Film > The Avengers
Ricorda la storia  |       
Autore: Fragolina84    21/07/2014    1 recensioni
Sequel di Un raggio di luce per l'umanità
Driven to tears, spinto alle lacrime.
Loki è tornato e vuole vendetta. Gli Avengers e soprattutto Tony saranno spinti alle lacrime dalla rabbia del semidio di Asgard che si abbatterà su ciò che hanno di più caro al mondo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'I love Avengers'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La storia nasce da una frase della Vedova Nera durante la battaglia di New York.
Di fronte ad una super astronave aliena, la ragazza scuote la testa e dice:
"Non mi sembra l'ideale per una festa".
Così mi sono chiesta: cosa sarebbe l'ideale per una festa tra Avengers?
Il primo capitolo è nato così, il resto è frutto di una mente malata di Avengers!
Buona lettura!

 


Il sole del pomeriggio illuminava Villa Stark, l’enorme residenza accucciata sul bordo della scogliera di Malibu, con l’oceano Pacifico che rumoreggiava inquieto sotto di essa.
Bruce fu il primo ad arrivare e Victoria gli aprì personalmente la porta.
«Ciao, Bruce» disse, porgendogli la guancia da baciare.
L’uomo solitamente indossava abiti che sembravano di una taglia più grande, abbinati a camicie di colori improponibili, ma quella sera portava i jeans e una camicia a fiori in stile hawaiano. Un bel cambiamento rispetto al solito. Dovremmo dare feste più spesso.
«Ciao, Victoria. Sono un po’ in anticipo, ma devo vedere un paio di cose con tuo marito» disse e lei annuì.
«Sì, Tony mi aveva avvisato che saresti arrivato. È nel seminterrato» replicò e Bruce si diresse verso la scala, ma un gridò lo fermò.
«Zio Bruce!»
Elizabeth si precipitò giù dal piano superiore. A sei anni era una bimba molto più sveglia della media: evidentemente la genetica era quella di suo padre. Ma era pur sempre una bambina e, dato che le visite di Bruce e degli altri Avengers erano diventate sempre più frequenti, per lei erano diventati tutti zii. Sapeva che suo padre e gli altri erano supereroi, persone chiamate ad una responsabilità più grande, investite di un “privilegio orribile” come aveva detto Tony una volta, ma gestiva la cosa con molta maturità.
La settimana prima, ad esempio, i suoi compagni di classe, venuti a passare il pomeriggio in piscina, le avevano chiesto se potevano vedere le armature di suo padre.
«Mi dispiace» aveva risposto Elizabeth, «ma non ho accesso al laboratorio di mio padre, dove sono custodite».
In realtà non era vero: Lizzy aveva accesso ad ogni angolo della casa. Era Jarvis a decidere se una stanza era o meno sicura per lei e quindi poteva anche capitare che le impedisse di entrare nel seminterrato, se Tony stava pasticciando con i suoi giocattoli. Ma Elizabeth, sebbene né Victoria né Tony gliene avessero mai parlato, aveva deciso autonomamente di mantenere un basso profilo, in quell’occasione: nonostante tutte le stranezze derivanti dal solo fatto di essere una Stark, e di avere per occasionali compagni di gioco la compagine di guerrieri più forti del mondo, voleva almeno provare a comportarsi come una bambina normale.
Elizabeth si lanciò fra le braccia di Bruce che la prese in braccio. Victoria non era mai del tutto tranquilla quando Lizzy era in braccio a Bruce. Sapeva che se Tony avesse avuto il minimo sospetto che la cosa sarebbe potuta sfuggirgli di mano non gli avrebbe mai permesso nemmeno di oltrepassare il cancello della tenuta, e sapeva anche che Bruce non si sarebbe mai avvicinato alla piccola se avesse temuto di perdere il controllo, ma lei aveva visto cosa poteva fare Banner nei panni della sua seconda identità e provava un leggero senso di inquietudine.
«Ciao, principessa» esclamò Bruce. «Sei pronta per andare in piscina?» chiese, notando il costume color corallo che indossava.
«Sì. Vieni anche tu?» chiese.
«Più tardi, forse. Ora devo vedere tuo padre» rispose, mettendola a terra e osservandola mentre sfrecciava via, seguita da Zoey, la sua tata.
«Esuberante come Tony, eh?» rilevò.
«Chiamala esuberanza» mormorò la donna, mentre sentivano gli strilli della bambina e lo scroscio dell’acqua della piscina.
Qualcun altro stava scendendo dal piano di sopra e Bruce alzò lo sguardo preoccupato. Eccettuata la famiglia Stark, non amava molto stare in mezzo alla gente, per paura di finire per perdere il controllo, sicché decise di muoversi per raggiungere Tony, ma si bloccò quando comparvero un paio di gambe snelle sui gradini più alti.
Violet, la sorella di Victoria, era appena arrivata: si era presa qualche giorno di vacanza per stare con loro, sostanzialmente perché per lei Villa Stark era un centro benessere gratuito. Indossava un pareo colorato con un asciugamano gettato sulla spalla e l’e-book reader in mano, pronta per raggiungere la nipote in piscina. Notò Victoria ed il suo ospite e sorrise.
«Salve» disse semplicemente, ma il tono di voce era morbido come seta.
Era la copia più giovane di Victoria, anche se, ora che aveva tagliato i capelli, la somiglianza era un po’ mitigata. Eppure il fisico era lo stesso, gli occhi erano della stessa tonalità di verde e la bellezza dei tratti delicati era la medesima.
«Violet, ti presento il dottor Bruce Banner. Bruce, mia sorella» li presentò velocemente Victoria, lanciando un’occhiataccia a Violet.
Bruce le strinse goffamente la mano mormorando un saluto. Violet sorrise di nuovo: «Piacere di conoscerla» disse e si voltò per andarsene. Victoria ebbe l’impressione che esagerasse il movimento del bacino.
«Scendo da Tony» disse Bruce e si fiondò giù per le scale.
Victoria decise che doveva dire due parole a sua sorella ma Jarvis l’avvisò che la cuoca chiedeva di lei, perciò la donna raggiunse la cucina e si dimenticò di Violet.
Per quella sera Tony aveva voluto organizzare una grigliata con i suoi amici che, eccettuato Bruce che si era presentato prima, sarebbero arrivati di lì a qualche ora e la cuoca voleva sapere quanta carne mettere a marinare per il barbecue.
«Non so mai quanta prepararne, quando vengono gli amici del signor Stark» si lamentò.
«Rosalind, per quanta ne preparerà, sarà sempre troppo poca» ridacchiò Victoria, ricordando le cene precedenti. «Abbiamo due energumeni di un metro e novanta che mangiano sempre come se fosse l’ultima volta; Bruce che deve avere lo stomaco estensibile e Clint che non vuole mai essere da meno» enumerò. «Quindi non si preoccupi e ne prepari parecchia, di certo non andrà sprecata».
 
Victoria si stava allacciando i sandali quando Tony salì in camera.
«Sei in ritardo» gli fece notare, mentre lui si spogliava velocemente.
«Lo so, colpa di Bruce» borbottò, ammucchiando i vestiti sul pavimento. «Sai bene che perde la cognizione del tempo quando è in laboratorio».
Victoria sapeva che stava parlando di se stesso, attribuendo la colpa a Bruce. Peccato che lei sapesse benissimo chi dei due perdeva la testa quando era impegnato a giocare con la fisica e la chimica.
«Sbrigati a fare la doccia: io scendo a intrattenere i tuoi ospiti» disse, soffiando un bacio immaginario verso di lui.
Udì la risata argentina di Violet ancor prima di arrivare in salotto e affrettò il passo. Era seduta sul divano accanto a Bruce e lo guardava con gli occhi verdi esageratamente spalancati; mentre li raggiungeva, la vide mentre gli dava un leggero buffetto sul ginocchio.
«Non vai a prepararti, sorellina?» domandò, dato che indossava ancora il costume e il pareo, e vide lo scintillio nello sguardo di Violet: il diminutivo non era di suo gradimento.
Si voltò verso Bruce, mostrando i denti perfetti in un sorriso altrettanto perfetto: «Ci vediamo più tardi, Bruce».
Si alzò e salì in fretta la scala che portava al piano di sopra.
«Vieni, accomodiamoci in giardino mentre aspettiamo gli altri» disse Victoria, senza accennare alla scenetta di cui era stata testimone, guidandolo fuori.
Sul curatissimo prato ai bordi dell’enorme piscina della villa – dove Elizabeth stava ancora sguazzando – era stato predisposto un gazebo che avrebbe potuto benissimo contenere un centinaio di persone. Su un lato del gazebo c’era un enorme barbecue che il personale della cucina stava accendendo in quel momento mentre, dall’altra parte, un cameriere in camicia bianca e papillon gestiva un bar fornito di tutto.
«Elizabeth, credo sia il caso che tu esca di lì, se non vuoi che ti spuntino le branchie e le squame» disse Victoria.
«Le squame? Come la Sirenetta? Sarebbe forte!» esclamò la bambina, raggiungendo il bordo della vasca e facendosi aiutare da Zoey, che la avvolse in un telo.
Clint e Natasha arrivarono in quel momento. Elizabeth si liberò dalla stretta della tata e corse incontro ai nuovi arrivati.
«Ciao, Occhio di Falco» esclamò, mentre lui si abbassava per prenderla in braccio. «Sai, credo di avere un’altra moneta infilata nell’orecchio».
«Un’altra?» domandò lui. Sollevò la mano destra ed Elizabeth rimase immobile. Lui le sfiorò l’orecchio e fra le dita gli comparve una moneta da un dollaro. «Devi fare più attenzione quando fai il bagno nei dollari».
La bambina ridacchiò.
«Ora fila via, signorina» la rimproverò Victoria.
Elizabeth salutò Natasha e corse in casa, mentre Zoey la rincorreva.
«Vi prego di scusarla» mormorò Victoria, ma Barton scosse la testa.
«Ma figurati! È adorabile». Natasha parlò per entrambi e sorrise.
Natasha Romanoff non lo faceva quasi mai. La russa di ghiaccio che quando combatteva con gli Avengers, unica donna della squadra, assumeva il nome di Vedova Nera, seminava sorrisi con la stessa generosità di un avaro. Gli unici che Victoria aveva visto dipingersi sul suo volto erano quelli che rivolgeva a sua figlia e a Barton.
La donna non poteva fare a meno di chiedersi come mai nessuno degli Avengers avesse mai notato che Nat e Clint stavano insieme. Quando ne aveva parlato con Tony, lui era scoppiato a ridere.
«Hai una fantasia surriscaldata, Vicky» le aveva detto. «Quei due non stanno assolutamente insieme».
Clint Barton era uno dei primi agenti reclutati dallo S.H.I.E.L.D. e uno dei suoi primi incarichi era stato quello di terminare Natasha. La donna era una macchina da guerra, addestrata superbamente nelle arti marziali, e una spia di grande talento. Per lo S.H.I.E.L.D. era un personaggio scomodo e Clint era stato mandato a ucciderla, ma aveva deciso diversamente, intercedendo poi perché lo S.H.I.E.L.D. la accogliesse nelle proprie file. I due avevano fatto coppia perché dotati di abilità molto simili ma, a detta di Victoria, non era l’unica ragione. Possedevano un’intesa che non era solo frutto di addestramento e anni di combattimenti spalla a spalla.
Jarvis avvisò che era arrivato anche il Capitano Rogers, che li raggiunse in giardino, e si stavano salutando quando gli ultimi ospiti, Thor e Jane Foster, arrivarono alla villa. Steve Rogers frequentava da un paio d’anni una biondina di New York, Beth Jenkins. La ragazza faceva la cameriera in un bar all’epoca dell’attacco alla città ed era rimasta così impressionata dalle eroiche gesta di Captain America che era andata a cercarlo per ringraziarlo personalmente di averle salvato la vita.
Si erano frequentati per qualche tempo e si erano accorti che tra loro stava nascendo qualcosa. Stavano insieme da allora, ma quella sera la ragazza doveva lavorare e non aveva potuto prendersi una serata libera anche perché lei e Cap erano tornati solo qualche giorno prima da un viaggio in Italia.
Si unì a loro anche Violet – che secondo Victoria era truccata in modo un po’ troppo sofisticato per una informale grigliata tra amici – e, finalmente, Tony fece la sua comparsa.
«Ehilà, è arrivata la primadonna!» esclamò Rogers.
C’era un rapporto tutto particolare tra Tony e Steve. Quando erano in battaglia, Tony sottostava senza fiatare agli ordini del Capitano, riconoscendo la sua autorità. Ma quando erano “in borghese”, non mancavano l’occasione per stuzzicarsi e pungersi con battutine di quel genere. In realtà, si stimavano l’un l’altro e nessuno dei due avrebbe esitato a mettere la propria vita nelle mani dell’altro.
«Non ricominciate, vi prego» proruppe Thor, rovesciando gli occhi nelle orbite.
«Tranquillo, semidio. Sono troppo superiore per raccogliere queste insinuazioni» mormorò Tony con il suo sorriso più innocente. Poi invitò i suoi amici ad avvicinarsi al bar, lasciando che ordinassero ciò che preferivano. Violet prese in disparte la sorella.
«Bruce è uno degli amici speciali di Tony, vero?» chiese sottovoce.
«Il dottor Banner è uno scienziato e a volte lavora con Tony» replicò Victoria, aggirando la domanda.
Ma Violet non era disposta a mollare così in fretta: «Ma è uno degli Avengers, vero?» chiese, abbassando ancor di più la voce.
«Sai che non posso parlare di queste cose».
C’era voluta tutta l’influenza di Tony per far sì che Victoria fosse messa a parte di ciò che accadeva in seno allo S.H.I.E.L.D., una delle organizzazioni più segrete della Nazione. Alla fine, Fury aveva ceduto, consentendo che le mogli o le fidanzate degli Avengers fossero a conoscenza di ciò che succedeva, vincolandole però alla segretezza. Victoria e Jane erano tra le pochissime civili che avevano un codice di accesso personale ai file dello S.H.I.E.L.D.
Violet sogghignò: «Il fatto che tu non ne possa parlare conferma che è uno di loro» mormorò, con gli occhi scintillanti, girandosi verso di lui.
«Togliti quell’espressione dalla faccia» rimbeccò e Violet tornò a guardarla.
«Non capisco di cosa stai parlando».
«Bruce è un boccone troppo grosso per te, credimi».
Meglio mettere subito in chiaro la cosa, prima che degenerasse. Violet fece un gesto con la mano, come a voler scacciare i timori della sorella, ma riuscendo solo a rafforzarli.
«Oh, la mia è solo curiosità, sorella». Socchiuse gli occhi, posandosi un dito sulle labbra. «Mi chiedo chi sia la sua seconda identità. Thor lo escluderei: per quel poco che ho visto in tv mi sembra più probabile che sia quell’energumeno biondo a cui sta abbarbicata quella ragazza» borbottò, indicando Jane.
Gli Avengers facevano di tutto per passare inosservati, non riuscendoci quasi mai. Qualcuno riusciva sempre a rubare qualche immagine di loro, facendole poi fare il giro del mondo. Ma se Tony cavalcava da tempo l’onda mediatica del successo e della notorietà, lo stesso non si poteva dire degli altri.
«Quella ragazza, come dici tu, è uno dei migliori astrofisici di questo mondo» spiegò.
«Secondo me potrebbe essere Captain America» proseguì Violet come se non l’avesse udita. Poi schioccò le dita, come colpita da una folgorazione: «Dev’essere Occhio di Falco!» esclamò.
Victoria nascose un sorriso: buffo che Violet li avesse nominati tutti meno quello che effettivamente era.
«Ora piantala di fare supposizioni. Stasera sono soltanto gli amici di Tony, ok?» concluse, invitandola a prendere posto a tavola.
La cena fu piacevolissima. L’atmosfera era rilassata e gradevole, la conversazione stimolante e mai banale. Elizabeth rimase al centro dell’attenzione di tutti finché si arrampicò in braccio a sua madre e si addormentò.
«Vuoi che la porti a letto?» le chiese Tony, accarezzando la testa della figlia appoggiata al petto di Victoria.
«No, ci penso io» mormorò.
Elizabeth, dopo un intero pomeriggio in piscina, era talmente spossata che non si mosse nemmeno quando Victoria le infilò il pigiamino e la mise a letto, coprendola con il lenzuolo. Le baciò la fronte: «Sogni d’oro, principessa» la salutò.
Spense la luce e lasciò la porta socchiusa. «Jarvis» disse semplicemente.
«Già fatto, signora», rispose il computer.
Victoria sapeva che Jarvis stava attivando tutti i protocolli di sicurezza. Alieni, dei, altre dimensioni, aveva detto Tony una volta, voglio evitare il più possibile che mia figlia entri in contatto con cose del genere. Perciò, la stanza di Lizzy era più sicura del caveau di una banca e Jarvis vigilava incessantemente sulla sua protezione.
Victoria tornò in giardino. I suoi ospiti si erano spostati sui divani, dove Jane stava discutendo animatamente con Bruce.
«Ma se il vuoto arcaico continuasse a nucleare materia-energia, potrebbe generare sempre nuovi universi» disse la donna.
Banner annuì: «Non è un’ipotesi da escludere. Quando materia e antimateria si slegano dal vuoto, vengono ad esistere anche nel tempo. Quindi, analogamente, si può pensare che il vuoto arcaico produca continuamente nuovi universi».
Victoria sedette accanto a Tony che la cinse con un braccio.
«Di che parlano?» chiese, faticando a seguire il discorso infarcito di termini tecnici.
«Cosmologia quantistica» spiegò Tony. «Roba da supercervelloni: se non fossi un genio, faticherei anch’io a seguirli». Poi colpì la spalla di Bruce con un pugno scherzoso. «Vuoi far venire mal di testa a tutti?»
Bruce si strinse nelle spalle: «Scusate, a volte ci lasciamo trasportare dall’entusiasmo».
L’arrivo di Thor sulla Terra aveva dato nuova linfa a tutta una serie di teorie fantascientifiche sui Ponti di Einstein-Rosen e sull’astrofisica in generale, tutto materiale che Jane stava attualmente studiando.
«E i tuoi libri, Victoria?» chiese Steve.
«Vanno alla grande» replicò la donna. «Anche se ora, con una serie di supereroi a piede libero, la fantasia sta diventando realtà, e a chiunque basta accendere la tv per ritrovarsi catapultato in un mondo fantastico».
 Al primo Luna Blu, pubblicato oltre cinque anni prima, erano seguiti Luna Rossa e Luna Argento, quest’ultimo appena apparso nelle librerie. Tutti e tre avevano riscosso molto successo e Victoria stava ora lavorando ad un nuovo progetto basato, guarda caso, sulle avventure di un affascinante supereroe che indossava un’armatura rossa e oro.
«Quindi il prossimo sarà una specie di biografia di qualcuno che conosciamo» commentò Steve. «Mi dispiace, ma questo proprio non lo comprerò».
«Se non capisci nulla di letteratura, non è colpa di nessuno» borbottò Tony. «D’altronde è chiaro che i tuoi gusti sono rimasti fermi ad Agatha Christie».
Captain America era nato a cavallo tra le due Guerre Mondiali e aveva combattuto contro l’Hydra, la divisione scientifica dell’esercito tedesco. Per salvare il suo Paese si era inabissato con un futuristico jet carico di missili tra i ghiacci dell’Artico, rimanendo ibernato fino a sei anni prima, quando era stato ritrovato e reclutato dallo S.H.I.E.L.D.
«Avresti dovuto fare il comico, sai Stark?» replicò Steve e le schermaglie proseguirono finché Thor non si alzò.
«Personalmente starei ad ascoltarvi per ore, ma Jane domattina ha un’importante conferenza e abbiamo già fatto tardissimo» disse.
Il gruppo si sciolse e gli Stark accompagnarono gli amici alla porta.
«Ci vediamo presto» li salutò Tony. «Non troppo presto, però» aggiunse.
Scherzava ovviamente, ma fino ad un certo punto: la maggior parte delle volte in cui si vedevano era per risolvere qualche problema che di solito comportava un viaggio in ospedale e tanta paura per Victoria.
Rogers se ne andò in sella alla sua moto, Nat e Clint a bordo di un’auto con i contrassegni dello S.H.I.E.L.D., Jane e Thor con il SUV nero che Tony aveva offerto al laboratorio di ricerca della dottoressa Foster spiegando che non poteva sopportare che, quando si trovavano a Villa Stark, la donna arrivasse con quello “scassatissimo furgone bianco”.
«Sicuro che non è un problema?» chiese Bruce e Tony scosse la testa.
«Ho detto a Bruce che può fermarsi qui stanotte» spiegò a Victoria «così domattina possiamo riprendere a lavorare in laboratorio senza perdite di tempo».
«Non c’è problema, Bruce» commentò la donna. «Abbiamo talmente tante stanze qui che di alcune ignoro perfino l’esistenza».
«Però dovrai prestargli una camicia da notte» scherzò Tony, ma l’altro sogghignò.
«Non ce n’è bisogno, Tony: dormo nudo».
Tony si coprì gli occhi con una mano: «Non c’è bisogno che io sappia proprio tutto di te, fratello» esclamò.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Fragolina84