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Autore: CieloNotturno    20/07/2014    8 recensioni
“Scusa, dovrei ordinare”
Dissi con un tono decisamente elevato di acidità nella mia voce. I suoi occhi si alzarono dal recipiente che stava pulendo e si incontrarono con i miei. Erano verdi come era verde il prato dei parchi di Buenos Aires, verde come l’acqua cristallina del mare, verde come il colore della speranza.
“Mi scusi signorina, cosa desidera?” la sua voce era un insieme di note gravi che miscelate insieme creavano un’armonia mai sentita. Deglutii ritrovandomi per la prima volta con la gola secca e con le parole attaccate al palato.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le gocce calde cadevano velocemente giù in quel piccolo spazio che occupava parte del bagno. Scivolavano lungo il mio corpo bollenti lasciandosi dietro una sensazione piccante e cocente. I miei capelli ricadevano sulle spalle impregnati di fragranza alla vaniglia e al cocco, erano attaccati ai lati delle mie guancie e mi provocavano un leggero prurito fastidioso, ma che lasciai comunque in secondo piano rispetto ai miei pensieri.

La doccia.  

Il momento che amavo e odiavo di più nella giornata. Era una cosa buffa amare e odiare allo stesso tempo una cosa, eppure era così.

Era rilassante, bollente e piccante nei mesi invernali.

Rinfrescante, frizzante e piacevole in quelli estivi.

Un vero toccasana in entrambi i casi. Adoravo il getto d’acqua scendere violento su di me nei giorni afosi d’agosto e, adoravo ancor di più le goccioline di lava lungo il mio corpo nei gelidi freddi di Gennaio.

Ma la doccia da modo anche di pensare e questo,non è un vero e proprio toccasana quando hai dei demoni dentro da combattere, proprio come me. La mia anima aveva imparato a convivere con tutti i mostri accumulati man mano negli anni.

Sbuffai scocciata e chiusi il getto d’acqua che colava ancora sulla mia testa.

I vetri della cabina si erano appannati e lì dentro si era creata una tale afa da non riuscire a sopportarla. Uscii bagnando il pavimento in marmo del bagno della mia, ennesima, lussuosissima suite in un albergo diverso.

Avvolsi il mio corpicino in uno di quei asciugamani riposti sul piccolo mobiletto del bagno. L’odore di lavanda mi inebriò subito strappandomi un piccolo sorriso.

Ne presi un altro, meno di fretta e studiando meglio ogni suo aspetto. Sembrava esser fatto a mano e, sinceramente, non mi sarei stupita se fossi venuta a sapere che la mia ipotesi era vera.

Sfiorai con la punta del pollice la scritta ricamata in color oro Casablanca Hotel Times.

Ero finita a New York questa volta, definita anche come La Grande Mela.

Viaggiavo spesso a causa del mio lavoro, venivo trasferita di qua e di la ogni tot di mesi, e la cosa mi stressava non poco. Non riuscivo a relazionarmi e avere una vita sociale con un minimo di normalità.

Sospirai portando la salvietta alla mia testa e asciugando con cura i miei capelli, dato che oggi non avevo ne tempo ne voglia di passare da un parrucchiere del luogo.

Lasciai cadere in terra i tessuti che mi avevano asciugata fino a quel momento ed uscii dal bagno ritrovandomi nell’altra stanza. Un brivido di freddo mi percorse la schiena. Era Novembre e lì faceva parecchio freddo. Non abituata a quella temperatura così bassa, dato che ero uscita dal bagno che di lì in poco era diventato una piccola stufa, causa la mia doccia lunga e bollente.

Corsi verso il letto dove avevo poggiato la mia valigia laccata interamente in viola. Optai per un abbigliamento semplice, quel giorno non dovevo accogliere nessun cliente di qualche particolare ceto alto. Sfilai distrattamente un jeans stretto e una camicetta bianca. Semplice e classico.

Quando mi fui vestita portai la valigia al lato del letto. Avrei tanto voluto poter sprofondare in quel tenero e caldo materasso, sotto le coperte per dormire fino al mattino seguente. Ma non potevo permettermelo, ovviamente.

Presi la mia borsa firmata Luis Vuitton e feci una scaletta mentale di tutte le cose che avrei dovuto fare da quel momento fino all’ora di andare a letto.

Andare in metrò 17:10

Arrivare al Vicius Palace 18:00

Primo cliente 18:10

Secondo cliente 18:50

Terzo cliente 19:30

Quarto ed ultimo cliente 20:10

Ritornare in metrò

Mangiare

Nel mentre ero già fuori l’hotel catapultata nelle vie caotiche di New York, non che non ci fossi abituata. Avevo lavorato sempre in grandi città come Londra, Buenos Aires, Milano, Washington e Dublino. Ma New York ha sempre avuto un certo effetto su di me, è la città delle grandi occasioni e chissà, magari una speranza di uscire da questo circolo vizioso una volta per tutte, c’era anche per me.

La metrò non distava molto da qui e per fortuna ero in anticipo di circa quindici minuti, avrei avuto il tempo di bere un cappuccino prima di lavorare.

Entrai nel primo bar aperto che mi ritrovai davanti. Beer&Coffè.

Che nome stupido.

Mi ritrovai a pensare.

Il locale era mezzo vuoto e gli unici tavoli pieni erano occupati da uomini in tenuta da operaio, in effetti avevo notato lì vicino un’area non accessibile causa lavori in corso.

Arrivai vicino al bancone e poggiai sopra una mano picchiettandoci con le unghie sopra mentre fissavo l’uomo dietro d’esso, che puliva un bicchiere di vetro.

Feci un piccolo e finto colpo di tosse per cercare di attirare la sua attenzione e prendere il mio dannato caffè prima di far tardi a lavoro.

Iniziai a spazientirmi parecchio. Ero una cliente e quel tipo non mi degnava nemmeno di uno sguardo.

“Scusa, dovrei ordinare”

Dissi con un tono decisamente elevato di acidità nella mia voce. I suoi occhi si alzarono dal recipiente che stava pulendo e si incontrarono con i miei. Erano verdi come era verde il prato dei parchi di Buenos Aires, verde come l’acqua cristallina del mare, verde come il colore della speranza.

“Mi scusi signorina, cosa desidera?” la sua voce era un insieme di note gravi che miscelate insieme creavano un’armonia mai sentita. Deglutii ritrovandomi per la prima volta con la gola secca e con le parole attaccate al palato.

“Cosa desidera?”

Parlò di nuovo facendomi risvegliare dal beato ricordo della sua voce, dandomene un altro assaggio. Violetta Castillo era davvero rimasta incantata da una voce e da un paio d’occhi? No, non poteva essere.

“Caffè macchiato” risposi quasi senza voce, cosa mi stava succedendo? Battei più volte le palpebre cercando di ritornare in me.

Lo guardai muoversi esperto dietro al bancone notando che sulla camicia che aderiva perfettamente ai muscoli delle sue braccia c’era sopra attaccata una piccola targhetta con su scritto Leon.

Un secondo dopo mi ritrovai davanti agli occhi una piccola tazzina con un cucchiaino al’interno

“Sono 1.50”

Feci un lungo sospiro prima di tirare fuori dalla tasca le monetine e poggiargliele sul banco. 1.50 precisi.

Bevvi il caffè così velocemente da sentirlo scendere giù per la gola come una cascata che graffiava la mia gola. La lingua mi bruciava e sentivo lo stomaco contorcersi a quell’azione troppo violenta e sgarbata. Dovevo rimanere calma, ero agitata per una sciocchezza.

“Buona giornata”

Dissi con la voce ancora graffiata uscendo di fretta e furia da quel posto.

Fermai un secondo la mia camminata feroce e presi un bel respiro prima di riuscire a regolarizzare il ritmo dell’aria che entrava ed usciva dai miei polmoni.

Strinsi il manico della borsa di marca che portavo in spalle e mi diressi alla metrò.

Non tornerò mai più in quel posto.

Dopo buoni cinquanta minuti passati nel mezzo pubblico e puzzolente che avevo sempre odiato, riuscii ad arrivare al Vicius Palace giusto in tempo per il mio primo cliente.

“Salve Marotti” dissi guardandolo con occhi sinceramente sprezzanti, come avevo sempre fatto. Quell’uomo aveva prima salvato la mia vita e poi l’aveva masticata e sputata su un piatto troppo sporco per me.

“Ciao mia bella principessa” lo sorpassai schifata portandomi al piano di sopra.

C’erano numerose porte, precisamente cinque sul lato destro e cinque sul sinistro. Percorsi il corridoio dall’aria innocente e pura in apparenza fino ad arrivare alla porta con inciso sopra il mio nome..Violetta Castillo.

Entrai, ormai ero abituata a tutto questo.

“Ciao bambolina”

La voce roca di un uomo sulla quarantina, poggiato contro il tavolo, mi fece sobbalzare.

Chiusi gli occhi per un secondo e lasciai cadere la borsa di fianco alla porta.

“Niente moine, lascia i soldi sul tavolo e spogliati in fretta”

Dissi e iniziai a sbottonare i bottoni della camicia velocemente, volevo finire presto.

Sono Violetta Castillo e questo è il mio lavoro.

 

 

Look at me

Hola, se siete arrivati qui vorrà dire che avete letto il capitolo e ne sono FELICISSIMA. Grazie per aver letto e spero vi piaccia, ci ho messo una notte intera per scrivere questo. Lo so è poco, ma è solo l’inizio.

Dico da ora che se non troverò nessun tipo di interessamento e/o recensione alla mia storia non credo di continuarla. Sono una tipa che va avanti se vede che le cose sono apprezzate o tantomeno considerate, altrimenti è inutile.

Detto questo vi lascio qui sotto il mio account ask se vorreste farmi qualche domanda (anche se ne dubito) e premetto che non riesco a stare molto su efp a causa di problemi con il pc di casa mia [Scrivo dal computer del mio ragazzo] Perciò se avete qualcosa da dire c’è ask lì, bellissimo che aspetta solo voi (ho l’app di ask sul telefono perciò lì riesco ad andare senza problemi)

Tutti i tipi di recensioni e consigli sono ben accetti a bandierina verde, bianca o rossa che sia.

Ok, ho finito. Buona notte o Buon giorno, dipende dai punti di vista hahahah

http://ask.fm/CieloNotturno
   
 
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