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Autore: NoceAlVento    17/07/2014    3 recensioni
Cosa succede a Kalos? Forze oscure agiscono nell'ombra, perseguendo i loro ignoti obiettivi ai danni di innocenti; misteriosi frammenti di una gemma celeste sono apparsi nella regione dal nulla; una ragazza, anche se non ancora non lo sa, è stata tenuta sotto segreta osservazione per tutta la sua vita. E in tutto ciò c'è Bellocchio, appena precipitato da un'aeronave in fiamme e portato a scoprire che cela un passato lontano a Kalos, anche se non l'ha mai vista in vita sua. Nuovi capitoli ogni due settimane!
 
***
 
« Ehi, non mi hai detto come ti chiami! ».
« Bellocchio ».
« Bellocchio chi? ».
« Cos’ho appena detto riguardo le domande stupide? ».
« Ma ti chiami davvero così? ».
« Ma certo che no! Chi mai si chiamerebbe Bellocchio, è un nome ridicolo! ».
Genere: Avventura, Comico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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PREVIOUSLY ON LKNA: indagando su una serie di vittime cadute misteriosamente in coma, Bellocchio e Calem si trattengono di notte alle Galeries Ételfay, centro commerciale di Luminopoli. Con loro sorpresa anche Adele e Katie, due commesse, si trovano lì, ma il tempo per parlare è poco: entrambe sono lasciate prive di sensi da Darkrai, un enigmatico mostro in grado di rapire le anime delle persone, posto che si impadronisca della loro ombra sei ore prima.

Come se non bastasse, un’altra sorpresa attende i due investigatori improvvisati: la polizia. Incarcerati con l'accusa di essere i responsabili della sfilza di crimini, la coppia fugge grazie a Bellocchio che, sfruttando una falla nel sistema del penitenziario, organizza un'evasione di massa. Giunti sul tetto delle Galeries per impedire a Darkrai di ultimare il suo “rito”, l'apertura di un varco per il mondo degli spettri, Calem scopre però che da sei ore non ha più l'ombra e viene preso. Le forze dell'ordine stanno arrivando: Bellocchio ha solo cinque minuti per scongiurare l'invasione, ha appena perso l'ombra, ed è completamente indifeso.

 

 

 

 

 

 

Il vento che batteva sopra le Galeries Ételfay si era fatto rigido di abbandono. Luminopoli turbinava al piano di sotto, splendente di lucerne gialle su cui troneggiava il faro celeste della Torre Prisma. Nessuno sapeva della catastrofe in procinto di esplodere sopra le loro teste, il che rendeva lo scenario anche più funesto.

Bellocchio adagiò a terra il corpo inerte di Calem chiudendogli delicatamente gli occhi, quindi si erse in piedi volgendo lo sguardo a Darkrai. L'ombra, spettro tetro e inespressivo, a sua volta lo scrutava in tono intimidatorio. L'uomo però non se ne curò: ne aveva avuto abbastanza.

« Non giocare con me. Tra sei ore non ti servirò più a nulla. La sola ragione per cui hai appena preso la mia ombra è perché vuoi imbrogliarmi, vuoi farmi credere di aver tutto sotto controllo. Vuoi farmi credere di non aver paura ». Strinse il pugno destro mentre con la mano sinistra tastava il suo taccuino, saldo nella tasca anteriore « Ma tu hai paura perché sai chi sono. E anche adesso, a cinque minuti dalla fine, temi che abbia ancora un asso nella manica ».

Darkrai lo fissò con un'espressione inquisitoria. Ovviamente Bellocchio non era ingenuo: il suo passato poteva aver impaurito la Dama Cremisi, ma il suo avversario attuale era molto diverso. Taciturno, perso nel vuoto, non era nemmeno certo che capisse ciò che stava facendo.

« E in effetti è così. Perché vedi, io so come funziona il tuo processo di assimilazione. Una volta che hai preso l'ombra non puoi arrestarlo, e le sei ore sono dovute solo alla resistenza neutra dell'anima stessa a separarsi dal corpo » l'uomo sorrise di sbieco « Ma io voglio che lo faccia ».

La creatura non pareva in grado di produrre suoni, ma fu distintamente percepibile una sua reazione di sgomento a quelle parole. Tutto nel modo in cui aveva accolto la notizia pareva domandare: cosa?

« Da qua non posso fare nulla, e tu avresti vinto. Ma dal mondo in cui porti le anime perdute voglio scommettere che troverò una soluzione. Certo, come essenza eterea potrei fare poco » convenne alzando le spalle ironicamente « Ma se io vorrò essere catturato ora, tu sarai costretto a prendere il corpo con te ». Puntò l'indice contro l'ombra che, presa completamente alla sprovvista, non sapeva come reagire « Il mio nome è Bellocchio, e desidero che la mia anima sia presa! Avanti! ».

Dalla dichiarazione trascorsero una manciata di istanti: il giovane avvertì una fitta al petto, le sue gambe persero sensibilità e iniziò a cadere all'indietro, ma perse conoscenza prima ancora dello scontro con il ruvido terreno sulla sommità del centro commerciale.

 

 

 

Episodio 1x16

Evoluzione

 

 

 

Si svegliò in un antro. Era ampio svariati metri quadri, di forma affine a una semisfera superiore sulla cui base Bellocchio poggiava dai piedi alle spalle. Le pareti erano ruvide al tatto – vi si trovava a ridosso –, così come il suolo roccioso su cui era coricato. Mosse le mani lungo il corpo fino alle ginocchia, verificando di avere ancora tutto con sé, cappotto incluso.

Il suo primo pensiero fu che, con sua sorpresa, il bluff che aveva escogitato aveva funzionato. Non era assolutamente vero che il tempo di assorbimento fosse influenzato dalla resistenza dell'anima, quantomeno non che lui ne sapesse – a dire il vero le sue conoscenze sul sistema impiegato dai Darkrai erano alquanto limitate. Ciò, a catena, confermava l'altra ipotesi che aveva maturato nel tempo: quel Darkrai non era un Darkrai come tutti gli altri. Nelle quasi trentasei ore in cui l'aveva visto in azione aveva notato a più riprese che pareva incerto sul suo stesso potere, e il fatto che si fosse lasciato imbrogliare da Bellocchio era la prova definitiva che fino ad allora era mancata. Se lo ripeté a mente un paio di volte: amava quando i suoi piani andavano a buon fine.

Solo a quel punto si concentrò sul luogo in cui si trovava: era una caverna, ma non una caverna qualunque. O meglio, lo sarebbe stata se non si fossero considerate due caratteristiche salienti: la prima era un ampio ciclone di decine e decine di fantasmi lattei che, Bellocchio intuì, dovevano essere proprio gli spiriti sottratti in quei giorni; la seconda, invece, saltava subito all'occhio: una massiccia palla di fiamme roventi che ardeva al centro della spelonca. Di più: una palla di fiamme roventi tiepida, la temperatura era forse quella di un falò. La spiegazione era implicita: un fuoco fatuo.

Quella non era una dimensione parallela. Non era semplicemente possibile: c'era un solo luogo che poteva potenzialmente contenere un fuoco fatuo paragonabile. Bellocchio soffocò una risata: quanto era stato stupido. Aveva davvero bisogno di una testa più grande. Alzò lo sguardo alle anime vaganti e, pur non identificando quella desiderata, decise comunque di provare a parlarle. « Ehi, Calem, tu l'hai capito dove ci troviamo? ».

Nessuna risposta. Chissà che si aspettava.

« Non è divertente se nessuno mi ascolta. E va bene, lo dirò comunque: dentro un Dusclops! ». A quelle parole non riuscì più a trattenersi, lasciando sfuggire un risolino divertito « Capisci? Per tutto questo tempo ci ha fatto credere di essere un Darkrai per metterci paura, per evitare che osassimo interferire con la sua opera! Ecco perché sono riuscito a salvare quel bambino, perché non aveva perfezionato la tecnica! ».

Non lo disse, ma ciò motivava anche la ragione per cui la madre, che era con il figlio alle Galeries, non era stata sfiorata: un Pokémon così claudicante nelle sue sicurezze non poteva permettersi di dover gestire due vittime in contemporanea. E per questo aveva aspettato a prendere Calem e lui: si era già impegnato con Adele e Katie. Era tutto così ovvio.

« Vuoi produrre energia per aprire quel varco, certo » proseguì, questa volta rivolgendosi direttamente a Dusclops « Ma sei ottuso, irrimediabilmente ottuso, proprio come lo sei stato nel cercare di imitare un essere che forse avrai visto mezza volta in vita tua. Hai bisogno di evolverti per farlo, vero? Ma non lo sai che ciò che hai fatto finora è del tutto inutile? ».

Quasi fossero la manifestazione della coscienza stessa del Pokémon, gli spiriti intensificarono la loro velocità di volo, roteando come migliaia di api intorno all'alveare di fuoco.

« Serve un Terrorpanno perché tu possa completare il processo evolutivo. E indovina un po', nessuno qui–– ».

Oh. Oh. Forse non era stupido come aveva affermato. O forse era solo una coincidenza, e Dusclops era semplicemente lo spettro più fortunato del mondo. Bellocchio infilò la mano nel suo cappotto con un fremito strozzato fino a estrarne un logoro drappo dalle tinte violacee.

Era lo straccio che gli aveva regalato Tierno dopo la conclusione della sua avventura a Novartopoli, quello impiegato per ingannare Saul. L'uomo rifletté: un Terrorpanno non è altro che un cencio intriso di energia spirituale. E dove poteva esserne maggiormente pregno se non all'interno del corpo di un finto Darkrai che aveva trascorso gli ultimi giorni a fagocitare decine di anime? Chi l'avrebbe detto che sarebbe stato proprio il piccolo bambino paffuto a fornirgli una via di scampo: quello era un Terrorpanno in piena regola. E questo peggiorava molto le cose.

Perché sì, avrebbe potuto usarlo per innescare l'evoluzione. Ma in questo modo avrebbe concesso a Dusclops, o per meglio dire Dusknoir, la potenza necessaria per aprire il varco e invadere il loro mondo. Se invece si fosse rifiutato lui e le anime imprigionate non sarebbero mai uscite di lì, e con ogni probabilità il loro ospite sarebbe partito alla volta di nuovi stermini. Quindi ecco la scelta del cavaliere bianco, Calem: la vita di pochi contro la salvezza di molti. Sarebbe stato facile, se non avesse commesso lo smisurato errore di affezionarsi a coloro che adesso dipendevano da lui.

Rammentò ciò che quell'allenatore presuntuoso gli aveva detto sul tetto: fare come Serena e attaccare Vivillon. Se non avesse agito sarebbe stata una sconfitta certa; ma liberandoli avrebbe avuto anche solo una minima possibilità di fermare Dusknoir. Una minima possibilità di salvarli tutti.

« Forse hai ragione, Calem » commentò. Strinse lo strofinaccio tra le mani dopo averne annusato l'acre aroma di detergenti e lerciume « Forse ho davvero un complesso dell'eroe ».

Detto ciò prese la rincorsa e, caricando tutte le forze rimanenti nel braccio destro, scagliò il panno nella sfera incandescente. Dapprima non accadde nulla; poi, come reagendo a scoppio ritardato, il globo iniziò a ribollire internamente per poi espandersi poco a poco. Bellocchio arrettrò finché poté, e a un certo punto l'espansione parve fermarsi; in seguito senza preavviso l'antro detonò in un turbinio di fiamme calde, con il tiepido braciere di solo pochi istanti prima che, carico di nuova energia, ora ardeva come i sobborghi dell'averno. Bellocchio cacciò un atroce urlo di dolore negli attimi più strazianti della sua vita, quindi perse i sensi.

 

 

Dama Brianna sedeva nel tetro e desolato ambulatorio dell'Hôpital Regional Leveinard, il più importante ospedale di Luminopoli e di tutta Kalos. Il fatto di essere circondata da cadaveri aggrappati a un filo la inquietava non poco, ma sarebbe stata in grado di sopportarlo per stare vicina a sua figlia. Non erano mai andate molto d'accordo, loro due: Brianna avrebbe desiderato per Katie un futuro nella medicina, ma la ragazza si era sempre rifiutata preferendo un'infruttuosa laurea nel settore umanistico. Pur di far valere le sue ragioni la madre le aveva tagliato i fondi, costringendola a quel lavoro tanto odiato alle Galeries Ételfay. Tra l'altro proprio lì era stata scoperta in coma, il che alimentava i sensi di colpa che la donna cercava di placare.

Ed eccola lì, Katie: le palpebre socchiuse in stato vegetativo, adagiata sul letto dell'ospedale, bionda come la sua genitrice che tuttavia ormai era costretta a tingersi per preservare quel colore. Un rumore di passi echeggiò nella sala, preannunciando la corsa forsennata di qualcuno all'esterno. Brianna alzò la testa: un'altra figura aveva fatto capolino dalla porta, anch'ella dai capelli paglierini che però erano in questo caso spettinati e sporchi in ragione dello sforzo fisico appena compiuto.

« Mamma! » esclamò sottovoce Silvia cercando di non produrre rumore eccessivo. Corse incontro a Brianna con foga, come aveva fatto fino a quel momento. Da quando aveva scoperto dello stato di sua sorella Katie non si era fermata un istante, lasciando Novartopoli nel cuore della notte per raggiungere a piedi Luminopoli, e poi via taxi l'ospedale. E ciononostante, vedendo la sua compagna di una vita costretta a letto, connessa permanentemente a una macchina cuore-polmone che segnava sui sessanta battiti al minuto, non riuscì a trattenere le lacrime. Sprofondò tra le braccia della madre, con cui a differenza di Katie aveva sempre intrattenuto ottimi rapporti pur non condividendone alcune scelte.

Forse il fatto più struggente era che loro due erano le uniche persone a fare compagnia ai comatosi. Era impossibile che nessuno degli altri avesse un famigliare, ma anche l'idea che avessero gettato la spugna puramente per l’ora tarda era comunque tremenda. Nemmeno i parenti di Adele, pur essendo ella una delle due vittime più recenti, erano venuti ad assisterla. Brianna aveva provato a telefonar loro, ma non avevano risposto, probabilmente ancora addormentati.

« Cosa dicono i dottori? » domandò Silvia.

« Niente di nuovo, non sanno che fare. Se la cosa andrà avanti potrebbero anche dichiarare l'arrondissement pericoloso ed evacuarci tutti » la voce di Brianna si spezzò, e la donna dovette faticare per continuare « La mia casa… ».

Silvia alzò la testa e restituì l'abbraccio, cercando di far forza a sua madre. In quel momento varcarono la soglia della stanza altri due individui, annunciandosi l'uno con un colpo di tosse imbarazzato, l'altro con uno sguardo taciturno. Il primo indossava un semplice maglione in lana beige sotto cui si intravedeva una camicia a quadri, nonché un paio di jeans trasandati; il secondo un Chesterfield abbinato ai pantaloni di tela che copriva un'accoppiata di camicia rosso sangue e cravatta bianca. L’uomo in pullover si precipitò ai letti affiancati di Katie e Adele, sincerandosi della loro condizione.

« Craig! » esclamò Silvia « Tu… Tu perché sei qui? ».

Per te. O meglio, così avrebbe risposto se avesse avuto un minimo di coraggio. « Ah, Isidore voleva aiuto con le indagini ».

« Non è vero » lo smentì l'amico con la rapidità di un falco « Anzi, ti ho pure detto che mi sei d'intralcio ».

« Sì, grazie mille ». Craig passò a ignorarlo, dedicandosi unicamente alla famiglia riunita « Niente novità? ».

« Niente di niente » spiegò Silvia, ripetendo quindi le parole della madre. Quest'ultima arricchì in seguito il racconto per ovviare alla distanza spaziale che aveva impedito ai due di sapere gli sviluppi del caso dei coma.

« … C'è addirittura chi dice che è un castigo divino… Sì, insomma, che abbiamo a che fare con un Dio. Stanno anche nascendo sette blasfeme ».

« Hanno paura e quindi decidono di farsi servi del nuovo arrivato. Tipico. Spero almeno che le autorità non si stiano facendo intimidire da queste idiozie » concluse fermamente il professore.

Isidore, nel frattempo, non aveva cessato di balzare figurativamente da un letto all'altro, facendo ondeggiare sinuosamente il suo cappotto. Ogni tanto si era fermato per qualche secondo, aveva acceso e spento la piccola torcia che aveva portato con sé, e poi aveva ripreso la sua danza misteriosa.

« La puoi smettere? » lo riprese Craig, che spesso era egli stesso irritato dal comportamento tenuto dal suo amico « Almeno una volta nella vita non fare l'esibizionista ».

« C'è qualcosa di molto strano » commentò tra sé e sé « Come se il colpevole di tutto ciò non fosse certo di quello che fa ». Si era fermato di fronte alla postazione di un atletico ragazzo sulla ventina, una delle prime vittime a cadere.

« Che dici? ».

« Ti ricordi quando ti ho fatto notare che quel vecchio ritrovato lungo Rue de Provence non proiettava alcuna ombra se illuminato? ».

Craig annuì.

« Beh, succede anche a tutte le persone qui, Katrina compresa » proseguì ravviandosi i capelli in un tic nervoso per godersi la piega data dalla pettinatura « Tranne a questo qua. Lui ce l'ha ancora ».

« E da ciò cosa deduci? » lo interrogò Silvia incuriosita, pur con una certa dose di sarcasmo dettato dall'ansia per sua sorella.

« Che il nostro Dio non si è mai mosso stabilmente dalle Galeries Ételfay ».

I tre sgranarono gli occhi, e Dama Brianna in particolare: se ciò che Isidore diceva fosse stato vero, lei aveva involontariamente spedito Katie nella tana del drago. Ciò le provocò angoscia più di quanta già ne fosse costretta a patire.

« Cosa te lo fa pensare? » trovò il coraggio di domandare.

« I ritrovamenti sono sempre avvenuti nella fascia oraria che va dalle quattro del pomeriggio alle due di notte. Credo che trascorra del tempo tra la selezione della vittima e il coma effettivo, quindi ci sono dieci ore in cui il Dio agisce, come il tradizionale orario continuato dei negozi del nono arrondissement. Nessuna delle persone finite in questa stanza era di famiglia povera, anzi, erano tutti benestanti, quindi come idea è logica. Scacco ». Si voltò verso i suoi ascoltatori dopo aver dato loro le spalle fino a quel momento per osservare il vetro insonorizzato dell’ambulatorio. Fuori stava accadendo un bel caos, a quanto aveva appena visto. « L'unica eccezione era David Burke, il qui presente giovane rinvenuto alle cinque e tre minuti della mattina di domenica dopo che un testimone lo aveva sentito urlare, cosa mai riscontrata nelle altre occasioni, e che ha ancora l’ombra. Ciò mi fa pensare che forse il Dio in quel caso era, come dire, di fretta, e ha agito in modo approssimativo. E infine abbiamo Katie e Adele, che sono rimaste alle Galeries tutto il giorno e sono state catturate comunque. Il Dio sta là. Scacco matto ».

« Ma, Izzy caro, che importanza ha? » intervenne Dama Brianna in un intimo tentativo di discolparsi « L'hanno preso ormai, no? Anzi, li hanno presi, erano due a quanto pare. Ora sono al sicuro nel Carcere ».

« Non sono stati loro » replicò Isidore glaciale, accompagnando la frase con un'eloquente espressione facciale « Craig mi ha confermato che il più vecchio risponde al nome Warren Peace, un suo collega a breve termine la cui permanenza a Novartopoli è documentata fino a domenica mattina, mentre il primo ritrovamento risale a sabato. E in ogni caso, anche se fosse, a occhio e croce sono appena evasi ».

Detto ciò si allontanò dalla finestra per ricongiungersi agli altri, seguitando « E il mio nome è Isidore, non Izzy ».

« Evasi? » intervenne Silvia « Non è possibile! Dopo la storia del fuggitivo? ».

« Da quello che ho visto questa volta hanno sfruttato il Ragnarǫk Scenario » rispose sommariamente, come se stesse parlando di nozioni di dominio pubblico. Le sue affermazioni avrebbero invece suscitato ondate di dubbi nel gruppo al capezzale delle ragazze, se i loro moti della bocca non fossero stati interrotti da un avvenimento ancora più stupefacente.

Fu Craig il primo ad accorgersene. Distratto dal soliloquio di Isidore il suo sguardo aveva vagato per la stanza da un volto all'altro, soffermandosi poi sulla macchina cuore-polmone, e lì se n'era accorto: i battiti per minuto erano aumentati a settanta.

« Che sta succedendo? ».

Dama Brianna stralunò gli occhi, e così fece anche sua figlia: sotto il loro attento controllo la crescita non si fermava, anzi si affrettava a raggiungere i valori normali. Nel frattempo Craig e Isidore si erano suddivisi l'ambulatorio per verificare la situazione, rimanendo a loro volta sorpresi. I sistemi cardiovascolari di tutti i pazienti della stanza erano entrati in fibrillazione senza alcuno stimolo esterno. Il secondo dei due esibiva una genuina espressione di sbalordimento, come raramente faceva; nel caso del primo era qualcosa di più: era meraviglia, come certificava il sorriso che andava formandosi sul suo volto.

Immediatamente tutti tornarono al giaciglio di Katie, nel mentre inoltratasi addirittura nella tachicardia. Ti prego, supplicò mentalmente Craig, vi prego, fatemi questo favore. Regalatemi un giorno felice. La paralisi estatica dei quattro durò per dodici, lunghissimi secondi. Fu solo a quel punto che, come al termine di una fiaba appassionante, la giovane dischiuse le palpebre.

Non solo lei: tutte le vittime del Dio ripresero simultaneamente coscienza. Alcuni si destarono seduti, altri non trovarono le forze psichiche per drizzare il busto; ma tutti, nessuno escluso, uscirono da quell'incubo che aveva tenuto sul filo del rasoio tutta Luminopoli.

Brianna esplose senza escalation in un pianto di gioia, abbracciando prima Katie e poi Adele, ambedue ancora in stato confusionario; Isidore agguantò con la calma più serafica il suo PSS per avvertire la redazione di Le Monde, per poi recarsi dai medici e offrire un resoconto del miracolo appena avvenuto, anche se probabilmente non si sarebbe sbilanciato nel definirlo tale. In un primo momento a Craig passò per la mente di seguirlo, ma si sentiva pervaso da un'eccitazione raramente provata in vita sua. In preda a una scarica di adrenalina abbracciò Silvia, anche lei in piena euforia.

Rimasero stretti l'uno all'altro per un tempo che nessuno dei due fu in grado di stabilire con certezza, secondo la loro percezione sito da qualche parte tra i due secondi e le due ore. Quando Craig lasciò al presa sentiva il cuore battere a mille e il respiro affannoso. Se non l'avesse chiesto ora sarebbe stato legittimato a buttarsi giù dal Pont Neuf.

« Tiandrebbediuscireacenainsiemedomanisera? ».

Silvia rimase spiazzata, in parte per la richiesta in un momento così assurdo, in parte perché le era sfuggita una parola su tre. Eppure, vuoi per la gioia del momento, vuoi per una delle altre mille direttive che governano la psiche umana… « Ma sì, perché no? ».

Sì. . Aveva detto sì. Ma sì, perché no era un sì, giusto? Decisamente. « Oh… P-per… Ottimo! Io allora… esco per… ».

Non concluse la frase, abbandonandola a metà per avviarsi alla porta, balbettando tra sé e sé. Una volta uscito si guardò attorno: un lungo corridoio privo di anima viva. Doveva trovare Isidore e raccontargli tutto, aveva un disperato bisogno della sua opinione di narcisista patologico. Sinistra o destra? Sinistra, quantomeno se si fosse perso non si sarebbe trovato a una cena elegante.

Stava anche iniziando a delirare. Che nottata.

 

 

Il cappotto di Bellocchio era ridotto davvero male, e lui non era messo molto meglio. Giaceva riverso su un fianco al limitare del tetto delle Galeries, con la spalla sinistra pesantemente ustionata e bruciature varie disseminate sui vestiti. L’esperienza all’interno di Dusclops era stata reale solo per lui, perché solo lui lo aveva costretto a ingurgitare l’intero corpo anziché solamente l’anima; di conseguenza la sfera di fuoco l’aveva infiammato in prima persona.

Provò ad alzarsi in piedi, ma riscontrò che non era in grado di issarsi sulle gambe. E quella non era nemmeno la notizia peggiore: il suo volto, orientato verso il centro della superficie, stava assistendo a una massa caliginosa che iniziava ad assumere connotati terribilmente familiari. Un tronco robusto che si confondeva nell’oscurità, salvo per lineamenti simili a un paio di occhi e una bocca socchiusa che brillavano di luce dorata, due ampie mani protese verso di lui, un terzo bulbo luminoso incastonato in una rientranza sulla fronte: Dusclops si era evoluto in Dusknoir.

Il Pokémon fluttuò nella sua direzione per qualche metro finché la sua imponente figura non arrivò a sovrastarlo completamente. Lo scrutò meditabondo, come se fosse incerto su cosa destinare a colui che aveva provato di tutto per fermarlo. La vita di quell’omuncolo era adesso a sua completa disposizione. Forse avrebbe voluto rammentarglielo, ma l’evoluzione non pareva avergli donato la parola.

« Fai di me quello che vuoi, tanto ho già vinto » lo anticipò Bellocchio, sputando ogni parola dietro l’altra con irrisione « Li ho salvati tutti. Per una volta li ho salvati tutti ».

Il terzo occhio di Dusknoir sfolgorò d’ira e la creatura si predispose a sferrare il colpo finale. Poi, sul punto di porre definitivamente fine alla vita dell’uomo, fu interrotto da una voce strascicata proveniente da dietro di lui.

« Non… ti avvicinare… a Bellocchio ».

I due si voltarono. Entrambi si erano sorprendentemente dimenticati dell’altra persona che quella notte si trovava alle Galeries Ételfay: Calem, che ora stazionava eretto, per quanto ancora leggermente barcollante a causa del balzo mentale, e puntava il dito contro Dusknoir con l’espressione di chi ha tutta l’intenzione di combattere.

« Che… che cosa… » farfugliò Bellocchio.

« Mi hai sentito? » lo incalzò il ragazzo « Non provarci nemmeno. Prima di invadere Luminopoli dovrai vedertela con me ». Contemporaneamente, avendo ripreso il pieno controllo delle facoltà motorie, strinse nella mano destra l’unica Poké Ball non vuota che aveva con sé.

« Non farlo… » Bellocchio strinse i denti, soffocando gli spasmi di dolore « Swellow non ha speranza, non può nemmeno colpirlo… ».

« Nemmeno lui può colpire Swellow ».

« Non gli servirà… Il Gelopu–– ».

« Pensi che non lo sappia? » ribatté acido Calem « Ma cosa dovrei fare, starmene qui a guardare? Se c’è una minima possibilità di fermarlo devo provarci. Devo attaccare Vivillon ».

Bellocchio inspirò ed espirò. Aveva compiuto la medesima scelta pochi minuti prima, sarebbe stato ipocrita insistere oltre. Con un cenno di assenso gli fece capire che era con lui, e il giovane annuì di rimando. La pupilla infernale di Dusknoir arse di luce per un istante. Erano pronti.

« Nessuno si muova! ».

Una vampata incandescente sfondò la porta d’ingresso al tetto dei grandi magazzini lasciando entrare una mezza dozzina di Arcanine ringhianti. Subito dopo di loro fece irruzione un plotone di poliziotti in divisa indaco con strette tra le mani pistole precauzionali, e i suoi componenti si disposero in formazione d’emergenza non appena si accorsero della silhouette ultraterrena che li stava scrutando. In poco più di qualche secondo l’intera zona fu letteralmente invasa dalle forze dell’ordine di cui tutti si erano scordati.

Tutti meno Calem.

Il ragazzo tratteneva a stento una risata sardonica. Il loro nemico, fino a un attimo prima in netto vantaggio, adesso era stato attorniato da ogni lato e se anche solo avesse provato ad alzare un dito sarebbe stato investito da scariche di fiamme roventi. Del resto non aveva pensato nemmeno per un secondo che Swellow potesse farcela, stava semplicemente temporeggiando per attendere gli agenti.

« Ehi, Bellocchio, alla fine anche io ho imparato qualcosa da te » sorrise beffardo « Ora so parlare a cascata fino a trovare una via d’uscita ».

La coppia si scambiò un sorriso complice. Che avventura bizzarra, era stata: erano entrati alle Galeries Ételfay da nemici giurati e ne erano usciti da uomini che si rispettavano vicendevolmente, che avevano compreso veramente l’uno i pensieri dell’altro. E a unirli non era stata l’atmosfera amichevole in cui erano stati immersi nei giorni precedenti grazie ai tre bambini con cui viaggiavano, no: era stato un nemico comune contro cui avevano sentito il bisogno di coalizzarsi.

« Tornando a te, Dusknoir » riprese Calem nel silenzio generale della polizia, tanto sicuro di sé da arrogarsi il diritto di parlare per loro « Ti suggerirei di sparire il prima possibile. Ritorna da dove sei venuto e non ti faremo niente ».

Bellocchio sgranò gli occhi. Un brivido gli percorse la spina dorsale da cima a fondo mentre un’assurda ipotesi prendeva forma nella sua mente. Per quando riuscì a mettere a fuoco l’intuizione era ormai totalmente certo di aver individuato l’ultima tessera del puzzle.

 

Ritorna da dove sei venuto.

Ritorna.

 

RITORNA

 

R  I  T  O

 

« Ritornare! » esclamò. I presenti lo squadrarono straniti ma lui non se ne curò, trascinandosi a fatica e dolorosamente verso il Pokémon braccato in trappola « È questo che cercavi di dirci, vero? Non volevi fare nessun rito… ngh… nessuna invasione. Non volevi far uscire qualcuno da quel mondo… Volevi ritornarci ». Cadde prono a terra per lo sforzo, ma facendo appello a ogni sua energia e al soccorso di uno degli agenti riuscì ad alzarsi in piedi.

Dusknoir non parlò, non essendone in grado; ma un cenno del suo corpo fu più che sufficiente a confermare il lampo di Bellocchio.

« Ma perché… » proseguì l’uomo tra gli spasmi « … perché non ci sei ancora tornato? Hai… ngh… Hai già il potere per… ».

In risposta la creatura allungò la mano verso di lui. D’istinto gli Arcanine digrignarono i denti minacciosamente, costringendo Bellocchio a restare dov’era. Non che gli servissero informazioni ulteriori: nel palmo tetro che aveva di fronte brillava qualcosa di celeste, qualcosa che sospettava di conoscere.

Prima che potesse metterla a fuoco Dusknoir si chinò e fece rotolare l’oggetto misterioso ai suoi piedi. « No! » gridò il giovane all’indirizzo dei mastini abbaianti che erano pronti a incenerirlo. Quindi si staccò dal suo supporto umano per avvicinarsi al bagliore. Sperava non si trattasse di quello che pensava, visti i tormenti che il suo simile aveva causato in passato; ma se davvero lo fosse stato, era una cosa che doveva fare da solo.

Ed eccolo lì, tra le sue mani: un frammento turchino che brillava nel buio. Identico in ogni aspetto a quello rinvenuto nel nido dei Beedrill, ed ebbe modo di accertarsene confrontandoli. Aggrottò la fronte, non capendo.

« Non riuscivi a tornare lì… per questo? ». Era possibile che anche come Dusclops avesse sempre avuto la possibilità di andarsene e semplicemente fosse stato trattenuto in questo mondo da quell’imperscrutabile frantume di pietra? E che si fosse evoluto solo per espellerlo dal suo corpo? Ma perché avrebbe dovuto ancorarlo all’universo in cui si trovava? Troppe, troppe domande.

« Dove l’hai preso? » lo interrogò, ma come prevedibile non ottenne alcuna replica. Dusknoir fluttuava statico lì, l’unico occhio fisso su di lui, a deriderlo perché lui sapeva, lui doveva per forza sapere il segreto che si celava dietro quelle gemme. Non sarebbe riuscito a estorcergli nulla di significativo.

« Vattene. Sei troppo debole per combattere, te lo si legge in faccia ». Colpa della pietra, forse. I Pokémon sembravano patirne l’effetto più che gli umani. « Vattene » ripeté Bellocchio con veemenza, drizzandosi definitivamente in piedi « Torna nel tuo mondo e non farti più vedere ».

Dusknoir annuì per l’ultima volta, posando lo sguardo uno per uno sulle tremanti guardie che recitavano di malavoglia il ruolo delle autorità. La bocca sita sul busto si contorse in un ghigno mentre il suo corpo assumeva un colorito violaceo.

« Debole, eh? » commentò sprezzante Calem, ridacchiando a sua volta « Bellocchio potrà essere di buon cuore, ma non hai fatto i conti con me. Mi sarai molto utile contro Astra ». Tra le espressioni attonite degli astanti scagliò la Poké Ball che aveva finto per tutto quel tempo contenere Swellow, rivelando che in realtà l’aveva furtivamente scambiata con una delle sue vuote prima di puntarla contro il suo nemico. Nessuno ebbe un tempo di reazione sufficientemente rapido per rendersi conto di cosa stesse succedendo, nemmeno lo stesso Dusknoir: la sua sagoma scintillò di un rosso sangue prima di svanire all’interno della sfera. Dopo tre secondi le molecole interne si stabilizzarono e il Pokémon Pinza, già indebolito, cessò di lottare.

« Cosa hai fatto! » sbraitò uno degli agenti in un impeto d’ira. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa di simile a “ora non potremo più interrogarlo!”, ma si rese conto che pur essendo un’espressione accurata sarebbe suonata fin troppo bizzarra.

« Rilassati » lo acquietò un altro, probabilmente più alto in grado a giudicare dall’uniforme. « E voi due » soggiunse nei confronti di Calem e Bellocchio « ora tornerete con noi al Carcere ».

La coppia sobbalzò. Il più giovane dovette trattenersi per non assalire il suo interlocutore « Ma che state dicendo? Abbiamo appena salvato Luminopoli, se vi è sfuggito ».

« Questo è tutto da verificare » replicò glaciale l’ufficiale « Non siamo in possesso di prove che vi scagionino. Nel frattempo sarete posti in arresto preventivo ».

Bellocchio sbuffò contrariato. Calem ebbe una reazione meno contenuta e mise mano alla sua cintura, provocando il ringhio ostile degli Arcanine attorno a lui.

« Fermi! ».

Un coro di voci dubbiose e “chi è?” in stereofonia accompagnò l’entrata in scena di un altro personaggio. Il suo vestito era nero con rigature fiammanti, i suoi capelli rossi come un bosco in fiamme, il suo sguardo lucido e carismatico nonostante l’ora tarda. Al suo seguito c’era una giovane bruna, a occhio e croce la sua assistente. Nessuno dei poliziotti fiatò al suo ingresso, sbigottiti e incapaci di credere a ciò a cui stavano assistendo.

« Lasciateli liberi » ordinò imperiosamente, con l’accento di chi è certo che la propria disposizione sarà eseguita « Li avete sentiti, no? Questi sono i nostri salvatori ».

« I-intermediario Faubourg… ! Signore… Le prove… » balbettò l’ufficiale con il coraggio che trovò dalla sua posizione di garante della giustizia.

« Intermediario? » sussurrò Bellocchio a Calem.

« Un politico importante di Kalos » gli spiegò sottovoce « Non so bene neanche io cosa faccia, ma è influente ».

« Tutte le vittime note del falso Dio si sono risvegliate pochi minuti fa, quindi potrete constatare dalle loro testimonianze che la maggioranza non conoscerà nemmeno di volto questi due gentiluomini » rispose disteso Lysandre con un affabile sorriso « Se ciò non dovesse essere sufficiente, confido che troverete inequivocabili le registrazioni delle telecamere puntate sul tetto delle Galeries negli attimi precedenti il vostro arrivo ».

La guardia che per prima aveva aggredito Calem si interpose come poteva « Ma signore, l’evasio–– ».

« Smettila! » lo riprese l’ufficiale con uno schiaffo sulla guancia « Ancora rispondi all’Intermediario? ».

« Non c’è bisogno di essere violenti, signor Thorne » lo placò Lysandre « L’evasione è opera loro, ma è stata orchestrata per il nostro bene. Vi sono casi in cui il fine può giustificare i mezzi ». Detto ciò si diresse verso Calem e portò in avanti la mano fino a stringerla « Di cosa si trattava? ».

« Io… Era un Dusknoir… Signore, ha parlato di telecamere? ».

« Oh, sì, ho fatto modo di appostarne qualcuna negli edifici circostanti su consiglio di una mia conoscente » l’uomo controllò il proprio orologio da taschino « A tal proposito, dovrebbe arrivare a momenti ».

« Serena! » esclamò Bellocchio, e non si trattava solo di una realizzazione estemporanea: la sagoma della ragazza era apparsa sulla porta, trafelata per la corsa lungo le scale dell’edificio. Immediatamente corse incontro al giovane e lo abbracciò con forza, facendolo quasi sbilanciare sulle sue precarie gambe.

« Ti avevo detto di restare lontana dalle Galeries! ».

« Dopo una settimana passata con te ho imparato che ascoltarti provoca più danni che non farlo » replicò lei ilare « Alla fine ce l’hai fatta a salvare il mondo, giusto? O… Beh, insomma, ho presunto che stessi facendo quello ».

« A dire il vero il grosso l’ha fatto Calem ».

Serena rabbrividì alla sola pronuncia del nome. Come se non si fosse accorta fino a quel momento della sua presenza si girò verso destra, trovandolo accanto a Lysandre. « Ah, ci sei anche tu ».

Il ragazzo protese la mano per una stretta che avrebbe dovuto nelle sue idee sostituire l’abbraccio a Bellocchio, ma Serena si rifiutò categoricamente producendo un silenzio imbarazzante. L’adulto del trio lo ruppe dopo qualche attimo « Come facevi a sapere che le telecamere ci sarebbero state utili sul tetto? ».

« Pff, un gioco. Quando ho saputo del vostro arresto via telefonata immaginavo che la ragione per cui vi eravate fermati alle Galeries fosse ancora là. Trovato mi ha detto del tuo piano di evasione e, facendo due più due, l’unico punto da cui sareste potuti rientrare era qua sopra » glossò Serena « Sinceramente non credevo che ci sareste davvero rimasti, ma per sicurezza ho chiesto al signor Faubourg di piazzare delle telecamere per sorvegliare la zona ».

Bellocchio convenne che come deduzione era invidiabile, ma fu impossibilitato a esternare quella considerazione: un grido di euforia proveniente da un altro punto del tetto gli ricacciò il complimento tra le corde vocali.

« Fratellone! ».

Serena sgranò gli occhi in un'espressione che fondeva sorpresa, esasperazione e collera. La sorgente dell'esclamazione era appena entrata – o uscita – dall'accesso principale della zona e ora si stava dirigendo a tutta velocità verso il gruppo. In un attimo fu loro addosso: Lysandre fu costretto a scansarsi frastornato per lasciare passare una bambina iperattiva che ora stava facendo le feste a Calem come a un padre militare di ritorno da una missione in territorio estero.

« Shana! » sobbalzò Calem « Cosa diamine ci fai qui? ».

Serena, sentendosi chiamata in causa, si precipitò a dire la sua « Già, bella domanda! Ti avevo detto di restare al Centro Pokémon! Perché non ascolti mai? ». Bellocchio non trattenne un sorrisetto: quantomeno ora la sua amica sapeva cos'era essere lui ogni santo giorno da quando aveva deciso di viaggiare con quel gruppo.

« Scusa, ma c'era mio fratello in pericolo, secondo te cosa dovevo fare? » si giustificò la ragazza. Quindi tornò a colui che ancora stringeva tra le piccole braccia, il quale era visibilmente imbarazzato « È vero che sei stato tu a sconfiggere il cattivo? ».

Calem fu titubante nel rispondere, e in suo soccorso giunse Bellocchio « Verissimo, l'ho visto io. Senza di lui non sarei nemmeno vivo ».

« Wow! Aspetta che lo dica a Tierno e Trovato! Loro non ce l'hanno un fratello così, no! Saranno invidiosissimi! Mi racconti tutto? ».

Lysandre nel frattempo aveva assistito alla scena divertito, anche se non sempre con la massima attenzione – la sua mente tendeva a divagare su argomenti del tutto casuali, e questa volta il ricordo prescelto per essere rivissuto in pochi attimi era stato un pomeriggio trascorso alla casa di sua nonna, tra le chiavi inglesi del deposito attrezzi. La sua capacità di memorizzazione ed elaborazione era tuttavia tanto fuori dal comune da consentirgli simili diversioni senza perdere una battuta dei discorsi che si svolgevano, tecnica senz'altro utile affinata nelle tediose udienze al Parlamento di Luminopoli. Si avvicinò all'uomo dal cappotto marrone, lasciando che quel giovane che viaggiava con lui si godesse il suo momento di gloria mentre gli agenti di polizia si ritiravano.

« Dusknoir, quindi? Grazie al cielo, temevo si trattasse di un Darkrai ».

Bellocchio lasciò da parte Calem, Serena e Shana, focalizzandosi su quell'alto funzionario che gli aveva appena rivolto la parola con uno dei più assurdi metodi per cominciare un dialogo. « Lei… lei sapeva? ».

« Beh, in realtà non ne ero certo per evidenti ragioni: non potevo provare che le vittime avessero visitato un luogo in comune sei ore prima del ritrovamento. Però esaminandole mi ero accorto che quasi tutte erano prive di ombra. Non ho dato l'allarme solo perché uno di loro l'aveva ancora, e ciò indicava che non poteva essere un Darkrai » spiegò l'Intermediario con la calma più serafica « Ma non era nemmeno un Dusknoir, giusto? ».

« Come? ».

« Le bruciature sul suo soprabito. Così, senza occhiali, mi viene da pensare che siano causa del fuoco fatuo di un Dusclops ».

« Lei è davvero straordinario » commentò Bellocchio con sincera ammirazione. Poi, dal nulla, gli sovvenne un particolare che aveva dimenticato dopo la fortunosa evasione dal Carcere « Mi scusi, potrei chiederle un favore? ».

« Se posso fare qualcosa per il nostro salvatore, lo farò con piacere ».

« Non ho potuto fare a meno di notare che lei ha una certa influenza sulle forze dell'ordine. Nella cella con me c'era uno, di nome fa Saul… Beh, non so il cognome. Senza di lui io e Calem non ce l'avremmo fatta, staremmo ancora brancolando nel buio » il giovane parve molto imbarazzato per la richiesta « Era vicino al rilascio, non vorrei che per colpa dell'evasione che abbiamo organizzato… ».

« Ho capito » annuì con un sorriso condiscendente Lysandre « Farò sì che non debba scontare pene ulteriori. La questione del cognome mi rammenta che non ci siamo ancora presentati dovutamente, a proposito ».

« Oh, ha ragione! Il mio nome è Bellocchio ».

« Ah! » esclamò quello meravigliato « Anche lei un soprannome? ».

« Eh, una specie ».

« Il mio è Elisio » proseguì tendendogli la mano « Molto piacere ».

L'uomo ricambiò la stretta vigorosa di Faubourg. Alzò lo sguardo al cielo stellato, dove l'assenza di luna lasciava quel punto d'osservazione, rialzato e quindi protetto da buona parte dell'inquinamento luminoso della metropoli, occultato nella penombra. Ma ecco che, stagliato all'orizzonte, i primi raggi solari riflessi facevano capolino rischiarando quello spicchio del firmamento. L'alba era incombente; e, anche per loro, il peggio era ormai passato. La luce sarebbe tornata a splendere presto. Ma non così in fretta: per ancora qualche minuto, o forse solo qualche secondo, sia lui che Calem potevano godersi la loro ricompensa.

 

 

Quel martedì era trascorso splendidamente per Trovato. Serena lo aveva accompagnato al Musée Révolu d’Illumis, nei cui meandri avevano piacevolmente smarrito il senso del tempo; e ora in quel sole che tramontava dolcemente sull'orizzonte cittadino vedeva riflessi i tratti di pittori impressionisti. La vivacità di Pissarro, l'eleganza di Degas, persino la follia di Cézanne si affastellavano nelle sue tinte arancioni. A dirla tutta era stato rapito soprattutto dalla chioma bionda della sua amica, domandandosi se la scelta di spendere con lui le sue ultime ore da viaggiatore non fosse stata dettata da un ultimo desiderio implicito; in altre parole, se avesse intuito i suoi sentimenti per lei. Elucubrazioni inutili, aveva concluso.

Ma tutte le cose belle giungono al termine, e anche la sua piacevole vacanza era ormai al crepuscolo. Salutati più in basso Tierno e Shana in un addio che per sua fortuna gli aveva risparmiato le lacrime per la solitudine successiva, si stavano ora inerpicando su un altopiano periferico dell'undicesimo arrondissement, dove era sita la casa dei suoi nonni. Lì avrebbe atteso con pazienza, nel quieto vivere dei Fletchling plananti, la data della partenza definitiva. Serena ogni tanto ci aveva provato a instillargli quella domanda che tanto rifiutava di porsi da sé: perché non ti opponi? E la risposta era banale: non riusciva. Non riusciva a pensare alla sua voce che sovrastava quella della madre, o quella di Serena stessa, le due figure attorno cui era ruotata gran parte della sua giovane vita. Così come sapeva che non avrebbe mai rivelato personalmente alla ragazza di essere innamorato perché sapeva di non avere speranza, così sarebbe partito verso nuovi orizzonti perché conscio che sarebbe stato inutile protestare.

« Grazie » disse a un tratto, rivolto alla sua compagna di viaggio « Possiamo anche fermarci qui… Io… Io non… Visto che… ». Le sue difficoltà comunicative non lo aiutarono in questo frangente, facendolo risultare tutt'altro che convincente.

Serena, d'altronde, si limitò a sorridere come se ciò la divertisse. « Non devi affrontare questa cosa da solo ».

Trovato comprese e, pur sapendo di star prolungando la sua sofferenza, accettò di percorrere insieme quegli ultimi metri. La modesta magione famigliare proiettava la sua ombra sull'ingresso, conferendo al contempo frescura in quel dì afoso e un'aura malinconica al portone. Il giovane si fece coraggio e, preso un profondo respiro, bussò.

Attese meno di quanto credeva perché aprissero, e capì anche perché subito dopo: non era stato nonno o nonna ad aprire. Era stato Tierno.

Gli occhi di Trovato quasi fuoriuscirono dalle orbite per lo sconcerto. « Cosa… Tu come… ».

« SORPRESAAAAA~! » gridò il dodicenne in risposta, e alla sua voce se ne era unita una esuberante e acuta, il che segnalava la presenza di Shana. Il ragazzo fu sempre più perplesso e il suo sguardo invocò la spiegazione di Serena, chiusa in un ghigno ermetico. Doveva trovare la sua faccia la cosa più spassosa del mondo.

« Cosa, per te ti avremmo salutato in quel modo stupido? » gli domandò concitatamente Shana mostrandosi alla soglia « “Abbiamo viaggiato insieme per poco, ma è stato come un secolo”… Dai, potevi cascarci solo tu! ». Il tutto era accompagnato da risate di intermezzo che Trovato non sapeva bene se intendere come prese in giro o dichiarazioni di felicità.

« Ma quindi… No, scusate, ma io non capisco ».

« Siamo amici, no? » riprese il discorso Tierno « Non ce ne andremmo mica a spassarcela sapendo che tu sei qui tutto solo! Quindi abbiamo chiesto ai tuoi nonni, e loro hanno accettato! ».

« Hanno accettato cosa? ».

« Uff, certo che sei proprio tonto! » sbottò Shana « Staremo qui con te, no? Finché non parti! Due settimane tutti insieme a divertirci! Chissà quante cose ci saranno da fare qui a Luminopoli! Certo, non il museo però, eh… Quello no! ».

Trovato non riusciva a capacitarsi della situazione. Tornò su Serena, la cui espressione seriosa nel frattempo era arrivata a un passo dallo scoppiare. « Tu… Tu lo sapevi? ».

« Ma certo che lo sapevo! Dovevo solo tenere la sorpresa e rallentarti mentre loro ti anticipavano qui! ».

Il ragazzo avrebbe voluto dire e fare molte cose: abbracciarli uno per uno, singhiozzare fiumi di lacrime, uscire fuori e urlare la propria contentezza al cielo. Invece tutto che gli uscì dalla bocca fu un verso a metà tra una risata e un grugnito che non fece altro che metterlo in imbarazzo ulteriore, seguito da un « Io… Grazie, grazie… Io non… ».

« Oh, no! No, no, no! Ora si mette a piangere! » trasalì Shana terrorizzata « Tierno, fai qualcosa! ».

« Io? Ah, sì, uhm… Ho fame! Andiamo a mangiare! ».

« Ottima idea! Che avranno preparato i nonni di Trovato? Nonna Trovatoooo, qui c'è Trovato vero! » concordò la ragazzina, ed entrambi fuggirono in soggiorno lasciando il malcapitato sulla soglia in preda a una crisi emozionale.

Serena gli mise una mano sulle spalle, stringendolo a sé « Un giorno di questi passerò a farti visita! Bellocchio permettendo, ovviamente ».

Trovato rialzò il capo « Ah, quindi viaggerai con lui? ».

« Pare di sì. Prossima tappa Castel Vanità » soggiunse cercando di essere il più delicata possibile, anche se dopo l'ultima scoperta al giovane pareva importare poco del viaggio mancato. Del resto forse il viaggio non era neanche mai stato significativo per nessuno di loro: erano le persone con cui lo condividevano a renderlo speciale. Serena, dal canto suo, era più che felice che il suo amico ventisettenne avesse riconsiderato la sua decisione di tornare a Sinnoh, anche se non aveva voluto dirle perché.

« Comunque lui e Calem passeranno più tardi a salutarti » proseguì dopo quella riflessione estemporanea « Ora stanno da qualche parte alle Galeries, se ho ben capito Bellocchio gli ha fissato un appuntamento per parlare ».

Un appuntamento… E chi l'avrebbe mai capito veramente, quell'uomo.

 

 

I grattacieli del Flare District a ovest luccicavano di un arancio rosato attorniando in una corona crepuscolare il gigantesco cubo cavo della sede principale, che aveva iniziato a brillare di luce artificiale attraverso le piccole fessure delle finestre. Lo chiamavano il Frattale, l’ubicazione di tutti i maggiori uffici dell’associazione Flare. Troneggiava silenziosamente su Luminopoli in modo quasi innaturale, congiunto dalla linea retta dell’Avenue Vendémiaire all’Arc de Triomphe. I due punti erano a loro volta quasi allineati con le Galeries Ételfay, sul cui tetto Bellocchio stava ammirando la Ville Lumière. E poi la Torre Prisma, gli stadi e tutte le strutture note al pubblico come teatro del Primo Galà di Luminopoli. L’intera città ai suoi piedi.

La quiete frammezzata a un leggero e tiepido vento proveniente da sud-est fu interrotta dai passi di Calem, arrivato con puntualità al rendez-vous prefissato. Il suo saluto consistette in un colpo di tosse, al quale però Bellocchio non parve rispondere. Restava lì, fermo, a contemplare l’orizzonte.

« Sei arrabbiato con me? » domandò il ragazzo non comprendendo.

L’uomo in risposta rise tra sé e sé e si voltò a tre quarti per inquadrarlo con la coda dell’occhio « Perché? ».

« Ho catturato Dusknoir anziché lasciarlo andare ».

« Non sono un animalista e non sono arrabbiato ». Bellocchio gli fece segno di avvicinarsi a lui, e i due si ritrovarono fianco a fianco a poco più di un metro dal bordo dell’edificio. Le Galeries erano già fuori orario e occupate ora solo da commessi indaffarati, ma dopo averne salvati due per loro era stato serbato un occhio di riguardo.

« Strano, mi sembrava ».

« Già… Succede, quando non si conoscono le persone. Ad esempio non pensavo ti importasse la mia opinione su di te ».

« Mi hai salvato la vita ».

« E tu hai salvato la mia ». Si concesse una lunga pausa riflessiva fatta di fronti aggrottate e sopracciglia contrite prima di riprendere « Però non capisco ».

« Che cosa? ».

« Tra la Dama Cremisi e Dusknoir sono due esponenti del Mondo dei Morti a breve distanza. Le tue sfere sono come le mie, giusto? A riscrittura sinaptica? ».

Calem rimase per un attimo spiazzato dalla domanda. A un attento esame della sua memoria forse sì, aveva letto qualcosa del genere sulle istruzioni, o forse Platan ne aveva parlato in uno dei suoi corsi preparatori. « A quanto ne so ».

« Cancellano i ricordi antecedenti alla cattura. Non ho speranze di sapere qualcosa da lui. A proposito, che soprannome gli hai dato? ».

« Non do soprannomi ai miei Pokémon ».

« Peccato, dovresti ».

« Perché ti interessa tanto il Mondo dei Morti? » inquisì Calem, riportando a forza il treno del discorso sui binari originari.

Bellocchio sfilò dalla tasca del cappotto due frammenti che luccicavano di un leggero chiarore celeste. Il ragazzo li riconobbe a intuito, anche se l’esemplare che aveva visto la notte precedente era decisamente più luminoso. « Penso c’entrino questi ».

« Ne ho visto rotolare uno ieri. L’altro da dove viene? ».

« Dal nido dei Beedrill, li ha fatti impazzire. E penso che c’entri anche con la fase sadica di Shana a Rio ».

« Mi raccomando, non dirle queste cose a suo fratello, cosa mai gliene può importare ».

« Combaciano perfettamente, ma non sono complete. Saul aveva detto che in totale erano quattro » proseguì Bellocchio ignorando completamente l’ultimo commento del partner. Dopodiché le ripose con un sospiro « Oh, suppongo non abbia senso fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Tu che farai ora? ».

Il giovane avrebbe manifestamente desiderato protrarre il discorso di prima, ma fiutò che per ora era meglio lasciar perdere. « Torno ad allenarmi nei percorsi dell'est. Con un po' di lavoro Dusknoir dovrebbe potersela cavare con Astra. Tu? ».

« Riprenderò il viaggio con Serena ».

« Sì? Credevo saresti tornato nella tua regione. Come si chiama… ».

« Non con questi frammenti. Non con quello che mi ha detto Ada » Bellocchio si girò a fissare direttamente Calem, e i suoi occhi si caricarono come se fossero vecchi di centinaia di anni, stanchi e timorosi « Ho paura che potrei essere io ».

Dopo un tempo che parve un’eternità il ragazzo trovò il coraggio di ribattere, anche per allontanare quel pensiero dalla sua stessa testa « Non pensarci. Sarà meglio andare da Trovato, dobbiamo salutarlo ».

L’uomo annuì distrattamente, gettando uno sguardo al tramonto incipiente. « Inizia ad andare, poi ti raggiungo. Ho bisogno di stare un attimo da solo ». Calem restituì il cenno del capo e si allontanò verso l’uscita, lasciandolo solitario in cima alle Galeries.

La brezza calda stava gradualmente lasciando il posto a una più pungente man mano che il sole si abbassava oltre il profilo dei palazzi di Luminopoli. Bellocchio inspirò profondamente e si infuse determinazione mentre estraeva dal taschino posteriore dei pantaloni il taccuino in pelle nera che portava sempre con sé. Lo aprì alla prima pagina ormai logora, e ricalcò in alcuni punti perché l’usura dell’inchiostro non la rendesse illeggibile. Chissà da quanto aveva quel bloc-notes, non riusciva a ricordarlo.

Alzò la fronte a ponente. Tra gli alti edifici che si stagliavano sul cielo rossiccio si apriva uno spiraglio in cui la sfera di fuoco si sarebbe andata a incuneare al vespro. Non aveva scelto le Galeries a caso per l’appuntamento: da quell’angolazione, con la volta tersa e nessun accenno di nebbia, la rifrazione della luce solare avrebbe prodotto un sottile alone verdognolo appena prima di scomparire: il raggio verde. Bellocchio amava quando riusciva a scorgerlo, gli comunicava l’istante esatto in cui i fasci scintillanti irradiati dall’universo abbandonavano la sua pelle.

Ormai mancava poco. Con una seconda inspirazione pose il taccuino aperto sul primo foglio scritto di fronte a lui, accanto al sole, distendendo completamente il braccio. Era diventato bravo a prevedere il momento preciso. Tre… due… uno…

Il raggio verde apparve come previsto, sfolgorando intensamente per una frazione di secondo per poi sprofondare nell’oscurità del cosmo.

   
 
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