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Autore: InuAra    18/07/2014    12 recensioni
ULTIMO CAPITOLO ONLINE!
Con due bellissime fanart di Spirit99 (CAP. 4 e 13)
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Cosa succede se il mondo di Ranma incontra il mondo di Shakespeare? Rischia di venirne fuori una storia fatta di amori, avventura, amicizia, gelosia, complotti. Tra fraintendimenti e colpi di scena, ne vedremo davvero delle belle!
DAL CAPITOLO 2
Ranma alzò lo sguardo verso il tetto. “Akane. Lo so che sei lì” “Tu sai sempre tutto, eh?” A Ranma si strinse il cuore. Ora che era lì, ora che l’aveva trovata, non sapeva cosa dirle. Soprattutto, non poteva dirle nulla di ciò che avrebbe voluto. “Beh, so come ti senti in questo momento” “No che non lo sai” “Si può sapere perchè non sei mai un po’ carina?” “Ranma?” “Mmm…”  “Sei ancora lì?” “Ma certo che sono qui, testona, dove pensi che vada?” Fece un balzo e le fu accanto, sul tetto. “Sei uno stupido. So benissimo che sei qui perchè te l’ha chiesto mio padre” “E invece la stupida sei tu”, si era voltato a guardarla, risentito e rosso in viso, “E’ vero, me l’ha chiesto, ma sono qui perchè lo voglio io! Volevo… vedere come stai…ecco…”
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Image and video hosting by TinyPic  Fan Art di Spirit99 – Capitolo 2
 

 
My bounty is as boundless as the sea,
My love as deep; the more I give to thee,
The more I have, for both are infinite.
 
Uno slancio sconfinato come il mare,
così è il mio amore; più te ne riesco a dare
più ne possiedo, perchè entrambi sono infiniti.
 
 
Romeo and Juliet – William Shakespeare


 
 
Era dura ammetterlo, ma Ryoga se la stava vedendo davvero brutta.
 
Nella luce del tramonto a malapena riusciva a schivare i pugni e i calci di Ranma, il cui sguardo cupo e il volto inespressivo sembravano quelli di un demone assetato di vendetta.
 
Gli si era avvicinato pochi minuti prima, mentre stava accudendo i cavalli nelle stalle e vedendoselo arrivare così insolitamente terreo, l’aveva apostrofato: “Amico mio, hai davvero una pessima cera!”
 
Il codinato non se l’era fatto ripetere due volte.
 
“Ho bisogno di sfogarmi, Ryoga… Fatti sotto!”
 
Una richiesta d’aiuto, questo gli era sembrata, anche piuttosto urgente.
 
E al contempo un tono di sfida, come era tipico di quel maledetto strafottente del suo ‘padrone’.
 
Come tirarsi indietro?
 
Si era fatto sotto, appunto, contento di potersi concedere alla fine di quella giornata un bell’allenamento di arti marziali, che erano la sua vita, al di là delle sue mansioni di servitore.
 
Ma aveva capito ben presto che quello non era un allenamento qualunque, e che l’energia che sprigionava il suo compagno era tinta di una rabbia incontenibile e pericolosa.
 
 
***
 
 
Rabbia, rabbia, rabbia!
 
Ecco cosa provava ogni cellula del suo corpo, in procinto di scoppiare.
 
“Akane-san, non credo che questo sia il momento di…”
 
“E invece è arrivato proprio il momento di sfogarsi, Ukyo, non ce la faccio più”
 
La giovane ancella sorrise mesta, mentre si guardava intorno per appurare che non ci fosse nessuno, convinta che una principessa non avrebbe mai dovuto trovarsi da sola in quell’enorme salone adibito ai rari allenamenti di Soun-sama, ma ben sapendo che era il solo modo che avrebbe restituito la calma alla sua padrona.
 
La vide prendere il fantoccio di paglia che era solita colpire nei momenti di rabbia, ma poi fermarsi di colpo.
 
Le mani bianche e sottili della principessa indugiarono qualche secondo sul codino posticcio che era stato applicato con degli spilloni al fantoccio.
 
Ah, già, quel buffo pupazzo fungeva da sostituto di quell’altro scalmanato, e la principessa lo colpiva a profusione quando era arrabbiata con lui e non ce l’aveva tra le mani.
 
Ordinaria follia in quel rapporto fatto di baruffe e complicità.
 
Akane, sovrapensiero, accarezzò quel codino e in un unico gesto fluido lo staccò, lo portò alle labbra e lo baciò, per poi lasciarlo scivolare accanto allo yukata che si era tolta per combattere meglio.
 
Ukyo sospirò bonaria, intuendo da quei gesti molto più di quello che la stessa Akane non sospettasse.
 
Al contrario, si era già messa a tempestare di calci - uno più violento dell’altro - quello che era ora il perfetto simulacro di quel borioso di Kuno Tatewaki.
 
 
***
 
 
La velocità con cui lo attaccava era pari solo alla precisione con cui gli assestava i colpi, che prontamente riusciva a parare.
 
Ma ce l’avrebbe fatta ancora per molto?
 
La lotta si era dipanata tra i vialetti che circondavano il palazzo, per poi passare repentinamente ai tetti delle stalle, e vederli quindi atterrare come felini nell’arena dei cavalli e di nuovo balzare su un albero o una palizzata.
 
Tra un colpo e l’altro Ranma si era sfilato la casacca, in un gesto sgraziato, come per liberarsi dalle spire di un serpente in atto di soffocarlo.
 
Ed ora era a petto nudo.
 
Il sudore cominciava a imperlare i tendini e i muscoli, che si tiravano e si contraevano come in una danza ferina e implacabile. 
 
Ryoga non ci mise molto a capire che, istintivo che fosse, quello era un gesto molto chiaro, che Ranma aveva fatto come a voler tornare a uno stato di natura primordiale, spoglio di ogni legame con la società e le sue regole, a partire dagli indumenti che gli attribuivano un ruolo ben preciso.
 
“Ti sei distratto!”, lo fulminò Ranma assestandogli una cascata di pugni sul petto.
 
“Dannazione Ranma! Che diavolo stai facendo?!”
 
Ryoga tentava di riprendere fiato, asciugandosi il mento col dorso della mano.
 
“Non ce la faccio più! Maledetto Kuno…”
 
I colpi non accennavano a diminuire, anzi, si facevano più rabbiosi e disordinati.
 
“Kuno?! Ma che stai dicendo? Ranma, vuoi farti sentire?!”
 
“E chi cavolo potrebbe sentirmi?! Siamo lontani dall’ala nobile del palazzo, l’unica che quel bellimbusto e gli altri si degnano di frequentare…”
 
“Ho capito, ma…”
 
“Basta!”, il pugno arrivò più sonoro del previsto, ma il ragazzo con la bandana non gli diede la soddisfazione di soccombere.
 
“Sono stufo di stare attento a come parlo, a come mi muovo, a non farmi notare, a non… reagire!!”
 
“Ranma, capisco che le cose stiano cambiando qui a palazzo, e la situazione non è facile… Ma stanno cambiando per tutti…”
 
Intanto schivava un calcio abbassandosi e facendo perno sul terreno con una mano, tentando di ricambiare il favore, ma con scarso successo. Era forte quasi quanto lui eppure non riusciva a stargli dietro.
 
“Già, stanno proprio cambiando, non me n’ero accorto! Stanno cambiando così tanto che non riesco a sopportare come… sì, insomma… Non riesco più a sopportarlo!... Dannazione, la guarda con certi occhi!... E poi suo padre… Io vorrei dirgli che… Ma non posso! Come potrei?! Dopo tutto quello che ha fatto per me! E quel maledetto le ha messo le mani addosso, capisci?! E io che dovevo fare? Te lo dico io… Spaccargli il muso!”
 
“Ma di che diavolo stai parlando, Ranma?!”
 
Lo stupore gli doveva aver restituito un po’ di forza, o forse era stato quello sproloquio sconnesso ad aver indebolito il rivale, sta di fatto che Ryoga riuscì a bloccare Ranma serrandogli con mani ferme le spalle e fissandolo negli occhi senza dargli scampo.
 
“Di che diavolo. Stai. Parlando”
 
Il gesto dell’amico l’aveva di colpo riportato alla ragione, ma la sua testa era vuota.
 
Un solo nome rimbombava martellante.
 
“Akane…”
 
Solo un sussurro, venato di un sommesso tono colpevole.
 
 
***
 
 
“Ranma!...”
 
Era seduta a terra, lo yukata un po’sgualcito di nuovo addosso, la schiena contro la parete di legno e le gambe lunghe e rilassate in una posizione che di composto aveva ben poco, mentre ancora col fiatone si rivolgeva all’amica.
 
Le sue mani si muovevano da sole risistemando al suo posto il buffo codino di paglia.
 
“Ranma era lì, capisci? Speriamo che non abbia sentito quell’inutile conversazione con quel… quel…”
 
“Col vostro fidanzato, Akane-san…”
 
“Aargh! Non chiamarlo così, ti prego! Mi prudono le mani solo a pensarci! E se Ranma avesse sentito? Mi sento così… così… confusa…”
 
“E invece a me pare tutto molto chiaro…”
 
“Che cosa? Che cosa ti sembra chiaro, Ucchan?!”
 
Il tono era quasi implorante, e Ukyo non potè fare a meno di provare tanta tenerezza e una grande empatia per la sua signora.
 
Lei che aveva faticato ogni giorno della sua vita, lei che aveva dovuto rimboccarsi le maniche da quando era bambina, sì, lei, si sentì improvvisamente tanto più forte della sua padroncina i cui occhi da cerbiatta la scrutavano smarriti.
 
Sorrise confidente.
 
“Beh, secondo me, ragazza mia… Oh, no, scusate principessa, non so come mi sia uscito!...”
 
Ma l’effetto che ottenne fu che l’espressione tesa di Akane si sciolse in una risatina inaspettata.
 
“Ah ah! Ma no Ukyo! ‘Ragazza mia’ va benissimo! Continua, ti prego…”
 
“Sì, cioè… dicevo… secondo me si tratta di… amore…”
 
Fu un attimo e la principessa divenne del colore del suo nome: rosso scuro profondo.
 
“A-amore, dici?... Ma in che senso?... Cioè, non penserai che quell’odioso di Kuno…”
 
Ma non riusciva a darla a bere nemmeno a se stessa.
 
“Akane-san, sapete benissimo a chi mi riferisco…”
 
Ukyo la stava inesorabilmente mettendo alle strette.  Tanto era imbarazzata la principessa quanto era calma l’ancella.
 
“A-ah s-sì?!”
 
“Ma certo. Di quello sconsiderato che vi trascina sui tetti. Di quel fannullone che vi riempie la testa di storie. Di quell’irrispettoso che vi parla come a una sua pari e che vi fa infuriare un giorno sì e un giorno no. E che per voi darebbe la vita anche ora. Del vostro Ranma, insomma”
 
Già, era vero. Quello era proprio il ‘suo’ Ranma.
 
Si arrese del tutto.
 
“Sì, proprio lui”, confessò più a se stessa che alla ragazza.
 
 
***
 
A Ryoga era andata via la parola.
 
Semplicemente non capiva.
 
Non riusciva a capire.
 
Dopo un tempo che parve a entrambi interminabile riuscì solo a biascicare: “C-che intendi dire?...”
 
“Lo so, lo so Ryoga! So che io non sono nessuno… e poi non ho alcun diritto di… Ma… Maledizione! Io non posso fare a meno di lei! L’unica cosa che desidero è starle accanto!… E saperla felice e… Quando ho sentito suo padre prometterla a Kuno, e lei si è messa a piangere… io… è diventato tutto così chiaro! E… e maledettamente doloroso”
 
“Ranma, vuoi dire che tu la… la ami?!...”
 
Aveva una tremenda paura della risposta, anche se ormai aveva capito, oh se aveva capito…
 
“Sì”
 
Era riuscito a dirlo.
 
Quanto gli era costato riuscire a parlare, a tirare fuori tutte quelle parole che aveva inghiottito per giorni, a quanto pare per anni…
 
Ma poi rispondere a quella domanda si era rivelato improvvisamente così giusto e naturale, che quel ‘sì’ era stato calmo e diretto, sicuro, forte.
 
Sì. L’amava. Niente di più semplice.
 
“M-ma… ma lei è la tua principessa!”
 
Ranma strinse i denti.
 
“Lo so, dannazione lo so! Non ho bisogno che me lo ricordi!”
 
“Tu… non puoi… non devi…”
 
Quelle parole affiorarono alle labbra di Ryoga in un automatico moto di senso del dovere, ma quando si fecero suono assunsero un tono che non avrebbe convinto nemmeno chi le stava pronunciando.
 
E come avrebbero potuto?
 
In tutta la sua vita non avrebbe mai pensato di vedere quel suo  amico, quel suo compagno, quel suo ‘padrone’… quel Ranma-pieno-di-sé-dalle-mille-risorse che aveva sempre conosciuto, sconfitto dalla dura realtà.
 
Proprio non lo sopportava.
 
“Lo so bene, amico…”
 
Si era arreso, ormai ridotto a un involucro completamente svuotato.
 
 
***
 
 
Era ormai buio fuori.
 
Il tempo passato a confrontarsi con un’amica scorre a una velocità del tutto arbitraria, e ad Akane era parso fossero trascorsi solo pochi minuti da quando aveva cominciato a raccontare a Ukyo di ogni sfumatura del suo cuore in subbuglio, inondandola di supposizioni, lacrime, sorrisi, abbracci.
 
“Ma tu…”, si fermò di colpo, “tu come sai che questo è ‘amore’?”
 
Era una domanda innocente e realmente curiosa, ma Ukyo arrossì di colpo.
 
Reazione immediata e più che naturale dal momento che il pensiero era subito corso a delineare nella sua mente un paio di occhi grigioverdi, un sorriso accattivante, braccia forti e rassicuranti e una fascia giallo ocra immersa in folti capelli neri…
 
“Ehm… credo di saperlo, tutto qui”
 
“Credo di saperlo anch’io adesso… Sì, so cosa devo fare!”
 
Vedendo la sua signora alzarsi di scatto improvvisamente più sicura, la giovane ancella si riscosse.
 
“Akane-san, cosa…?”
 
“Grazie Ukyo, grazie davvero”
 
Un abbraccio forte e sentito, anche da parte di Ukyo, che pure, a parole, timidamente cercava di rimanere l’ancella di buon senso che era.
 
“Mia signora… non dovete… voi siete una principessa… vi caccerete nei guai…”
 
“Lo so”
 
La guardò negli occhi con un sorriso di sfida.
 
“Lo so, Ukyo, e non credere che non abbia paura anch’io. Ma se non lotto non posso vincere, no?”
 
E senza che la ragazza potesse ribattere lasciò la stanza.
 
 
***


Era sera inoltrata ormai, e lui amava a quell’ora aprire quasi di nascosto la porta scorrevole che dalla sala grande dava sul giardino, sedere su alcuni semplici cuscini e guardare le stelle farsi via via più luminose e il cielo via via più nero.
 
Era l’unico momento che rubava alle sue giornate, le candele spente, la pipa accesa, i ricordi liberi e la mente silenziosa.
 
Soun Tendo.
 
Non un principe dalle mille responsabilità. Non un padre. Non un vedovo. Non un uomo sposato con una donna forse troppo più giovane di lui.
 
Se ne stava lì, in attesa di farsi trovare dalle risposte delle domande che non osava farsi.
 
E una risposta quella sera arrivò.
 
Sotto il nome di Ranma.
 
 
***
 
 
Al ritmo dei suoi pensieri, anche i passi si erano fatti più spediti e ora Akane stava correndo, desiderosa di raggiungere il padre, parlargli col cuore in mano, quel cuore che aveva avuto finalmente il coraggio di guardare dritto negli occhi, se mai un cuore ne avesse avuti.
 
Suo padre stava sempre lì a quell’ora, non poteva sbagliarsi. Stava quasi per raggiungerlo sbucando alle sue spalle da un corridoio, quando qualcosa la fece arrestare di colpo.
 
Un nome.
 
Ranma.
 
 
***
 
 
Soun lo intravvide appena, mentre si trascinava, lo sguardo perso nel vuoto, tra i cespugli scuri del giardino.
 
“Ranma, ragazzo mio!”
 
“M-mio signore!”
 
Come aveva fatto a non accorgersi della presenza di Soun-sama? Come era arrivato fin lì? Ma soprattutto, ce l’avrebbe fatta a mascherare il suo turbamento?
 
“Che piacere averti qui, figliolo. Vieni, siediti. Che ci fai in giro a quest’ora?”
 
“Riflettevo, mio signore”
 
“E su cosa, se è lecito?”
 
“Sulla vita e sul suo tempismo crudele”
 
“Hai proprio ragione, ragazzo, la vita sembra davvero aspettare il momento giusto per colpire... Ne so qualcosa…”
 
Ranma lo guardò. I suoi occhi lontani erano come eternamente in procinto di riempirsi di lacrime, eppure restavano asciutti. Il volto era segnato dal tempo e il sorriso appena accennato era di una dolcezza disarmante.
 
Quell’uomo era stato un padre per lui. Un padre giusto, che andava rispettato.
 
Sospirò.
 
“Però, ricorda anche che quella stessa vita può stupirti quando meno te lo aspetti, regalandoti la felicità che cerchi. Devi saperla cogliere”
 
“…”
 
“Akane”
 
Il respiro gli si mozzò in gola.
 
“Akane”, continuò Soun, “sarà sempre la mia bambina, anche se ora non capisce le mie decisioni”
 
Lo sguardo si era fatto più grigio e la voce più triste.
 
“Mio signore…”
 
Perché era tanto dura trovare quelle parole?
 
“Vostra… vostra figlia è molto intelligente, lei sa bene cosa muove le vostre decisioni, ma vuole essere lei a decidere…”
 
“Ragazzo, pensi che non conosca mia figlia?”, la voce gli si era intenerita, eppure Ranma rabbrividì.
 
“Lo so bene. Ma lei è la mia unica erede… e io non vivrò per sempre”
 
Quanto dolore racchiudevano quelle parole.
 
“Vostra figlia sarà una principessa giusta e capace”
 
“Ma non può farcela da sola. Nella vita abbiamo tutti bisogno di avere qualcuno accanto…”
 
*Ma ha me, dannazione!*
 
“… e io voglio assicurarmi di lasciarla in buone mani. Ti sembra chiedere troppo per un padre?”
 
Il suo sguardo implorava una tacita assoluzione.
 
E a Ranma mancò il coraggio e si odiò per questo.
 
“No, mio signore”
 
“Ragazzo mio”, sorrise Soun, “siete cresciuti insieme, so bene che per te la piccola Akane è come una sorella, ma non devi difendere ogni suo capriccio”
 
“Sì, come dite voi…”
 
La sua voce era calma, ma chi avesse avuto un orecchio attento avrebbe potuto definirla ‘assente’.
 
“Vostra figlia è come una… sorella per me, e io voglio solo il suo bene. Se il suo bene significa sposare Kuno-san o chiunque riteniate opportuno per lei, non posso che esserne felice”
 
Fu appena un lampo. Un brillìo giallo ai margini del suo campo visivo.
 
Era un gioco di luce, o era stoffa gialla, quella che aveva appena visto sparire nel il corridoio, la stoffa gialla dello yukata di Akane?!
 
“Perdonate, mio signore, mi sono appena ricordato di una cosa importante che devo fare”
 
Soun accennò un vago sorriso e scosse appena il capo, per tornare come nulla fosse alla sua pipa e alle stelle.
 
Ranma si fiondò in direzione di quelli che gli sembravano sempre più dei singhiozzi strozzati.
 
*Akane… Akane ha sentito tutto?!*
 
Aveva il cuore a mille e non riusciva a pensare a nulla se non che doveva raggiungerla, doveva guardarla negli occhi, capire!
 
Ormai riusciva a scorgerla, mentre correva furtiva tra i corridoi.  Era proprio lei!
 
“Akane!”
 
Con un balzo le fu alle spalle e le afferrò un polso, costringendola a voltarsi.
 
“Perché stai scappando?!”
 
“Stupido, stupido Ranma!”
 
Era buio, ma le lacrime di lei brillavano di una luce accecante, che gli attanagliava il cuore.
 
“Vai! Vai da mio padre! Digli quanto sei preoccupato per la tua ‘sorellina’! Ho sentito tutto, che credi?… E io che ero venuta per… argh! Sono proprio una scema!!”
 
“Ma si può sapere cosa diavolo stai dicendo?!...”
 
“Io volevo dirlo a mio padre: non mi sposerò mai con Kuno, perché non è lui che amo… io amo…amo…”
 
Lo spintonò.
 
“Ma tu hai rovinato tutto! Chissà cosa mi credevo… Sei uno stupidoooo!”
 
“E invece la stupida sei tu! Tu sei una principessa…!”
 
“E pensi che me ne importi qualcosa?! Tu sei molto più nobile di un principe se è per questo e sei ricco, Ranma, lo vuoi capire?, hai più ricchezze tu dell’imperatore di Cina!”
 
Cosa voleva dire Akane con quelle parole? Possibile che gli stesse dicendo che lei lo... lei lo...?
 
“Ma sono pur sempre il paggio di Soun-sama, non scordartelo, sono un poveraccio raccolto dalla strada, che deve tutto al suo signore… Io non sono nessuno!”
 
“Sei tutto invece, stupido di un Ranma! E sei solo un codardo, che non riesce ad ammetterlo, ecco quello che sei!”
 
“Che cosa?! La stupida sei tu, Akane! Credi che anche se voglio urlarlo al mondo, anche se sto morendo dal dolore, potrei uccidere tuo padre dicendogli che no, che non sei una sorella, non lo sei mai stata e che io voglio solo averti accanto e proteggerti e litigare con te e prendere a pugni chiunque ti fa soffrire e non perché devo molto a lui, ma PERCHE’ E’ DA SEMPRE CHE TI AMO?!”
 
Si erano bloccati di colpo, col fiatone, febbricitanti, gli occhi sgranati, storditi entrambi da quelle ultime parole.
 
“Ranma, io…”
 
“Sasuke! Stupido servo, dove ti sei cacciato?!”
 
La voce imperiosa di Kuno sgorgò come dal nulla, e i passi marziali che si facevano rapidamente più vicini li ridestarono prontamente.
 
“Presto Akane, di qua!”
 
La prese per lo stesso polso con cui l’aveva afferrata poco prima e stava per tirarsela dietro quando sentì il servitore di Kuno giungere dalla direzione che avevano appena imboccato.
 
In trappola! Di lì a breve da entrambi gli angoli del corridoio sarebbero sbucati quei due sgraditi ospiti, pronti a braccarli.
 
Fu questione di un attimo. A Ranma cadde l’occhio sulla porta scorrevole di un armadio a muro, uno dei tanti di quel grande palazzo, dove veniva tenuta biancheria sempre fresca.
 
Con uno scatto fulmineo lo aprì e vi spinse dentro Akane senza troppe cerimonie per poi entrare e richiudere subito la porta dietro di sé.
 
“Ranma, attento, così mi fai ma…”
 
“Sshh!”
 
Con una mano le aveva tappato la bocca, mentre con l’altra continuava a stringerle il polso, tutti i sensi all’erta.
 
Appena in tempo.
 
“Padroncino Kuno, perdonatemi, sono al vostro servizio!”
 
“Sasuke, scansafatiche che non sei altro, renditi utile e vai immediatamente dal banditore”
 
“Ma è notte ormai, starà già dormendo…”
 
“E tu digli che il suo futuro sovrano pretende la sua presenza ora”, scandì con tono minaccioso.
 
“Domani stesso desidero che sia indetto un bando che mi sta molto a cuore. Ho una promessa da mantenere…”
 
Le voci si fecero più flebili e i passi si allontanarono.
 
Erano di nuovo soli, ma non osavano uscire.
 
Caldo. C’era un gran caldo in quell’armadio.
 
E buio. Filtrava appena una strisciolina di luce dalle fessure della porta a cui a poco a poco i loro occhi si abituarono.
 
Ranma teneva ancora il suo palmo pigiato contro le labbra di Akane che d’un tratto gli parvero troppo morbide e troppo bollenti.
 
Ritrasse di colpo la mano e allentò la presa intorno al polso.
 
“Scusa, non volevo farti male”
 
“… Niente”
 
Erano stretti in quello spazio angusto, sommersi da teli e lenzuola, senz’aria, eppure era il luogo perfetto, lontano da tutti, isolati dal mondo che conoscevano.
 
Non c’erano principesse né orfani. Non c’erano padri né doveri.
 
Solo Ranma e Akane.
 
E non c’erano più parole, o liti, o chiarimenti.
 
Erano così vicini, la rabbia scemata, la testa che girava a entrambi…
 
Ranma poteva sentire il respiro di Akane farsi sempre più corto e lei vide nella penombra il pomo d’adamo di lui oscillare mentre deglutiva.
 
Le mancava l’aria e, ipnotizzata da quel piccolo movimento, avvicinò il viso al collo di lui, poggiò il naso sulla sua pelle, e inspirò.
 
Fu scosso da brividi.
 
Cosa… cosa stava facendo? E lui cosa diavolo aveva detto poco prima? Che l’amava?!
 
*Oh kami…*
 
Sì. L’amava. E non l’avrebbe più negato. Non l’avrebbe persa, non l’avrebbe lasciata andare.
 
Niente valeva quel respiro sul collo, niente quel profumo.
 
Si sentì colmare da una nuova consapevolezza, da un nuovo coraggio. Un coraggio che lo spingeva verso di lei, lei che era lì e lo attirava a sé come fa la dolce terra con un frutto maturo che, appeso ancora per miracolo al ramo, vuole raggiungerla e rotolarvisi.
 
A malicuore però la fece staccare da sé. La allontanò appena, quel tanto per guardarla negli occhi, in quegli occhi così lucenti nel buio dello sgabuzzino, così intensi.
 
E avvicinò una mano tremante al suo viso.
 
Ma come sfiorò la guancia di Akane gli parve di scottarsi e si ritrasse.
 
Lei sentì una piccola scossa - Ranma aveva detto di... amarla?! -, ma non era doloroso - Ranma aveva detto di amarla!!-, ne voleva ancora di scosse così.
 
Se il volto era troppo rovente per essere avvicinato, avrebbe aggirato l’ostacolo! Era o non era un artista marziale?
 
La attirò a sé e le stampò bacio sul capo.
 
Ad Akane mancò un battito.
 
Perfetto, non si era ustionato, poteva continuare.
 
Lentamente avvicinò il viso a quello di lei...
 
Era vicino, era tremendamente vicino!... Akane chiuse gli occhi. E sentì le labbra brucianti di lui sulla sua palpebra.
 
Sussultò.
 
Aveva mai provato una sensazione tanto dolce?
 
Non riusciva a credere di averlo fatto, di averle dato un bacio su quell’occhio splendido anche quando era chiuso… e lei non aveva detto niente, lo stava lasciando fare!
 
E lui si stava lasciando un po’ troppo trasportare, dannazione…
 
Quel tenero bacio era stato un assaggio, e ora non riusciva a fermarsi, ne voleva ancora un boccone, solo un altro…
 
Vide quella linea deliziosa tra il lobo dell’orecchio e la mandibola e vi abbandonò un altro bacio, indugiandovi appena più del dovuto.
 
La sentì vibrare, o forse erano le sue labbra che tremavano?
 
Non capiva più nulla. Sapeva solo che lì, a pochi millimetri c’erano le labbra di lei, rosse, invitanti…
 
Ma non osava immaginare quale castigo toccasse al temerario che tentasse di conquistarle.
 
Perciò si accontentò di assaggiarne timidamente un angolo.
 
Fu un attimo.
 
Le mani di Akane si strinsero alla sua casacca all’altezza del petto, lo strattonarono, “Ranma…anch’io ti amo…”, e lui smise di farsi domande e si ritrovò ad assaporare finalmente quelle labbra.
 
Gli si fermò il cuore.
 
E a lei mancò definitivamente l’aria.
 
Ma a chi importava?
 
Fu un’esplosione di suoni e colori, una scossa che da quelle labbra si propagò vibrante fin nelle profondità dei loro corpi.
 
Ogni bacio dato raddoppiava immediatamente, aumentando in urgenza, dolcezza, desiderio.
 
Presto persero il conto.
 
Akane sentiva le mani di lui stringerle la nuca e tirarla a sé, il proprio petto pigiato contro quello muscoloso di lui, che si alzava e abbassava come un mantice.
 
Ancora una volta le venne in mente il mare.
 
Il mare che non conosceva, che le aveva descritto Obaba nei suoi racconti.
 
Così ci si doveva sentire cullati dal mare.
 
Ogni bacio di Ranma era come un’onda che le lambiva le carni, un’onda sempre più lunga e avvolgente, sempre più frizzante eppure calda, perché la sua pelle si stava abituando all’acqua.
 
Si lasciò travolgere da quel movimento inarrestabile.
 
Infilò le dita tra i capelli di lui e godette di quel momento di cedimento che percepì sotto il suo tocco.
 
E d’un tratto si rese conto che le labbra non le bastavano più, mentre il collo di lui se ne stava lì, così indifeso, così invitante… Glielo baciò languidamente e notò con soddisfazione di aver provocato un brivido al suo codinato.
 
Ma poi tornò come una calamita alle  sue labbra carnose, per sfiorarle, e morderle di nuovo.
 
Non riusciva a resistere a tutto quel trasporto. Ranma era lì, con lei… ancora non poteva crederci…
 
Nessuno le aveva mai spiegato che nome avessero le sensazioni che stava provando, né come andassero compiuti tutti quei gesti… Eppure sentiva una forza primigenia guidarla, muoverla con dolcezza e puntualità in quella danza di piacere e di scoperta.
 
E Ranma?
 
Ranma stava perdendo il suo stesso confine in quell’abbraccio inebriante.
 
Akane… era lì! Tra le sue braccia! I loro corpi erano roventi, la pelle inspiegabilmente sensibile, anche il più leggero spostamento d’aria la faceva fremere.
 
*Akane mi ama… mi ama!*
 
Era la prima volta che teneva così stretto un corpo di donna, ed era quello – oh kami!- era proprio quello della donna che amava da sempre, della donna che aveva visto crescere e che desiderava avere accanto, proteggere, annusare, toccare, possedere.
 
La strinse forte a sé, con disperata urgenza.
 
E lei si aggrappò a lui in quell’abbraccio senza parole, ma che aveva tanti significati.
 
In quell’abbraccio tra la biancheria ormai stropicciata di quello stretto sgabuzzino, nel cuore della casa, inaccessibile e buio, e allo stesso tempo al centro dell’universo, in uno spazio infinito in cui tutto diventava possibile anche per loro.
 
Per Ranma e Akane.
 
 
 
 
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Ed eccoci finalmente alla fine di questo sofferto capitolo!
Chiedo perdono per il terribile ritardo con cui aggiorno, ma come ho accennato a qualcuna di voi, sono –per fortuna- molto impegnata in questo periodo, lavorativamente parlando, e sono stata in giro, lontano dal computer per diversi giorni.
Ma spero di essermi fatta perdonare, almeno un po’… Per non parlare della meravigliosa sorpresa che mi ha fatto Spirit99 e che aggiunge lustro a questo aggiornamento! Davvero non ho parole… Antonella ha saputo cogliere quel momento così dolce e impacciato tra i nostri due testoni del  capitolo 2, dandogli vita e colore… Mi sono emozionata moltissimo…
 
Un abbraccio a tutti voi che mi state continuando a leggere, nonostante i ritardi!
 
InuAra
  
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