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Autore: Naminelisa    21/07/2014    0 recensioni
Il passato può essere per una persona un grande peso, per altre un periodo da rivivere, per altre ancora un ricordo da chiudere dentro un album e lasciarselo dietro le spalle.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Copertina
Dopo quel tonfo terribile, mi affrettai ad entrare in salotto. Come immaginavo, la tv era ancora accesa sulla partita Italia – Olanda e con il gol dell’Italia, era imprevedibile uno stramazzo del genere.
Spensi la tv e, nel migliore dei modi, sistemai il grande divano in pelle bordeaux, in modo da renderlo almeno presentabile.
Mi sedetti un secondo e Simba si avvicinò per giocare con i miei piedi. Aveva circa 4 mesi, ma pur essendo così piccolo, era un gatto davvero troppo vivace. Accarezzai il suo pelo bianco per qualche secondo, ma, subito dopo, il mio sguardo si posò sull’orologio a muro appeso sopra il comò che sosteneva la tv: le 18 e 35. Ancora presto per la cena con Vittoria e Andrea ma, come sempre, io ero già pronta: tacchi a spillo neri accompagnati in tinta con la borsetta e un vestito corto beige adornato di pizzo francese, un regalo della zia. I capelli erano sempre un dilemma: li lego? Li tengo ricci o li piastro? E alla fine, tenevo i classici boccoli naturali neri lunghi fino il fondoschiena.
I miei pensieri furono interrotti dal suono di un SMS sul cellulare: “Mi raccomando, 7 e mezza puntuali al Ghiotto: Un bacio. Vittoria”.
Sempre la solita ansiosa, ma rimaneva una delle mie più grandi amiche d’infanzia. Conobbe Andrea circa un anno e mezzo fa e, da quel momento, non si erano mai separati. Riposi il cellulare nella borsetta, notando che dentro tenevo ancora un vecchio foglietto con il numero di telefono di Laura, una compagna di università che rincontrai in piscina la settimana scorsa. Tra me e me pensai che prima o poi la dovevo richiamare, anche solo per un drink.
Mi rialzai e appoggiai il foglio sopra il tavolino d’ingresso, l’unico posto in cui non potevo di certo rischiare di perderlo, vista la mia sbadataggine.
In quel momento, sentii che lo scroscio dell’acqua della doccia era terminato, ma conoscendolo, ci avrebbe messo ancora mezz’ora. Così decisi di leggere qualche riga del mio libro preferito: “Gray” di Francesco Falconi, un capolavoro.
Mi avvicinai alla piccola libreria in angolo al salotto e scorsi alcuni titoli, tra cui uno, che in realtà non lo possedeva. Era un libro color azzurro chiaro con dei ricami blu sui bordi. Lo presi in mano e lessi le parole sulla copertina scritte a penna: “Lucia, 15-17 anni, foto ricordo”.
Una risata mi venne naturale. Non ricordavo di averlo tenuto con me dopo il trasloco. Era un mio vecchio album che creai durante l’adolescenza, trattandolo quasi come un diario segreto. Lo girai e rigirai tra le mani per qualche istante, poi mi risedetti sul divano.
 
Prima pagina
15 anni: una ragazzina seduta in mezzo ad un prato che sorride facendo la linguaccia.
Mi divertivo a fare facce buffe con il mio cellulare nuovo, tanto da riempirne la memoria. La giornata risplendeva di felicità: il sole era caldo, ma non troppo, le nuvole si trasformavano in batuffoli di cotone e i fiori davano il colore a tutto. Tipica giornata primaverile.
“Vittoria! Smettila di fare foto che ritraggono te con il mio telefono!”
“Scusami Lucia, ma da te vengono molto meglio che nel mio...che dici? Ne facciamo alcune insieme?”
Lei era sempre con me, nel bene o nel male. Ridevamo, scherzavamo come due pazze e ci completavamo a vicenda: io la sbadata, lei la precisina; io la sicura, lei l’indecisa; io la mora, lei la bionda.
 
15 anni: una ragazzina felice con un ragazzo biondo e affascinante.
La scuola purtroppo era ricominciata da un po’: 2ᵃ superiore. La routine era la solita: sveglia alla 6 e 15, colazione, trucco e parrucco, bus e scuola per 6 ore, uno strazio!
La campanella delle 13 era la mia salvezza: finalmente potevo tornare a casa a mangiare.
Quel giorno, Erika, mentre attraversavo il corridoio per raggiungere le scale, mi fermò prima che me ne andassi.
“Lucy! Lucy! Devo dirti una cosa!”
“Dimmi Erika, ma veloce o perderò il bus.”
“Per oggi non puoi prendere quello delle 13:30? Devo presentarti una persona.”
“Chi precisamente? Non so se ne ho voglia…”
“Ascoltami per una volta e non fare la pigra!”
Erika sapeva essere molto insistente a volte, ma le volevo molto bene. Con lei andai subito d’accordo dal primo giorno, sapeva capirmi con uno sguardo.
Corremmo come due leprotti fino il cortile davanti scuola, dove un ragazzo, da lontano, agitò una mano per farsi notare da Erika.
“Eccoci qui Denis. Scusa il ritardo, ma la mia vicina qua è un po’ testarda. Te la presento, lei è Lucia, quella di cui ti parlavo.”
Con una smorfia, distolsi lo sguardo da Erika, per portarlo su quei grandi occhioni verdi smeraldo davanti a me. Lo fissai per alcuni secondi: era molto alto, circa 1 metro e 85, magro, capelli biondi con un ciuffo ben curato, zigomi perfetti e sorriso mozzafiato.
“Piacere, sono Denis.”
Senza esitare gli porsi la mano, ma lui, invece, mi abbracciò. Per un istante non capii se il mio cuore ebbe un sussulto dall’imprevedibilità del gesto o dalla felicità che sentii. Fatto sta che Erika si era già volatilizzata e io non sapevo cosa fare.
“Ascolta, so che devi tornare a casa, ma ti va se ci prendiamo qualcosa alla tavola calda qui vicino? Così…per parlare un po’.”
“Dovrei avvisare i miei prima, dammi un secondo.”
Ancora mezza sconvolta, presi in mano il telefono e provai a chiamare Erika.
“Il cliente da lei chiamato è al momento irraggiungibile, la preg…”
Chiusi la chiamata.
Merda. Lo sapevo, lo ha fatto apposta.
Scrissi velocemente un SMS ai miei genitori per informarli che sbadatamente mi ero dimenticata di un corso di economia. Ovviamente loro non avrebbero mai pensato che era una bugia.
Riposi il cellulare nelle tasche e decisi di seguirlo.
Ormai il dado era tratto.
Mangiammo qualcosa velocemente, parlando del più e del meno, i soliti discorsi: i nostri hobby, cosa studiavamo, amici in comune…
Nel pomeriggio ci appostammo in un parco a pochi metri dalla mia scuola e, lì, decidemmo di inviare alcune foto a Erika per farla invidiare un po’. Quel ragazzo mi era simpatico, non era troppo invadente ma ascoltava sempre con attenzione ciò che avevo da dirgli. Ero sicura che prima o poi avrei voluto rivederlo.
 
15 anni: due ragazze che si abbracciano e ridono davanti gli autoscontri.
Era sabato e sicuramente dopo la giornata pesante che avevo passato per fare “le pulizie di primavera” con  mia mamma, non avevo intenzione di starmene a casa.
Il cellulare mi vibrò nelle tasche: chiamata da Vittoria.
Risposi senza esitare.
“Pronto Vicky! Ciao!”
“Ciao tesoro! Come stai? Ascolta, ho un’ideona!”
“Forza, dimmi!”
“Stasera i miei genitori vanno a cena fuori, e hanno detto che, se vogliamo, ci potrebbero dare uno strappo fino la sagra in piazza. Che dici? Andiamo?”
“Beh ma, certo! Ero qui per l’appunto a pensare a cosa fare stasera. A che ora?”
“Facciamo alle 9?”
“Perfetto! A dopo.”
Chiusi la chiamata e immediatamente mi fiondai nella mia umile camera a scegliere i vestiti che avrei indossato.
Istintivamente mi misi a ridere perché sopra la sedia, vicino al mio letto, c’erano un mucchio di abiti e maglie indossati forse una volta.
Mi guardai un attimo intorno: il muro vicino al letto rattoppato dei miei disegni manga che amavo fare, la scrivania in disordine con lo stereo e matite e fogli ovunque, la piccola tv con l’xbox tutta impolverata e poi scarpe e calzini sparsi su tutto il pavimento.
In fretta e furia presi gli indumenti sporchi e li portai nel cestone del bagno, poi, decisi che per la serata sarei andata in modo casual: short in jeans, una maglietta bianca con una Torre Eiffel argento disegnata, le mie inseparabili converse blu e i miei orecchini preferiti a croce.
Mi cambiai e mi truccai il meglio possibile. Mangiai una pizza in fretta e furia, ero troppo elettrizzata all’idea di uscire.
Vittoria arrivò puntuale, come il suo solito.
Circa alle 9 e 10, arrivammo in piazza: un grande spazio aperto ricco di luci e case con gli intonachi ancora vecchio stile, ma quella sera tutto risplendeva di più grazie alle giostre.
Io e Vittoria decidemmo di divertirci un po’ facendo qualche giro sul tagadà e passeggiando per osservare se c’era qualche nostro amico.
“Ehi, Lucy! Che dici se prendiamo una coca in quel chiosco laggiù?”
“Sì, dai. E’ una buona idea.”
Feci la fila per prenderci qualcosa da bere: io ordinai una sprite, mentre Vittoria una coca.
Ringraziai il commesso e ritirai le nostre bibite. Feci per voltarmi e tornare da Vittoria, quando mi scontrai con la persona che era dietro di me, versandogli addosso mezzo bicchiere.
“Oddio, scusami! Che sbadata!”
“No, no. Non ti preoccupare, ero io troppo vicino a te, Lucia.”
Alzai gli occhi per capire come quella persona potesse conoscere il mio nome e rincontrai quegli occhi verdi che mi catturarono il cuore come la prima volta.
Imbarazzatissima, chiamai Vittoria per farmi dare una mano. Mi sistemai i vestiti scusandomi circa altre mille volte, promettendogli che gli avrei pagato da bere, cosa che lui, ovviamente, rifiutò.
“Ehi ma, Lucy, chi è questo?”
Vittoria parlò così piano che stentai a capire cosa mi avesse detto.
“An, scusatemi…Denis, lei è la mia migliore amica Vittoria. Vicky, lui è un ragazzo che ho conosciuto pochi giorni fa, Denis.”
Un po’ indulgente, Vittoria gli porse la mano, ma dal suo sguardo si vedeva che quel tipo non le andava a genio.
“Molto piacere.”
“Il piacere è mio. Sai, Lucia, sono contento di averti rivisto. Non sapevo saresti venuta anche tu qui.”
Sottovoce, la mia migliore amica borbottò che era ovvio che saremmo venute visto che abitavamo a 5 passi. Le diedi una gomitata e risposi a Denis con uno dei miei sorrisi migliori.
Lui era sempre bellissimo: jeans lunghi, maglietta scura anche se con una macchia di sprite, scarpe basse e capelli sempre perfetti.
“Scusami ancora, davvero. Non ti avevo visto.”
“Te l’ho detto, non ti preoccupare.”
Da lontano sentii dei ragazzi che urlavano il suo nome. Mi voltai, e vidi che si stavano avvicinando 4 ragazzi di media statura e una ragazza della mia età con dei bellissimi capelli biondi.
“Denis, andiamo o stiamo qui a fare le radici?”
“Arrivo, arrivo un secondo.”
“Ok, ma sbrigati.”
Notai subito lo sguardo perplesso e interrogativo della ragazza. Mi aveva squadrata da cima a fondo, ma non ci diedi peso.
“Ascolta, ora devo andare, ma ti lascio il mio numero. Scrivimi, ok?”
Corse via facendomi l’occhiolino.
Rimasi immobile un attimo, confusa, mentre Vittoria si mise a ridere.
“Che hai da sghignazzare?”
“Sei diventata tutta rossa!”
Mi toccai le guancie con le mani e poi risi anch’io rendendomi conto che mi sentivo sempre più imbranata.
 
15 anni: un bacio tra una ragazza e un ragazzo.
Nei giorni seguenti, io e Denis ci scrivemmo molto: lui mi parlò della sua famiglia e dei numerosi scontri che aveva con suo fratello, mentre io, mi innamoravo sempre di più della sua dolcezza con cui mi scriveva la buona notte.
La fine della scuola era vicina e questo invece che rendermi felice, cominciava a tormentarmi un po’.
Il motivo era sempre lui: con la scusa della scuola, riuscivamo ad incontrarci spesso, anche quel giorno.
Lezione di inglese all’ultima ora: una vera scocciatura. La campanella suonò e io mi fiondai immediatamente al nostro parco.
Denis era già lì e mi accolse con un abbraccio.
“Ciao scema.”
“Ciao simpatico.”
Lui mi chiamava spesso così, ma perché sapeva che mi faceva sorridere.
“Allora, com’è andata oggi?”
“Solita palla…a te?”
“Tutto bene.”
La nostra conversazione fu interrotta dalla suoneria del cellulare di Denis. Lui lo prese e osservò indeciso lo schermo, poi rispose scusandosi con me.
“Dimmi, che vuoi?”
Guardai le sue espressioni mentre parlava: erano un misto di rabbia e seccatura.
“Ti ho detto che ci potevi pensare prima! Ora scusami ma sono impegnato.”
Chiuse la chiamata con forza e si scusò nuovamente.
“Brutte notizie?” chiesi.
“No, no. Tutto bene. Solo una rompiscatole. Ascoltami, volevo farti una domanda.”
“Dimmi, ti ascolto.”
“Tu cosa pensi di me?”
In un primo momento mi chiesi il perché di quella domanda, ma poi risposi.
“Beh…io ti voglio molto bene e tu dal primo istante, sei riuscito a compensare fascino con timidezza e dolcezza.”
Entrambi ridemmo per qualche secondo.
Io rimasi incantata da quanto la sua risata si sposava alla perfezione con la tranquillità del posto: la giornata splendida, il venticello fresco, il cinguettio degli uccellini e persino l’ombra del grande albero dove ci sedevamo sempre.
“Sai, anche tu mi hai conquistata subito, ma proprio grazie alle tue scenate da imbranata e le espressioni che facevi per nascondermi la tua timidezza.”
Mentre parlava, sapevo che mi stava osservando.
“Quei tuoi capelli scuri e i tuoi occhi che hanno sempre una luce che assomiglia alla rugiada. Lucia, tu mi piaci.”
A quelle parole, sentii di nuovo le guancie scaldarsi e la mia mente diventare un non so che di incasinato.
Rivolsi gli occhi ai suoi, e lì, istintivamente, mi avvicinai a lui.
Un bacio.
Dolce, delicato e curativo.
Sentii che dentro la mia testa, tutti i pensieri si raggruppavano in uno solo: FELICITA’.
Lui mi abbracciò forte e rimanemmo così, in armonia con il mondo.
 
Seconda pagina
16 anni: una ragazzina soffia le candeline con addosso dei ridicoli occhiali con la scritta “Buon Compleanno”.
La scuola era finita e tutti i miei dubbi erano svaniti.
Io e Denis eravamo finalmente una coppia fissa. Ci vedevamo meno, ma tutti i giovedì e i sabato li passavamo insieme.
Oggi è il 15 giugno, il mio compleanno.
Appena sveglia, fui invasa da messaggini di tanti auguri e da baci e abbracci dai miei genitori e da mia sorella. Ma l’unica cosa che mi colpì, fu l’uscire dal terrazzo: un grande striscione con la scritta “Auguri scema mia, ti amo!” occupava tutta la strada davanti casa. Su di me si formò un sorriso di 400 denti. Corsi giù dalle scale rischiando quasi di arrivarci rotolando, aprii la porta e ritrovai il mio principe azzurro dagli occhi smeraldo. Gli saltai in braccio e lo ricoprii di baci, ringraziandolo in tutte le lingue che conoscevo.
Tornati a casa insieme, sul tavolo in salotto, c’era la mia torta di mele preferita con il numero 16 inciso sopra e i miei, con Vittoria, che cantavano “tanti auguri a te”. Mi emozionai e Vicky si mise a ridere ripetendomi di non fare la piagnucolona. In più mi fecero indossare degli occhiali ridicoli e, divertiti, mi scattarono un sacco di fotografie, ricoprendomi di battutine ironiche. Era tutto ciò che volevo. Tutto in quella semplicità che mi riempiva il cuore.
 
16 anni: una ragazza che sorride stringendo a sé due bambine con in mano due palloncini colorati.
Quell’estate si stava rivelando davvero insopportabile per il troppo caldo, ma proseguiva tranquillamente: Vittoria e io ci incontravamo spesso per prendere un gelato; andai a due feste di classe; con Denis ci vedevamo più di rado, ma solo perché lui svolgeva uno stage insieme ad un’altra compagna.
Quel sabato, avevo in programma molte cose da fare:
mattina à completare i compiti per le vacanze di matematica;
pomeriggio à uscita con Vittoria;
sera à festa di classe di mia sorella, dove dovevo svolgere il compito di animatrice.
Purtroppo la sera dovetti rinunciare ad uscire con Denis, ma a quanto pare anche lui aveva una festa di classe.
Erano le 3, Vittoria puntuale come sempre.
“Ciao Lucy! Allora, pronta per fare un bel giro in bici?”
“Certo! Prontissima! Ma oggi per le 5 devo essere a casa: stasera devo fare l’animatrice alla festa di classe di mia sorella.”
“Davvero? Che forte! Allora affrettiamoci!”
Il pomeriggio passò velocemente: facemmo tutto il giro del quartiere in bici e poi ci facemmo una sosta alla nostra solita gelateria di fiducia da Mauro.
Verso le 5, tornai a casa, mi feci una doccia, mi cambiai di fretta e andai ad organizzare i giochi per la serata.
Alle 7, tutti i compagni di classe erano arrivati e infatti si cominciò a formare una grande confusione: bambini che si rincorrevano, alcuni sgranocchiavano le patatine del buffet, altri giocavano con i palloncini. A quel punto, richiamai tutti da me e cominciai a spiegare il primo gioco.
Era ormai fine serata e dopo una decina di partite, i bambini, sfiniti, si sedettero tutti a mangiare qualcosa.
Decisi di prendere una boccata d’aria. Uscii dalla porta sul retro e presi il cellulare. Vidi che c’era un SMS di Denis. Lo aprii.
“Scusami…mi sento davvero uno schifo.”
Rimasi ad osservare quelle parole per più minuti, rileggendole continuamente e meditando su cosa fosse successo. Provai a chiamarlo, ma senza risultati.
A mezzanotte passata, tornai a casa con mia sorella, ma un brutto presentimento mi continuava a ronzare nella testa.
 
16 anni: una foto in bianco e nero con una ragazzina che si guarda allo specchio.
Cambiò tutto. Da colorato, tutto mi sembrava fosse ricoperto di nero.
Quel “scusami”, ebbe conseguenze ben peggiori di ciò che pensavo.
Ero in camera, sotto le coperte.
Piangevo.
Denis mi aveva tradita.
Aveva ragione, era tutto uno schifo, soprattutto lui.
Lo stage che svolgeva, alla fine, non era proprio così noioso come mi raccontava.
Quella ragazza: bellissimi capelli biondi.
Quella telefonata di pochi minuti a cui non diedi molta importanza ma dove si sentiva distintamente che stava rifiutando una ragazza.
Tra loro c’era qualcosa, e Denis me lo aveva nascosto.
Alcol, divertimento e molto altro…con quella.
Mi sentivo un mare di emozioni: rabbia, frustrazione, amarezza, dolore…paura.
Avevo paura.
Mi ripetevo: “E ora? Ora cosa farò senza di lui?”
Chiamai Vittoria e gli raccontai tutto. Nella sua voce c’era sempre un pizzico di “lo sapevo”, fin dal primo momento.
Lei venne anche a casa mia, ma per pochi minuti perché il dolore che provavo non poteva ancora essere riparato da delle parole di consolazione.
In tutti i modi lui cercò di scusarsi, ma io non dovevo perdonarlo, non POTEVO.
Mi alzai dal letto e mi guardai allo specchio: quella rugiada era diventata uno tsunami e quella timidezza, una rabbia incontrollabile.
Passarono giorni da quel messaggio, arrivò anche un momento in cui pensai di perdonarlo, ma il dolore era troppo forte.
Ormai tutto quello che avevamo creato insieme stava bruciando, fino a quel giorno, in cui diventò tutto cenere. Tutto nero. Niente si poteva più recuperare.
Mi rimaneva solo la scuola, Vittoria, i miei genitori e un vuoto immenso.
Tutti mi ripetevano: ”Ma sei piccola! Sono i primi amori ancora! Ti passerà.”
Sì, lo sapevo che prima o poi mi sarebbe passata, ma sono proprio i primi amori che fanno crescere.
Diventai più matura, più seria. Ero sempre la solita pazza, ma cominciai a vedere il mondo in un altro modo.
Diventai anche molto più altruista devo dire, aiutavo chi mi chiedeva una mano.
Rividi più volte Denis andando a scuola, ma oramai avevo già girato pagina.
 
Terza pagina
17 anni: foto di scuola, foto di passeggiate con Vittoria. Una foto sorridente.
Avevo ritrovato me stessa e devo dire anche rinata.
Erika fu una delle persone che mi stette più vicina, insieme a Vittoria, perché diceva di ritenersi responsabile, anche se sapeva quanto mi arrabbiavo se lo diceva ad alta voce.
Denis non mi faceva più né caldo né freddo, mentre lui domandava spesso di me a Erika e le ripeteva quanto gli mancassi.
Poteva pensarci due volte o, come dicevo a Erika, trovarsi un’altra bella bionda.
Uscivo molto di più, leggevo altrettanto di più e mi feci anche nuovi amici, tra cui uno, uno molto speciale.
Lo conobbi nella gelateria dove andavamo sempre io e Vittoria.
Si chiamava Marco: alto, corporatura atletica, capelli castano chiaro con un ciuffo all’insù, occhi di un verde misto al marrone, una simpatia che ti conquistava. Ci sentivamo circa da due mesi ed eravamo molto legati, soprattutto grazie ai nostri hobby in comune: anche lui amava i manga, veniva spesso a casa mia per fare qualche partita ad Halo e insieme andavamo spesso in palestra per tenerci in forma.
Lui riusciva a farmi dimenticare tutti i problemi e se qualcosa mi turbava, sapeva trasformarla in una cosa a mio favore.
Era unico e, l’UNICO, a cui volevo stare accanto dopo tutto quello che avevo passato, perché i suoi occhi, non vedevano altro che me.
 
Il retro
Continuai a girare le pagine di quell’album.
“Amore, ho finito! Sono pronto!”
I miei pensieri furono interrotti da quella voce.
Marco era lì, con una abito elegante blu scuro, gel sui capelli e ancora un po’ dell’umidità della doccia che gli illuminava il viso.
Chiusi l’album, mi alzai e una lacrima accompagnata da un sorriso mi solcarono il volto.
“Tesoro, cos’hai? Stai bene?”
“Benissimo amore, non sai quanto ti amo!”
Riposi l’album dove lo avevo trovato.
“Il mio passato rimarrà per sempre qui, tra queste pagine. Ora devo solo vivere il presente, per crearmi un futuro.”
Marco mi guardò con una faccia perplessa e io gli corsi incontro, dandogli un grosso bacio.
“Non so cos’hai stasera, ma sei sempre bellissima, anche dopo 5 anni. Andiamo ora?”
Annuì con la testa asciugandomi il volto.
Presi la borsetta, spensi la luce e mi chiusi la porta dietro le spalle.
   
 
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