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Autore: nothing but a shadow    21/07/2014    0 recensioni
«Ne ho avuto abbastanza delle tue stronzate!»
Un urlo, il suono delle chiavi che si scontravano tra loro.
«Bravo vattene, scappa come hai sempre fatto!»
Le mani tra i capelli, un piatto frantumato al suolo, obiettivo mancato.
La porta che sbatteva. La macchina che partiva.
Lo scontro.
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alex Gaskarth, Jack Barakat
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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«Ne ho avuto abbastanza delle tue stronzate!»
Un urlo, il suono delle chiavi che si scontravano tra loro.
«Bravo vattene, scappa come hai sempre fatto!»
Le mani tra i capelli, un piatto frantumato al suolo, obiettivo mancato.
La porta che sbatteva. La macchina che partiva.

Lo scontro.


 

Simple Math

 

Hunter eyes,
I'm lost and hardly noticed,
Slight goodbye.
I want to rip your lips
Off in my mouth.
And even in my greatest moment
Doubt the line between
Deceit and right now.

 

Avrebbe giurato che quella strada fosse stregata, o forse era solo la sua mente a suggerirglielo. Aveva sentito parlare dei meccanismi di difesa della mente studiati da Freud mille volte, si chiese se anche incolpare altre cause per alleviare il senso di colpa fosse uno di quelli.
Evitava ogni volta di passarci, anche se era poco trafficata e ci avrebbe impiegato metà del tempo a tornare a casa dal lavoro passando di lì, invece di guidare per la statale dove l'ora di punta era ogni giorno una parata.
Battè le dita sul volante, chiuse gli occhi mentre la lancetta del quadrante girava vorticosamente verso destra. Superò i 100, non se ne accorse. I flashback sembravano così reali che per un momento allungò le dita impercettibilmente, come a toccarli. Lo stava lasciando, ma per quanto si sforzasse di cambiare quella scena, le parole rimanevano sempre le stesse, le mani si aggrappavano sempre sul solito piatto e lo lanciavano sempre nella direzione sbagliata. Desiderò di averlo colpito, di avergli fatto male; almeno così non sarebbe mai uscito da quella porta.

Strinse le mani sul volante. Aprì gli occhi di scatto, ed era di nuovo su quella strada. Ma davanti ai suoi occhi c'era lui, immobile, tranquillo. Come se una macchina non stesse andando a tutta velocità verso di lui. Urlò il suo nome, sterzò di colpo. Nel panico del momento, premette disperatamente il pedale del freno, evitando per fortuna un albero, finendo fuori strada. Ma la macchina cominciò a girare su se stessa, mentre cadeva dalla discesa ricoperta d'erba e costellata di piante. Chiuse gli occhi, lasciando andare il volante.


Si dice che quando sei in punto di morte, ti passa tutta la vita davanti.


Quando Alex riaprì gli occhi, era nella sua vecchia stanza, a casa dei suoi genitori. Era seduto sul tappeto, davanti all'armadio. Si guardò intorno; gli animali di peluche, i dinosauri giocattolo. Il telescopio davanti alla finestra. Si alzò lentamente, andò verso la scrivania. C'era una foto sopra, che lo raffigurava sorridente, con uno spazio tra i denti. Aveva un braccio attorno alle spalle di un altro bambino dai capelli scuri, il naso decisamente troppo grande per il suo volto fino, e le sopracciglia già accentuate a quell'età.
Prese la cornice in mano, tracciando il profilo dei due volti con le dita, accarezzando dolcemente i capelli di quel bambino così diverso a lui. Ricordava il giorno in cui l'avevano scattata, al parco, l'estate in cui si erano conosciuti. Avevano entrambi circa cinque anni.

“Prova a prendermi!” urlò una voce, che lo fece spaventare e posare immediatamente la foto dov'era. La porta si spalancò, e ne entrò correndo un ragazzino biondo. Si nascose nella tenda da campeggio che aveva tanto insistito di montare dentro la sua camera, per poterci giocare in compagnia dell'amico moro, che entrò una manciata di secondi dopo, buttandosi dentro la tenda a sua volta e facendola oscillare, quasi cadere.

Sentì le risate dei due bambini alleviare dalla tenda che li circondava. Alex si affacciò, vedendo se stesso 18 anni prima sdraiato su una coperta blu, mentre l'altro era sopra di lui intento a fargli il solletico sui fianchi.

“Smettila!” urlò Alex bambino, ridendo e dimenandosi per sfuggire alla presa del moro. “Smettila Jack, mi arrendo!”

Jack si tolse da sopra di lui, ridendo a crepapelle e sdraiandosi vicino ad Alex, tenendosi lo stomaco con le mani. “Avresti dovuto vedere la tua faccia.” disse, mentre l'altro respirava affannosamente, cercando di riprendere fiato. Il bambino biondo si girò verso l'amico, sorridendogli. “Mi vendicherò!” urlò sorridente, prima di buttarsi sopra l'altro e solleticandolo a sua volta.

Alex adulto li guardò sorridendo tra le lacrime, quando gli oggetti della stanza cominciarono ad inclinarsi vorticosamente, come se la casa si stesse piegando di 90 gradi orari.

Chiuse gli occhi, e quando li riaprì si ritrovò di nuovo nella sua macchina, che ancora rotolava. Ma il tempo sembrava distorto, le azioni erano lente, come se tutto stesse succedendo a rallentatore. Guardò i vetri del parabrezza galleggiare intorno a lui, sentì i colpi come attutiti. E di colpo lo scenario cambiò di nuovo.

Davanti a lui c'era il cielo, azzurro e privo di nuvole. Si mise a sedere, portandosi istintivamente una mano alla fronte, la testa gli girava leggermente. Intorno a lui c'era una distesa di erba e alberi, e Alex riconobbe subito il posto, quel parco. Si alzò in piedi, infilandosi le mani in tasca. Cominciò a camminare, sapeva già dove andare, verso quale albero. E quando li vide, sorrise.

Il bambino biondo e quello moro erano cresciuti, non avevano più 9 anni. L'adolescenza li aveva mutati entrambi, splendenti nei loro 17 anni. Jack era seduto con la schiena appoggiata a un albero, e Alex adolescente era seduto tra le sue gambe, intento a strappare distrattamente l'erba intorno a lui, mentre il minore gli accarezzava dolcemente i capelli.

Alex adulto si avvicinò di più, sedendosi alla destra del Jack adolescente rinchiuso nei suoi ricordi. Trattenne le lacrime quando gli accarezzò di sfuggita i capelli. Non sapeva come tutto quello fosse possibile, ma era l'unica occasione che aveva per poter sentire di nuovo il moro vicino a lui. I suoi capelli erano morbidi sotto le sue dita, ma probabilmente era solo la forza di tutti i suoi ricordi a permettergli di sentirli al tatto.

“Hey Alex,” sussurrò Jack, avvicinandosi all'orecchio dell'amico.

“Hey Jack,” rispose il biondo, girandosi e trovandosi il viso dell'altro a pochi centimetri dal suo. Alex guardò come la sua versione adolescente abbassò per un secondo lo sguardo verso le labbra di Jack, e non poté trattenere una lacrima, e un sorriso.

Il moro sorrise, accorgendosi di quel gesto, e si morse il labbro inferiore, guardando l'altro dritto negli occhi. “Ricordi quello che dici sempre? Che nella vita bisogna tentare, anche quando rischi di perdere tutto?” Alex lo guardò fisso negli occhi, assumendo un'espressione seria. Annuì. “C'è un rischio che ho paura di dover correre per forza.” disse Jack, spostando gli occhi alle labbra dell'altro.

Alex adulto trattenne il respiro, mentre le labbra dei due ragazzi davanti a lui si connettevano per la prima volta, esperte e sconosciute, immensamente desiderate. Ricordava bene quel momento, il momento in cui Jack aveva fortunatamente preso coraggio e aveva fatto quel passo che entrambi erano stati troppo codardi per fare prima.

Ebbe lo strano impulso di alzarsi e cominciare a correre, mentre il mondo intorno a lui girava di nuovo e lo catapultava nella sua macchina. Il tempo sembrava scorrere un po' più velocemente quella volta, e pensò che non fosse un caso. I suoi ricordi lo rapirono di nuovo.

Sta volta Alex vide sé stesso in un recente passato, nella casa che lui e Jack condividevano. Era seduto per terra, con indosso uno smoking e con le gambe rannicchiate al petto, le braccia a circondarle. Sentiva i suoi stessi singhiozzi, sapeva cosa fosse quel fiore che teneva in mano.

Lo scenario cambiò di nuovo, mutandosi confusamente, come in un sogno. All'improvviso, davanti a lui vide la sua figura sotto un cielo grigio, circondato da alberi morti e foglie secche. Il se stesso davanti a lui si strinse nel cappotto nero, con il capo abbassato e guardare la lapide davanti a lui. Non riusciva a vedere la scritta su di essa, ma sapeva fin troppo bene cosa diceva.

Jack Bassam Barakat
1988 – 2014
Amato figlio, fratello, marito e amico.
“La vita è troppo bella per sprecare il tuo tempo pensando a qualcuno che non ti tratta bene.”


All'improvviso si sentì catapultato in avanti, e il mondo intorno a lui si dissolse come nebbia, lasciando posto alla strada. Non ci volle molto prima che il ragazzo atterrasse violentemente sull'asfalto, cominciando a rotolare vorticosamente su se stesso. Strizzò gli occhi come se quel gesto potesse attutire il dolore.

Poi successe tutto in fretta, e quando riaprì gli occhi si trovava nel lettino dell'ospedale. Aveva sempre odiato gli ospedali, soprattutto ora. La porta alla sua destra si aprì e ne entrò un uomo alto, con i capelli mori e biondi. Alex lo guardò portargli un bicchiere d'acqua, senza parlare. Lo prese tra le mani, tremando al contatto con le dita tanto mancate dell'altro.

Jack lo guardò e per un minuto ci fu il silenzio. Lo guardò e ad Alex quei due occhi erano mancati fin troppo. Il moro prese parola e in un sussurro disse: “Mi manchi.”, prima di spostare la mano alla spalla e tirare fuori una cintura di sicurezza, bloccandosela sul fianco.

Il biondo vide l'acqua nel suo bicchiere muoversi verso destra, creando un dislivello, e improvvisamente era di nuovo nella sua macchina, con il volante in mano e Jack era al suo fianco. Guidava tra le foglie gialle attraversando la sua vecchia camera da letto. Tutto era confuso e le sue nocche erano diventate bianche per quanto forte le sue dita stringevano il volante. Urlò frustrato, mentre i vari scenari dei suoi ricordi continuavano a ruotargli intorno; il parco, il suo appartamento, il cimitero. Andava a tutta velocità verso la lapide di Jack, che scomparve come un'ombra dal posto del passeggero. Urlò di nuovo, strizzando gli occhi.

 

––


Il sole splendeva alto nel cielo, riflettendosi sui piccoli pezzi di vetro. Alex giaceva disteso sull'asfalto, il volto macchiato dal sangue proveniente dal suo labbro e dal suo sopracciglio. La macchina era ferma poco lontano, ormai distrutta dall'incidente. Girò la testa lentamente, vedendo una figura bianca dileguarsi velocemente, come se fosse stato un piccolo scarabocchio nella coda dell'occhio, che spariva provando a guardarlo.

Sorrise.

Chiuse gli occhi, e mentre l'incoscienza lo rapiva e la presenza dell'altro lo cullava, nella sua mente si facevano spazio poche ultime, stanche, parole.

 

 

I imply,
To mitigate the guilt,

We could align
A perfectly constructed alibi
To hush the violent guilt
That eats and never dies.
In actual blame,
They called me once the dark
divide.

 

Note: Salve people. Sono ancora qui a pubblicare le mie cagate, of course. 
Non ho molto da dire, a parte che la fanfiction è una based off (tra gli avvertimenti ho messo otherverse ma sinceramente non so se sia proprio la stessa cosa, mi scuso subito in caso sia sbagliato) del video della canzone Simple Math dei Manchester Orchestra, che vi consiglio vivamente di vedere così da capire meglio la storia, dato che ho avuto un po' di difficoltà a mettere in parole i fatti e le azioni di quel video. 
Detto questo, come sempre, concludo col ripetere che le recensioni sono sempre ben accette e anzi, mi riempiono il cuoricino di gioia.

  
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