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Autore: Ink Voice    21/07/2014    8 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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I
Prime insicurezze

La prima settimana di permanenza nella base segreta la dedicai alla sua esplorazione. Nel frattempo, la prima sera, informai Sandra della mia decisione quando passò a raccogliere le iscrizioni. Sbuffò, quando glielo dissi, con una strana espressione in volto; non sapevo dire se fosse soddisfatta o se si stesse quasi beffando di me, che avevo scelto una via difficile come quella del combattimento; ma pensai che fosse contenta del fatto che volessi lottare, diventare una guerriera, visto un suo lieve sorrisetto quando si voltò - pensando di non essere vista. Altri che avrebbero combattuto sarebbero stati Daniel, Gold, Cynthia, Ilenia, Lorenzo e Matt - il cui amico Allyn si diede all’esplorazione. Chiara invece, come Camille, Sara e Melisse, aveva deciso di dedicarsi allo spionaggio, mentre Angelica aspirava alla carriera di hacker. O meglio, di tecnico.
Avevamo un mese intero di tempo per lavorare che sarebbe seguito a pochi giorni concessi per ambientarci e capire quale fosse il nuovo regime che ci aspettava. Mi adattai subito, senza sorprendermene, al nuovo aspetto del luogo in cui avrei vissuto per chissà quanti giorni a venire: i cristalli azzurri e rossi che impreziosivano le pareti, altrimenti spoglie, rivestite di quell’acciaio quasi nero; gli ampi corridoi attraversati, sugli stessi muri, dalle strisce luminose dello colore dei cristalli; la penombra diffusa in quasi tutte le aree della base… all’inizio fu un po’ soffocante, e per me in particolare lo sarebbe stato altre volte a venire. Ma poi iniziai a sentirmi al sicuro, lì dentro, con persone e Pokémon conosciuti, sapendo di poter trovare sempre un appoggio nei momenti di difficoltà.
Sgranai gli occhi quando, il primo giorno, ci venne comunicato che avremmo dovuto portare i nostri Pokémon come minimo al livello 50 o 60. L’indicazione data dal Pokédex, andando a vedere la scheda di un membro della propria squadra, era puramente approssimativa - non si poteva schematizzare così precisamente la crescita di una creatura, né sapere quando di sicuro avrebbe imparato una tale mossa o si sarebbe evoluta; ma mi preoccupai perché per i miei Pokémon la strada verso tale traguardo, per quanto generico, era assai lunga.
«Invece di lamentarti» intervenne Chiara quando esposi le mie preoccupazioni, «ti conviene iniziare a lavorare. Anche perché la maggior parte della gente qua dentro ha già tutti i Pokémon molto oltre il livello 50!»
«Questo perché o già lavorava qui, oppure frequentava uno degli ultimi due livelli all’Accademia.»
Eravamo in compagnia di Ilenia e Cynthia, le quali ci avrebbero guidate un po’ i primi giorni, nonostante anche loro fossero appena arrivate. La seconda propose una piccola lotta in doppio, il più equilibrata possibile, insieme a “me e Fiamminga”, come disse. L’altra fece una smorfia a metà tra il seccato e il divertito nel sentire il suo vecchio, solito soprannome, dovuto alla sua passione per i Pokémon Fuoco - nonostante la parola fiammingo non c’entrasse niente. «Sì, potremmo provare. Però al vostro livello sarebbe meglio confrortarvi al massimo con Sara e le altre…»
«Intanto facciamolo» insistette Cynthia con il suo solito sguardo beffardo e di sfida negli occhi grigi.
Non ero convintissima. Già faticavo, in una lotta in doppio con Chiara, a tener testa a Daniel e George. La sconfitta era assicurata, i nostri Pokémon non avrebbero resistito a più di un attacco da parte dei loro; ma alla fine accettammo la loro proposta. In un battito di ciglia, la bionda era pronta. I suoi occhi ci invitavano ad andare con lei e un sorrisetto audace era dipinto sul suo volto dalla carnagione chiara.
Girammo per i corridoi finché non trovammo un ex Capopalestra a cui rivolgerci. Gli chiedemmo informazioni per raggiungere una sala dedita all’allenamento Pokémon e lui ci indirizzò al corridoio A. Non avrei mai detto che una base del genere potesse essere effettivamente tanto grande. La stanza per le lotte ospitava almeno una dozzina di campi di battaglia, sufficientemente grandi anche per lotte in triplo o a rotazione. Il soffitto a volta, scavato nella roccia, sovrastava i combattimenti ed era sostenuto da imponenti pilastri d’acciaio, la cui funzione era anche di dividere i campi. Alcuni si stavano già dando da fare nelle lotte.
«Io prendo Chiara, tu vai con Eleonora.» Cynthia, come suo solito, prese in mano la situazione.
«Facciamo due Pokémon ciascuno!» proposi. Avrei fatto lottare i miei Pokémon migliori, Altair e Aramis, il mio amato Gallade; anche se Altaria non era un Pokémon adattissimo ai combattimenti, volevo che pure lei si facesse valere e dimostrare che le statistiche indicate dai Pokédex non erano tutto. Forse mandare Rocky, il mio Rampardos, o June - Roserade, sarebbe stato meglio; ma non m’importò. La prima lotta nella base segreta sarebbe stata combattuta dai miei primi due Pokémon.
«Io userò Vibrava e Rapidash» mi comunicò Ilenia, sorridente. Gli occhi verdi rilucevano decisi, come al solito pronti a brillare nell’ebbrezza della lotta. Annuii, ricambiando il sorriso.
Vedendo Chiara e Cynthia parlottare tra loro, chiesi alla mia compagna: «Ehm… come ci muoviamo?»
«Non stare troppo attaccata a Cynthia. Potrebbe seccarsi e scatenarsi, e allora sì che saranno dolori.»
«Dobbiamo evitarla?»
«No, questo no, sarebbe peggio ancora! Dobbiamo darle il contentino, un bersaglio su cui farla concentrare, dopodiché finirla con due colpi ben assestati. Capito?» Annuii e lei proseguì: «Tu affronta Chiara, a me lascia Cyn. Sai come combatte la tua amica e io so com’è la mia: ma non evitiamo del tutto né l’una, né l’altra.»
Ci pensai un attimo su, poi le risposi: «Sì, va bene. A proposito di Chiara… be’, non ha una vera tattica, come me d’altronde. È una di quegli Allenatori che prima si costruiscono un minimo difesa, ad esempio rallentando o causando un problema di stato agli avversari… poi passa all’attacco.»
«Immaginavo. Cynthia attacca e basta, con mosse con effetti secondari possibilmente… io sono una a cui piacciono quelle con alta potenza, come sai. E tu, Eleonora? Come ti comporti in battaglia?»
La domanda che temevo mi fu posta e io non seppi cosa rispondere. Io lottavo e basta, non seguivo alcuna strategia, sceglievo l’attacco più efficace e proseguivo il combattimento in relativa tranquillità. Non macchinavo alcuna trappola, non avevo secondi fini dopo aver concluso un’azione. Gli attacchi dei miei Pokémon erano mirati semplicemente a mandare al tappeto l’avversario, non servivano per alcuna tattica. Non mi piaceva perdere tempo, almeno questo era come la vedevo io, con mosse che aumentassero le proprie statistiche o abbassassero quelle dell’avversario. Dissi a Ilenia che mi credevo un po’ simile a Cynthia, perché prediligevo le mosse con effetti secondari, soprattutto problemi di stato e brutti colpi.
Cynthia interruppe Ilenia che stava per rispondermi, richiamandoci. «Voi due avete finito di chiacchierare?»
«Sei pronta?» mi chiese Ilenia. Non c’era nessun sorriso rassicurante sul suo volto, solo la sua bella serietà che precedeva uno scontro. Mi piaceva quel suo modo di essere.
Annuii, contenta di avere la ragazza come compagna di squadra. Mi fissò con intensità per altri istanti, poi i Pokémon di ognuna scesero in campo: Aramis e Vibrava contro Ampharos ed Heracross.
A Cynthia spettava la prima mossa. «Heracross, usa Aeroassalto contro Gallade.»
«Aramis, Psicotaglio!» esclamai istintivamente. Heracross fu colpito con successo. Il danno non fu quello sperato, ma lo rallentai abbastanza in modo tale che Gallade potesse accusare il colpo senza troppi problemi, nonostante fosse stato colpito: così almeno avevo ridotto la potenza dell’attacco.
Subito dopo Ampharos lanciò un Cottonspora contro il mio compagno; la sua velocità ne risentì altamente.
«Vibrava, usa Fossa» ordinò Ilenia, senza specificare chi fosse il destinatario, tanto era evidente.
Cynthia insistette con Aeroassalto su Aramis: sarebbe stato certamente colpito in pieno e per lui sarebbe stata la fine, se solo Vibrava non fosse emerso dal suolo e, anziché colpire Ampharos, attaccò Heracross. Non aveva riportato danni ingenti a causa della mossa molto poco efficace, ma fui riconoscente ad Ilenia per aver dato al mio Pokémon la possibilità di rimanere ancora in campo. «Aramis, di nuovo Psicotaglio!»
Gallade mosse il braccio in un movimento deciso che sferzò l’aria. Purtroppo il colpo indirizzato a Heracross fu rispedito al mittente, a causa dell’Energisfera a sorpresa di Ampharos, e il mio Pokémon fece appena in tempo ad abbassarsi per evitare di essere colpito da una lama lilla ed elettrificata che aveva l’aria di essere parecchio potente. Dovevo essere più veloce, ma Gallade era appesantito dallo spesso strato di piume e cotone.
Forse un modo per liberarsi c’era, dopotutto. Attaccando con Psicotaglio, le braccia di Aramis si erano scoperte, seppur minimamente. Tanto valeva provare: «Aramis! Usa Psicotaglio su te stesso!»
Chiara, dall’altro lato del campo, era attonita. Cynthia e Ilenia avevano capito, ma soprattutto Gallade sapeva cosa volevo che facesse. Le lame allungate sui gomiti si colorarono nuovamente di lilla. Sferzando più colpi, riuscì a liberare braccia e gambe dal piumino bianco che lo rivestiva, mentre Vibrava oppose Protezione al Megacorno di Heracross. Ordinai ad Aramis di usare Zuffa su Ampharos e Cynthia ne approfittò per attaccarmi con Aeroassalto: Gallade, messo K.O., lasciò a Vibrava la possibilità di usare Terremoto e mandare al tappeto pure Ampharos.
Sostituii Aramis con Altair mentre Chiara schierò il suo Empoleon. Ero abbastanza certa che sarei stata la prima a perdere, visti i Pokémon altrui sul campo: ma, ostinatamente, non avevo voluto sostituire Altair con un altro Pokémon. Cynthia provò ad attaccarmi, ma la interruppi a metà.
«Altair, usa Volo!» Al contempo Vibrava attaccò con un altro Terremoto, però Empoleon lo mandò al tappeto usando Surf. Anche Heracross risentì dell’attacco del compagno e Altaria non ebbe problemi a finirlo con Volo.
«Bah…» Nonostante cercasse di non darlo a vedere, Cynthia era evidentemente seccata. «Vieni, Scolipede.»
«Rapidash» chiamò Ilenia; i due Pokémon scesero in campo. L’unicorno agitò la criniera fiammeggiante e si avventò contro Scolipede con Fuococarica. Fu talmente veloce che a malapena riuscii a seguire la sua corsa fulminea. Subì un tosto contraccolpo a causa dell’attacco, ma il danno peggiore l’aveva subito Scolipede.
«Ah sì, eh?» ringhiò Cynthia. «Scolipede, Velenoshock!»
Rapidash, già avvelenato a causa di Velenopunto, l’Abilità di Scolipede, fu poi colpito da una mossa dalla potenza raddoppiata. Ilenia fece rispondere Rapidash con Ondacalda mentre l’avvelenamento mandava al tappeto il suo Pokémon e il suo attacco quello di Cynthia; in tutto ciò io e Chiara avevamo saltato il nostro turno, stupite dalla piccola battaglia tra le due che ci aveva completamente fatto distogliere l’attenzione dai nostri Pokémon.
“Bene, non ho manco mezza mossa avvantaggiata sul tipo di Empoleon e, che io sappia, nemmeno lui. Sarà una lunga storia…” pensai, poi ordinai ad Altair di usare Canto. Ma nel turno successivo, mentre il mio Pokémon era in Volo, Chiara si munì di una Sveglia e il suo Pokémon mi attaccò istantaneamente con Surf.
Alla fine la spuntò lei. Aveva “nascosto” di aver insegnato a Empoleon Geloraggio con una MT che le aveva prestato Rowan, e quindi dopo un paio di colpi la mia Altaria finì K.O., concludendo definitivamente lo scontro.
«È stata una bella lotta» commentai mentre eravamo in cerca dell’infermeria - che scoprimmo essere proprio accanto alla sala allenamento, «ma forse dovremmo allenarci ancora con quelli più al nostro livello…»
«O anche Sara, Melisse e Angelica.» Chiara alludeva a tre nostre amiche, che insieme a Ilenia, Cynthia, Lorenzo e Daniel costituivano il nostro solito gruppetto. «E poi non ci abbiamo mai lottato molto insieme!»
Quando mi distesi sul letto, a metà giornata, per riposare per almeno una mezz’oretta, ripensai alle parole di Ilenia. Mi ero fatta un esame di coscienza e avevo scoperto che il più delle volte agivo semplicemente d’istinto. A volte poteva aiutarmi in situazioni che sembravano senza via d’uscita, grazie ad intuizioni improvvise, altre mi attirava in tranelli organizzati dall’avversario, ben congegnati fin nei più piccoli e, apparentemente, insignificanti dettagli in ore passate a lottare e a fare esperienza. Io non ero fatta così: non avevo voglia di creare una tattica sì difficile da eludere, ma noiosa da organizzare e lunga da applicare. Per me le lotte erano “soltanto” momenti in cui l’Allenatore doveva dimostrare di essere in grado di gestire la forza e le abilità dei suoi Pokémon, far vedere l’impegno che ci metteva nell’allenamento e la prontezza e la flessibilità nel ragionare, nel cercare una soluzione ad un problema che si presentava senza che fosse minimamente aspettato. Questa, secondo me, era una lotta.
Mi ero poi ricordata di alcune parole che Daniel aveva pronunciato quando mi aveva battuta senza difficoltà, tempo prima, in una lotta. Io ci ero rimasta male per la sonora sconfitta, ma poi lui aveva detto una cosa che, come la domanda di Ilenia, mi era rimasta profondamente impressa nella mente. «La forza e la bravura di un Allenatore non si constatano solo in quanto sono forti i suoi attacchi, o in quanto tempo mette al tappeto l’avversario.»
E pensandoci mi confusi ancora di più: in cosa, allora, si sarebbe misurata la mia presunta bravura, sempre che essa esistesse? Non ne ero poi tanto certa. A meno che la stessa insicurezza non fosse il mio tallone d’Achille, non sapevo come avrei potuto mostrare di essere capace a lottare tanto bene da poter essere inserita in un gruppo di combattenti. Era da quasi un anno che facevo lotte Pokémon, qualche idea attuabile - quanto a strategie - in mente la avevo, ma non mi consideravo tanto acuta, intuitiva e furba da poter prevedere le mosse dell’avversario.
Non ero, quindi, una stratega; non avevo uno stile ben preciso per lottare; non avevo puntato a costruirmi una squadra con vari ruoli adatti a coprire gran parte delle possibili problematiche che avrei potuto incontrare, avevo scelto i Pokémon che più mi piacevano, inconsapevole pure, inizialmente, dei loro punti di forza e di debolezza. L’unica sicurezza che avevo, in quel momento, era che combattere mi piaceva e basta: mi aveva aiutata a formare il mio carattere, a rendermi meno timida e riservata, e per questo ero riconoscente a quella disciplina.
Sdraiata sul letto a rigirarmi la sfera di Altaria tra le dita, assorbendone il rassicurante calore, ascoltavo i battiti del suo cuore che riverberavano ritmici e tranquilli dentro la Ball, forse incuranti delle riflessioni che facevo in quel momento. Avevo bisogno di parlare con qualcuno, di trovare un aiuto in qualcuno che mi capisse e riuscisse a darmi una mano. E chi poteva aiutarmi meglio dei miei Pokémon? Infatti cinque minuti dopo ero da sola nella sala allenamento, determinata a trovare una risposta.
«Venite fuori…» Richiamai dalle rispettive sfere la mia squadra al completo: Altaria, Gallade, Roserade, Rampardos, Staraptor e Luxray. Ero già sicura, ad ogni modo, che avrei preso almeno un altro membro per il mio team: in fondo non c’erano più limiti per una squadra come ai tempi che avevano preceduto l’arrivo dei Victory. Se avessi voluto una squadra di dieci Pokémon avrei potuto costruirla, senza dover sostituire alcun mio compagno, troppo affezionata com’ero ad ognuna delle sei creature che mi accompagnavano il quel viaggio.
L’affetto era il primo passo per diventare un buon Allenatore, lo dicevano tutti quanti. Pensai: “Ma io non sono crudele con i miei Pokémon, non li tratto male, mi sembra anche di essere fiduciosa nelle loro capacità… o almeno credo. Non mi è mai piaciuta l’idea di rinunciare a possedere Pokémon che mi piacciono solo perché non sono forti secondo le statistiche del Pokédex. Forse questo mi ostacolerà nel mio percorso di combattente, che è quello che voglio fare? Forse dovrei essere più severa e non farmi condizionare così tanto? Il mio carattere è così…”
«Ragazzi… cosa mi manca come Allenatrice? Come posso fare? Vorrei tanto foste i migliori Pokémon di tutta la base segreta, e potreste diventarlo tranquillamente, ma io non so se riuscirò mai a crescere come vorrei…» sospirai, come ad aspettarmi che una risposta mi potesse essere data dai miei Pokémon e che io non fossi in grado di trovarla. Iniziavo a sentirmi a pezzi, stracciata dalla mia scarsa autostima: rinunciare a un futuro in cui avrei combattuto sarebbe stato inaccettabile e privo di senso, per me, perché era la sola cosa che avrei voluto fare in un avvenire triste e grigio come quello della guerra in corso. I miei Pokémon davano sempre il massimo, era nella loro natura e facevano di tutto per darmi soddisfazioni. «Ma io do soddisfazioni a voi?» chiesi loro.
Fui molto stupita quando Aramis mise la sua mano sulla mia spalla. Pearl, la mia Luxray, fece le fusa contro la mia gamba, rilasciando piacevoli scossette elettriche. Rocky ringhiò con il suo modo di fare allegroe Diamond sbuffò, agitando il ciuffo e accennando un sorriso. Altair cantilenò un motivetto dolce e rassicurante che mi ripetei per tutti i giorni a venire quando avevo bisogno di un po’ di conforto. I miei Pokémon erano con me e questa era la cosa più importante, senza ombra di dubbio. Mi avrebbero aiutata sempre, anche quando sarei stata giù di corda e avrei sentito il mondo crollarmi addosso.
«Autostima… forse è questo che mi manca per diventare una buona Allenatrice, insieme ad ulteriore esperienza e tanti miglioramenti che devo ancora fare!»
Sorrisi mio malgrado. I miei Pokémon mi strinsero in un abbraccio di gruppo. Avevo capito, perlomeno in parte: «Grazie. Davvero… siete i migliori in tutto e per tutto. La strada da fare è lunga ed in salita, come qualsiasi altra che avrei potuto prendere… i tempi sono quelli della guerra e ciò è inevitabile per chiunque sia chiamato a fare la sua parte» ragionai ad alta voce. «Ora che seguirò un corso in cui mi specializzerò, insieme a voi, nel combattimento, troverò sicuramente dei maestri che mi faranno capire se i miei problemi esistono o se mi sto abbattendo per niente… come mio solito, d’altronde. Ma comunque! Io soprattutto migliorerò per voi… lo voglio, lo prometto. Altrimenti la mia carriera finirebbe qui.»

Nei giorni seguenti lavorammo duramente. La base segreta, per i primi tre-quattro giorni di permanenza, si svuotò un po’. Molti erano alla ricerca di nuovi membri per la propria squadra: qualcuno poté farsi accompagnare in giro per Sinnoh, o in alternativa cercò un buon Pokémon nel Monte Corona stesso; altri aspettarono, come Chià - che non mi volle dire quale fosse il suo nuovo compagno di squadra - che un adulto della base segreta riuscisse a procurargliene uno.
Chiara, a parte il fantomatico nuovo membro del team, aveva un Empoleon, una Ampharos, un Pidgeot, Gyarados e un’Amaura. C’era Daniel che da tempo aveva una squadra completa - Swampert, Haxorus, Kadabra, Magmar, Electabuzz e Skorupi - mentre Sara, Angelica e Melisse ancora dovevano cercare qualche altro compagno. Ilenia e Cynthia, così come Lorenzo, avevano squadre di sei Pokémon. Non sapevo quale fosse il sesto di quest’ultimo, dopo Torterra, Salamence, Schyter, Breloom ed Excadrill; invece ricordavo bene i Pokémon posseduti sia da Ilenia che da Cynthia, che ammiravo e invidiavo per la loro forza.
Ma l’invidia iniziò ad affievolire, fino a sparire del tutto, quando i numerosi, lunghi ed estenuanti allenamenti iniziarono a dare i propri frutti. Negli ultimi tempi Diamond e Pearl, che avevo chiamati così in onore dei Dexholders di Sinnoh, erano rimasti un po’ indietro rispetto agli altri membri della mia squadra, che, dovevo ammetterlo, erano i miei preferiti. Però, con sessioni di allenamento la cui durata era indicativamente di un’intera mattinata e anche di buona parte del pomeriggio, nel giro di una settimana il livello medio della mia squadra - stando a quanto diceva il mio Pokédex - era cresciuto repentinamente. E quei due Pokémon, il terzo e la quarta che avevo catturato da quando ero arrivata nel mondo dei Pokémon, non fecero eccezione: pochi livelli li separavano da Rocky, che tra gli altri quattro era il “meno cresciuto”.
Comunque avevo definitivamente deciso di allenare tutti i miei Pokémon, senza che mi mettessi a cercarne di altri per costruire una squadra meglio bilanciata: mi andava più che bene così.
Per quanto riguardava l’addestramento fisico, avremmo potuto aspettare finché non avessimo cominciato il corso a cui si era stati assegnati. Fui molto contenta di questo: non solo perché la mia pigrizia era inversamente proporzionale alla mia atleticità, e quest’ultima era a livelli infimi, ma pure perché allenare i miei Pokémon era la cosa che più mi piaceva fare e mi dava tanta ispirazione. Inizialmente temetti di stremarli con tutta quell’attività a cui li sottoponevo, ma anziché stancarsi, i Pokémon si rafforzavano e basta; in più cresceva pure la loro competitività e la voglia di mettersi in gioco, di continuare a migliorarsi, che per me era una cosa bellissima e che ammiravo con tutta me stessa: avrei dovuto prendere esempio da loro, decisamente - e lo feci.
Mi allenavo spesso con Chiara anche se non era un’appassionata delle lotte - non per niente si dedicò allo spionaggio insieme a molte altre nostre amicizie. Ciò però non la esentava dall’obbligo di portare i propri Pokémon al livello che era stato stabilito dai dirigenti della base segreta, che dovevano essersi consultati con coloro i quali avrebbero gestito i vari corsi di addestramento. I suoi Pokémon, confrontando le schede presentate dai nostri Dex, erano di qualche livello inferiori ai miei: ma questo non significava nulla ed era in grado di tenermi testa. Nonostante il più delle volte fossi io a vincere, spesso mi faceva temere per l’esito della lotta.
Ma proprio la paura di perdere, cosa che mi avrebbe dato un enorme fastidio, mi spingeva ad allenarmi sempre più; così avevo modo di testare ogni situazione, sperimentare qualche piccolo trucco e quel po’ di strategia che ero in grado di costruire. L’allenamento rende perfetti, d’altronde, e le differenze iniziavano ad essere abissali tra me - e i futuri appartenenti al mio gruppo - e coloro per cui lottare non era la priorità.
Durante una delle prime lotte con Chiara iniziai a sperimentare le mosse combinate. Mi chiesi perché non ci avessero mai insegnato a lottare “veramente” all’Accademia, perché i professori si fossero sempre limitati ad uno schema di lotta piatto e regolare, quando invece le vere lotte non ammettevano tregue né turni. Se si aveva modo di attaccare più volte consecutivamente, era possibile farlo. Iniziava ad essere strano aspettare che l’avversario rispondesse ad una mossa: di solito era indice di insicurezza, chi lasciava attaccare l’altro magari era in difficoltà e si stava ancora facendo qualche idea sulla lotta, su come reagire. Non sempre pensare a lungo era il modo migliore per vincere: a volte affidarsi all’istinto era la cosa migliore.
«Usa Dragodanza mentre sei in Volo» ordinai ad Altair durante una lotta, appunto, con Chiara.
«Gyarados, aspetta che si avvicini e poi attaccala con Gelodenti!» Furono queste le disposizioni della ragazza.
Altair stava scendendo in picchiata su di lui ad altissima velocità: ma neanche il tempo di ordinarle di fare una finta che la mia compagna, in modo eccellente, agì come io avrei voluto. Si scostò in un istante dalla morsa dell’avversario, lasciandolo di stucco. Sogghignai, a dir poco soddisfatta, mentre il colpo subito successivo andava a segno con successo e la mia compagna si allontanava per schivare un altro attacco. Non era la prima volta in cui chiedevo ad un mio Pokémon di spostarsi per evitare di essere colpito, anzi, lo facevo il più possibile perché non mi piaceva che i miei subissero danni. Ero disposta a dilatare di molto i tempi di una lotta pur di far schivare un colpo avversario e i miei Pokémon avevano presto capito quella mia tendenza. Forse non era il massimo, anche perché spesso perdevo dei “turni” per consentire ai miei compagni di mettersi in salvo; ma fino ad allora riuscivo ad andare bene comunque.
«Mostra cos’è una vera Dragodanza, Gyarados; poi vai con Cascata!»
Scelse un attacco con più precisione, e fece bene, anche perché Altair non era in Volo. Lei cercò di allontanarlo con un Dragospiro, ma fu inutile e l’avversario la colpì. Quando fu messa K.O. ci pensò Rocky a vendicarla. Chiara sottovalutò l’esito della lotta alla vista di un Pokémon di tipo svantaggiato, ma ero sicura che un colpo sarebbe bastato per finire Gyarados, contando sulla potenza inaudita del mio Rampardos; le mie previsioni si avverarono. Partì alla carica con Cascata, ma fu bloccato da Cozzata Zen e poi messo al tappeto da un banale Forzantica. Sbuffai soddisfatta: in tutto ciò, Rampardos aveva risentito poco e nulla del colpo dell’avversario.
«Allora vediamo come lotta la tua Roserade, ché non l’hai mai fatta lottare contro i miei Pokémon… Guarda un po’ chi è arrivato da Kanto!» rise Chiara, mandando in campo un Arcanine bell’e evoluto: mi chiesi quando e come lo avesse allenato - ma anche con chi. Mi aspettavo che il livello, però, non fosse ancora molto alto: d’altronde un Growlithe si evolveva tramite Pietrafocaia, che di sicuro la mia amica aveva chiesto ad un istruttore.
«Col cavolo che mando June!» sbuffai.
«Eddai! Lei è ad un livello molto più alto di Arcanine, dammi solo la possibilità di assestare qualche colpo… in particolare i superefficaci!» ghignò. «Scommetto che un Fangobomba potrebbe bastare per mandare al tappeto il mio, di Pokémon; di che ti preoccupi? Hai paura?»
«No, carissima, ma ti consiglio di non dire cose del genere in presenza dei nostri Pokémon. Penso che Arcanine potrebbe iniziare a fare di testa sua e riuscirebbe a mandare K.O. June, ma poi tu faresti la sua stessa fine!»
Perciò accontentai solo in seguito Chiara, che vide la mia Roserade qualche giorno dopo. Intanto Rocky, senza troppi problemi, riuscì a finire Arcanine in un colpo solo: la mia avversaria aveva provato a fargli fare Fossa, ma il mio Pokémon sapeva usare benissimo Terremoto. Credevo che Chiara lo sapesse, o come minimo lo avesse intuito.
Contro Angelica, Sara e Melisse, io e Chiara ottenevamo risultati diversi. Io perdevo per definizione, ormai, solo contro Ilenia, Cynthia, Daniel e Lorenzo, che erano indubbiamente più esperti e anche più avanti di me con l’allenamento. Quando lottavo contro le tre ragazze ero spesso io a spuntarla, perché la prima avrebbe fatto parte della squadra di tecnici e le altre due sarebbero diventate spie, con ogni probabilità: così presto riuscii a pareggiare i livelli dei nostri Pokémon e, già più abituata io alle lotte di loro, non ebbi problemi a prevalere. Chiara invece aveva ancora molto su cui lavorare, non concentrandosi sulle lotte con la “scusa” che avrebbe frequentato il corso delle spie. Alla fine di agosto la mia migliore amica compì pure quattordici anni.
Continuai ad allenarmi per quel mese scarso che mi separava dall’inizio del corso di combattimento e di lotta Pokémon: mi era stato confermato che avrei potuto essere una guerriera - quel termine mi suonava un po’ troppo forte, perché lo ritenevo esagerato, almeno per me - e la cosa mi riempì di contentezza. Non avrei saputo cosa fare, altrimenti, perché dubitavo che un tipo aggraziato come me potesse infilarsi di nascosto nelle basi nemiche. La mia goffagine non era paragonabile a niente, tanto era grande.
Il giorno precedente l’inizio dell’addestramento ero preoccupatissima e in ansia, ma anche in trepidante attesa. Cosa avrei dovuto fare? Soprattutto, sarei stata capace di farlo? Sapevo solo che avrei dato il meglio di me stessa in tutto quanto, e non vedevo l’ora di dimostrare quanto valessi - o al contrario quanto fossi impacciata ed inesperta. Di voglia di mettermi in gioco ne avevo tanta, contagiata dal valore dei miei Pokémon, che in un mese si erano letteralmente trasformati, caratterialmente parlando. Erano diventati più attenti ai miei comandi, severi con sé stessi, pieni di spirito competitivo. Sembravano talmente umani che il rapporto che avevo con loro, grazie a quella maturazione, si strinse maggiormente - in particolare perché dipendevo totalmente da loro.
Immaginavo che quando sarei cresciuta anche io e mi sarei resa un minimo indipendente dalla loro protezione, grazie alle lezioni di difesa personale - e non solo - che mi aspettavano nel corso di combattimento, il rapporto si sarebbe rafforzato un’altra volta ancora. Invece mi sarei accorta, con stupore e malinconia, che sarebbe accaduto il contrario e che non avrei potuto fare niente per evitarlo, se non provare a compensare passando il tempo libero a coltivare l’amicizia che avevo con i miei Pokémon, la quale sarebbe diventata una semplice alleanza durante tutto il tempo di una lotta.
Ma avevo così tanti dubbi e domande per la testa che la sera, prima e pure dopo che spegnessero le luci, stetti a lungo con gli occhi aperti, continuando a rivolgermi domande e a non trovare altre risposte che non fossero tragicomici film mentali. Cercai di mettermi l’anima in pace ma fu difficile anche solo addormentarmi. Rivolsi una muta preghiera a chiunque fosse in ascolto: “Ti prego, fa’ che domani vada tutto bene. Fa’ che io sia in grado di superare qualsiasi prova, qualsiasi ostacolo a testa alta. Non voglio fallire… ma ho davvero paura…”
Trasalii nel letto mentre pensavo all’eventualità di risultare così scarsa da essere costretta a fare le pulizie della base segreta - tra l’altro male. Soffocai una risatina suscitata dal nervosismo e dalla penosità di quell’immagine: mi stavo preoccupando talmente tanto da ridurmi in quello stato… mi sentii ancora peggio e mi schiaffeggiai, solo mentalmente, nel tentativo di darmi un tono. Cercai di ricordarmi come si facesse a creare un po’ d’autostima e di orgoglio in me stessa, siccome entrambe le cose erano finite un’altra volta sotto le suole delle mie scarpe.
Presi la prima sfera che mi capitò a tiro tra quelle che avevo accanto al cuscino, dove avevo preso l’abitudine di tenerle. Una sensazione rasserenante di rassicurazione e tranquillità mi avvolse: riconoscevo i Pokémon nelle sfere tramite una sorta di sesto senso ascoltando le sensazioni che mi venivano trasmesse al contatto con la Ball di turno. Quella in particolare era June, che come gli altri aveva iniziato a lavorare sodo e a dare il meglio di sé. Il giorno dopo sarebbe toccato a me mostrare chi ero e quanto valevo.









Capitolo I - Rivisto tra il 28 e il 29 settembre 2015. Riflettere per migliorare → Prime insicurezze.



 
Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Oh mio Dio. La ragazzina isterica si fa problemi su problemi perché non ha tutti i Pokémon al livello 100. Povera cara, speriamo che tu non venga consumata da un esaurimento nervoso. (Questo capitolo non mi piace ancora, nonostante la riscrittura... sigh...)
“Ilenia e Cynthia seguivano la conversazione incuriosite.” come non esserlo per le ragazzine che filosofeggiano sul fatto che il Pokédex non segni ancora livello 89 ad un qualsiasi loro Pokémon?
“La domanda mi lasciò un attimo perplessa. Che cosa significava? Io lottavo e basta. L’avevo detto, non seguivo alcuna strategia, sceglievo l’attacco più efficace e proseguivo il combattimento in relativa tranquillità. Non macchinavo alcuna trappola, non avevo secondi fini o scopi dopo aver concluso un’azione. Gli attacchi dei miei Pokémon erano mirati semplicemente a mandare al tappeto l’avversario, non servivano per alcuna tattica” questa è introspezione signori. Un attimo di introspezione.
“Dovevo essere più veloce… ma Gallade era appesantito dallo spesso strato di piume e cotone. Forse un modo per liberarsi c’era, dopotutto. Attaccando con Psicotaglio, le braccia di Aramis si erano, seppur minimamente, liberate…” la magia dei puntini di sospensione
(Nota di un paio di mesi dopo: ho notato che li seminavo un po’ dappertutto, parecchio a sproposito, per dare enfasi o il cielo solo sa cosa a una parola o una breve frase. Porca miseria! E io che mi credevo brava a scrivere)
“ripensai alle parole di Ilenia. Mi aveva lasciato molto su cui riflettere.” ma rifletti ‘sta min****chia
“I dubbi che mi sommersero in quei momenti mi logorarono” non stressarti troppo, tesoro, poi vengono le rughe. Credo di aver scritto qualcosa del genere solo per usare il verbo logorare, un po’ meno tera-tera rispetto al mio linguaggio dei tempi.
“-Diamine!- esclamai frustrata. Non riuscivo a trovare niente che mi aiutasse, ogni mio pensiero o opinione mi si rivoltava contro.” questi sì che sono problemi logoranti - per rimanere sulla stessa lunghezza d’onda
“-Ma io do soddisfazioni a voi?- chiesi loro.” a me non ne stai dando di certo *coff*
“Un episodio curioso fece ottenere a Chiara un Growlithe.” quanto trashume scrissi nelle righe a seguire…
“Il giorno precedente l’inizio dell’addestramento ero preoccupatissima e in ansia, in trepidante attesa” un’altra perla di introspezione
“Di nuovo le ansie e le preoccupazioni mi assalirono” MA BASTAAAA ESSERE ASSALITA DA COSE IDIOTE
“Il capitolo non è uscito fuori lunghissimo, ma spero che l’emozionalità della protagonista e le sue paure siano riuscite a renderlo abbastanza buono, abbastanza intenso e insomma… bello. Lo spero.” ma chi ti ha messo in mano Word quei giorni intorno al 21 luglio 2014 deve morire malCOSA. QUALE EMOZIONALITA’. NON LA VEDO, ILLUMINAMI.
“Stavolta voglio che i miei personaggi attraversino una crescita psicologica e voglio anche farli soffrire parecchio. Perché sì, ho bisogno di dare una scossa alla storia…” grazie al cielo la crescita psicologica c’è stata davvero, ma la me di quei tempi, se non fosse migliorata con la scrittura, non credo avrebbe mai immaginato quanto sarebbe cambiata nei mesi a seguire. Più rileggo questa riga, più mi chiedo dove fosse la maturità che tanto credevo di aver raggiunto; allora a questo punto cosa dovrei dire di me? - va be', ormai ho proprio smesso di dare opinioni su me stessa, perlomeno di farlo con toni assoluti, perché già so che l’estate prossima rileggerò questi angoli ottusi v2 e proverò di nuovo l’istinto di strangolarmi.
Niente, ho allungato anche troppo questo angolo ottuso per farvi vedere una minima parte delle schifezze che scrivevo all'epoca. No ma ero proprio convinta di essere brava a scrivere eh. Chiedo scusa al mondo per la mia nonsocomedefinirla dell'epoca. Ah giusto, stupidità :))))))))
Ci vediamo al prossimo aggiornamento di questa parte!
Ink
  
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