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Autore: La Figlia Della Luna    18/07/2014    1 recensioni
«Per il professore Marioli era importante che si sviluppassero i cinque sensi. La pensava più o meno come me, con la differenza che, applicavo questo canone anche in amore. E forse, con quel ragazzo aveva funzionato.»
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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«Dai, vieni alla festa» mi disse Marco al telefono.
«Non lo so, domani devo svegliarmi presto…» Quella sera ero indecisa. Non potevo permettermi di uscire di casa. Il giorno dopo avrei avuto una lezione di cucina davvero importante e, oltretutto, mi sarei dovuta alzare alle cinque e mezzo del mattino.
«Valentina, ti prego. Non saprei a chi chiedere di accompagnarmi, dopo. Ho notato anche una ragazza davvero carina, sai?» Il mio migliore amico cercò in tutti i modi di persuadermi. Avrebbe tirato in ballo l’argomento ragazzi se fosse stato necessario, magari ricordandomi quante opportunità avrei potuto perdere se non avessi colto l’occasione di incontrare la persona giusta per me. Marco sapeva bene come fossi fatta, sapeva quanto fossi complicata nelle mie scelte, cosa mi piacesse e cosa non mi attirasse di una persona. Questa, se non corrispondeva alle mie preferenze, per quanto potesse possederne anche solo una, l’accantonavo all’istante. Lo so, potrebbe sembrare cattivo il mio modo di fare, ma sono difficile. Nessuno mi faceva girare la testa come avrei voluto io. Nella scuola di cucina che frequentavo, molti ragazzi mi venivano dietro come delle calamite. Alcuni erano davvero carini oggettivamente, ma bastava un piccolo particolare del loro carattere o dell’aspetto fisico che non andasse, che non appagasse i miei sensi, che subito li piantavo in asso. Non gli davo in alcun modo speranza che potessero avvicinarsi a me.
«Allora, Valentina, cosa hai deciso?» Chissà per quanto tempo Marco aveva torturato il mio orecchio destro, mentre vagavo con la testa e la cornetta alla mano. «Hai vinto, verrò con te» sospirai.
«Grazie Valentina, ti devo un favore!» esclamò «Ti passo a prendere fra venti minuti!»
«D’accordo, però preferirei che non facessimo troppo tardi al ritorno» mi raccomandai.
«Va bene tesoro, a dopo!» Riattaccai, con l’incubo di come mi sarei potuta vestire per la festa.

Arrivammo al locale. Non sapevo neppure chi fosse il festeggiato. Marco mi disse soltanto che la festa era stata organizzata da un conoscente di un suo compagno di classe, e che aveva avuto la classica soffiata che ci sarebbe stata anche la ragazza che gli interessava. Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che parlare di questa persona di cui non conosceva nemmeno il nome. Mi disse che non si era mai sentito così innamorato. L’aveva vista solo due giorni prima nel cortile della scuola, durante l’ora di ginnastica. Non che fossi gelosa del nostro rapporto di amicizia, anzi, lo invidiavo per come potesse essere attratto da una persona così facilmente, perché io non ci riuscivo. Ero così fatalista da temere che non mi sarei mai innamorata di un ragazzo così, di punto in bianco. Se solo non avessi mai provato quella paura, quella sera, a quella festa, avrei pensato che il mio migliore amico non avesse avuto tutti i torti.

Mi sedetti ad un tavolino, invece Marco si gettò sulla pista e si mise alla ricerca della ragazza senza nome. Ci fu un istante in cui mi voltai, adocchiando qua e là corpi ammassati che si muovevano senza alcuno stile, a parte uno. Un ragazzo alto più o meno un metro e ottanta, capelli scuri sistemati in treccine e una fascia nera che gli contornava il capo. Indossava abiti larghi, una felpa bianca e un paio di pantaloni molto scuri, dei quali non riuscii a definire il colore. Le luci sulla pista confondevano la mia vista e non solo. Rimasi imbambolata per i tre minuti consecutivi ad osservare le movenze di quello sconosciuto. Queste andavano in simbiosi perfetta con il ritmo della canzone. Sapeva bene come lasciarsi trasportare dalle vibrazioni che inondavano la sala. Mi sentii mancare quando riuscii a scorgere il suo viso perlato di sudore. Tra l’oscurità e la luce ad intermittenza notai soltanto dei lineamenti puri e un labret sul labbro inferiore. Salivai a quella visione.


* * *

Giunsi alla scuola di cucina in orario, con una gran confusione in testa. Non solo perché avevo fatto tardi alla festa, nonostante le raccomandazioni, ma anche perché non pensavo ad altro che a quel ragazzo. Avrei voluto tanto avvicinarmi a lui e chiedergli il suo nome, ma mi ero vergognata, ed inoltre era in compagnia di altre persone, non mi era sembrato il caso.
Intanto, mentre rimuginavo sulla situazione, col rimorso che avrei dovuto fare qualcosa la sera prima, poco a poco i miei compagni di corso entravano in aula, seguiti dal professor Carlo Marioli. Si diceva che fosse il migliore sulla piazza e che io, come alunna, mi sarei dovuta ritenere fortunata nel ricevere i suoi insegnamenti. Ed era vero. Perché oltre ad essere un bravo insegnante, era anche un ottimo chef. La sua didattica andava ben oltre il saper cucinare un buon piatto. Poteva trarvi da questo, non solo scienza ed arte, ma anche la filosofia della passione con cui lo si realizzava. Per il professor Marioli era importante che si sviluppassero i cinque sensi. La pensava più o meno come me, con la differenza che applicavo questo canone anche in amore. E forse, con quel ragazzo aveva funzionato.

«Ragazzi, prima di cominciare la lezione dovrei presentarvi un nuovo alunno» annunciò il professore, facendo segno di entrare, dall’altra parte dell’aula.
«Lui è Tom Kaulitz, viene da Amburgo ed è qui per un Erasmus di due settimane di cucina italiana, diamogli il benvenuto»
Appena vidi il nuovo arrivato, rimasi a bocca aperta.
Non potevo crederci, era lo stesso ragazzo che avevo visto alla festa!
Rimasi vittima di un mio flash back di lui che si muoveva su quella pista. Lui allargò un sorriso smagliante e salutò la classe in italiano, cadenzando un ciao.
«Valentina?» il professor Marioli richiamò la mia attenzione «Oggi lavoreremo in coppia, accoglieresti Tom come tuo partner?»
Temevo di non aver compreso bene la domanda. Mi guardai attorno per rendermi conto che fossi l’unica in tutta la classe a non avere un compagno con cui dividere i compiti della settimana. Tutti i miei compagni di corso attesero una risposta da parte mia.
«Certo, volentieri» dissi impacciata.
«Bene, so che conosci anche un po’ di tedesco, sarà facile per Tom collaborare con te» constatò il professore mentre il mio nuovo partner si posizionava al mio fianco.
«Hallo» mi sorrise e mi sciolsi, dopo avergli dato il benvenuto nella sua madre lingua. Tom si sorprese del mio accento impeccabile, e mi guardò con attenzione. Era così assorto che, non sapevo se lo facesse volontariamente, ma urtava ripetutamente con la lingua il labret alla bocca leggermente socchiusa.
Quella sensazione di vuoto e confusione si ripresentò, insinuandosi lentamente nella mia testa.

La lezione finì di lì a poco. Io preparai una torta alle nocciole davvero squisita. Tom fu velocissimo a provvedere agli ingredienti. L’osservai compiaciuta per come tostò e tritò le nocciole. Le sue mani erano uno spettacolo, quando le trattò secondo le istruzioni della ricetta: erano così delicate, accorte e allo stesso tempo molto decise. Sistemai un contenitore per sciogliervi il burro da unire allo zucchero e alle uova e Tom mi aiutò ad aggiungere la farina ed un pizzico di sale. Infine, aggiungemmo le nocciole tritate. Preparai anche la carta da forno in una teglia rotonda, per versarvi il tutto. Dopodiché, non rimase altro che cuocere la torta al forno a centottanta gradi per trenta minuti. Il risultato fu eccellente.

«Credo che sia tutto per oggi, avete fatto un ottimo lavoro ragazzi» il professor Marioli era sempre soddisfatto dell’impegno dei suoi studenti.
«Tuttavia, prima di fissare l’appuntamento per domani, ho da assegnarvi un altro compito da svolgere in coppia»
Io e Tom ci guardammo a vicenda decisamente sorpresi.

«Visto che avete dato il meglio di voi stessi, collaborando con il vostro partner, ho deciso di esaminarvi per selezionare la coppia migliore in grado di realizzarmi un menù a tema».
Un brusio di voci si levò nell’aula, e Tom alzò la mano per intervenire: «Quale è lo scopo di questa selezione?»
«La coppia scelta avrà l’opportunità di seguire uno stage estivo di cucina francese con il sottoscritto» rispose il professore, subito seguito da un’altra domanda da parte del suo nuovo alunno: «Quale sarà il tema?»
«A vostra scelta, avrete a disposizione una settimana per decidere le ricette ed allenarvi nella preparazione» il professore continuò a spiegare tutto nei minimi dettagli su come e dove avrebbe avuto inizio quest’esame. Non ero minimamente preoccupata di come sarebbe andato, se fossi stata selezionata o no. Quello che m'impensieriva più di tutto il resto, era dover affrontare la prova insieme a Tom. Lui era così bello e così bravo, come e con cosa avrei potuto competere? Sapevo già di non potermi esimere dalle decisioni del professore. Questo significava che lavorare con Tom sarebbe stato un vantaggio, ma allo stesso tempo un suicidio per i miei sensi. Temetti tremendamente di non poter resistere al suo fascino.


* * *

Passarono due giorni, e sperai che non finissero mai. Ero troppo agitata per incontrare Tom nel suo loft. Dopo che il professor Marioli ci ebbe assegnato il compito da svolgere in coppia, quel ragazzo si offrì di mettere a disposizione casa sua, per esercitarci e decidere insieme il menù a tema da preparare. Fu così carino nella sua richiesta che, come avevo previsto, non riuscii ad oppormi. D’altronde non avevo alcun motivo di rifiutare, rientrava nel mio dovere collaborare con lui. Ma se fosse avvenuto il contrario, Tom avrebbe ricevuto il terzo grado dai miei. Sarebbe stato troppo imbarazzante. Prima di presentarmi da lui, avevo fatto la spesa, ritrovandomi tre buste di carta alla mano.
Tom mi aprì la porta ridendo: «Suppongo che tu sia Valentina, nascosta dietro le confezioni di tagliatelle».
Che situazione imbarazzante. Secondo lui, forse avevo portato molta roba, senza sapere nemmeno cosa avrei potuto cucinare.
«Sì, sono io. Mi daresti una mano?» gli chiesi impacciata.
«Scusami, dai qui. Accomodati» Tom afferrò due buste di quelle più pesanti, guidandomi nella sua cucina.
Questa era due volte il salotto di casa mia.
«Molto accogliente»
«Già. Decisi che, se avessi affittato un appartamento come si deve, la cucina sarebbe dovuta essere lo spazio predominante» mi spiegò Tom, ispezionando curioso la spesa che avevo fatto.
«Mi sembra giusto» sorrisi, mentre osservavo la sua espressione buffa leggere la lista degli ingredienti.


Quattro confezioni di tagliatelle all’uovo. (1)

Due melanzane grosse

Aglio

Due barattoli d’olio (extravergine e di semi)

Polpa di pomodoro in scatola (x4)

Una scatola di zucchero e una di sale

Basilico

Besciamella

80 grammi di Grana

4 fettine di fontina


«Wow! Per caso avevi già in mente una ricetta quando hai comprato tutta questa roba?» mi chiese Tom imbarazzato.
Io nel frattempo, fui ammaliata da come le sue guance divennero leggermente rosee.
«Veramente no»
«Stai scherzando, vero?» mi guardò stralunato, lasciando la lista su un ripiano.
«No» ripetei, togliendomi la giacca.
Appena posai il mio soprabito, ricevetti fra le mani un grembiule. Tom indossava già il suo: «Prendi, spero che vada bene»
«Oh sì, grazie» presi il grembiule e lo annodai alla vita.
«Forse ho una ricetta che potremmo realizzare con quello che hai portato»
«Davvero?!» Tom, forse, capì che io ero un tipo da esperimenti culinari.
Era però anche necessario, che avessimo avuto una base dalla quale cominciare. Lo vidi sfogliare concentrato un libro di ricette, mentre si toccava ripetutamente il piercing con l’indice. Quel suo modo di fare per poco non mi mandò in estasi.
«Sì, l’ho trovata!» esclamò.
«Che cosa hai trovato?» chiesi incuriosita, mentre Tom adagiava il libro di ricette sul tavolo.
«Ti fidi di me?» proprio questo era il problema, se mi fossi fidata di lui sarebbe stata la fine. Non riuscivo a connettere per dirgli una frase di senso compiuto. Come potevo affidarmi alle sue buone intenzioni d’aspirante chef?
Quando Tom mi guardò per chiedermi conferma, i suoi occhi castani erano di una lucentezza disarmante.
«Sì» risposi, quasi ipnotizzata.
«Bene. Allora, tu taglierai le melanzane e cuocerai il sugo con quattrocento grammi di polpa, mentre io lesserò duecentocinquanta grammi di tagliatelle, preparando le singole porzioni con duecento grammi di besciamella, ottanta di Grana e le fettine di fontina, da gratinare al forno con le melanzane»
«D’accordo» rimasi a bocca aperta dallo stupore, ma solo per poco.
Non vedevo l’ora di cominciare, nonostante la praticità di Tom iniziò a spaventarmi.
Tagliai a fette le melanzane per poi friggerle in olio di semi abbondante, nell’attesa di poterle scolare sulla carta da cucina. Avevo soffritto l’aglio con un po’ d’olio in una padella, mentre con la coda dell’occhio osservavo Tom amalgamare bene la besciamella e il grana, da aggiungere al sugo che avrei dovuto preparare di lì a poco.
«Valentina, sono pronte le melanzane?» mi chiese asciugandosi le mani con uno straccio «Che buon profumo!» si avvicinò un po’ alla padella in cui stavo cuocendo il sugo. Poi di sua iniziativa vi aggiunse un pizzico di sale e qualche foglia di basilico.
«Le melanzane sono alla mia destra, Tom» lo avvisai, mentre cominciai a sistemare una placca da forno.
«Mi aiuti a fare le monoporzioni?»

«Certo, prima sistemo la base per le fette di fontina, e gratiniamo il tutto» gli dissi, accendendo il forno. Tom, nel frattempo, sistemò delle forchettate di tagliatelle ben cotte sulle melanzane. Queste crearono una specie di coppa, nella quale avemmo adagiato le sottilissime fette di fontina, e le riempimmo, infine, con cucchiaiate di sugo.
Tutto era pronto ed ero emozionata per il risultato che avevo ottenuto con lui.
«Oddio, Tom, sono venuti perfetti» sorrisi.
«Visto? Fidarsi di me è un bene»
Gli diedi un pugno affettuoso sulla spalla: «Adesso posso sapere come si chiama questa ricetta?» mi tolsi il grembiule stiracchiandomi leggermente.
Tom osservò me e il primo piatto che aveva davanti: «Gli Scrigni di Venere» (2)
«Ah…» esitai al suono della parola Venere. Mi riportò alla mente il sentimento da cui cercavo di mantenere sempre le distanze, ed anche al primo piatto che realizzai, all’inizio del corso di cucina.
Tom mi vide pensierosa e gli fu inevitabile chiedermi cosa avessi: «Non ti piace il nome?»
«Sì, anzi. E’ solo che mi è venuto in mente un antipasto che potremmo abbinare a questa prelibatezza» risposi alla sua domanda, non molto convinta. Anche perché io e Tom ancora non avevamo idee precise sul tema del menu da presentare all’esame.
«Qual è?» mi chiese lui, riponendo il suo libro di ricette.
«Ecco, si chiama Riso Venere al cocco e uvetta» (3) Tom mi ascoltava così attentamente, che quasi sembrava pendere dalle mie labbra quando gli spiegai come si faceva il contorno.
La ricetta era piuttosto semplice e sfiziosa. Si trattava soltanto di raccogliere del riso nero all’interno di alcuni bicchierini e servirlo spolverato di cocco, dopo averlo insaporito con l’uvetta e dei pinoli.
«Possiamo provare a fare questo piatto domani, che ne pensi?» mi chiese Tom accompagnandomi poco dopo alla porta: «Però questa volta, farò io la spesa» rise.
Io ascoltavo il suono della sua risata, pensando che non avrei mai potuto fare a meno di essere contagiata dalla sua allegria.
«Va bene, appena torno a casa t’invio la ricetta per e-mail» dissi.
Tom, di sua iniziativa, mi abbracciò per salutarmi.
Io mi strinsi debolmente al suo abbraccio. Ero sorpresa e anche senza fiato.
«Perfetto, a domani» Tom però esitò a chiudere la porta di casa: «Valentina?»
«Sì, Tom?» io ero ancora sulla soglia.
«E’ un piacere cucinare con te»
«Anche per me, oltre che un dovere» aggiunsi.
«Certo» dopodiché chiuse la porta e io rimasi per pochi secondi a fissarla.
Il giorno dopo sarei ritornata per trascorrere un nuovo pomeriggio in quella splendida cucina in compagnia del mio fascinoso partner.


Per i giorni seguenti, in orario pomeridiano, io e Tom ci davamo appuntamento nella sua cucina per sperimentare nuovi piatti. Quanto più tempo trascorrevamo insieme, tanto più ci trovavamo in sintonia con la preparazione del menu. Così avemmo modo di raccontarci questioni personali, in maniera naturale e spensierata. Magari davanti a un buon piatto di Involtini di Vitella alla Salvia (4), che Tom soprannominava Le Coccole: «Mi ricordano tanto quelle che faceva mia madre, quando ero bambino» mi raccontava, mentre inseriva con delicatezza due cubetti di mozzarella in un piccolo rettangolo di vitella. Poi con le sue mani delicate, lo avvolse, creando l’involtino: «Lei me li faceva mangiare sempre nei momenti di sconforto» continuava a ricordare, mentre io lo ascoltavo dolcemente.
Era così tenero: sia quando lavorava sia quando parlava. La sua voce così calda e soave mi provocava sensazioni indescrivibili. Cercavo di nascondergli in tutti i modi le emozioni strane che provavo in sua presenza. Mi chiedevo più volte come facessi a resistere. Tom stava diventando un’ossessione per i miei sensi. Minacciavo di esplodere d’attrazione verso di lui, da un momento all’altro.
«Assaggia» mi chiese, protendendo verso la mia bocca un cioccolatino.
Lo addentai lentamente e ne assaporai il gusto trattenendolo sotto il mio palato.
«Com’è?» mi leccai inconsapevolmente le labbra, mentre lui mi guardava nell’attesa che dessi un verdetto.
«E’ squisito, farà parte del dessert?»
«Sì, ma non so ancora come chiamarlo» mi rispose Tom, mangiando l’altra metà del cioccolatino.
Il colore del ripieno alle nocciole che vi mise richiamava quello intenso e ambrato dei suoi occhi.


Calò la sera, preannunciando la conclusione di un’altra giornata d’inteso lavoro. I piatti che avevo sperimentato con Tom venivano sempre meglio. Più ci esercitavamo, più diventavamo veloci e preparati per l’esame che avremmo svolto l’indomani.
Restò un unico problema da risolvere: nominare il menù.
Io e Tom credevamo che cucinare e inventare fosse stata la parte del nostro lavoro, quella più difficile. Invece, ci rendemmo conto del contrario. Passammo svariati minuti a leggere più volte, la lista dei piatti fatti, senza venirne a capo. Inoltre, Tom non sapeva ancora come nominare il dessert, finché bevendo un bicchiere di vino bianco, che offrì anche a me, sussurrò fra sé: «Romanticismo»
Guardai il fuoco ardere a scintille fra la legna, in un caminetto del salotto, senza comprendere cosa avesse voluto dire.
«Romanticismo» ripeté, mentre io rischiavo di rimettere il vino appena ingerito.
«Valentina, tutto bene?» Qualunque parola che avesse a che fare con i sentimenti mi spaventava. Le stesse pronunciate da Tom, poi. Avevo l’ansia anche solo sentendolo respirare: «Sì, tutto bene, tranquillo» cercai di non farlo preoccupare.
«Menù Romanticismo, credi che suoni bene?» mi chiese Tom, mentre osservavo la lista delle ricette:


Riso Venere al cocco e uvetta (antipasto) (5)

Gli Scrigni di Venere (Primo Piatto)

Le Coccole di Vitella alla Salvia (Secondo Piatto)

Cioccolatini Ripieni (Dessert) (?)


Dannazione! Tom aveva centrato a pieno il tema. Se avesse detto Amore, sarei svenuta. Però non potevo dargliela vinta per l’idea. Desiderai a tutti i costi un altro nome.
«Sentiamo, tu cosa ne sai del Romanticismo?» gli chiesi con l’intento di fargli cambiare opinione.
«Credi che, portando il nome del santo patrono degli innamorati, tu lo conosca meglio di me» Tom mi sorrise malizioso, facendomi cadere nella trappola che io stessa avevo preparato per lui. Poi si avvicinò ad uno stereo, facendo partire un lento.
«Cosa fai?» mi prese le mani e mi fece alzare.
«Chiudi gli occhi e segui me»
Tremai tutta, quando mi feci lentamente guidare da lui: «Tom…»
«Rilassati e ascolta la musica» le mie braccia gli circondarono il collo; mi muovevo lentamente.
Stavamo ballando, quando Tom delicatamente posò la sua fronte sulla mia. Potevo sentire il suo respiro sul mio viso.
«Romantiche sono le dolci parole sussurrate…» disse lui, mentre avvicinava le sue labbra al mio orecchio «… romantiche sono le mani che si stringono, l’una all’altra…»
Feci un giro di danza. Le dita della sua mano sinistra s’incastrarono con quelle della mia mano destra.
«… romantici sono gli sguardi, per ammirare un sorriso innamorato…»
Senza volere curvai verso l’alto le mie labbra, mentre le note della musica mi cullavano, portandomi in un’altra dimensione.
Volevo aprire gli occhi, ma un sapore salato avvolse la mia bocca:
«… romantico è il gusto del desiderio di un incontro d’amore.»
Ricevetti un suo bacio. Finalmente i miei occhi poterono incontrare quelli dolci di Tom che accolse fra le mani le mie guance:
«Sei bellissima quando arrossisci, lo sai?»
«Oh Tom, io...» piansi dall’emozione.
Non sapevo cosa dirgli, ma di una cosa fui certa: mi stavo innamorando del mio partner.
Tom si avvicinò di nuovo al mio profilo, bagnato dalle lacrime: «Credo di provare qualcosa per te, Valentina» mi confessò, ed io non me la sentii di ricambiarlo. Temevo di mandare all’aria il rapporto che avevamo istaurato cucinando assieme: «Tom, io devo andare…» ero molto confusa in quel momento. Il mio unico pensiero lucido fu quello di prendere le mie cose e tornare a casa: «Ci vediamo domani mattina per la prova»
Con che coraggio il mattino dopo avrei potuto rivedere il suo viso?
«Valentina, aspetta!» esclamò Tom, mentre gli chiusi la porta d’ingresso in faccia.
Piansi ancora. Capii che l’unica persona che avrebbe potuto leggere il mio cuore e l'anima, fosse soltanto lui.
Non volevo che accadesse. Tom fu in grado di scoprire la mia più grande paura: l’amore.


***

Il mattino dopo mi recai nell’aula del corso di cucina, in perfetto orario. Cercai di dimostrarmi meno sconvolta della sera prima. Fu davvero difficile, perché avrei dovuto in ogni caso incontrare Tom al mio bancone, per sostenere l’esame. Nonostante fossi agitata, ricordai tutte le ricette a memoria che io e lui avevamo cucinato insieme.
Il professor Marioli fu puntuale e si presentò in aula con una piccola commissione che avrebbe esaminato ogni singola coppia. Erano tutti presenti, ma di Tom non c’era alcuna traccia. Passavano i secondi, poi i minuti, prima dell’inizio della prova. Una delle mie compagne di corso si avvicinò al mio bancone:
«Valentina, mi è stato detto di sostituire il tuo partner oggi per la prova. Il professor Marioli si chiedeva se tu avessi tutto ciò che ti serve per sostenerla, nonostante lui sia assente»
Non potevo credere alle mie orecchie: «Sì, ho tutti gli ingredienti, ma perché non è qui?»
L’ansia mi pervase.
«Ha anticipato la partenza per Amburgo, per problemi personali» mi spiegò la ragazza dandomi un foglietto: «Ho trovato questo nel mio armadietto, questa mattina. Credo che qualcuno me l’abbia messo per sbaglio, porta il tuo nome»
Guardai lei e contemporaneamente il biglietto che riconobbi, come la lista del menu che avrei dovuto organizzare con Tom. Era sempre la stessa con una nuova annotazione:

 
  1. Baci di cioccolato (Dessert) (6)

Tom aveva finalmente trovato un nome per l’ultimo piatto.
Capii tutto o forse niente, ma l’unica certezza che avevo era di raggiungerlo prima che partisse per la Germania.
Uscii dall’aula di corsa, abbandonando tutti. Sapevo in cuor mio che di quel gesto estremo non me ne sarei mai pentita.

Arrivai sotto casa sua in mezz’ora, ma aveva lasciato il loft già da venti minuti. La sua vicina di casa molto gentilmente mi disse quale sarebbe stato l’orario preciso in cui Tom avrebbe preso l’aereo. Cronometravo e osservavo ossessionata l’orologio, prendendo un autobus di linea, che mi avrebbe portato direttamente all’aeroporto.
Ero senza fiato, ma mi spaventava di più perdere per sempre Tom, che morire senza ossigeno nei polmoni. Giunsi a destinazione, guardando con affanno il tabellone dei voli in partenza. Mancavano quindici minuti, prima che Tom potesse imbarcarsi e tornare a casa. Correvo nell’aeroporto fra le sale d’aspetto e le scale mobili. Trovai il luogo in cui lui avrebbe potuto fare il check-in. Decisi di urlare il suo nome, con la speranza che mi potesse sentire:
«Tom!» esclamai, chiedendo a chiunque dove potesse essere. Nessuno sapeva dirmi nulla, finché una donna non m'indicò un ragazzo dai corn-row neri fare la coda al check-in, che portava con sé due bagagli.
«Tom!» urlai ancora.
Questa volta riconobbe la mia voce, ma non riuscì a vedermi: «Valentina!»
«Sono qui, Tom!» agitai le mani per farmi notare.
Ci riuscii, e lui cercò di farsi spazio fra la folla. Io, nel frattempo, provai con tutte le forze ad avvicinarmi a lui il più possibile.
«Tom…» sospirai agitata.
«Valentina, che ci fai qui?» mi chiese afferrandomi per un braccio. Mi guardò sorpreso.
«Non andare via» Lo pregai. Avevo il bisogno di vederlo. Volevo che restasse.
«E l’esame?»
«Non m’interessa, io voglio te» un secondo dopo, Tom mi tenne stretta fra le sue braccia.
Dopo tanto tempo, non avrei creduto di potermi sentire al settimo cielo. Ero fermamente convinta che lui fosse la persona giusta per me, proprio quella che Marco mi aveva sempre augurato di trovare.
«Ti amo, Tom»
«Ti amo anche io dal primo momento che ti ho vista, ho voluto tantissimo che tu fossi la mia compagna di studi» mi disse lui, baciandomi ripetutamente.
«Davvero?» Non riuscivo a crederci, possibile che fosse destino incontrarci?
«Sì» Tom non ne volle sapere più di lasciarmi, tanto da perdersi il momento dell’imbarco. Il tempo scadde quando l’alto parlante annunciò la partenza del suo volo.
«Allora credo che io debba confessarti una cosa» raccontai a Tom l’episodio della festa, che fu il principio, di quello che accadde fino a quel medesimo istante, in aeroporto.
Presi consapevolezza del fatto che anche la persona più scettica, dai gusti difficili, dal fatalismo sentimentale e dalle paure più sciocche, come ero io, aveva ora l’occasione di amare. Fui baciata dal sentimento più bello mai provato prima per una persona che avrebbe ricambiato e mi avrebbe fatto battere il cuore per tutta una vita…

Tom sarebbe stata per sempre quella persona.

 
(1) Parodi Benedetta, Benvenuti nella mia cucina, Vallardi, Milano, 2010, pp. 114-115.
(2) Ivi, Ibid.
(3) Parodi Benedetta, Cotto e mangiato, Vallardi, Milano, 2009, pp. 210-211.
(4) Ivi.
(5) Ivi.
(6) Parodi Benedetta, Benvenuti nella mia cucina,...pag. 119.
   
 
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