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Autore: Hermione Weasley    21/07/2014    5 recensioni
Mi hanno sparato, pensò incredula, portandosi una mano alla spalla. Il dolore la investì nel momento esatto in cui si accorgeva di avere una freccia conficcata nella carne. Dischiuse le labbra in un'espressione di muto orrore, facendo saettare lo sguardo verso l'alto, ai tetti che incombevano sulla strada.
Un lampo improvviso disegnò nel cielo nero la sagoma di un uomo.
[Clint x Natasha] [Slow Building] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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15

 

'Cause you are invincible
I can't break through your world
'Cause you live in shades of cool
Your heart is unbreakable

(Lana del Rey – Shades of Cool)

 

L'undicesima freccia della sessione andò a colpire l'ennesimo centro perfetto. Esattamente come le prime dieci, neanche quella riuscì a tirarlo su di morale.

Per qualche assurdo motivo aveva deciso di svegliarsi presto e di trascorrere la mattinata al poligono di tiro dello SHIELD. Quell'esiguo quarto d'ora di permanenza, era stato sufficiente a farlo pentire di essersi alzato dal letto.

Riabbassò l'arco, osservando il bersaglio con apatico disinteresse. Furono dei passi alle sue spalle ad attirare, piuttosto, la sua attenzione. Phil Coulson gli stava andando incontro, gli occhiali da sole in una mano, un grosso fascicolo nell'altra. La sua solita espressione di pacata cortesia gli animava il viso: fu una vista gradita.

“Non eri da qualche parte in Indonesia?” Esordì, recuperando ed incoccando la dodicesima freccia.

“Puente Antiguo a dir la verità,” puntualizzò con un leggero sorriso.

Clint gli rivolse un'occhiata interrogativa, comprendendo improvvisamente che quello che sarebbe seguito, non gli sarebbe piaciuto granché. Tentò di non pensarci, di non fossilizzarsi su preoccupazioni che non avevano ancora un nome, un volto, e tornò sul bersaglio. Tredicesimo centro perfetto. Si trattenne per un attimo di troppo prima di decidere di andare a disincastrare tutti i dardi che aveva scagliato fino a quel momento.

“Quello è per me?” Si decise a chiedergli, alludendo alla cartellina che portava con sé.

“La tua prossima missione,” confermò.

“Devo preoccuparmi?”

“Non particolarmente. Sei passato attraverso cose ben peggiori.”

Rimise le frecce nella faretra poggiata per terra accanto alla rastrelliera degli archi, prendendosi tutto il tempo dell'universo per andare incontro a Phil e prendere il fascicolo che gli porgeva. La consueta dicitura Top Secret sulla copertina era innaturalmente più grande del solito.

“Dici sempre così e poi va a finire peggio,” lo prese debolmente in giro. Che cazzo gli prendeva? Cos'era quel fastidioso presentimento che non l'aveva lasciato neanche un istante negli ultimi tre giorni? Magari mi girano le palle e basta. O forse aveva a che fare col fatto che, per un motivo o per un altro, non era più riuscito a vedere Natasha per più di cinque minuti dopo la loro ultima missione insieme nella Costa d'Avorio. Aveva la netta sensazione che i suoi superiori non gli stessero dicendo qualcosa di importante. Quella constatazione, una volta formulata, era stata difficile da ignorare.

Scacciò bruscamente quei pensieri molesti e si decise ad aprire la cartellina, a scorrere rapidamente la prima manciata di documenti.

“Wow, non scherzavi,” rialzò uno sguardo perplesso su Coulson. “Mi mandate a controllare un martello?”

“Il martello di un dio,” specificò mentre si ficcava entrambe le mani in tasca.

“Non suona meglio,” ci tenne a ribattere. No, suona come un porno ambientato nell'antica Grecia.

“E' successo qualche ora fa.” Phil si era fatto più serio. “Crediamo sia di provenienza aliena.”

“Tipo da Marte?” Adesso si sentiva sinceramente preso per il culo.

“Non ne abbiamo idea. Ma c'è bisogno di occhi ed orecchie costantemente all'erta, da quelle parti. Ho pensato a te.”

“Per quanto?”

“Da un mese fino a data da destinarsi. Non sappiamo come si evolverà la situazione.”

“In New Mexico?”

“Inizialmente, sì.”

Clint rimase in silenzio per qualche istante, metabolizzando le informazioni una ad una. Certo, poteva essere un incarico di prestigio, ma suonava dannatamente palloso. Che diavolo avrebbe dovuto fare, solo, nel deserto, a controllare che il martello più pesante del mondo non si smuovesse di lì? Il suo cervello si rifiutava categoricamente di prendere in considerazione la possibilità che appartenesse realmente ad una qualche divinità non meglio specificata.

“Fammi capire bene,” riprese dopo una lunga pausa. “Mi mandate nel deserto per un mese. Forse più a lungo... a controllare un oggetto.”

Coulson annuì, come a dargli conferma di quel riassunto ridotto all'osso.

“Sono contento che tu abbia pensato a me, ma... suona come una punizione.”

“Hai fatto qualcosa per cui dovremmo punirti?” Phil gli ritorse contro.

“Non lo so, l'ho fatto?”

L'uomo gli lanciò un'occhiata storta, carica di pacato rimprovero, come castigandolo per le sue inutili paranoie. Ma erano davvero inutili? Se si stava inventando tutto, perché si sentiva così? E perché, dopo tutti i suoi straordinari successi, lo Strike Team Delta sembrava essere stato spedito in pensione anticipata?

Riabbassò lo sguardo, quasi incapace di sostenere quello di Coulson.

“E' solo una missione come tante altre.”

“Non è niente, è solo che...” riprese l'arco, pescò un'altra freccia, incoccò, scoccò, centro perfetto. “Sembra sempre che vi impegniate a spedirmi al capo opposto del mondo a quello in cui si trova Natasha.”

“Siete i migliori agenti dello SHIELD, Barton.” Senza neanche guardarlo, gli parve di percepire la leggera scrollata di spalle con cui aveva liquidato i suoi dubbi.

“Questa è la scusa ufficiale, ma quella ufficiosa?” Si rigirò l'ennesimo dardo tra le mani.

Un inquietante silenzio seguì il quattordicesimo centro della mattinata. Sentì i muscoli della schiena tendersi fastidiosamente: quel brutto presentimento stava finalmente per concretizzarsi. Inspirò a fondo senza neanche accorgersene, preparandosi una volta per tutte a fronteggiare nuovamente Coulson. Il quale, per tutta risposta, si limitò a guardarlo con aria desolata, vagamente imbarazzato.

“Fury crede che tu sia stato compromesso.”

“Compromesso.” Giocherellò con il termine, riempiendosene la bocca. Non l'aiutò a capire. “Compromesso da cosa?”

“Da chi,” lo corresse, facendosi adesso estremamente serio. “Romanoff.”

Non poté impedirsi di inorridire a quella neanche troppo velata insinuazione.

“Mi stai prendendo per il culo?” La voce gli uscì più innervosita e brusca del previsto.

“No,” scosse il capo, rilasciando un impercettibile sospiro. “Non hai dato il meglio di te dopo i fatti di Odessa. Il direttore Fury pen -”

“Che si fotta il direttore Fury!” L'aveva riavvicinato di un paio di passi, agitato, punto sul vivo.

“Barton.”

“Non dire Barton con quel cazzo di tono,” lo rimproverò prepotentemente. “Scusami tanto se ci tengo che i miei partner rimangano in vita.”

“Non era quello. Non hai mai fatto così per nessuno.”

“Stronzate!” Tuonò con una certa urgenza, senza nemmeno soffermarsi a chiedersi se Coulson avesse ragione. La parte più razionale di lui, quella che avrebbe volentieri cancellato dalla faccia della terra, ci tenne a ricordargli com'è che si era sentito quando era andato a trovare Natasha in ospedale. Quando aveva trovato il coraggio per farlo, s'intende.

Si placò di colpo, indietreggiando appena. Provò a pensare lucidamente, a riflettere. Avrebbe reagito così per tutti? No. Ma Natasha non era tutti, era l'agente migliore con cui l'avessero mai messo in coppia. Il loro rapporto andava ben oltre le missioni che lo SHIELD aveva loro affidato. Se le circostanze l'avessero disgraziatamente portato a dover decidere tra la propria incolumità e quella di Natasha, quali sarebbero state le sue priorità? Era la sua migliore amica. La sua...

Scacciò furiosamente il pensiero, innervosito, mentre un'altra sensazione che aveva tentato di ignorare per settimane, sembrò tornare a tormentarlo. A ricordargli che, in fin dei conti, non se n'era mai andata. Gli sembrava ancora di poter sentire la pelle morbida del suo viso sotto il palmo della mano, il modo in cui l'aveva attirato a sé quando l'aveva trovato seduto ai piedi del suo letto d'ospedale. Eppure, anche se le cose non erano cambiate... si era sorpreso ad accorgersi che voleva davvero che mutassero. In quale direzione, quello non avrebbe saputo dirlo. Il sesso era rimasto, le sue modalità anche. Natasha continuava ad essere la donna amichevolmente irruenta di tutti i giorni, ma quando erano soli, quando decidevano (ma c'era ben poca deliberazione in tutto quello) di trascorrere il tempo alternativamente, diventava un'altra. Una persona distante. Una sconosciuta con cui non riusciva a capirsi. Aveva un disperato bisogno di farsi capire, una necessità che andava costantemente perduta nei suoi inutili tentativi di traduzione. Quel qualcosa... qualsiasi cosa stessero facendo, lo stava logorando lentamente, internamente, implacabilmente. Ci aveva messo troppo ad accorgersene. Adesso era tardi. Il danno, forse, irreparabile.

“Non è una punizione.” La voce di Phil lo riportò coi piedi per terra, sedando per un misero istante il mal di stomaco che lo stava assillando.

“No, lo so,” sbuffò un'affermazione affatto convinta, torturandosi l'interno delle guance con i denti.

“Andrà tutto bene, Clint.”

“Non ti sei stufato di dire sempre le stesse cose?” Azzardò un sorriso nella sua direzione.

“Mai.”

Il silenzio cadde nuovamente a dividerli. Clint ne approfittò per pescare altre tre frecce dalla faretra, sperando di riuscire a placarsi, in qualche modo.

“Ti aspetto tra due ore alla base per i dettagli.”

“Certo.”

Non si voltò per guardarlo andare via, né per salutarlo. Incoccò i tre dardi, li scagliò con la solita, impietosa precisione. Tre centri perfetti in un colpo solo.

Cos'aveva vinto?

Niente.

 

 

*

 

Lo raggiunse che si era già messo a piovere. Era seduto sul bordo del tetto dell'edificio del suo appartamento, le gambe nel vuoto, la postura leggermente ingobbita. Proprio come il tempo newyorkese, Clint non sembrava di buon umore. Lo vide voltarsi verso di lei mentre gli si sedeva di fianco. Le aveva concesso un misero sguardo prima di tornare a fissare un punto non meglio definito del panorama ingrigito. Natasha non aveva la più pallida idea di che pensieri stesse inseguendo nel sali-scendi dei palazzi che li circondavano.

“E' tutto a posto?” Si decise a parlare quando le fu chiaro che non sarebbe stato lui ad esordire.

Clint si strinse nelle spalle, svogliatamente. Non rispose. Natasha aveva realizzato ormai da qualche mese che c'era qualcosa di diverso nel suo viso, nei suoi occhi, nella sua persona. Un cambiamento dapprima impercettibile, ma che si era fatto sempre più evidente, marcato col passare del tempo. Aveva aspetto che Clint gliene parlasse spontaneamente, come faceva sempre, ma non era successo.

“Clint.” Un tuono coprì la sua voce mentre lo richiamava all'attenzione.

“Mi spediscono in New Mexico.” Un soffio. Non era neanche troppo sicura che avesse parlato sul serio, di non esserselo inventato.

“Per una missione?” Era sicura di aver sentito Fury menzionare il ritrovamento di un misterioso oggetto di presunta provenienza aliena da quelle parti.

“Già.”

“Qual è il problema? Non ti piace il deserto?”

“Sarà una cosa lunga,” si giustificò con una leggera scrollata di spalle.

“Lunga quanto?”

“Mesi.”

Restò a guardarlo ancora per qualche istante, confusa dal suo turbamento. Era abituata a vederlo lamentarsi di questa o quella operazione, ma non le era mai capitato di vederlo tanto contrariato.

“Sotto copertura?”

“No. Supervisione, più che altro.”

“Fury deve aver bisogno di una persona fidata.” Clint le concesse un'occhiata e un mesto sorriso, forse per ringraziarla di quel goffo tentativo di consolazione, ma più probabilmente perché aveva l'aria di esserselo già sentito dire.

“Dovresti rientrare,” suggerì. La pioggia aveva cominciato a scendere sempre più fitta, fredda.

“Vieni con me.”

“No, preferisco... preferisco restare ancora un po' qui, se non ti dispiace.”

Si ritrovò a serrare le mani a pugno, una fastidioso rimescolio allo stomaco a palesare il disagio.

“Clint. Cos'è che non va?” Insistette. “Sul serio.” Perché quelle risposte evasive? Perché quell'espressione? Perché si ostinava a non volerla guardare in faccia?

“Te l'ho detto, sto bene.”

“Non stai bene,” Natasha riusciva a percepire nettamente il suo nervosismo. Fece per sporgersi verso di lui, costringerlo a guardarla in faccia, ma Clint fu più rapido. Le afferrò il viso con una mano, intrecciò le dita tra i suoi capelli e l'attirò a sé, le sue labbra vicinissime, il suo odore amplificato da quello della pioggia...

Il panico la invase e l'istinto prese il sopravvento: si ritrovò a respingerlo bruscamente, ad immobilizzargli il polso, ad obbligarlo a mollare la presa con terrorizzata, irrazionale urgenza.

“Che stai facendo?” La protesta fu un misero sussurro, in evidente contrasto con la furia con cui gli aveva appena impedito di baciarla.

“Niente,” alzò le mani a mo' di resa e si rimise agilmente in piedi, un sorriso indecifrabile sul volto. Solo per un attimo, una luce amaramente compiaciuta gli aveva riacceso il viso.

“Clint, mi spieghi che cazzo ti prende?” La stretta allo stomaco non sembrava avere intenzione di allentarsi. Impedì al suo cervello di concretizzare il senso di colpa che smaniava per prendere forma.

“Niente, non mi prende proprio niente,” la voce gli tremava di rabbia. Stava per andarsene.

Natasha fu costretta ad inseguirlo, tagliargli la strada per impedirgli di farlo.

“Spiegami.” Prepotenza e supplica si mescolarono nella sua richiesta.

“Non c'è niente da spiegare. Smettila.” Tentò di scartarla di lato, ritrovandosela davanti. “Natasha...” l'esasperazione tangibile quando lo bloccò altre due, tre volte.

Un boato rimbombò sopra di loro. L'aria si fece elettrica. Clint l'afferrò per le spalle, sospingendola violentemente all'indietro, schiacciandola contro la porta di accesso al tetto.

“Perché cazzo credi che le nostre missioni in solitaria siano così numerose, ah? Te lo sei mai chiesto?”

Si era ritrovata a trattenere il fiato, a guardare nei suoi occhi, grigi e in tempesta come il cielo sopra di loro.

“Perché siamo i loro migliori agenti,” rispose seccamente, ostentando una sicurezza che, in quel momento, non le apparteneva affatto.

“Certo, mi spediscono a guardare un manipolo di scienziati perché sono l'agente migliore dello SHIELD! Andiamo, Natasha, non raccontiamoci stronzate.”

Adesso era confusa: che stava cercando di insinuare? Perché era così arrabbiato? Qualcosa le suggerì che lo sapeva. Doveva saperlo.

“Fury ha bisogno di un agente di cui si possa fidare.”

“Perché non mandare la Hill, allora? Perché non te?”

“Perché osservare non è il mio forte.”

“Natasha...”

“Clint, se non vu -”

“Perché sono stato compromesso!” Le aveva parlato sopra, coprendo le parole di Natasha con le sue. La presa delle sue mani sulle spalle le venne improvvisamente a mancare: Clint indietreggiò di qualche passo, ripristinando la distanza che li separava.

“Da cosa? Da chi?” Continuava a non capire. “Qualcuno ti ha scoperto?”

“No, Natasha...” sospirò gravemente, esasperato. Si portò entrambe le mani al viso e poi tra i capelli, scompigliandoseli con un gesto brusco. “Sei stata tu.”

Clint aveva cercato i suoi occhi nel momento esatto in cui le parole avevano lasciato le sue labbra. Il modo in cui la guardò le fece pensare ad una cosa sola: che qualcuno, allo SHIELD, sapesse qualcosa che non doveva sapere sul loro conto. Che qualcuno li avesse visti, scoperti. L'agitazione le strinse il petto, una sensazione fastidiosa a cui non riusciva a dare un nome. Tentò di imputarla al comportamento di Clint, eppure... eppure una parte di lei si rendeva perfettamente conto che c'era qualcosa che le stava sfuggendo. Qualcosa di importante. Essenziale.

“Ma è una stronzata,” rispose prima ancora di poterci riflettere. Realizzò di aver liquidato le sue parole con troppa enfasi solo quando le aveva già pronunciate. “Non sei stato compromesso.”

Fu un attimo: l'espressione sul volto di Clint si incrinò, come uno specchio che andava in mille pezzi, un vetro che neanche si era accorta di aver colpito. Non era sicura del perché, ma era più che certa di aver detto la cosa sbagliata. Lo osservò, agitata, mentre scuoteva il capo nella sua direzione, sorridendo di una qualche disgrazia che Natasha non riusciva a cogliere.

Sono stato compromesso,” la contraddizione la colpì come un pugno nello stomaco. La delusione sembrava avergli spento lo sguardo, la voce.

Non poté far altro che osservarlo, impotente, mentre il suo cervello passava rapidamente in rassegna tutte le cose che avrebbe potuto dire per migliorare le cose. Niente le parve all'altezza.

“Non posso continuare così,” aggiunse, i muscoli delle braccia e delle spalle vistosamente contratti per la tensione.

“Clint...”

“No,” l'interruppe bruscamente. “Questa cosa mi sta... m-mi sta logorando,” l'incertezza sul suo viso le fece capire che era sincero. “Sei la mia migliore amica,” biascicò, sempre meno sicuro di sé. “Andiamo a letto insieme, ma non... non mi permetti neanche di baciarti. Di toccarti.”

Una gran vampata di calore le risalì lungo il collo, colorandole le guance. Era rabbia. Era imbarazzo. Era vergogna.

“Non sono affari tuoi.”

“Sì, cazzo. Sì, che lo sono, Natasha.” Si fece di nuovo avanti. “Sono...” si bloccò, come in cerca delle parole adatte. “Tu... t-tu non capisci. Non... n-non riesco a gestirlo.”

“Il sesso?” L'inquisizione le era uscita strafottente, brusca.

“Il modo in cui mi fai sentire,” la corresse, il gelo nella sua voce, nei suoi occhi. “Lo fai sembrare come qualcosa di... d-di sbagliato. Di s-sporco.”

Deglutì a vuoto, sentendo la gola farlesi arida, la salivazione azzerata.

“Non è colpa mia.”

“No... n-no, quello l'ho capito.” Allargò leggermente le braccia, come per asserire la sua impotenza. “Non posso andare avanti così e basta.”

“Non puoi convincermi a fare qualcosa che non voglio fare,” si era mossa verso di lui, parlandogli a pochi centimetri dal viso. L'indignazione e il disagio non fecero che acuire la sua ostilità: se ne rivestì come di un'armatura impenetrabile.

Clint scosse il capo, esausto. “Non voglio obbligarti a fare un bel niente... l'i-idea che tu abbia bisogno di essere obbligata per permettermi di... d-di entrare nel tuo... m-mondo...” si era messo a balbettare, incapace di spiegarsi in modo più articolato.

“Che cazzo stai dicendo?”

“Che hai paura... o c-che non ti fidi di me. O tutte e due le cose.”

“Non ho paura e non ho bisogno di un bel niente.”

“Non ho d-detto che -”

“Cosa c'entra il sesso con la fiducia? Il sesso è solo sesso.”

“Per te, forse! Merda, Natasha, potresti almeno cercare di capire il mio punto di vista?”

“Il tuo punto di vista è sbagliato.”

“Oh, bè...,” sbuffò una risata incredula, fredda, delusa. “Allora non abbiamo più niente da dirci.”

“Bene.” Lo stomaco accartocciato su se stesso, una gran voglia di vomitare, Natasha fece per andarsene. Fu lui a fermarla, stavolta, trattenendola leggermente per un braccio, delicatamente adesso. Ritrovò i suoi occhi improvvisamente addolciti, supplici.

“O è tutto o è niente, Tasha...” cercò di nuovo i suoi occhi, placato, ma triste. “O siamo solo amici e colleghi, o siamo anche... a-anche tutto il resto. Nessuna via di mezzo.”

La speranza che gli lesse nello sguardo, il senso di colpa che le fioriva in petto non fecero proprio niente per placare la furia che le aveva accelerato il battito cardiaco. Una parte di lei avrebbe voluto dire di sì, sì a tutto il resto, sì che avrebbe cercato di cambiare, sì perché se non gli aveva fino ad allora concesso di vederla sul serio, fino in fondo (o magari illudendosi di impedirgli di farlo) era perché aveva avuto paura, perché il passato le aveva insegnato che certi comportamenti avevano esiti scontati e terrificanti, che le persone a cui voleva bene finivano sempre per pagare lo scotto della sua vicinanza... ma l'altra, quella irruenta ed impetuosa che prendeva sempre il sopravvento, non poté far altro che opporsi bruscamente a quella imposizione. Il sesso era solo sesso e se non era disposto a farlo secondo i suoi termini, che se ne andasse pure al diavolo. Lei non aveva compromesso nessuno: ogni agente avrebbe dovuto badare a se stesso, prendersi le sue responsabilità. Se adesso si trovava impossibilitato a svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi, quello era un problema suo e di nessun altro. Lei non c'entrava.

“Non posso darti niente di più di quello che ti ho già dato,” si ritrovò a dire, scandendo lentamente ogni parola, sillaba per sillaba.

Clint lasciò scivolare la mano con cui le aveva stretto il braccio, distogliendo lo sguardo, come per ricomporsi. La pioggia scendeva su quel poco che poteva vedere del suo viso. Il mal di stomaco non accennò a voler diminuire.

“E' okay,” finì per dire, continuando ad evitare di guardarla. “Me lo dovevo... i-immaginare... suppongo.”

“Clint...”

“No. Va'.”

“Io n-non -”

“Natasha.” Aveva finalmente rialzato lo sguardo: la guardò dritta negli occhi, il disappunto abilmente, ma vistosamente mascherato nei suoi occhi. Non avrebbe potuto mentirle neanche se avesse voluto farlo sul serio. “Sto bene. Vai.”

Fece per ribattere, ma si impedì di parlare quando le fu chiaro che non sapeva cosa dire. Niente le avrebbe fatto cambiare idea, niente le avrebbe permesso di migliorare le cose. Tutto quello che poteva fare era ritirarsi, limitare i danni, riprendere la battaglia un altro giorno oppure arrendersi definitivamente. Annuì debolmente, lanciandogli un'ultima occhiata prima di dargli le spalle, riaprire la porta e imboccare le scale interne.

Scese rapidamente, sempre più veloce.

Sentì che le veniva a mancare la terra da sotto ai piedi.

 

*

 

Una serie infinita di scenari possibili cominciarono ad affastellarlesi davanti agli occhi nel momento esatto in cui il cuore si era finalmente deciso a rallentare il suo battito impazzito.

Oscillava pericolosamente tra la voglia di tornare indietro, cambiare idea, tentare di spiegarsi meglio e mandarlo al diavolo, convincersi che era stato lui ad aver travisato tutto, che non era colpa sua se si era sentito come si era sentito.

Natasha non voleva compromettere nessuno.

Natasha non voleva farsi compromettere da nessuno.

Eppure quel principio di nausea che le aveva riempito lo stomaco durante l'ultimo incontro con Clint non accennava a volerla lasciar andare. Non lo fece per giorni, finché Natasha non prese il coraggio a due mani, decidendo di volergli parlare. Faccia a faccia. Andò a casa sua per ben tre volte, si arrampicò sulle scale antincendio per altrettante, raggiunse la finestra del suo salotto, ma non lo trovò mai. L'appartamento era deserto, Clint in missione per una quantità di tempo indefinita. Coulson, nel frattempo, inviato a supervisionare altri agenti, altre operazioni. Fury troppo preso dal suo ultimo progetto, quello che avrebbe dovuto iniziare con Stark e che era stata lei, personalmente, a sconsigliargli. Lei stessa impegnata ad eseguire altri ordini, a risolvere altri problemi.

I giorni diventarono settimane, le settimane mesi.

Il tempo attutì il disagio, ma non il retrogusto amaro di quella brusca, improvvisa separazione. Si rese conto di quanto le mancasse la presenza di Clint persino e soprattutto nelle cose più stupide. Gli agenti con cui lavorava erano troppo facilmente intimiditi dalla sua vicinanza, nessuno capiva il suo senso dell'umorismo, nessuno che ridesse alle sue battute.

Forse – si era ritrovata a pensare più di una volta – era così che doveva andare. Forse erano stati troppo vicini, forse era stata davvero colpa sua se Clint era stato compromesso. Solo più tardi si rese conto di aver prepotentemente invaso il suo spazio senza avergli permesso di fare altrettanto con lei. Vicini e lontani al tempo stesso.

Non se n'era accorta e basta. Era stata goffa e disattenta.

Le missioni si portavano via il suo tempo, i suoi pensieri, la sua attenzione.

Fu una telefonata di Coulson a cambiare tutto.



****************

 
Bè, avevo detto ultimo ostacolo... e che ostacolo sero sia :P (lo so che sono perfida *sigh*)
Non credo che Natasha sia pronta ad accettare di vedere cos'è che sta succedendo sul serio... un rifiuto tutto irrazionale che le costerà un po'.
Per far tornare la timeline di Thor, mi sono immaginata un su e giù di Phil tra New Mexico e New York su jet supersonici sui quali non ci interrogheremo XD
In più, con questo capitolo entriamo direttamente in territorio The Avengers. Più che altro volevo darmi una qualche spiegazione del perché il povero Clint fosse così *scazzato* all'inizio del film... e la noia non mi suonava granché bene, quindi ci ho dovuto aggiungere il carico da cento (sennò che gusto c'è?). Anche se a giudicare dalle nuove foto da Age of Ultron ma dà l'idea che l'abbiano fatto super taciturno e solitario, quindi la mia teoria (AFFATTO DI PARTE) va a farsi friggere :P ma tant'è!
A parte questo, i ringraziamenti di rito ad Eli :3 che mi motiva anche a distanza (mentre io l'assillo, mi adoVa) e a tutti coloro che leggono e commentano! <3 Soprattutto a chi - come me - si deve fare l'estate in città *laggioiavera*
Ancora grazie e alla prossima!
S.

 
  
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