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Autore: Umiko_chan    18/07/2014    4 recensioni
Dal testo: "«Che stiamo facendo?», chiese Ran, che ancora non era riuscita a capire dove il ragazzino volesse arrivare.
«Elementare», disse lui, parafrasando con piacere il suo caro Holmes. Anche in questo, è identico a Shinichi. «Balliamo.»"
Ha partecipato alla Maratona di ballo ShinRan indetta dallo 'Shinichi & Ran Official Italian Fan Club', arrivando seconda.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Sonoko Suzuki | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Orchidea.

“Nella vita tutto, tranne la coltura di orchidee, deve avere uno scopo.”
Rex Stout

 

 

 

 

 

«Allora.»
Sonoko si esibì in un’altra giravolta, sollevando gli orli del suo vestito acquamarina per amplificare lo svolazzare della gonna, per poi riportare immediatamente lo sguardo sull’alto specchio da parete. Sembrava soddisfatta, mentre si ammirava e si rimirava nel suo abito leggero, di tulle delicato.
«Questo mi piace», mormorò, soddisfatta. «Però, anche quell’altro, con le rifiniture dorate...»
Il suo sguardo corse all’altro abito, decisamente più pomposo e adatto agli standard di un’ereditiera: il corpetto color avorio, senza spalline, era decorato con delicati inserti floreali color rosa antico, che si attorcigliavano come piante rampicanti, fino a sfociare in ampie corolle che, dal rosa, sfumavano in un delicato ricamo aureo. Sonoko se n’era innamorata non appena l’aveva visto. Era palese l’incredibile qualità della fattura - e non fosse mai che la rampolla della famiglia Suzuki dovesse indossare qualcosa di seconda classe.
Ma, davvero, non riusciva proprio a decidersi.
«Tu che dici, Ran?» chiese, voltandosi verso l’amica, seduta alle sue spalle su uno dei numerosi divanetti del negozio. Osservava il pavimento, assente.
Sonoko le rivolse uno sguardo esasperato, portandosi le mani sui fianchi e sospirando. Ran non ci fece il minimo caso.
«Ran? Ran!» la chiamò, sventolandole una mano davanti al viso. Per un attimo, temette che si fosse persino addormentata. «Terra chiama Ran Mouri!»
La ragazza scosse il capo, come si stesse effettivamente svegliando da un sogno ad occhi aperti. Le ci volle un po’ per identificare la mano che continuava a passarle avanti e indietro davanti agli occhi, fino a che non fu abbastanza cosciente per focalizzarsi sull’amica.
«Cosa?» borbottò, cercando di ricollegarsi alla realtà. Sonoko. Abito da sera. Negozio. Sabato pomeriggio. Shopping. «Qualcosa non va?»
«Oh, be’.» Sonoko agitò le mani, come se stesse per immergersi in un discorso di importanza universale. «Siamo qui per scegliere un vestito,  io sono nel bel mezzo di una crisi esistenziale e tu cosa fai?» Il tempo di concedersi un sospiro rassegnato, prima di proseguire: «Vorrei proprio sapere a cosa stavi pensando, Ran.»
La brunetta sussultò impercettibilmente, ricomponendosi in una frazione di secondo. «Niente di importante», borbottò. «Qual è il problema?»
Gli occhi di Sonoko ripresero a brillare. Missione, “ottieni di nuovo l’attenzione della tua migliore amica”: compiuta con indicibile successo.
«Il problema è», attaccò, tutta sorridente, «che amo questo vestito.»
Ran le rivolse l’occhiata più confusa e scettica del suo repertorio. «Quindi?»
Sonoko si voltò ancora nella sua direzione, stupita. «“Quindi”?!» ripeté, shockata. «E’ tutto quello che hai da dire? “Quindi”?!»
La reazione dell’ereditiera strappò a Ran un risolino - forse il primo realmente sincero dell’intera giornata. «Seriamente, Sonoko. Non vedo il problema.»
Ora, Sonoko la osservava come se avesse a che fare con un caso perso. «Il vestito. Lo adoro
«Ma...?», la incalzò ancora l’altra.
«Ma adoro anche l’altro», e indicò l’abito color avorio, «e non saprei davvero, davvero scegliere.»
Ran sorrise ancora, osservando entrambi gli abiti con attenzione. Erano, senza dubbio, tutti e due bellissimi, ma non era lei a dover compiere quella scelta.
«Ce ne deve essere uno che ti piace più dell’altro», mormorò la bruna, rivolgendo all’amica un sorriso d’incoraggiamento.
Sonoko osservò ancora una volta l’abito che indossava, e si concedette l’ennesima piroetta. «Questo è bello», mugugnò, «ma l’altro... whoa.»
«Sì.» Ran annuì e sorrise. «Ero sicura che lo avresti scelto.»
Lo sguardo di Sonoko scintillò di rabbia per un attimo. «Allora perché... ah, senti. Lasciamo perdere, okay?»
Ran fu felice di sentirglielo dire.
«Piuttosto...» No. Alla bruna, quell’espressione sul volto di Sonoko non piacque affatto. «Tu che ti metterai per il ballo?»
La karateka abbassò lo sguardo, per poi tornare a guardare il bellissimo abito che la sua migliore amica aveva scelto di indossare. Anche lei avrebbe voluto mettersi qualcosa del genere.
«Non credo ci verrò, Sonoko.»
L’ereditiera non poté evitare di lanciarle un’occhiata, sorpresa da quell’affermazione. «Che vuol dire, non credi...? Oh, signorina, tu ci verrai eccome!»
Ran sospirò. «No, Sonoko.»
«Sì, Sonoko», ribatté l’altra. «E’ il ballo del diploma, Ran. Ti capiterà una sola volta in vita tua. Non puoi perdertelo.»
«Non ho un accompagnatore.»
Sonoko non poté non notare il sorriso malinconico che si dipinse sul volto dell’amica. E Ran sorrideva in quel modo solo quando c’era di mezzo quella persona.
«Ran», la chiamò, sedendosi al suo fianco. «Non puoi lasciare che quel detective da strapazzo ti rovini la vita. Se n’è andato quattro anni fa, non ti chiama mai. Merita davvero la tua pazienza, Ran?»
Non ci aveva mai pensato. Non si era mai posta il dubbio: è degno di essere aspettato? Sì, Ran. Ancora quella vocina nella sua testa. Quella che l’aveva spinta a continuare ad attendere senza perdersi d’animo. Lui tornerà. Te l’ha promesso.
La bruna si asciugò le lacrime, sforzandosi di regalare all’amica il sorriso più sincero che avesse.
«Non importa, Sonoko. Davvero.»
«Eccome, se importa!» Ora, l’ereditiera sembrava davvero fuori di sé. «Non puoi sprecare un’occasione simile per uno come lui! Puoi venire comunque.»
«Da sola?» A Ran l’idea non piaceva affatto.
«Con me.» Sonoko le prese le mani. «E con Makoto.»
«No, Sonoko.» La karateka sorrideva, ma era tutto tranne che serena. «Non ci tengo a fare da terzo incomodo.»
Sonoko sembrava delusa, e non avrebbe certo mollato - Ran lo sapeva.
«Davvero», disse ancora. «Starò bene.»
Ma le sue parole suonarono false anche alle sue stesse orecchie. Non sarebbe stata affatto bene.

 

 
«Non ce la fai proprio a tornare?»
«Mi dispiace, Ran.» La voce di Shinichi suonava rauca e distorta all’altro capo del telefono, ma per lei sarebbe sempre stato il suono più dolce e rassicurante del mondo. Anche se doveva darle brutte notizie come quella. «Farò il possibile, ma non voglio prometterti nulla che non possa mantenere. Questo caso è...»
«Difficile e complicato», finì per lui, con un malinconico sorriso stampato sulle labbra. «Lo so, lo so.»
Lui rimase per un attimo in silenzio. «Mi dispiace», disse ancora. «Mi dispiace tanto.»
«Non preoccuparti», tagliò corto lei, scuotendo la mano, anche se sapeva che lui non poteva vederla. «Non ci tenevo poi così tanto.»
«... Ne sei sicura?» No. Non l’aveva convinto neanche un po’.
«S-sì, figurati.» Ran sperò solo che lui non percepisse la sua voce che tremava per via delle lacrime che lottavano per uscire. «Era solo per far contenta Sonoko, niente più.»
«Mh. Ci... ci vediamo, allora. Tornerò il prima possibile, promesso.»
«Ci conto.»
Rimase ad ascoltare il beep beep che annunciava la fine della chiamata per quello che le sembrò un secolo, prima di premere il pulsante rosso sulla tastiera e lasciarsi andare sul divano, distrutta.

 

 
La luna piena la metteva sempre di buon umore. Era una bella serata, pensò, con quella lieve brezza fresca che entrava dalla finestra e le scuoteva appena i capelli. Ormai era giugno inoltrato, e il caldo aveva iniziato a farsi sentire, ma di sera si stava bene. A Ran non dispiaceva affatto starsene lì, seduta accanto alla finestra a godersi il venticello gentile che muoveva le tende con la delicatezza con cui si muove la gonna di un’aggraziata ballerina - e a proposito di ballerine...
Controllò l’orologio, chiedendosi se il ballo fosse già iniziato, se Sonoko fosse già lì con Makoto, se si stessero divertendo.
Sorrise. Ovvio che si stavano divertendo. Erano insieme, al ballo del diploma. Ran era davvero felice che Makoto fosse riuscito a trovare un po’ di tempo per stare con la sua ragazza, nonostante i mille impegni e viaggi che il karate gli richiedeva. Era felice, perché voleva che Sonoko lo fosse a sua volta. Chiuse gli occhi, cercando di immaginare l’amica avvolta nel suo incredibile abito color avorio, mentre volteggiava stretta al suo cavaliere nell’immensa sala da ballo dell’hotel Beika che era stata affittata per l’occasione: magari il pensiero l’avrebbe rallegrata, almeno un po’. Poteva mentire agli altri - a Shinichi persino, ma non poteva certo mentire a se stessa. Lei avrebbe voluto andare a quel ballo. Lo avrebbe voluto con tutto il cuore. Sarebbe stata una splendida occasione per mettersi quell’abito blu notte che aveva visto in quella vetrina in centro e per passare un po’ di tempo con quel detective da strapazzo. Avrebbe anche risposto anche alla sua dichiarazione, visto che non aveva ancora avuto occasione di farlo.
Ma lui era chissà dove in giro per il mondo, a risolvere casi di omicidio come se fossero piacevoli cruciverba. Si sarebbe mai stancato dei cadaveri, del sangue, della morte? Ran sorrise tristemente, certa che la risposta a quella domanda non sarebbe stata certo a suo favore.
Rimase a guardare il cielo scuro, immobile e in silenzio. Aveva acceso lo stereo a batterie che suo padre le aveva regalato quando aveva dieci anni, e aveva scelto di ascoltare un CD di musica jazz. Il volume basso e la delicatezza della melodia creava un’atmosfera piacevolissima all’interno della stanza. Rimase più ferma che poté, evitando di pensare al ballo, a Sonoko, o a qualsiasi altra cosa. Tentava di sgombrare la mente, rilassarsi. Magari un bagno era quello di cui aveva bisogno...
Tre colpi delicati alla porta furono quello che le serviva per distrarsi definitivamente. Non aveva dubbi su chi ci fosse dall’altra parte - c’era solo una persona in quella casa che avesse la decenza di bussare prima di entrare in camera sua.
«Conan», disse, e si lasciò sfuggire un sorriso. «Vieni pure.»
Lui si affacciò oltre la soglia. Aveva quest’assurda idea che le sue visite potessero in qualche modo disturbarla. La verità? Conan era una di quelle persone che Ran avrebbe voluto stessero il più possibile al suo fianco. Non erano in molti ad avere questa posizione nella vita di Ran: solo Conan e un certo detective di sua conoscenza.
Ogni volta che lo vedeva, Ran pensava a quanto Conan fosse cresciuto negli ultimi anni. Ormai aveva undici anni, ma era decisamente troppo alto e maturo per la sua età. Più di una volta Ran si era chiesta se lui non le avesse mai mentito sulla sua età; era persino arrivata a pensare che in qualche modo, in quel corpo di bambino, in qualche modo si fosse nascosto Shinichi. Assurdo, no?
Nonostante il passare del tempo, però, Conan non era cambiato troppo - esclusi i parecchi centimetri guadagnati in altezza e i muscoli che iniziavano pian piano a farsi vedere, frutto delle ore passate sul campo di calcio ad allenarsi. Faceva parte del club della scuola, ormai, ed era stato promosso capitano da due anni, ormai. Inutile dire che avesse un talento incredibile. Quasi quanto...
«Posso entrare?», chiese di nuovo lui. Fu felice di vederla sorridere calorosamente e fargli cenno di accomodarsi.
«Certo», rispose. E allora sorrise anche lui, chiudendosi la porta alle spalle e andando a sedersi alla sedia girevole che Ran usava per la scrivania.
«Come va?» Era una domanda retorica. Glielo si leggeva negli occhi, si capiva dal tono della sua voce.
Ran non lo sapeva. Non aveva idea di come facesse un bambino a capire esattamente quando stava male, quando aveva bisogno di conforto. Eppure, Conan ci riusciva, in qualche modo.
«Sto bene», mentì, anche se era più che sicura che lui non ci sarebbe cascato. E l’occhiata scettica di lui non tardò ad arrivare.
«Sicura?»
Ma Ran non rispose. Ritornò a guardare le stelle con aria assente, e la luna piena, e il cielo scuro che pareva seta, come il vestito che avrebbe tanto voluto indossare quella sera.
«Ho saputo che stasera c’era il ballo dei diplomandi», azzardò lui con tutta la delicatezza di cui era capace. «Perché... perché non ci sei andata?»
«Non ne avevo voglia», si affrettò a rispondere la giovane, gli occhi ancora persi nel cercare di individuare qualche costellazione.
Conan sospirò, poi sorrise. «Il vero motivo?»
Aveva attirato abbastanza la sua attenzione da farla voltare nella sua direzione. Ora lei lo squadrava, ma non era affatto sorpresa: era come se se lo aspettasse, che lui non credesse a quella bugia.
«C-come?»
«Perché non sei andata al ballo, Ran?», chiese ancora, abbassando un po’ il tono della voce per renderlo ancora più dolce di quanto già non fosse. «Per quale motivo?»
Lei esitò, finendo per perdersi in quegli occhi azzurri. Più li guardava, più si stupiva di quanto somigliassero a quelli di...
«Non avevo nessuno con cui andarci.» Sospirò, chiudendo la finestra. Iniziava ad avere freddo.
«Ma avresti voluto andarci», concluse per lei. Le ci volle un po’, ma annuì. Ammetterlo le era costato più di quanto pensasse.
Conan non disse nulla, si limitò a rimettersi in piedi e spingere di nuovo la sedia sotto la scrivania. Ran pensò che volesse andarsene, ma lui si avvicinò allo stereo e alzò appena il volume, prima di dirigersi cautamente nella sua direzione, porgendole la mano.
Ran era confusa: non riusciva proprio a comprendere cosa avesse intenzione di fare Conan. Lui avvicinò un altro po’ la mano, come a spronarla a stringerla. La ragazza, confusa, gliela afferrò con titubanza.
«Alzati», le disse solo, e lei ubbidì.
Conan la portò al centro della stanza, allungando un braccio dietro di sé per alzare appena il volume dello stereo.
«Che stiamo facendo?», chiese Ran, che ancora non era riuscita a capire dove il ragazzino volesse arrivare.
«Elementare», disse lui, parafrasando con piacere il suo caro Holmes. Anche in questo, è identico a Shinichi. «Balliamo.»
«B-balliamo
«Sì. Balliamo.» Le fece fare una lenta piroetta, seguendo il ritmo delicato del sax che si diffondeva dagli altoparlanti. «Se non puoi andare al ballo, allora porteremo il ballo qui.»
Lei sorrise. «Qui, Conan?», chiese scettica. «In camera mia?»
Lui annuì.
«Ma sono in pigiama!», ribatté lei, scoppiando a ridere per il vano tentativo di Conan di andare a tempo con la musica. Evidentemente, oltre che col canto, non aveva un buon rapporto nemmeno con la danza.
«Prova a usare un po’ di immaginazione», le disse, mentre lottava contro i suoi stessi piedi. «Immaginati un bell’abito da sera, le luci, e... che io sappia ballare un po’ meglio, per favore.»
La battuta la fece ridere. Li fece ridere entrambi.
Seguirono la musica, volteggiando per la stanza per quelli che a Ran sembravano appena pochi secondi. Non si era resa conto che, in realtà, ballavano da più di due ore. Si chiese se fosse giusto stare così bene quando aveva Conan intorno. Si chiese se quel sentimento fosse normale. Si era resa conto che le sensazioni che provava quando c’era Conan erano molto simili a quelle che provava con Shinichi. Forse era per il fatto che si somigliavano, sia nell’aspetto, che nel carattere, che nelle passioni.
Inciamparono un paio di volte, e per poco non si pestarono i piedi in un paio di occasioni, ma per il resto andò bene. Quando, però, si resero conto di essere stanchi e con le fronti imperlate di sudore, si fermarono. Ran si sedette sul letto, per far sì che i muscoli provati potessero rilassarsi. Anche se avevano ballato un lento, si sentiva stanca.
«Oh, quasi dimenticavo.» Conan si frugò nelle tasche dei pantaloncini, alla ricerca di qualcosa. Le ispezionò tutte, fino a tirar fuori ciò che cercava. Una scatoletta di plastica trasparente e quadrata, circa dieci centimetri di lato. Ran poteva già vedere cosa contenesse, ma la aprì. Prese in mano il piccolo bouquet, e lo esaminò entusiasta. Era uno di quelli che i ragazzi regalano alle loro damigelle il giorno del ballo, di quelli che si mettono al polso come bracciali. Quello che le aveva dato Conan aveva una fascia di seta bianca da avvolgere attorno al polso, delicata sulla pelle, ed era ornato da una bellissima, meravigliosa orchidea bianca spruzzata di rosa.
«Te la manda Shinichi», aggiunse Conan, mentre Ran continuava a rimirare il fiore da ogni angolazione. Quelle parole, però, catturarono la sua attenzione. Alzò lo sguardo, in direzione del ragazzino. «Dice che gli dispiace non essere potuto venire, che avrebbe voluto esserci. Avrebbe voluto darti il bouquet di persona, ma spera che basti affinché tu lo perdoni. Almeno un po’.»
Ran sbatté le palpebre: quello era un regalo di Shinichi?
«Tu come l’hai avuta?», chiese, curiosa. Potevano essersi incontrati, magari Conan sapeva dov’era Shinichi...
«L’ha mandata per posta. Per questo, ha preferito scegliere un fiore finto, perché non si rovinasse durante il viaggio.»
Ran accarezzò i petali dell’orchidea. Effettivamente, erano di stoffa
una stoffa talmente bella e ben lavorata che avrebbe ingannato chiunque.
Conan sorrise. «Ha detto di aver scelto l’orchidea per via del tuo nome», aggiunse, mentre si avviava verso la porta. «Sai, si è messo a raccontarmi un sacco di cose sulle orchidee: lo sapevi che prendono il nome da un tale Orchide? Il mito racconta di questo ragazzo, a cui spuntarono due seni, e-»
«Okay, okay», lo interruppe Ran, scuotendo le mani. «Non ho bisogno di questa vostra roba da cervelloni, davvero.»
Conan sorrise. «Sì, scusa. Ma», aggiunse, «mi ha detto di dirti che nel Medioevo veniva usata per i filtri d’amore. Cosa credi che volesse insinuare?»
Ran arrossì violentemente. «I-io... non lo so proprio.»
Conan annuì, comprensivo. Poi, le rivolse un cenno di saluto. «Mi sa che vado a dormire», mormorò. «Tuo padre tornerà da un momento all’altro.»
«Oh. Certo.» Ran lo salutò, augurandogli la buona notte.
Si stese sul letto, gli occhi rivolti al soffitto e l’orchidea tra le mani. Ne accarezzava i petali setosi con le dita affusolate e pallide, godendosi la sensazione della stoffa sotto le dita. Suo malgrado, si lasciò sfuggire un sorrisetto.

Filtri d’amore, eh?

 

 

 

 

 

 

Note e angolo autrice.   Ma salve! Quanto tempo che non scrivevo qualcosa per questo Fandom. Più di un anno, credo, anche se sono sembrati secoli. Non ricordavo quanto mi mancasse scrivere su Detective Conan finché non ho iniziato a scrivere questa one-shot.
Che dire, di questa storia? Ah: innanzi tutto, partecipa al contest “Maratona di ballo ShinRan”, indetto dallo Shinichi e Ran Official Italian Fan Club. Ho delle avversarie molto toste
autrici che seguo dai tempi in cui ancora bazzicavo nel DCF, e verso le quali provo incredibile ammirazione ma ho molta fiducia nella mia piccola creazione. Ho adorato scrivere questa storia, davvero. E’ stato bellissimo scrivere ancora per questo Fandom, di cui avevo una nostalgia incredibile. E’ bello essere tornata a casa. ~
E, che altro? Spero che la storia vi sia piaciuta. Lo spero davvero tanto. E spero anche di avere qualche idea per tornare a scrivere su DC. Ho dato tanto a questo Fandom, ma se ho smesso un anno e mezzo fa è stato per mancanza di idee, non per altro. Vorrei poter essere fiduciosa in un ritorno. Intanto, scaldo i motori. A presto, quindi. O almeno, spero.

 
[Il mito citato da Conan è, appunto, quello di Orchide: un ragazzo a cui spuntò d’improvviso il seno e che, da quel momento, nonostante fosse un maschio, vide il suo corpo svilupparsi come quello di una ragazza. Questa sua ambiguità sessuale lo portava ad essere evitato sia da maschi che da femmine, e per la disperazione si suicidò. Nel luogo della sua morte, nacquero dei fiori bellissimi, le orchidee appunto, ognuno unico nel suo genere ma comunque bellissimo. Nel Medioevo venivano effettivamente utilizzare per le pozioni d’amore, in quanto si credeva riuscissero a sventare le sciagure dell’uomo. E’, inoltre, simbolo di armonia e perfezione spirituale.]

   
 
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