ».
Il ragazzo avrebbe voluto dire e
fare molte cose: abbracciarli uno per uno, singhiozzare fiumi di lacrime, uscire
fuori e urlare la propria contentezza al cielo. Invece tutto che gli uscì dalla
bocca fu un verso a metà tra una risata e un grugnito che non fece altro che
metterlo in imbarazzo ulteriore, seguito da un « Io… Grazie, grazie… Io non… ».
« Oh, no! No, no, no! Ora si
mette a piangere! » trasalì Shana terrorizzata « Tierno, fai qualcosa! ».
« Io? Ah, sì, uhm… Ho fame!
Andiamo a mangiare! ».
« Ottima idea! Che avranno
preparato i nonni di Trovato? Nonna Trovatoooo, qui c'è Trovato vero! » concordò
la ragazzina, ed entrambi fuggirono in soggiorno lasciando il malcapitato sulla
soglia in preda a una crisi emozionale.
Serena gli mise una mano sulle
spalle, stringendolo a sé « Un giorno di questi passerò a farti visita!
Bellocchio permettendo, ovviamente ».
Trovato rialzò il capo « Ah,
quindi viaggerai con lui? ».
« Pare di sì. Prossima tappa
Castel Vanità » soggiunse cercando di essere il più delicata possibile, anche se
dopo l'ultima scoperta al giovane pareva importare poco del viaggio mancato. Del
resto forse il viaggio non era neanche mai stato significativo per nessuno di
loro: erano le persone con cui lo condividevano a renderlo speciale. Serena, dal
canto suo, era più che felice che il suo amico ventisettenne avesse
riconsiderato la sua decisione di tornare a Sinnoh, anche se non aveva voluto
dirle perché.
« Comunque lui e Calem passeranno
più tardi a salutarti » proseguì dopo quella riflessione estemporanea « Ora
stanno da qualche parte alle Galeries, se ho ben capito Bellocchio gli ha
fissato un appuntamento per parlare ».
Un appuntamento… E chi l'avrebbe
mai capito veramente, quell'uomo.
I grattacieli del Flare District
a ovest luccicavano di un arancio rosato attorniando in una corona crepuscolare
il gigantesco cubo cavo della sede principale, che aveva iniziato a brillare di
luce artificiale attraverso le piccole fessure delle finestre. Lo chiamavano il
Frattale, l’ubicazione di tutti i maggiori uffici dell’associazione Flare.
Troneggiava silenziosamente su Luminopoli in modo quasi innaturale, congiunto
dalla linea retta dell’Avenue Vendémiaire all’Arc de Triomphe. I due punti erano
a loro volta quasi allineati con le Galeries Ételfay, sul cui tetto Bellocchio
stava ammirando la Ville Lumière. E poi la Torre Prisma, gli stadi e tutte le
strutture note al pubblico come teatro del Primo Galà di Luminopoli. L’intera
città ai suoi piedi.
La quiete frammezzata a un
leggero e tiepido vento proveniente da sud-est fu interrotta dai passi di Calem,
arrivato con puntualità al rendez-vous prefissato. Il suo saluto consistette in
un colpo di tosse, al quale però Bellocchio non parve rispondere. Restava lì,
fermo, a contemplare l’orizzonte.
« Sei arrabbiato con me? »
domandò il ragazzo non comprendendo.
L’uomo in risposta rise tra sé e
sé e si voltò a tre quarti per inquadrarlo con la coda dell’occhio « Perché? ».
« Ho catturato Dusknoir anziché
lasciarlo andare ».
« Non sono un animalista e non
sono arrabbiato ». Bellocchio gli fece segno di avvicinarsi a lui, e i due si
ritrovarono fianco a fianco a poco più di un metro dal bordo dell’edificio. Le
Galeries erano già fuori orario e occupate ora solo da commessi indaffarati, ma
dopo averne salvati due per loro era stato serbato un occhio di riguardo.
« Strano, mi sembrava ».
« Già… Succede, quando non si
conoscono le persone. Ad esempio non pensavo ti importasse la mia opinione su di
te ».
« Mi hai salvato la vita ».
« E tu hai salvato la mia ». Si
concesse una lunga pausa riflessiva fatta di fronti aggrottate e sopracciglia
contrite prima di riprendere « Però non capisco ».
« Che cosa? ».
« Tra la Dama Cremisi e Dusknoir
sono due esponenti del Mondo dei Morti a breve distanza. Le tue sfere sono come
le mie, giusto? A riscrittura sinaptica? ».
Calem rimase per un attimo
spiazzato dalla domanda. A un attento esame della sua memoria forse sì, aveva
letto qualcosa del genere sulle istruzioni, o forse Platan ne aveva parlato in
uno dei suoi corsi preparatori. « A quanto ne so ».
« Cancellano i ricordi
antecedenti alla cattura. Non ho speranze di sapere qualcosa da lui. A
proposito, che soprannome gli hai dato? ».
« Non do soprannomi ai miei
Pokémon ».
« Peccato, dovresti ».
« Perché ti interessa tanto il
Mondo dei Morti? » inquisì Calem, riportando a forza il treno del discorso sui
binari originari.
Bellocchio sfilò dalla tasca del
cappotto due frammenti che luccicavano di un leggero chiarore celeste. Il
ragazzo li riconobbe a intuito, anche se l’esemplare che aveva visto la notte
precedente era decisamente più luminoso. « Penso c’entrino questi ».
« Ne ho visto rotolare uno ieri.
L’altro da dove viene? ».
« Dal nido dei Beedrill, li ha
fatti impazzire. E penso che c’entri anche con la fase sadica di Shana a Rio ».
« Mi raccomando, non dirle queste
cose a suo fratello, cosa mai gliene può importare ».
« Combaciano perfettamente, ma
non sono complete. Saul aveva detto che in totale erano quattro » proseguì
Bellocchio ignorando completamente l’ultimo commento del partner. Dopodiché le
ripose con un sospiro « Oh, suppongo non abbia senso fasciarsi la testa prima di
essersela rotta. Tu che farai ora? ».
Il giovane avrebbe manifestamente
desiderato protrarre il discorso di prima, ma fiutò che per ora era meglio
lasciar perdere. « Torno ad allenarmi nei percorsi dell'est. Con un po' di
lavoro Dusknoir dovrebbe potersela cavare con Astra. Tu? ».
« Riprenderò il viaggio con
Serena ».
« Sì? Credevo saresti tornato
nella tua regione. Come si chiama… ».
« Non con questi frammenti. Non
con quello che mi ha detto Ada » Bellocchio si girò a fissare direttamente
Calem, e i suoi occhi si caricarono come se fossero vecchi di centinaia di anni,
stanchi e timorosi « Ho paura che potrei essere io ».
Dopo un tempo che parve
un’eternità il ragazzo trovò il coraggio di ribattere, anche per allontanare
quel pensiero dalla sua stessa testa « Non pensarci. Sarà meglio andare da
Trovato, dobbiamo salutarlo ».
L’uomo annuì distrattamente,
gettando uno sguardo al tramonto incipiente. « Inizia ad andare, poi ti
raggiungo. Ho bisogno di stare un attimo da solo ». Calem restituì il cenno del
capo e si allontanò verso l’uscita, lasciandolo solitario in cima alle Galeries.
La brezza calda stava
gradualmente lasciando il posto a una più pungente man mano che il sole si
abbassava oltre il profilo dei palazzi di Luminopoli. Bellocchio inspirò
profondamente e si infuse determinazione mentre estraeva dal taschino posteriore
dei pantaloni il taccuino in pelle nera che portava sempre con sé. Lo aprì alla
prima pagina ormai logora, e ricalcò in alcuni punti perché l’usura
dell’inchiostro non la rendesse illeggibile. Chissà da quanto aveva quel
bloc-notes, non riusciva a ricordarlo.
Alzò la fronte a ponente. Tra gli
alti edifici che si stagliavano sul cielo rossiccio si apriva uno spiraglio in
cui la sfera di fuoco si sarebbe andata a incuneare al vespro. Non aveva scelto
le Galeries a caso per l’appuntamento: da quell’angolazione, con la volta tersa
e nessun accenno di nebbia, la rifrazione della luce solare avrebbe prodotto un
sottile alone verdognolo appena prima di scomparire: il
raggio verde. Bellocchio amava quando
riusciva a scorgerlo, gli comunicava l’istante esatto in cui i fasci
scintillanti irradiati dall’universo abbandonavano la sua pelle.
Ormai mancava poco. Con una
seconda inspirazione pose il taccuino aperto sul primo foglio scritto di fronte
a lui, accanto al sole, distendendo completamente il braccio. Era diventato
bravo a prevedere il momento preciso. Tre… due… uno…
Il raggio verde apparve come previsto, sfolgorando intensamente per una frazione di secondo per poi sprofondare nell’oscurità del cosmo.