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Autore: skinshaz    21/07/2014    0 recensioni
Tratto dalla storia:
"Ho visto le sue labbra comporre un ‘ti amo’ e spinto dall’istinto ho mosso un piede. Facendolo, ho commesso l’errore più grande della mia vita, un errore che non mi perdonerò mai. Uno sparo e la mia vita è finita."
Genere: Azione, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Mi guardo allo specchio. Con la mano mi sistemo il ciuffo tirato su con il gel. Sono un ragazzo perfettamente normale, diciotto anni, biondo, occhi chiari, un velo d’occhiaie sotto gli occhi.
   A scuola le ragazze mi considerano il ragazzo perfetto, visti anche i miei voti piuttosto buoni e miei ottimi rapporti con tutti. O quasi.
  Mi volto verso il letto fatto da poco e le mie cose mi attendono, mi sembra quasi di sentirle chiamare. Prendo la pistola, appena lucidata, e la carico. Emette uno scatto, io sorrido e la metto tra i pantaloni e i boxer, in modo che non cada. Sento il metallo freddo poggiare appena contro la pancia. Poi prendo il coltellino svizzero e lo infilo in tasca. Infine afferro la bustina piena di polvere bianca, la apro, mi lecco un dito e la tocco appena. Infilo nuovamente il dito in bocca e la spargo. Sento già l’adrenalina che sale. Non ne sono dipendente, ma sono stanco e mi serve energia. Metto la bustina nell’altra tasca. Guardo l’ora nel telefono e la luce mi acceca per un secondo. Sono le undici e mezza e tra mezz’ora sarà lunedì. Devo tornare a casa prima delle sei per andare a scuola. Per me è molto importante.
   La porta dei miei genitori è chiusa e anche quelle dei miei fratelli, ma sento che qualcuno sta ancora guardando la tv, quindi sto attento a non fare rumore scendendo le scale. Salto il gradino che cigola e continuo la marcia fino alla porta d’ingresso. Giro la chiave nella serratura e la apro lentamente, poi mi  guardo alle spalle e osservo la cima delle scale. Niente. Nessuno si è accorto di me.
  Sono in strada, so dove andare. Non è lontano per uno che cammina veloce, per uno che conosce delle scorciatoie ancora meno. Il tombino aperto è a pochi passi da me, ci entro e scendo aggrappandomi ai pioli della scaletta che porta nel tunnel.
  L’aria sa di merda e di vomito e di tutto ciò di più schifoso al mondo, ma non sono l’unico che si aggira sotto la città, al riparo dagli sguardi della gente per bene. Altri ragazzi, della mia età circa, forse più grandi, sono sdraiati nella poltiglia puzzolente, alcuni con un laccio legato stretto poco sopra il gomito e dall’aria completamente andata, altri girano canne e altri sniffano. I miei anfibi neri si appiccicano a quello che c’è sotto i miei piedi, ma non voglio sapere cos’è. Mi viene un conato di vomito solo al pensiero.
“Cristo” Sussurro scuotendo la scarpa destra, particolarmente appiccicosa.
  Finalmente trovo il tombino su cui ho disegnato una X rossa con la bomboletta spray, qualche giorno fa. Salgo la scaletta e con una mano spingo verso l’alto e poi di lato. L’aria notturna mi accarezza il viso ed esco alla luce della luna. I lampioni illuminano ad intermittenza. Dovrebbero aggiustarli.
  La casa è questa, le luci sono spente. E’ davanti a me e sento che l’adrenalina sta lasciando il posto all’agitazione. Non ne capisco il motivo, nessuno dei miei omicidi è mai finito male. Non per me, almeno. Metto la mano nella tasca sinistra e prendo la polvere. La apro, lecco l’indice e lo infilo dentro il sacchetto, lo tiro fuori e lo metto in bocca. Tutto sta per tornate  alla normalità. Niente ansia, agitazione o paura.  Solo voglia di uccidere quel bastardo che mi ha portato via il mio migliore amico e vero amore. Ricordo ancora come il suo corpo freddo stava alla perfezione tra le mie braccia. E mi lascio andare ai ricordi mentre mi siedo sul marciapiede e aspetto che la cocaina faccia effetto.
   Io e Calum, come sempre. Stavamo andando a trovare uno stronzo che aveva cercato rissa con il nostro gruppo, minacciando di dire dei nostri traffici alla polizia. Non che ne avessimo paura, ma è sempre meglio prevenire che curare.
   Camminavamo tranquilli in una stradina appena fuori dal centro, le pistole in mano e i coltelli in tasca, quando uno è arrivato e mi ha buttato a terra, facendomi lasciare la pistola. Mi ha tirato un pugno e io gli ho dato una ginocchiata in mezzo alle gambe, a fatica ho estratto il coltellino dalla tasca e gliel’ho piantato in pancia, per poi toglierlo subito dopo. L’ho spinto di lato e mi sono alzato. Subito mi sono accorto che qualcosa non andava. Non vedevo più Calum. Mi sono guardato intorno e poi li ho visti. Un altro tizio, che non avevo sentito arrivare, lo teneva stretto da dietro, con le mani bloccate. Gli puntava una pistola alla tempia. Calum cercava di liberarsi e aveva le lacrime agli occhi. Il tempo era come congelato, io ero congelato. L’hanno fatto di proposito, non era una coincidenza che si trovassero lì proprio quando siamo passati noi. Eravamo i capi della banda e credo che avessero capito che c’era qualcosa tra noi due. Uccidendone uno, avrebbero ucciso entrambi. E me ne rendo conto solo adesso.
   Ho visto le sue labbra comporre un ‘ti amo’ e spinto dall’istinto ho mosso un piede. Facendolo, ho commesso l’errore più grande della mia vita, un errore che non mi perdonerò mai. Uno sparo e la mia vita è finita. Calum è crollato a terra e io ho corso verso di lui, mentre l’altro scappava. Sentivo delle sirene della polizia, probabilmente chiamata da qualcuno che si è affacciato alla finestra nel momento sbagliato, ma non mi importava. Mi sono buttato in ginocchio e l’ho abbracciato, le lacrime che scorrevano sulle mie guance e i singhiozzi che uscivano incontrollati dalla mia bocca. Volevo chiedere aiuto, ma riuscivo a vedere le luci delle auto della polizia e ho capito che non c’era tempo. Calum era andato via, lontano, portandosi con sè il mio cuore e tutto ciò che restava di me. L’ho caricato sulla schiena e ho iniziato a correre più velocemente che potevo. Nonostante il suo peso, sono riuscito ad arrivare nel suo giardino. I genitori dormivano, ma dopotutto erano le tre di notte. Le ginocchia non mi reggevano più e mi sono appoggiato ad un albero, facendo attenzione a non farlo sbattere. Me lo sono messo in grembo, come farebbe una madre con il neonato che piange, ma lui non piange. Non fa niente. E’ un bambolotto senza vita. Mi sono lasciato andare, dando il via libera alle lacrime, poggiando la fronte contro la sua. Poi ho alzato la testa con un nuovo sentimento nel cuore. Non amore, non tristezza. Vendetta. Gli ho dato un bacio sulle labbra e l’ho preso in braccio. La porta sul retro della casa era aperta e sono entrato. L’ho portato in camera sua e l’ho adagiato sul letto. Gli ho sistemato i capelli e l’ho ripulito. Gli ho tolto le armi e le ho messe nella mia tracolla. Però mancava qualcosa. Dovevo pur dare delle spiegazioni ai suoi genitori, ignari di tutto quello che era il loro figlio perfetto fuori di casa. Quindi ho preso carta e penna dalla scrivania e ho scritto.
 
“Carissima famiglia Hood,
ieri sera, sul tardi, siamo stati coinvolti in una sparatoria. Stavamo facendo un giro appena fuori città e ci siamo ritrovati in mezzo. Calum è stato..”
 
Mi sono fermato un momento per asciugarmi le lacrime che scendevano senza sosta.
 
“...colpito e non ho potuto fare niente per salvarlo. Mi dispiace. Vi chiedo scusa.
                                                                                                                                        Vostro, Luke.”

Non sono riuscito a scrivere altro, un po’ perchè le mani mi tremavano e vedevo sfocato per colpa delle lacrime e poi perchè avrei mandato tutto all’aria, tutto quello che avevamo fatto noi due insieme e non potevo. Avrei tradito il nostro gruppo e avrei tradito lui. Non avrei mai fatto una cosa del genere.
La firma è stata rovinata da una lacrima che non sono riuscito a fermare. Ho messo il biglietto sul letto, accanto al suo corpo senza vita, accarezzandogli la fronte e sono uscito senza guardarmi indietro, chiudendomi la porta alle spalle. Se mi fossi fermato, so che niente mi avrebbe più separato da lui, ma dovevo vendicarlo. Gliel’avrei fatta pagare a quel figlio di puttana che gli aveva sparato in testa. Sono uscito dalla porta da cui sono entrato, preoccupandomi di prendere la chiave sotto lo zerbino e chiudere la porta.
 
Mi riprendo da quel flashback e ho gli occhi lucidi. ‘Sarà un’agonia, amico mio’ Penso guardando la casa.
  
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