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Autore: Kath Redford    20/07/2014    4 recensioni
Un giovane pacificatore senza una storia.
Un'associazione segreta di ribelli che da anni lotta contro Capitol City.
I novantaquattresimi Hunger Games.
Una lotta senza fine.
FanFiction ispirata ad Hunger Games. Personaggi,fatti e ambientazioni sono puramente di mia invenzione.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FIRST CHAPTER

 

“I’m smiling but I’m dying

Trying not to drag my feet”

Nothing, The Script

Distretto 12

Piccoli granelli di polvere fluttuavano nell’aria tiepida della camera da letto, posandosi leggeri sulle lenzuola bianche. Timidi raggi di sole filtravano dagli spiragli delle tende, disegnando scie luminose sul consunto pavimento di legno, su cui giaceva una vecchia copia di Romeo e Giulietta rovinata dal tempo. Sull’anta del piccolo armadio di ciliegio era appeso un sottile vestito di tulle, di un pallido rosa antico.  
Il rumore del lento scorrere dell’acqua proveniente dal bagno costituiva l’unico suono udibile in quella mattina silenziosa. Il corpo esile di Rachel sedeva rilassato nella vasca da bagno, circondato da bianche nuvole di sapone. Le lunghe ciocche d’ebano si muovevano silenziose sul pelo dell’acqua, increspandosi in morbidi boccoli sulla pelle candida della schiena. Un triste sorriso le increspava le piccole labbra rosse e lunghe ciglia nere  le incorniciavano le palpebre abbassate, sfiorandole il viso delicate come seta.
I minuti passavano lenti, scanditi dal rumore delle lancette del vecchio orologio appeso alla parete della camera da letto.
Lentamente uscì dall’acqua calda e accogliente avvolgendo il corpo snello in un morbido asciugamano bianco, ancora profumato di bucato. Sorrise sentendo il famigliare odore di lavanda e a piedi nudi si diresse verso la sua camera. Il sole splendeva ormai alto nel cielo, e una piacevole luce dorata illuminava la stanza, facendo risplendere il piccolo portagioie argentato appoggiato sul comò. Rachel si chinò, raccogliendo da terra il suo romanzo preferito, e passò delicatamente una mano sulla copertina, eliminando un sottile velo di polvere. Le sue sorelle dovevano averlo fatto cadere per sbaglio la sera prima, quando si erano rintanate tutte insieme sotto le coperte, raccontandosi gli aneddoti della giornata. Lo ripose nella piccola libreria di legno, costruita con l’aiuto del padre qualche anno prima, e si liberò dell’asciugamano, appoggiandolo su una sedia. Lentamente indossò la biancheria, sentendo la piacevole sensazione della stoffa sulla pelle nuda e si asciugò i lughi capelli castani. Fece per prendere il vestito appeso, ma si fermò. Un nodo le attanagliava lo stomaco. Era riuscita a non pensare per tutta la mattina, concentrando i suoi pensieri sui ricordi felici, ma quel vestito, all’apparenza così bello e innocente, racchiudeva in sè più dolore di quanto fosse possibile immaginarne. Era l’abito, il suo abito per la Mietitura. Sentì gli occhi pizzicarle, mentre mute lacrime minacciavano di rigarle le guance, ma riuscì a trattenerle. Doveva essere forte. Per la sua famiglia, per le sue sorelle, per suo fratello, per il suo distretto e sopratutto per se stessa. Aveva sempre lottato pacificamente e avrebbe continuato a farlo.
Con tutta la calma che il suo carattere mite le consentiva di avere indossò l’abito, legando il nastro di raso intorno alla vita sottile, indossò le piccole scarpe bianche delle grandi occasioni e si avvicino allo specchio. I lunghi boccoli d’ebano le ricadevano in morbide onde sulla vita, fasciata alla perfezione dal nastro, e l’abito le scendeva morbido sui fianchi allargandosi in morbide nuvole di tulle rosa. La pelle vellutata del viso incorniciava i suoi limpidi occhi azzurri e le piccole labbra a cuore.  Con gli occhi fissi sulla sua figura riflessa indossò la collana regalatole dalla nonna e, dopo esssersi specchiata un’ultima volta, uscì dalla stanza, lasciandosi alle spalle un dolce profumo di lavanda.
Nel corridoio aleggiava un insolito silenzio, così cupo e pesante da sembrare nebbia. Le risate allegre delle gemelle sembravano un ricordo lontano,indistinto ed irraggiungibile. La Mietitura aveva gettato sulla sua famiglia un manto di oscura tristezza, come se tutte le loro speranze in una vita migliore fossero state spente come candele al vento. 
Facendosi coraggio raggiunse la camera del fratello, situata in fondo al corridoio. Dopo un lungo spospiro spinse delicatamente la fredda maniglia d’ottone, entrando nella penombra della stanza. Il fratello riposava tranquillo fra le coperte, un braccio abbandonato lungo il fianco e i capelli scuri sparsi disordinatamente sul cuscino candido. Sembrava un angelo. Gli si avvicinò, sfiorando appena il pavimento per non far rumore, e si fermò ad osservare la vecchia foto ingiallita dal tempo abbandonata sul comodino. Ritraeva un giovane ragazzo sorridente, raggiante nella sua incredibile bellezza, i cui occhi verdi sembravano osservarla con inspiegabile interesse. Harry, così si chiamava. Un ragazzo dolce e pieno di vita, prima che la Mietitura lo strappasse ai suoi cari. Una piccole lacrima le rigò la guancia, in ricordo dei pomeriggi passati con Harry e con il fratello, a lanciare sassi nel fiume, ma l’asciugò subito. Non aveva tempo di pensare al passato, non ancora. Rachel si sedette silenziosamente sul bordo del letto, accanto al fratello addormentato e gli lasciò un lieve bacio sulla guancia. Lo sentì mugugnare nel sonno e pochi istanti dopo le sue palpebre si sollevarono, mostrando gli occhi stanchi e arrossati. «Buongiorno bell’addormentato, è ora di alzarsi!» Dei piccoli lamenti di protesta uscirono dalle sue labbra, seguiti da un rumoroso sbadiglio. «Daniel!Svegliati,dormiglione!» Lo scosse dolcemente, toccandogli la schiena. Finalmente si alzò, facendo leva sui gomiti e si portò una mano fra i capelli, concedendosi un ultimo sbadiglio non meno rumoroso dei precedenti. Nel vederla i suoi occhi si illuminarono e le labbra si spiegarono in uno dei suoi magnifici sorrisi,che Rachel avrebbe potuto osservare per ore. «La mia bellissima sorellina! Vieni qui.» La voce era ancora roca e impastata dal sonno, ma il tono era dolce e affettuoso come sempre. Allargò lentamente le braccia e Rachel si appoggio al suo petto, lasciandosi consolare dal suo abbraccio. Aveva bisogno di lui. Lui che era la sua unica ancora di salvezza. Daniel le carezzò delicatamente i capelli, cercando di calmare i brividi che avevano cominciato a percorrerle il corpo. «Shhh...Rachel, non tremare. Tranquilla, non succederà nulla, io ti starò sempre accanto. Te lo prometto» La ragazza annuì, senza però riuscire a frenare i sussulti che le tormentavano le membra e si strinse maggiormente al fratello. Piccole lacrime presero a rigarle le guance, senza lasciarle nemmeno il tempo di asciugarle con le dita sottili. «Non sarai mai sola, mai» la dolcezza nelle  sue parole la sconvolse. Era certa che Daniel avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Anche a costo di pagare con la sua stessa vita, pensò preoccupata. «Comunque vadano le cose promettimi che non farai nulla di stupido e insensato. Non voglio perderti.» Disse seria alzando lo sguardo verso il suo viso e carezzandogli le ciocche scure. Lui sospirò, abbassando lo sguardo. «Sai come la penso al riguardo...ci sono cose più importanti della propria vita a volte. Perciò se dovrò morire per ottenere la libertà, lo farò.» Il suo tono era calmo e  determinato, come se stesse pronunciando un giuramento, un muto accordo con se stesso. Sapeva che non sarebbe riuscita a farlo ragionare, a fargli cambiare idea. Perciò si limitò a stringerlo maggiormente a se, sperando che niente mai li avrebbe separati.


Distretto 2
I passi del giovane risuonavano sul freddo pavimento bianco del Quartier Generale dei Pacificatori, perdendosi nel corridoio deserto. Aaron camminava in silenzio, le braccia abbandonate lungo i fianchi e lo sguardo fisso di fronte a se. Ogni tanto portava le mani alla fronte, scostando le ciocche di capelli neri che gli ricadevamo costantemente davanti agli occhi, incredibilmente penetranti e misteriosi a detta delle giovani del distretto.Sul viso era dipinta la solita espresssione seria e concentrata che lo distingueva dagli altri giovani allievi, quasi come un marchio. Avanzava molto velocemente, ma i suoi movimenti erano incredibilmente sinuosi ed eleganti, come quelli di una pantera. 
Ad attenderlo alla fine del lunghissimo corridoio c’erano due anziane guardie, con lo sguardo crudele e il viso stanco e segnato dal tempo. Parlavano animatamente fra loro, ignorando le loro mansioni di guardia, tanto che non sembrarono accorgersi del giovane che si stava avvicinando. Solo quando Aaron si schiarì la voce, uno di loro si voltò nella sua direzione rivolgendogli un sorriso beffardo. «Che motivo avrai mai, giovane inetto, per disturbare la nostra conversazione?»  Il ragazzo sorrise ironico, niente affatto spaventatato dal comportamento del vecchio. «Lo  stesso motivo che avete voi per perdere tempo durante l’orario di lavoro. Non penso che ai vostri superiori farebbe piacere saperlo.» Si limitò a rispondere. Il viso dell’anziana guardia diventò rosso dalla rabbia, mentre cercava invano di colpire il giovane, che ben più agile di lui schivò il colpo senza scomporsi. «Lascia stare George...Non vale la pena finire nei casini per aver fatto a pugni con un novellino. Su, dicci cosa vuoi e vattene!» Disse l’altro, ponendosi fra i due contendenti. Aaron rise, incrociando le braccia al petto. «Cosa mai potrei volere, se non entrare nella stanza di cui presidiate l’ingresso?» Disse con fare ovvio, indicando la porta. La guardia gli rivolse uno sguardo truce e si voltò per inserire il codice di apertura nel display. Subito un rumore metallico ne segnalò l’apertura, e il giovane entrò nella stanza a passo deciso, sentendo la porta chiudersi dietro di sè.

 L’immensa sala delle riunioni era ancora deserta. La superò in fretta, dirigendosi verso lo stretto corridoio che portava agli uffici amministrativi. Le pareti azzurrine gli correvano accanto mentre si avvicinava all’ufficio della signora Wilson. Come ogni giorno la  ritrovò intenta a fumare, con i gomiti poggiati sulla scrivania e lo sguardo perso nel vuoto. Nell’aria il solito fastidioso odore di tabacco misto a profumo non di marca. La monotonia della sua figura era turbata solamente dal nuovo taglio di capelli, che ora le ricadevano sulle spalle in morbide onde verde acido. Aaron tentò di indovinare la sua età, ma come ogni giorno rinunciò dopo pochi tentativi. 
Sentendo dei passi avvicinarsi la donna si destò dai suoi pensieri, portando lo suardo sul giovane. Non potè fare a meno di fermarsi ad osservarlo, inclinando appena la testa da un lato, come si fa davanti ad un bel dipinto. La bellezza del ragazzo era sconvolgente, quasi innaturale. Per un attimo desiderò che avesse qualche anno di più, ma abbandonò subito quel pensiero rivolgendogli un sorriso gentile. «Buongiorno Aaron! In cosa  posso esserti utile?» La sua voce non uscì spontanea e professionale come avrebbe voluto, ma lui non sembrò notarlo. Le sorrise a sua volta avvicinandosi alla scrivania «Avrei bisogno dell’orario di oggi. Mi hanno detto che il giorno della Mietitura vengono apportati grandi cambiamenti...» La donna annuì chinandosi e afferando un foglio dal cassetto, per poi porgerlo al giovane. «Ti hanno informato bene. Il giorno della Mietitura tutti i Pacificatori, allievi compresi, sono assolti dalle loro mansioni quotidiane e ne ricevono in cambio di speciali... E con speciali intendo accompagnare i tributi durante il viaggio...o meglio controllare che non scappino come conigli!» Si lasciò andare ad una risatina crudele che non divertì affatto il ragazzo che, al contrario, la guardò con sguardo truce, ma preferì tacere. Con gli anni aveva imparato che per sopravvivere nel loro ambiente era obbligatorio non dire mai la propria opinione. Perciò si limito ad ascoltarla con finto interesse. Quando la signora Wilson tornò seria la ringraziò e si congedò con un movimento del capo, abbandonando la stanza in silenzio, e lasciandosi alle spalle una donna stupita e confusa.

                                                                                                                                                

La stanzione del Distretto due era gremita di persone. Aaron se ne stava appoggiato alla parete, con la sigaretta stretta fra le labbra  e gli occhi socchiusi. Le grida ed i mormorii della gente si impossessavano dei suoi pensieri, regalandogli una confusione mentale tanto intensa da impedirgli di pensare, ed era grato loro per questo. Sbuffando si passò una mano fra i capelli e gettò a terra il mozzicone della sigaretta, calpestandolo. Il treno diretto ai distretti era in arrivo. Raccolse da terra il borsone mettendolo in spalla e si avvicinò alla banchina, camminando fra la folla. All’improvviso sentì qualcuno toccargli la spalla e si girò, trovandosi davanti un altro studente, anche lui in partenza.
«Anche tu qui? Pensavo che solo i più grandi potessero recarsi nei distretti il giorno della Mietitura!»Disse ironico il castano, guardandolo con scherno. Era più grande solamente di due anni e credeva di poter governare il mondo, se solo l’avesse voluto. Aaron ignorò l’offesa, guardandosi intorno con aria svogliata. «Hey, mi stai ascoltando?» Aggiunse l’altro piuttosto irritato, rivolgendogli un’occhiata torva. Il moro alzò gli occhi al cielo, rivolgendosi finalmente verso il compagno «A dir la verità mi piacerebbe non poterti sentire, ma mio malgrado, si, ti sto ascoltando!»  Il castano visibilmente arrabbiato imprecò piano fra sè, prima di andarsene nella direzione opposta. 
Aaron sorrise, felice di aver eliminato l’ennesimo inconveniente e si diresse verso la carrozza destinata ai pacificatori diretti nel distretto dodici. Pacificatori più anziani di lui fasciati nelle loro divise bianche stavano già salendo. Li seguì, ricevendo parecchie occhiate sgradevoli mentre camminava fra le file di posti a sedere. Dovevano aver notato la divisa blu notte, pensò fra sè, sedendosi in un posto isolato accanto al finestrino. Sentì alcuni uomini ridacchiare poche file davanti a sè, mentre apriva la sua vecchia copia dei Sonetti di Shakespeare. L’ignoranza sembrava essere il marchio di fabbrica dei pacificatori. Li guardò inespressivo, prima di concentrarsi sulla lettura. 
La sua concentrazione però fu interrotta da una figura giovane e sconosciuta, accomodatasi proprio davanti a lui. Curioso alzò lo sguardo, ritrovandosi a fissare due vispi e allegri occhi verdi. Il ragazzo gli sorrise estraendo dal piccolo zaino un libro dalla copertina antica e preziosa. Aaron cercò di leggerne il titolo, ma il ragazzo lo precedette. «La  Divina Commedia di Dante, l’hai letta?» chiese con voce gentile, continuando a guardarlo con interesse. Il ragazzo scosse la testa, sorridendo a sua volta. «Ne ho sentito parlare, ma non ho mai avuto l’occasione di leggerlo» L’altro sorrise allungando la mano. «Christian O’Connor, piacere. Puoi chiamarmi Cris.» Aaron la strinse, dubbioso su come rispondere. «Aaron, solo Aaron.»

 

Le quattro stagioni di Vivaldi risuonavano nel vagone addormentato come un eco lontano e indistinto. Aaron appoggiato alla parete del vagone sorseggiava in silenzio un bicchiere di Brandy, rigirandolo ogni tanto fra le mani con fare pensoso. Mille interrogativi popolavano la sua mente e il poco alcool che aveva ingerito contribuiva a renderli ancor più confusi. A pochi passi da lui il giovane Cris giaceva addormentato sul sedile, con il ciuffo rossiccio e spettinato a coprirgli la fronte e la bocca socchiusa. Sul volto l’espressione pacifica di chi sogna una vita migliore. Aaron lo osservò, lasciandosi scappare un sorriso difronte a quel giovane sognatore con l’aria da bambino. Durante le poche ore di viaggio trascorse non aveva avuto occasione di conoscerlo meglio, dato che entrambi si erano dedicati unicamente alla lettura, ma gli ispirava un’incondizionata fiducia. 
«Dovresti dormire.» Una voce femminile lo distrasse dai suoi pensieri, costringendolo a voltarsi. Al fondo del vagone una giovane lo osservava con interesse. I lunghi capelli rosso scuro le scendevano lungo la schiena in una coda ordinata, incorniciando  il volto giovane ed attraente. La divisa femminile, anch’essa blu notte, le fasciava alla perfezione il corpo snello ed atletico, creando un magnifico contrasto con la pelle chiara. Ma a catturare lo sguardo del giovane furono gli occhi verdi,vispi ed ipnotici come quelli di un gatto, così stranamente famigliari. La osservò con sguardo confuso aspettando un chiarimento che non tardò ad  arrivare. «Sono sua sorella, se è questo che ti stai chiedendo,bel tenebroso» Il tono di voce scherzoso era arricchito da una punta di malizia. Aaron scosse la testa divertito, nessuno lo aveva mai chiamato in quel modo. «Il mio nomignolo ti diverte?» Domandò la giovane avvicinandosi e sfilando il bicchiere di Brandy dalle sue mani. Sorridendo lo portò alle labbra, senza smettere di osservarlo un attimo. «Assolutamente,rossa» La giovane si lasciò andare ad una risata spontanea «Vedo con dispiacere che non hai la mia bravura nel dare soprannomi! Rossa? Non credo che esista nomignolo più scontato!» Aaron rise a sua volta, apprestandosi a rispondere. «Sono costretto a darti ragione!Ah, dimenticavo...posso avere l’onore di conoscere il tuo nome, rossa?» La ragazza sorrise allungando la mano. «Katherine...ma puoi chiamarmi Kath, bel tenebroso» Il ragazzo ricambiò la stretta, presentandosi a sua volta. «Aaron
«Un nome misterioso per un ragazzo misterioso...avrei dovuto immaginarlo!» Esclamò la rossa senza smettere di sorridere. C’era qualcosa in quel ragazzo che lo differenziava da tutti gli altri, ne era sicura. In tutta Panem non aveva mai incrociato un paio d’occhi così affascinanti, blu come la notte. Non riusciva a smettere di guardarlo, mentre con disinvoltura si passava una mano fra i capelli scuri. 
«Vedo che vi siete già conosciuti! Sono contento» Una voce assonnata catturò la loro attenzione, facendoli voltare entrambi. Cris li osservava sorridente, con gli occhi ancora assonnati e i capelli scompigliati. Aaron fece per rispondere ma la ragazza lo precedette, sedendosi accanto al fratello e lasciandogli un lieve bacio sulla guancia. «Sì dormiglione! Io e il bel tenebroso abbiamo fatto conoscenza, vero Aaron?» Il giovane annuì accomodandosi di fronte ai fratelli. «Scusala ma è fatta così! Le piace provocare le persone senza uno scopo preciso.» Commentò Cris sarcastico in direzione della sorella, che gli rivolse un’alzata di spalle seguita da una smorfia divertita. Il viaggio cominciava a farsi interessante. Finalmente aveva un’occasione per non pensare al passato.



Spazio autrice

Finalmente dopo tanto tempo ho deciso di ripubblicare questa storia. Ci sono estremamente affezionata e non me la sentivo di abbandonarla in un angolo del mio computer. Come avrete notato la storia richiama chiaramente Hunger Games, ma personaggi, fatti e alcune ambientazioni sono puramente di mia invenzione, come vedrete più avanti. 
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito almeno un po’!
Mi scuso per eventuali errori di battitura.
A presto!

Kath

 

 
  
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