Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: aturiel    21/07/2014    6 recensioni
Era lei, lei sola, il cuore della serra, l’unica cosa che realmente importava.
No, non la vasca, bensì quel che vi era al suo interno: corpo flessuoso, capelli di un azzurro così tenue da confondersi con il liquido circostante, polsi sottili, braccia magre, collo lungo ed elegante, labbra rosse come il sangue, occhi infiniti di un blu che sapeva d’immenso, seni pieni e una lunga e muscolosa coda da pesce ricoperta di luccicanti scaglie argentate e nere.
Insomma, una sirena.
-
Terza classificata al contest "Il Romanticismo del 666"
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic
L’uomo si sistemò la cravatta color cielo.
Ormai entrare in quella stanza era diventato quasi un appuntamento: gli piaceva essere vestito elegante quando varcava quella porta, con quel farsetto dai bottoni d’argento, con l’orologio su cui erano incise le sue iniziali ben infilato nel taschino del panciotto e con il cappello a cilindro – quello proprio da signore per bene - posato sul capo. In realtà non amava particolarmente quell’abbigliamento, ma gli conferiva un’aria più seria e affidabile: voleva che lei lo vedesse un po’ meno miserabile di quello che doveva apparire ai suoi occhi. In fondo tutti, lui compreso, pensavano che, quando una bella donna stava con un uomo di aspetto assolutamente ordinario, quello si sarebbe dovuto ritenere fortunato, molto fortunato.
E lei era più che bella.
Appena entrato, posò il suo costoso cappello sul gancio dell’appendiabiti e, con lui, la giacca nera: si sentiva più a suo agio a lavorare in camicia.
Le piante rampicanti color porpora avevano ormai invaso quasi del tutto le pareti della serra e questo impediva alla luce di entrare, regalando al luogo un’atmosfera un po’ lugubre. D’altronde i vegetali non ne soffrivano: non avevano bisogno di troppo sole per sopravvivere.
Al centro della struttura c’era un’alta vasca cilindrica piena d’acqua dalla quale partivano numerosi tubi d’acciaio. Era lei, lei sola, il cuore della serra, l’unica cosa che realmente importava.
No, non la vasca, bensì quel che vi era al suo interno: corpo flessuoso, capelli di un azzurro così tenue da confondersi con il liquido circostante, polsi sottili, braccia magre, collo lungo ed elegante, labbra rosse come il sangue, occhi infiniti di un blu che sapeva d’immenso, seni pieni e una lunga e muscolosa coda da pesce ricoperta di luccicanti scaglie argentate e nere.
Insomma, una sirena.
L’uomo le si avvicinò come tutte le mattine e posò una delle sue mani un po’ tozze sul vetro della vasca. La sirena si ritrasse, facendo aderire la sua schiena magra al vetro opposto. Sicuramente avrebbe voluto appoggiarci anche la coda, ma evidentemente le faceva ancora troppo male dopo che l’uomo le aveva asportato una parte di carne per studiarla.
Lui ne era, come sempre, ammaliato: com’era possibile che una creatura così bella fosse rimasta nascosta tanto a lungo? Ma adesso lui l’aveva scoperta e si sentiva l’uomo più fortunato del globo, proprio come un uomo assolutamente ordinario che aveva conquistato la ragazza più bella del paese.
Con un sospiro si allontanò dalla vasca e analizzò per l’ennesima volta i suoi studi, gli schizzi frettolosi, gli appunti e i barattoli di vetro con parti di dita, pinne, scaglie e capelli immersi in un liquido melmoso simile all’acqua solo per trasparenza. Non avrebbe voluto farle del male, ma aveva come il bisogno di sapere come funzionavano gli organi di quella fanciulla, come batteva il suo cuore, se provava emozioni.
Erano ormai due anni che Richard, perché quello era il suo nome, si affaccendava per scoprire tutto ciò che poteva su quella creatura: aveva testato la sua resistenza, l’aveva sottoposta a scosse elettriche, aveva cercato di capire di che cosa si nutrisse, l’aveva immersa in acqua bollente e ghiacciata, aveva asportato piccole parti di lei per poterne studiare i tessuti, aveva cercato di capire se sapeva comunicare e, in caso, come facesse. Aveva scoperto tante di quelle cose al limite dell’assurdo che ne era rimasto abbagliato.
Ormai, tutte le mattine, si recava al laboratorio per ammirarla e parlarle. Sapeva che non poteva capirlo, sapeva che non poteva rispondergli, ma lui lo faceva lo stesso. Le diceva tante cose, le descriveva, meravigliato, come le sue dita amputate si stessero rigenerando a una velocità talmente pazzesca che, forse, da queste si sarebbe potuta estrarre una cura per tante malattie comuni tra gli umani, le parlava di come i suoi capelli, esposti per poche ore al sole, si squagliassero come neve, le sussurrava di come avrebbe voluto baciare quelle labbra tanto rosse da far male, le diceva che nessuno l’avrebbe amata come faceva lui.
E piangeva - alla fine piangeva - davanti a tanta bellezza.
Conosceva tutto di lei, aveva toccato ogni sua più piccola parte, aveva assaporato il suo sangue, si era specchiato nei suoi occhi tanto simili all’oceano e li aveva riempiti di lui.
Godeva quando, piena di terrore e rabbia, si schiacciava sulla parete di vetro, lontano da lui: era contento che resistesse, poiché così gli dimostrava che aveva sentimenti simili agli uomini. E se adesso lo odiava, forse avrebbe potuto anche amarlo, alla fine.
All’inizio l’aveva ritenuta la chiave per avere la vita che aveva sempre desiderato, aveva pensato che, così, avrebbe avuto abbastanza denaro per continuare i suoi studi sulle piante che vivevano al buio. Ma ora era cambiato tutto: come avrebbe potuto vendere un tale spettacolo della natura? Come avrebbe potuto vederla andar via da lui? No, l’avrebbe tenuta sempre con sé, nessuno avrebbe potuto dissetare i propri occhi stanchi del grigiore di Londra con quel miracolo. Nessuno tranne lui, ovviamente.
Quel giorno non avrebbe fatto studi su di lei perché, altrimenti, rischiava di farla morire: aveva bisogno di riposo, ora. Quindi riordinò il suo materiale e lo chiuse in uno dei tanti cassetti della scrivania in ebano che era stata posta proprio di fronte alla vasca della sirena. Non appena ebbe finito, prese a camminare per la serra guardando distrattamente le sue piante, quasi tutte morte. C’erano le Epiphylla oxypetala, chiamate anche le Regine della Notte, i Cestra nocturna con i loro fiori bianchi tanto profumati quanto insignificanti. Ma ormai erano tutti morti.
Lei è più importante di qualche stupida pianta.
Da quando era riuscito a comprarla da un vecchio marinaio russo, si era dedicato anima e corpo a lei sola; aveva venduto la sua abitazione in città per vivere in un ostello a soli cinque minuti a piedi dal laboratorio, aveva lasciato marcire i suoi - una volta - preziosi studi sulle piante e aveva divorziato dalla moglie che gli urlava, incessantemente: «Non conosciamo abbastanza la vita e il mondo che ci circonda, come possiamo conoscere ciò che non vediamo?». Ma lei non capiva, non sapeva niente.
Adesso dedicava alla sirena tutto il tempo che riusciva, saltando addirittura pasti per poter stare con lei. La amava, non c’era altra spiegazione plausibile per un tale comportamento. Nessun’altra.
La mattinata passò in fretta e, con lei, anche il pomeriggio. Era ormai notte quando Richard decise di andarsene. Come sempre, prima di uscire, andò dalla sirena e le disse:
«Buona notte, mia adorata Joëlle.»
Joëlle, così l’aveva chiamata. Sua madre aveva origini francesi e quel nome, un poco, gliela ricordava.
Chiuse la porta in legno dietro di sé e uscì. Il cielo era, come sempre, di un grigio tetro e l’umidità entrava fin dentro le sue ossa stanche. Odiava Londra, non riusciva più a viverci. Lui avrebbe voluto trasferirsi nella sua amata Francia, trasportando con sé l’altrettanto amata Joëlle, la sua splendida sirena. Avrebbero passato il resto della vita in pace, immersi nella natura o forse in riva alla Senna. Lui avrebbe potuto continuare a sorprendersi della complessità del corpo del suo amore e lei… lei sarebbe forse riuscita ad amarlo, finalmente.
Invece no, lui era intrappolato a Londra, sotto la pioggia, costretto a parlare quel linguaggio un po’ rozzo, obbligato a vivere in uno squallido ostello, sopportando di esser chiamato continuamente, in quel modo un po’ sprezzante, il Francese.
Pensava tutte le sere a questo prima di addormentarsi. Non riusciva a darsi pace. A volte sua madre - dopo che si erano dovuti spostare da Marsiglia a Londra – vedendolo piangere di nostalgia gli sussurrava:
«Su Richard, non piangere. Bisogna esser grati di ciò che ci viene offerto, altrimenti rischi che Dio ti punisca e ti mandi all’Inferno!»
Quando era piccolo, lui annuiva e smetteva di piangere, magari pulendosi il naso con la manica della camicia, ma adesso era un’altra la risposta che avrebbe voluto dare a sua madre: l’Inferno si trova dentro la mia testa.
Solo immaginare Joëlle vicino a lui riusciva a calmarlo. E lui lo faceva sempre, sorridendo.


Il mattino seguente si svegliò di buon umore.
Prese dalla sedia accanto al suo letto il completo “da lavoro” e si vestì con la solita cura.
Uscì da casa nascondendo un sorriso soddisfatto e si diresse piuttosto frettolosamente alla serra.
Oh mio tesoro, oggi ti farò un regalo stupendo! Oh mio tesoro, mio tesoro, mia amata Joëlle…
Entrò nel laboratorio e iniziò a scribacchiare – sorridendo - su un foglietto di carta sgualcita qualche numero. Era tanto tempo che preparava quell’esperimento e adesso che poteva metterlo in pratica, si sentiva eccitato come un bambino.
Si sporse verso la vasca e poggiò le dita sul vetro. Poi disse:
«Ti amo Joëlle.»
La sirena lo guardò con la consueta diffidenza.
Non guardarmi così, mia cara! Io ti amo tanto e con questo mio regalo scommetto mi amerai anche tu! Oh mio tesoro…
Quindi si allontanò da lei e abbassò la leva di ferro arrugginito al suo fianco.
All’inizio non accadde nulla, poi la sirena incominciò a raggomitolarsi su se stessa e prese a scavarsi il petto con le unghie, come se volesse strapparsi il cuore dal petto. Richard guardava, ammirato.
A un tratto i vetri cominciarono a scricchiolare, sempre di più, ancora e ancora.
Fin quanto resisterai all’aumento di pressione?
Ci fu uno schianto secco: la vasca era esplosa. La sirena si ritrovò per terra, sbattendo la coda disperata.
Richard era di fronte a lei e aveva un grosso frammento di vetro nell’addome; il sangue gli colava dalla bocca e ormai la sua camicia bianca era completamente bagnata di rosso. La sirena gli si avvicinò cauta, come se volesse accertarsi della sua morte. Socchiuse le sue labbra e disse: «Richard.» Poi ancora: «Richard, Richard, Richard… »


«Ehi Richard, svegliati!»
Una ragazza dai capelli corvini gli stava scuotendo un braccio e lo stava chiamando sottovoce, quasi sibilando.
«Richard, dobbiamo andare!»
«Andare dove? Dove sono?»
La ragazza alzò gli occhi blu notte e gli disse:
«Ma come dove!? A casa, idiota.»
Richard alzò la testa dal banco e si guardò intorno: c’erano decine di banchi, quasi tutti vuoti. Un uomo grassoccio con una cravatta azzurra stava cancellando complicate equazioni matematiche dalla lavagna e altri ragazzi come lui stavano uscendo chiacchierando tra di loro.
Era in un’aula. Un’aula dell’università, per l’esattezza.
In un lampo si ricordò tutto: il professore stava facendo lezione quando si era appisolato. Aveva sognato quella storia assurda e, manco a dirlo, la ragazza accanto a lui era Joëlle, la sua fidanzata da più di due anni.
Richard allora si alzò dalla sedia, si sgranchì gambe e braccia e disse:
«Non hai idea delle cose che ho sognato.»
«Qualche numero?»
Il giovane rise: «Oh no, nessun numero. Solo che tu eri una sirena, io ero nel corpo del professor Brown e vivevo a Londra. Nell’Ottocento.»
Joëlle lo guardò interrogativa, poi scosse le spalle, rassegnata.
«Su andiamo, sognatore. O mia madre mi darà per dispersa e ti accuserà di nuovo di volermi portare a vivere con te.»
«Potremmo andarci veramente, a vivere insieme, intendo. Magari in Francia!»
«Poi ne parliamo. Andiamo, adesso?»
«Sì, tesoro. Andiamo.»


------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Partecipa alla Challenge "Contest of Passions" di ellacowgirl indetta sul forum di EFP.
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: aturiel