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Autore: Nacchan Bei Fong    20/07/2014    2 recensioni
E le lacrime cominciavano a sgorgare, tra urla strazianti e disperate, cercando di sovrastare quella voce nella sua testa, che non la lasciava in pace.
Delle persone entrarono nella stanza, cercando di fermare le sue violente convulsioni.
Un fazzoletto imbevuto di sostanze narcotizzanti le venne premuto a forza sul viso.
Tutto divenne buio.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Azula
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Titolo: Odio
Ambientazione: Post finale della serie, prima di "The Search"
Personaggi: Azula
Note: Ok, in questa fanfic non c'è nulla di fluff. Mi è venuta in mente all'improvviso, e ho dovuto scriverla.
Azula è un personaggio che mi confonde; non so se amarla od odiarla... però mi affascina molto.
Spero che la fanfic piaccia ^^
 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
Azula alzò lievemente lo sguardo.
Mosse violentemente la testa per spostare qualche ciuffo ribelle che le copriva la fronte e gli occhi, impedendole di guardarsi intorno.
Le labbra si piegarono in una smorfia di disgusto.
Odiava quella sua cella.
Per quanto cercassero di farle credere che fosse una semplice camera, giacché non si trovava in una prigione, bensì in un istituto di riabilitazione, lei sapeva benissimo che erano tutte bugie.
Quella era una cella.
Quello non era un istituto di riabilitazione, era un manicomio.
Lei non era un'ospite.
Era una prigioniera.
Per quanto il suo adorato fratellino, in un impeto di generosità e misericordia, si fosse raccomandato che venisse trattata con il massimo rispetto, dopotutto era stata una principessa, quella dannata camicia di forza, che le impediva di utilizzare il suo dominio, le ricordava ogni giorno che, in realtà, tutti la consideravano pari ad una bestia pericolosa.
 
Ricordava come i "medici" del  manicomio avessero tappezzato le pareti con ritratti della sua famiglia, credendo che avrebbero potuto suscitare in lei bei ricordi.
Invece aveva visto solo un debole che si era fatto privare del suo potere, uno schifoso traditore che aveva usurpato il suo trono e, infine, una donna che l'aveva abbandonata, e che non l'aveva mai amata.
Gli infermieri dovettero liberarsi tempestivamente di quelle immagini, dato che lei aveva cercato di distruggerle in qualsiasi modo possibile, ovvero con i denti e con la testa, rischiando anche di fracassarsi il cranio, a furia di colpire con esso i muri.
Adesso l'ambiente era spoglio, nonostante fosse sufficientemente grande, e con un semplice giaciglio per dormire, privo di qualsiasi sostegno ligneo o metallico, in modo che non potesse provare a ferirsi in alcun modo.
 
Azula sputò per terra, con disprezzo.
Lei odiava.
Tutto quel rancore la corrodeva nel profondo, andando a renderle la pelle febbricitante e fastidiosa; se solo avesse avuto le mani libere si sarebbe scorticata viva, per placare quella sensazione.
 
Odiava stare sola.
Era abituata ad essere circondata da servi adoranti e timorosi, che avrebbero fatto qualsiasi cosa per compiacerla, e per non essere puniti.
Voleva tornare a sentirsi una stupenda dea guerriera, una dea crudele e spietata, una dea amata e temuta.
Per questo odiava stare sola.
 
Ma, allo stesso tempo, odiava ogni singola persona che osasse avvicinarsi.
Poiché non c'era venerazione nei loro sguardi. Oh no, c'era solo pietà, forse anche disprezzo. Non c'era nemmeno più la paura, poiché era immobilizzata, e incapace di fare del male.
Odiava chi la imboccava durante i pasti, e che la puniva con un sonoro schiaffo ogni volta che provava a mordere.
Odiava chi era incaricato di lavarla, e che la addormentava con effluvi di erbe per fare in modo che non si dimenasse.
Odiava i medici che tentavano di farle esprimere i suoi sentimenti, e odiava i rimproveri che subiva ogni volta che iniziava ad urlare offese e oscenità.
 
Non poteva permettersi il lusso di dire che veniva trattata come una bambina.
Era trattata come un cane rabbioso.
 
L'unica persona che si comportava in modo diverso, come avesse ancora con dignità, come se fosse ancora un essere umano, era Zuko.
E odiava ciò anche di più.
Percepiva quel suo modo di fare come una pura ipocrisia.
Era stato quel vile traditore a rinchiuderla. Era stato lui a privarla di ciò che le spettava.
Lei era la figlia prodigio, la degna erede, l'unica che poteva sedere sul trono dei suoi antenati.
 
Per questo, ogni volta che il caro Zuzu andava a trovarla, lei si limitava a stare rannicchiata in un angolo della stanza, con lo sguardo perso nel vuoto, e l'aria assente.
Ignorava le parole preoccupate del fratello, ignorava il modo in cui la chiamava per nome, ignorava quanto metteva enfasi nella parola "sorella".
O, almeno, ci provava.
Poiché, in quei momenti, non riusciva a non pensare a quanto sarebbe stato bello ucciderlo.
Ad ogni frase che usciva da quelle labbra, le venivano in mente i modi più svariati per privarlo della vita.
Avrebbe voluto liberarsi, fulminarlo di nuovo, ma fatalmente.
Avrebbe voluto prenderlo a morsi, strappando con violenza la carne dalle ossa.
Lo avrebbe dilaniato con le sue stesse unghie, macchiandosi del sangue che condividevano, almeno biologicamente.
E l'eccitazione la travolgeva. Sapeva che Zuko notava perfettamente i suoi respiri accelerati, le labbra tremanti, e le pupille che si dilatavano inconsapevolmente.
E allora lui la salutava, lasciandola di nuovo sola, in quel suo angolo di odio, rancore e morte.
 
 
Tutti questi pensieri le affollarono la mente.
Senza accorgersene si ritrovò sdraiata per terra, con la schiena arcuata, con i denti stretti e le palpebre sbarrate.
 
 
 
"Azula"
 
Eccola, quell'altra lurida voce.
Quella voce tanto nota, eppure ormai tanto lontana.
 
"Figlia mia"
 
Una voce che sembrava il ricordo di un sogno.
 
"Lo sai che ti voglio bene,
Azula".
 
Gli occhi le divennero lucidi, il respiro cominciava ad essere più faticoso.
 
"Credimi bambina mia..."


 
E le lacrime cominciavano a sgorgare, tra urla strazianti e disperate, cercando di sovrastare quella voce nella sua testa, che non la lasciava in pace.
Delle persone entrarono nella stanza, cercando di fermare le sue violente convulsioni.
Un fazzoletto imbevuto di sostanze narcotizzanti le venne premuto a forza sul viso.
 
Tutto divenne buio.
   
 
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