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Autore: AsanoLight    19/07/2014    0 recensioni
Era troppo tardi per rimproverarsi di non aver intrapreso lo stesso cammino di Akari e divenire medico anziché combattente.
«Sei un idiota», mormorò flebilmente il comandante, accarezzando i rosei e polverosi capelli del dottore, «Sei un incosciente. Sempre a pensare agli studi, e mai un po' di riguardo per te stesso»
I molesti boati dell'esplosione, le scintille vermiglie dell'incendio, le sottili tossiche polveri, e nella fosca oscurità tinta di un opaco carminio, le loro ombre.
Era troppo tardi per tutto.
Genere: Angst, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akari, Altri, Hirato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rinol, Seconda Nave, ore 22.51

 

Hirato, quella stessa notte, si trovava in missione a Rinol. Non era la prima volta che ci capitava; molte esperienze lo legavano a quel luogo nevoso, al suo freddo di montagna, al tepore delle coperte e ai fugaci risvegli al fianco di Akari, quando con qualche scusa riusciva a trascinarlo nella propria stanza e a convincerlo di rimanervi l'intera nottata, e al sorgere del sole, con un cappotto sulla testa e i passi felpati alle cinque del mattino, quand'era certo che nessuno fosse in giro, lo rispediva nella camera che gli competeva, dov'era invece giusto che riposasse. Quei sogni erano andati in mielosi frantumi quando Akari, giorni prima, aveva declinato l'invito di recarvisi, con la piena intenzione di restarsene alla torre di ricerca, dove il clima non era rigido tutto l'anno. E così, per sventura, si era dovuto ritrovare nello stesso luogo con Tsukitachi, non di certo la migliore delle compagnie. Ma poteva andargli peggio; poteva anche finirci con suo fratello. Quindi, anche quell'opzione, che sembrava una delle più terribili, si rivelava tollerabile se confrontata con il vero 'peggio'.

L'ultima volta che aveva controllato il cellulare, l'orologio segnava le dieci e cinquantuno minuti, per lui, relativamente tardi, per Akari, relativamente presto. Non avrebbe sbagliato di una virgola dicendo che il dottore, in quell'istante, si fosse messo a studiare. Nel suo pigiama di flanella, ametista come le iridi che gli occhiali non più schermavano, riposti sul comodino, si trascinò fino al comodo letto della camera, e si adagiò tra le calde coperte, guardando malinconicamente il posto a lui accanto, vuoto, scavato tuttavia da una forma ben conosciuta, da un corpo che da tempo non sentiva più suo ma che aveva la consapevolezza di desiderare con fervore.

"Ci sono dei momenti in cui questa distanza è intollerabile", detestava perfino ammetterlo, ma era così, e neppure l'accarezzare la conca scavata dal corpo del dottore sul materasso era in grado di coprire quel vuoto nel cuore, "Stare giorni interi senza sentire la voce di Akari-san o ricevere sue notizie, è piuttosto straziante".

Scrutò il lento fioccare fuori dalla finestra, la neve si adagiava sul paesaggio già bianco e baciava secchi rami e vallate candide e laghi tesi dal ghiaccio. Tutto quello era semplicemente meraviglioso, e ancora più bella era la luna quando la si contemplava, sospesa nel cielo come appesa ad un filo, chiara come la porcellana, se non fosse stata percorsa da quei profondi crateri che sembravano più che altro la prova schiacciante che non fosse fatta di carta ma fosse reale, ed avesse perfino un suo spessore. "Chissà che emozione deve aver provato Galileo, osservandola per la prima volta", si ritrovò a pensare mirando alla luna, ma si ricordò poi d'un tratto che Galileo, la luna, l'aveva vista molto diversa da come gli appariva a lui, alterata dalle lenti del telescopio, e subito s'accoccolò sotto le coperte in un sorriso.

Stava per prendere sonno, non sapeva neppure se fosse stato in un effettivo stato di dormiveglia o se si fosse trattato, più che altro, d'una illusione, ricordava solamente che prima la stanza era buia e sulla piazza di Akari riposava la luna e ora, invece, la luce era stata accesa turbando la quiete della notte e Tsukitachi lo scuoteva frettolosamente infilandogli nelle orecchie delle notizie che non era neppure in grado di comprendere, uno scorrere impetuoso e logorroico di parole che non era capace di intendere data la velocità e il torpore del sonno.

Ma dopo aver teso le orecchie ed indossato gli occhiali, bastò la vista della faccia del compagno, insolitamente seria e preoccupata, per capire la gravità della situazione, e le parole 'torre di ricerca' e 'incendio', si connessero automaticamente nella mente del comandante della seconda nave.

Hirato si precipitò giù dal letto liberandosi del groviglio di pesanti coperte e trapunte, fece apparire lo scettro e scansò rapidamente Tsukitachi e, senza indossare i regolari vestiti, con quel solo pigiama addosso, fece scivolare i piedi negli stivali e s'apprestò all'uscita della seconda nave.

«Hirato-san!», Tsukumo per prima lo notò fiondarsi all'uscita e cercò di ottenere delle informazioni che il comandante non osò sganciare.

Ordinò alla pecora robotica di aprire l'uscita che dava sull'ampio terrazzo, si affacciò alla tempesta e, ignorando ogni domanda dei presenti, volò via, in testa una sola destinazione.

Tsukumo strinse nei pugni i lembi della pesante vestaglia da notte e, ignorando l'infantile piagnucolare di Yogi -il quale già veniva prontamente sgridato da Gareki, che lo invitava a tacere per non svegliare anche Nai, cercò una risposta negli occhi di Tsukitachi.

«Questa notte, i Varuga hanno attaccato la torre di ricerca», rispose coinciso il comandante della prima nave, grattandosi il mento con un'indicibile serietà.

«Com'è stato possibile?! Non ci sono delle persone a servizio addestrate quanto noi che dovrebbero proteggerla?!»

, berciò Yogi, gli occhi lucidi dalle lacrime.

«Sì. Ma se i sistemi di sicurezza vengono infranti, è difficile fermare da soli i Varuga»

«Il Kafka è capace di superare i nostri sistemi di sicurezza?», domandò accigliata Tsukumo, cercando invano di celare la crescente preoccupazione, «E cosa ne sarà dei ricercatori?»

Tsukitachi si prese una lunga pausa di riflessione.

«Qualcuno dall'interno deve averli fatti passare», mormorò allora, dopo essersi raccolto, «Ho intenzione di seguire Hirato, non lo lascerò andare da solo. Tsukumo, tu resta a fare la guardia alla seconda nave, e prenditi cura di Gareki e Nai. Yogi, tu verrai con me e Kiichi. Chiama anche Eva. Se sarà necessario, avremo bisogno del suo scudo»

«Tsukitachi-san! Aspetta! Io-», Tsukumo fece per replicare ma il rosso le carezzò con affetto il capo strizzandole l'occhio.

«Tranquilla, ritorneremo presto. Eva se la caverà anche senza di te. E poi...», guardò Gareki e sorrise divertito, «Non me la sento di lasciarli tra le mani di Yogi. Farebbero più danni che altro. Di te invece, mi fido per certo»

Così disse il comandante e, andando incontro alla tempesta, si lasciò alle spalle la docile Tsukumo, paonazza dall'imbarazzo ma dolcemente rassicurata, di una tenerezza che per un istante molse perfino il duro cuore di Gareki.

Hirato era già sulla via per la torre di ricerca, volava sotto la tempesta, il viso raggelato dall'ininterrotto fioccare della neve, che durante il suo leggero sonno aveva imperversato in ogni dove, tramutatosi in una violenta procella. Ogni chicco che cadeva gli bagnava gli occhiali e, per quando aveva raggiunto il perimetro della torre di ricerca, era bagnato fradicio e la brina e il gelo gli facevano insolitamente brillare la pelle scoperta del collo rifrangendo la luce dell'incendio che proveniva dall'edificio. Fuori c'erano solamente alcune infermiere e due giovani ricercatori, erano stati loro a dare l'allarme e a mettersi in contatto con Tsukitachi.

«Comandante!», una di loro si voltò subito alla sua vista, nessuno sembrò sollevare obiezioni per l'insolito abbigliamento del comandante, ma se lui stesso non si era neppure curato di tali piccolezze e non sfoggiava neppure il solito sorriso sornione, doveva essere più che ovvio che la faccenda era di un'inestimabile pericolosità.

«Chi è rimasto dentro?», con voce fredda, Hirato interrogò la donna, che subito arrossì d'impaccio.

«Il dottor Akari dev'essere ancora dentro. E il ragazzo del reparto vita... Avevano detto che sarebbero rimasti fino a tardi. Quando abbiamo sentito l'esplosione, abbiamo cercato di metterci in contatto con le guardie ma non ci rispondeva nessuno. Abbiamo provato ad avvertire il dottore ma le scale erano inagibili! Per quando siamo fuggiti lui-»

L'infermiera alzò il capo singhiozzando in un fiume di lacrime di coccodrillo ma il comandante era già scomparso dalla sua vista e ora, solo un'ombra sembrava stagliarsi tra le lingue di fuoco della torre di ricerca.

   
 
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