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Autore: LuceBre    21/07/2014    1 recensioni
Non si era mossa di un centimetro. Ferma. Lo sguardo fisso davanti a lei. La mente volava fuori da quella stanza, da quella casa. La sua mente girovagava nei meandri dei suoi desideri, incubi, sogni, paure.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tisana al finocchio e bagno alla cannella.

La tazza bianca di tisana aveva smesso di fumare da un pezzo e lei non se ne era neppure accorta. Era accucciata sulla sedia con il mento sulle ginocchia e con le braccia che le circondavano le gambe davanti al tavolo, davanti alla tazza che vedeva ma non guardava. Era immobile in quella posizione da più di mezz'ora. Non si era mossa di un centimetro. Ferma. Lo sguardo fisso davanti a lei. La mente volava fuori da quella stanza, da quella casa. La sua mente girovagava nei meandri dei suoi desideri, incubi, sogni, paure. Uno stato di catalessi in cui ogni tanto cadeva per autoanalizzarsi, per fare un confronto, per capire se qualcosa dentro di lei fosse migliorato o peggiorato.
La tazza senza più fumo, ormai fredda. La tisana al finocchio col suo colorito pallido. Il cucchiaino di acciaio contrastava con la tazza bianca. Una mosca volava per la stanza. Ronzava rumorosamente. Normalmente le avrebbe dato fastidio. Non avrebbe sopportato di rimanere nella stessa stanza con quell'animale. Normalmente l'avrebbe uccisa. Non in quel momento. In quel momento niente avrebbe potuto spostarla da quella sedia, da quella posizione, da quel tavolo, dai suoi pensieri. Niente.
Sua mamma entrò nel soggiorno con l'aspirapolvere acceso. Lei non si mosse. Non si girò. Non aprì bocca. Continuava a guardare davanti a sé come se niente fosse. Come se fosse da sola. Come se fosse avvolta dal silenzio più assoluto. Sua mamma la conosceva abbastanza da sapere che nulla al mondo l'avrebbe spostata da quella sedia. Sapeva che da un momento all'altro si sarebbe alzata, come se niente fosse, avrebbe riempito la vasca da bagno con il bagnoschiuma alla cannella e sarebbe rimasta lì, in ammollo, per un'ora e mezza. Era diventato un automatismo.
Tutti in famiglia si erano abituati a questo comportamento. Inizialmente era stato un problema. I suoi genitori si erano preoccupati quando la videro ferma seduta sulla sedia davanti ad una tazza di latte caldo ad otto anni mentre faceva colazione. Si erano preoccupati non vedendo in lei alcuna reazione, alcun riflesso. Ma come quello stato di riflessione era venuto, se ne era pure andato. Non era durato più di qualche secondo. Col passare del tempo, la durata era aumentata. Erano aumentati i gesti automatici che faceva. Un giorno era stata aggiunta la tazza, un altro la tisana al finocchio, un altro ancora il bagno caldo. C'era stata un'evoluzione. Passaggi che ormai erano diventati necessari e intrinseci. I suoi genitori avevano provato a capire, ma lei non aveva dato spiegazioni. All'età di otto anni quando papà le chiese dopo essersi ripresa “Amore, va tutto bene?” lei annuì come se niente fosse, sorridendo come solo una bambina poteva fare, dicendo “Sì, papà” come solo una bambina, con una vocina ancora addormentata ma entusiasta, poteva fare. Aveva otto anni e le domande non potevano essere poste. Aveva otto anni e non le accadeva così regolarmente come ora. Aveva otto anni ed era un evento quasi raro.
Col passare degli anni l'intervallo tra una riflessione e l'altra era diminuito, ma era aumentata la durata. L'intervallo si era stabilizzato e ogni dodici giorni lei cadeva in questa trance. Suo fratello la prendeva in giro. La prendeva in giro perché gli sembrava un gesto da pazza. Anormale. Come se nella testa di sua sorella ci fosse qualcosa di sbagliato. Ma anche suo fratello ci aveva fatto l'abitudine.
Erano curiosi, tutti quanti, ma sapevano che le risposte che volevano non sarebbero arrivate. Avrebbero dovuto accontentarsi. Erano curiosi e anche preoccupati. Non capivano perché la mente della loro figlia e di sua sorella non funzionava come le altre. Non capivano perché avesse bisogno di racchiudersi in se stessa. Non capivano come riuscisse ad ignorare completamente il mondo, il resto. Erano curiosi, ma non volevano chiedere.
Quando Giada aveva realizzato, quando si era resa conto di questo suo bisogno, si era sentita inizialmente un po' a disagio. Non era normale. Lo sapeva, ma non poteva farne a meno e non poteva decisamente sapere quando sarebbe stata la prossima volta. Quindi sperava di poter rimanere da sola. Sperava che la fortuna decidesse di assecondarla e che nessuno la vedesse. Ma non era facile. Solo raramente era capitato che in quel momento nessuno fosse in casa, ma ormai neppure a lei dava fastidio che la sua famiglia ci fosse. Aveva imparato a convivere con questa cosa, con questa situazione. Neppure lei sapeva come chiamarla. Ogni tanto si fermava a pensare a cosa sarebbe successo quando qualcun altro al di fuori della sua famiglia si sarebbe reso conto di questo suo bisogno. Avrebbe riso? L'avrebbe presa in giro? Le avrebbe fatto i complimenti? Per cosa poi? Non lo sapeva e per questo evitava di fare gite più lunghe di una settimana. Era una cosa che doveva fare a casa sua. E per ora casa sua era la casa in cui viveva con i genitori.

   
 
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