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Autore: Nyliov    18/07/2014    0 recensioni
Cos'è il presente? È un eterna preparazione al futuro o sono una sequenza di opportunità da cogliere al volo? Nel dubbio, cantiamo.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Let's Sing 

Il quarto lunedì

Suona la sveglia; ennesimo lunedì sommerso dal lavoro. Le gambe sono troppo pensati, il pavimento è troppo  lontano da me. Tutto attorno a me gira, come se fossi su una giostra impazzita. Accendo la radio che, sin dalle prime parole, fa intendere il jingle dell'unica trasmissione satirica delle 6.30 di mattina. Il caffè, che sonnecchiava ancora nella dispensa, fu svegliato bruscamente dalla mia mano frenetica. Milù, la mia dolce gattina, si presentò davanti alla porta della cucina non appena misi il caffè sul fuoco. Ci guardavamo, una più assonnata dell'altra, con tono di sfida; io con gli occhi socchiusi e lei che si leccava la zampa. Incassando la sconfitta mi alzai e le misi una ciotola di croccantini davanti. Inutile dire che sparirono ancor prima che il caffè raggiungesse la mia tazza. La lunga colazione, composta da tante fettine sottili di pane accompagnate da qualche cucchiaio di marmellata d'arancia, terminò verso le 7.00. Trascinandomi al bagno, sostenendomi al muro, incrociai il mio sguardo allo specchio; uno squallore. La mia faccia si poteva riassumere in una parola sola: Occhiaie. Lunghe, lunghissime occhiaie solcavano  le mie cavità oculari, tanto da farmi sembrare un piccolo panda. Con aria seccata mi schiaffeggiai delicatamente, cercando di recuperare quella poca lucidità che avrei dovuto avere. L'acqua fredda sul viso, insieme al tintinnio del collare di Milù, iniziarono a far girare le rotelle presenti nella mia scatola cranica; alle 7.15 ero già in garage che mi allacciavo il casco e salivo in sella alla mia dolcissima e amata moto. Uscendo, finalmente, c'era quella brezza mattutina che solo in moto si poteva provare. Mi liberai dal traffico e dai dementi patentati in piccole aperture di gas, praticamente continue. La scuola dove lavoravo, solo l'estate per mia fortuna, era ancora silenziosa e chiusa con una catena. Con ancora il casco in testa, estrassi dalla borsa le chiavi del lucchetto e con mosse rapide levai quell'ammasso di ferraia. Sentendo il cancello ferroso aprirsi, realizzai l'inizio di quell'inferno. "Quarta settimana decisiva!" pensai con l'accento di un famoso radio cronista; oggi sarebbe arrivato il nuovo staff. Avrei avuto tre nuovi colleghi di cui una di inglese, una di musica ed uno di ginnastica. Un sorriso beffardo mi si dipinse in viso, mentre levavo l'antifurto della palazzina. Ora ci vuole anche la laurea per far giocare dei ragazzini a pallone, pensai criticamente. Si, io e lo sport non ci amiamo. Sarò piena di pregiudizi, ma sono sicura che questo tipo a momenti saprà mettere due parole in croce. I miei pensieri sfumarono ed entrai nella mia fase preferita: "Lavoro". In quei momenti, non vedevo altro che il rende al meglio ogni mia azione. Iniziai montando il campo da pallavolo, per poi passare alla sistemazione dei tavoli per le iscrizioni, qualora ce ne fossero state. Erano le 7.45 e il "setting" era quasi pronto. Iniziai a preparare i documenti, tutti le scartoffie già firmate, i libretti delle ricevute. Sembravo in stand-by, come se veramente non volessi avere alcun rapporto con nessuno.In lontananza notai una macchina arrivare; era il mio vecchio. Sistemai i tavoli e scesi a spalancare il cancello.  

-Sempre mattutina tu, vero? 

Il suo tono, sempre sul sarcastico, mi era mancato in questi mesi. Lo abbracciai forte, riempiendomi del profumo che aveva caratterizzato la mia infanzia. 

-Quando c'è da lavorare.. 

Lasciai la frase in sospeso, sapevo che non serviva parlare con lui di queste banalità. Gli chiesi come erano andati questi primi mesi di pensione, la vacanza regalata dalla sottoscritta, la sua vita. In quei momenti, forse, ero veramente io. La sua piccola bimba un po' troppo cresciuta, quella che vive per lavorare e per darsi da fare.  

-Sei troppo uguale a me da giovane, lo sai cosa ne penso. 

Se ne uscì così. Certo, ero proprio come lui. In tutto e per tutto.Gli dava fastidio, il mio continuo lavorare. "Sei giovane; esci, divertiti." era la sua frase tipica in queste situazioni. 

-E se ti prendessi delle ferie? 

-Certo! Magari poi la befana mi porta anche l'affitto pagato. 

Spesso ci scontravamo su questo fronte, sempre concludevamo la discussione senza fiatare. Mi disse che era venuto per salutarmi e per accettarsi che stavo bene. Lessi nei suoi occhi un po' di malinconia ma sapeva che doveva lasciarmi volare via. Erano le ore 8.07 quando la sua macchina si allontanò dalla scuola. 
I bambini iniziarono ad arrivare rapidamente, del nuovo istruttore sportivo non ce ne era neanche la traccia. Molti erano nuovi, pochi erano delle settimane precedenti. Le richieste solite venivano accontentate e lentamente il libretto delle ricevute andava riempiendosi. Appena ebbi qualche minuto senza genitori iniziai a lavorare per la mensa, segnando i bambini che ne avrebbero usufruito. Fu in quell'istante che una voce maschile sconvolse la mia serenità. 

-Ehy! Che mica sai dov'è la ragazza che gestisce il centro? 

Alzando lo sguardo lo vidi; il classico esempio di pallavolista. Quello fu lo sguardo più perso, demenziale, irrazionale, e indecifrabile della mia vita. Dire che mi riempì di umore negativo è poco. Mi sistemai la frangetta in modo da poterlo vedere e cercai di mantenere la calma. 

-Salve, devi essere il nuovo istruttore-  fui interrotta nel modo più brutale possibile. 

-Sisi, sono io. Dov'è? 

Fossi stata in un fumetto, mi sarebbero spuntati tanti segni di incazzatura. Cercai di mantenere la calma, schiarii la voce e con un sorriso molto delicato risposi. 

-Sarei io, scusa se mi nascondo bene. 

La faccia che fece, oh si, mi fece godere come non mai: si sentì mortificato, tanto da continuare a chiedermi scusa. Non sono malvagia, ma con gli idioti come questi, adoro fargli notare questo loro piccolo ed insignificante dettaglio. Se ne andò in palestra, a controllare l'attrezzatura. Ripresi a lavorare, senza pensare a nulla. Iniziarono le chiamate, il catering fu avvisato. Nuovi bambini arrivarono, altre ricevute. Lui faceva avanti ed indietro con palloni, cerchi, corde: neanche uno sguardo. Una vocina, molto piccola, mi fece sentire in colpa ripensando ai suoi occhi. Quegli occhi scuri, forse non erano tanto tonti come si camuffavano. Arrivarono altri genitori, riprese il solito via-vai di fatture. Il ragazzo iniziò a giocare con i bimbi mentre la contabilità mi uccideva. Il mio telefono di li a poco divenne una segreteria, tra la mensa che rincontrollava i pasti e la "padrona"  che si interessava alle iscrizioni. Quel ragazzo non tornò al tavolo. Rimasi da sola, tra quei fogli inchiostrati, a rimuginare sulle mie azioni. Iniziai a mettere a posto le scartoffie, a tirare fuori il testo dello spettacolo, a disegnare bozze dei vestiti. Avevo la testa altrove, ero preoccupata dei miei sensi di colpa mai provati. Cercai di concentrarmi, di provare a concretizzare il tempo che avevo; nulla.Ripensavo a quello sguardo, quel senso di inettitudine che lo aveva pervaso. Guardai l'orologio: 9.15. Il tempo volava, altre 3 ore circa e tutto sarebbe finito, non avrei dovuto pensare al lavoro per tutto il resto della giornata. Guardai lo spiazzo dove i bimbi stavano con lui; lo circondavano e gli chiedevano di insegnargli a far sempre canestro, oppure gli portavano pinoli da schiacciare. Erano le 9.17 quando si girò e mi abbozzò un sorriso, non sapendo come reagire ad una bambina che gli aveva donato un fiorellino. 

 

  
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