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Autore: Matt11    21/07/2014    0 recensioni
Lasciai girare pigramente lo sguardo intorno a me, sfiorai uomini, donne, anziani e bambini di quasiasi età o colorazione, ma niente attirò la mia attenzione come fece lei. Non mi fraintendete, eh. Era solo una ragazzina e io ero semplicemente un uomo incuriosito dal fascino delle emozioni umane. Ero uno a cui piaceva osservare, intuire e immaginare. Lo sono tutt'ora, penso.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi lasciai cadere distrattamente sullo scomodo sedile di un pullman di linea, direzione Venezia. Non c'era molta gente. Qualche spruzzo di persone distribuite su quasi tutta la lunghezza del veicolo. Lasciai girare pigramente lo sguardo intorno a me, sfiorai uomini, donne, anziani e bambini di quasiasi età o colorazione, ma niente attirò la mia attenzione come fece lei. Non mi fraintendete, eh. Era solo una ragazzina e io ero semplicemente un uomo incuriosito dal fascino delle emozioni umane. Ero uno a cui piaceva osservare, intuire e immaginare. Lo sono tutt'ora, penso. Ma tornando a quella ragazzina. Non deve avere avuto più sedici anni, minuta, i lunghi capelli castani che le ricadevano intorno alle spalle. Non sapevo neanche che aspetto avesse, se fosse bella o no, se fosse felice o sull'orlo delle lacrime. Era tranquillamente seduta al suo posto e guardava fuori, quasi mi dava le spalle. Notai il nero filo affusolato che partiva dalla tasca posteriore dei pantaloni - dove probabilmente teneva il cellulare - e la scalava, si divideva e andava a congiungersi alle orecchie un poco a punta che spuntavano dai capelli mossi. Le puntai addosso gli occhi all'incirca a dieci minuti dalla partenza e non riuscii a rimuoverli. Il fatto era che, Dio mio, era così intrigante. Niente è comparabile all'osservare le reazioni di un qualsiasi adolescente alla sua musica. Mi ricordo com'era seduta all'inizio: una posa così ordinaria, niente gambe accavallate o incrociate, le braccia abbandonate in grembo, le mani non intrecciate, immobili, la schiena un po' ricurva appoggiata al ruvido tessuto del sedile. La testa era abbandonata sul poggiatesta - sì, abbandonata è la parola giusta - e quel maledetto sguardo fisso fuori. Cosa guardi, pensai. Guardi davvero qualcosa, mi chiesi. Stavo quasi per alzarmi e chiederle qualcosa, stavo quasi per rovinare tutto, quando iniziò a muovere un piede al ritmo di una nuova canzone. Guardavo le sue all star rosse un po' rovinate battere sul pavimento, rapite da un melodia che non avrei mai scoperto. Poi iniziò a battere con l'indice contro la coscia, fasciata da un paio di jeans verdi molto stretti. Girò la testa e le spalle iniziarono a ondeggiare seguendo quella canzone che doveva essere uno spettacolo. La schiena si raddrizzò un poco e si sollevò dal sedile. Portò lo sguardo alle mani e chiuse gli occhi, sorridendo. Notai le lentiggini sul suo volto, sul pullman c'eravamo solo io, lei e la sua musica. Una donna piuttosto vivace mi schizzò davanti, interrompendo il contatto visivo. Mi guardai intorno, il mezzo si stava riempiendo. Riportai la mia attenzione sulla ragazzina. Il suo corpo era di nuovo fermo, la testa era tornata appoggiata al poggiatesta, ma lo sguardo, ora, era dritto davanti a sè. Aveva gli occhi verdi. Un sorriso smagliante le era rimasto impresso sul volto delicato. Supposi che la canzone fosse finita. Le prime due note della successiva, e quel sorriso era terribilmente scomparso. Gli occhi ora erano nervosi, irrequieti, sfuggivano verso il basso. Spostò i capelli con un movimento secco e si grattò il collo appena abbronzato con la mano sinistra. Deglutì. Lasciò scivolare la mano lungo il collo e la racchiuse intorno al ciondolo che pendeva da un sottile cordino nero. Non lo vidi, non feci in tempo, lei lo coccolò, lo accarezzò, poi lasciò cadere la mano in grembo. Si passò la mano sinistra tra i capelli e mi accorsi che aveva dei ciuffi biondi. Sole o parrucchiere? Penso che non lo saprò mai. Le sfuggirono mute parole dalle labbra. Fu una canzone abbastanza breve, o almeno più breve dell'altra. 'Don't wanna be an american idiot...' partì a dire poco dopo, lo mormorò, ma le sentii chiaramente, così come, chiaramente, percepii la gioia che quella canzone le trasmetteva. Non lo so, non la conosco come canzone, ma dev'essere abbastanza movimentata. Anche questa fu abbastanza breve, lei non si perse una parola e chiuse la canzone con una schitarrata paurosa dalla sua chitarra invisibile. Sorrisi. La vidi aspettare qulache secondo per l'inizio della canzone successiva, la ascoltò un po' con uno sguardo distaccato, poi si frugò in tasca, estrasse il cellulare e cambiò canzone. Con un movimento fluido si legò i capelli in una cipollina dispordinata - il suo elastico era di un viola sbiadito - e si mise come in attesta di qualcosa. La guardai un attimo perplesso, ma non dovetti aspettare molto. Due colpi, due battute su quella splendida chitarra invisibile che portava appesa al collo. Pausa ed altri due colpi. Era mancina. L'artista inziò a cantare e lei lo seguì per le prime frasi, poi le sue labbra si fermarono e ascoltò in silenzio, battendo il tempo con il piede. Il volume era talmente alto che potevo sentre qualche nota dal mio posto, oltre il corridoio. Passò anche quella, lei ascoltò, estrasse il telefono e toccò lo schermo. Lo toccò di nuovo, e di nuovo. Stava per toccarlo una quarta volta quando si fermò pensierosa. Guardò lo schermo con intensità e poi si decise a cambiare anche quella canzone. Quella nuova, che iniziò subito dopo, le strappò un sospiro sconsolato. Cambiò anche quella. Era ormai la sesta di seguito che cambiava, mentre la settima le dipinse in volto un espressione che urlava 'ma mi prendi in giro?'. "Oh." esclamò trionfante, e lasciò cadere il telefono fra le gambe, che intanto aveva incrociato sul sedile. Era un posa poco aggraziata per una ragazza della sua età, probabilmente glie lo dicevano spesso, ma sembrava molto a suo agio, sembrava avere una particolare familiarità con quella posizione. Riportò lo sguardo fuori dal finestrino e lì rimase per un bel po' di tempo. Io feci lo stesso verso il mio. Trascorse qualche minuto, forse cinque o dieci, e non potei non rigirare la testa verso di lei. Stava canticchiando piuttosto vivacemente, faceva espressioni buffe e si vedeva chiaramente che quella canzone la travolgeva con un'allegria e un entusiasmo quasi infantili. Penso che fu verso la fine quando i suoi occhi chiari caddero su di me, mi guardò sorridere e smise bruscamente di di muovere le labbra sottili. Arrossì violentemente e riportò lo sguardo fuori. Indugiai un attimo e seguii il suo esempio. Non doveva mancare molto alla città - stavamo passando un pezzo di laguna e la gente era triplicata da quando ero salito io, ma il sedile di fianco a me e quello di fianco a lei erano ancora vuoti -. La guardai prima distrattamente, poi con più sconcertato interesse. Piangeva? Piangeva. Vidi una lacrima brillare sulla sua guancia liscia. Perchè piangeva? Era forse colpa mia? No... No. Il pullman si fermò distraendomi un attimo. Doveva essere l'ultima fermata prima di Venezia. Salirono un gruppo di persone, ma i posti rimasti non erano molti. Un vecchietto con un bel cappello si avvicinò a noi. Ah, 'noi'. Si avvicinò, punto. Lei si spazzò via la lacrima, quasi con sdegno, e rivolse un sorriso veloce all'anziano mentre si sedeva accanto a lei. Di fianco a me si mise una prosperosa signora con in braccio l'allegro figlioletto. Continuai il mio viaggio in silenzio rimuginando sulle emozioni del genere umano. Che profondo, eh? Il fatto è che quella ragazzina mi aveva quasi turbato. Capolinea. Venezia, la Serenissima. Splendida città, così strana e così affascinante ai miei occhi lombardi. Seguii la fiumana di gente giu dal pullman che si dirigeva verso un grande ponte bianco. Riuscii a individuarla, il suo zaino blu le rimbalzava sulle scapole. Lei si voltò appena le sfiorai la spalla, la mano destra sollevata a mezz'aria che teneva la cuffia che si era tolta per ascoltarmi. Per un attimo la guardai e basta, cosa che può essere scambiata per qualcosa di più sbagliato, più malizioso, ma vi assicuro che non è così. "Posso sapere come ti chiami?" le dissi. Le mi guardò con un misto di sorpresa e diffidenza, mi squadrò con uno sguardo abbastanza spaventato e corse via rimettendosi la sua cuffia corvina e perdendosi tra la folla.
  
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