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Autore: icered jellyfish    21/07/2014    2 recensioni
[ 73esimi Hunger Games | Original characters | Distretti 5 • 7 • 2 ]
• | Capitolo O1 | Le possibilità che siate piaciuti e la gente faccia il tifo per voi sono molto alte. Quella frase era pazzesca, e continuò a rimbombare pesantemente tra le pareti interne della sua testa – sbattendo come una pallina di gomma da una parte all'altra e facendola innervosire.
Il plurale che aveva usato fu un pugno in pieno stomaco per lei, un'offesa che indossava lo stesso make up dorato che adornava il volto di Edwin in sfarzosi ghirigori sparsi un po' ovunque.

• | Capitolo O2 | [...] ormai, pensò, il suo giudizio non aveva più importanza per nessuno. Perché nessuno l'avrebbe tenuto da conto. Nemmeno in arena, perché per quanto quello sarebbe stato l'unico momento in cui avrebbe ripreso finalmente il possesso delle sue capacità decisionali – ammesso e concesso che superasse la fase del martirio alla Cornucopia –, ogni strategia, ogni tattica, ogni piano, avrebbe dovuto adottarli sapendo che doveva piacere a loro. E questo la privava nuovamente della sua libertà.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo I







C A P I T O L O   I

Benvenuti agli Hunger Games
e possa la fortuna sempre essere a vostro favore







Il perlato della tovaglia faceva risultare tutto ancora più prezioso ed elegante di quanto già palesemente non fosse.
Sul bianco predominante si intravedevano argentate ombre dai motivi floreali, così elaboratamente intrecciate tra di loro da essere addirittura capaci a far venir il mal di testa. Come se già non bastasse tutto il contorno di quella paradossale e disorientante situazione che ancora non aveva deciso realmente di accettare, di cui ancora non voleva sentirsi partecipe come invece lo era – fin troppo, senza scampo.
Sull'immensa tavolata – sotto la quale teneva le rigide gambe, seduta sulla sedia più comoda che avesse mai provato nei suoi acerbi diciotto anni di vita –, vi erano posizionate le più svariate portate alimentari di cui a stento riusciva a ricordare l'esatta collocazione – sfizioserie artisticamente decorate e impeccabili nella loro presentazione, che sembravano guardarla e attendere di essere degustate, divorate. E sebbene considerasse quello un pensiero folle, non riuscì a scacciar via dalla testa l'impressione che queste sapessero con certezza che la loro sovrabbondanza non sarebbe mai stata terminata da nessuno dei presenti al tavolo.
Lo schiamazzare felice e spensierato di Edwin e Codette – mentre mangiavano senza ritegno, ma con paradossale compostezza e classe –, risultava ridondante e fastidioso – umiliante –, e non riusciva a spiegarsi come Friedrich potesse essere tanto coinvolto e partecipe nel loro insensato ed esuberante chiacchiericcio – tanto da apparire come se fosse uno di loro da sempre. Come se quegli scarsi giorni di apparenti coccole e vizi potessero ripagare il conto alla rovescia gravante sulle loro vite.
Non capiva una parola di quel che stavano dicendo; ogni loro frase, ogni loro risata, non riusciva a infiltrarsi davvero nelle sue orecchie, arrivandole piuttosto all'udito in maniera ovattata e distante, come se fosse isolata, come se il tacchino in salsa di mirtilli che stava distrattamente fissando, l'avesse rapita e permesso di rifugiarsi in qualche luogo lontano da tutta quella disgustosa e spietata ipocrisia che altri non aspettava se non vederla morire o vincere – e, in quel momento, l'unica cosa che riusciva davvero a pensare, era cosa ci facesse lì in quel posto.
«Catherine Heach
Il suo nome le risuonò nella testa un po' come un pesante tonfo sordo con tanto di rimbombo, e ancora si vedeva lì, in mezzo a tutti i possibili tributi del Distretto 5 – il suo – accuratamente disposti come soldati destinati ad un pescaggio che, di lì a poco, li avrebbe portati a combattere una guerra per gioco – dove in palio c'era una sopravvivenza carnale, ma non morale.
«Catherine Heach.»
Attraverso le moderne casse, la stessa voce si ripeté estendendosi ancora una volta in tutta la piazza con inequivocabile solennità – forse un po' stranita dal non aver ancora riscontrato la persona a cui quell'identificativo apparteneva. Perché lei non voleva salire su quel palco. Perché lei non riusciva ancora a credere che il suo orologio avesse iniziato a ticchettare al contrario.
«Catherine Heach!»
Una terza volta ancora, lo squittìo di Codette Hinchinghooke la chiamò – e, a differenza delle volte precedenti, in quella si distinse per la tonalità scocciata e decisamente più vicina a lei. Più presente.
Alzò lo sguardo, sbattendo le palpebre un paio di volte per destarsi dal suo stato di totale disattenzione su tutto ciò che la circondava.
Le sue iridi aspre – due pozze di sabbia calda e brillante – si posarono dunque sulla bizzarra figura della rappresentante del suo distretto – spaventandosi, nuovamente, per la sfarzosa impalcatura di capelli verde acqua sopra la sua testa.
Proprio non capiva, cosa ci trovassero gli abitanti di Capitol City ad indossare parrucche piene di impossibili intrecci e addobbi che pesavano probabilmente più del loro cervello – anche se quest'ultimo era abbastanza sicura non avesse un peso particolarmente consistente.
Il bislacco e pesante trucco dalle colorazioni marine, fortunatamente – o sfortunatamente – la distrasse infine da quell'orribile scenario che ogni volta catturava come prima cosa la sua attenzione, e le orribili ciglia finte che insistentemente si agitavano coprendo i piccoli occhi rotondi della donna, la costrinsero a ritornare completamente presente in quella martellante realtà.
«Catherine... ma ci senti?» le chiese a quel punto – con il palese interrogativo sul suo volto che manifestava i suoi dubbi riguardo la sanità mentale della ragazza.
Gli sguardi di Edwin e Friedrich la scrutavano esattamente come quello di Codette – attendendo da lei una qualsiasi reazione, o domandandosi allo stesso modo quale problema avesse.
Si mise distrattamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio, scuotendo leggermente il capo in piccoli scatti che servirono a se stessa per riprendersi e riconnettersi con tutti loro.
«Sì. Sì ci sono. » si limitò a rispondere, infine – e sembrò addirittura bastare.
Codette infatti arricciò appena il naso ed increspò le labbra, ma per quanto quell'espressione potesse sembrare una velata preoccupazione morale, in pochi secondi si rivelò essere l'ennesimo, superficiale interessamento all'aspetto fisico di Catherine.
«Thrine, tesoro, quei capelli li tagliamo.»
Categorica e sinceramente morigerata, si espresse nuovamente con disappunto sulla lunghissima e, a suo avviso, deprecabile capigliatura della giovane.
Non che Catherine si aspettasse altro, in fondo, ma era straordinario quanto epidermiche potessero essere le preoccupazione dei cittadini della capitale – e se ne sorprendeva sempre, per quanto avesse provato ad abituarsi.
Istintivamente le sue mani iniziarono a giocherellare con le punte della sua chioma – una cascata di cioccolato fuso che con gran fatica si era lasciata crescere negli ultimi anni.
Non gli avrebbe mai permesso di toccarla, di rubargliela. E per quanto insulsa fosse come iniziativa, quella sarebbe stata una sua silenziosa protesta – la stavano già privando di tutto, non le avrebbero tolto anche quello.
«Credo che vadano bene così. In arena posso legarli, giusto?» domandò senza alzare lo sguardo – e con un interesse piuttosto relativo, vista l'ovvietà della risposta.
«Catherine... » la voce di Friedrich si intromise a quel punto nel discorso, sospendendosi per qualche secondo e costringendola a guardare in sua direzione. «Non dovresti comportarti così freddamente. Questi giorni, sono un privilegio!»
Gli occhi della ragazza si pietrificarono davanti a quelle parole totalmente insensate per le sue orecchie, e per quanto il suo più impellente desiderio fosse quello di sparire sull'istante – o di far sparire lui –, continuò a guardarlo senza muovere un muscolo – incapace di comprendere se quel che stava dicendo lo pensasse realmente o se avesse semplicemente iniziato a recitare.
Friedrich Pennyworth non lo conosceva affatto; in tutti gli anni vissuti nello stesso villaggio, non aveva mai avuto modo di parlarci o averci a che fare. La sua robusta figura dai capelli appena più scuri della corteccia degli alberi e gli occhi simili a due paludi – con tutte le loro sfumature scure e stagnate –, non riuscivano a dargli niente più che l’immagine di uno sconosciuto, ma per quanto probabilmente non sarebbero mai e poi mai divenuti amici – non ne avevano più il tempo, ormai –, attraverso le poche parole che si erano reciprocamente rivolti nelle ore precedenti, aveva saputo leggere sia nelle sue frasi e nei suoi occhi la sua stessa ed immensa paura.
Con chi si stava comportando da attore, dunque? Fingeva con lei di esserle amico per conquistarne la fiducia – sfruttandola per poi distruggerla nel momento più opportuno, quando avrebbe abbassato la guardia –, o interpretava semplicemente con tutti loro il ruolo di baldanzoso spavaldo, per convincerli che era su di lui, che bisognava investire e puntare?
Continuare a sostenere il suo mezzo sorriso cominciò a diventare confusionario e fastidioso al tempo stesso – così tanto che decise che non avrebbe avuto senso persistere in quello scambio visivo che non riusciva a darle nemmeno la possibilità di formulare una replica efficace e sensata.
Puntò allora la sua attenzione altrove, in punti imprecisi all'interno della moderna ed elegantissima sala, mentre la voce di Edwin si intrufolò a quel punto nel discorso.
«Friedrich ha ragione, Thrine. La sfilata con i carri è stata un successo, e le possibilità che siate piaciuti e la gente faccia il tifo per voi sono molto alte!»
Fin da subito, Edwin Dreckarth le era apparso come il peggior mentore della storia degli Hunger Games, ma questo non glielo avrebbe mai detto né avrebbe provato a farglielo capire.
Le possibilità che siate piaciuti e la gente faccia il tifo per voi sono molto alte. Quella frase era pazzesca, e continuò a rimbombare pesantemente tra le pareti interne della sua testa – sbattendo come una pallina di gomma da una parte all'altra e facendola innervosire.
Il plurale che aveva usato fu un pugno in pieno stomaco per lei, un'offesa che indossava lo stesso make up dorato che adornava il volto di Edwin in sfarzosi ghirigori sparsi un po' ovunque. Tutti, lì dentro, sapevano benissimo che il vincitore finale sarebbe stato uno e uno soltanto, sui ventiquattro complessivi che erano. Persino lui. Come poteva trattarli così superficialmente – come se tutto fosse davvero un gioco?
Era oltremodo spietato, con il suo non rendersi conto di quanto affilati e taglienti fossero quei trattamenti, quelle sue uscite colloquiali – eppure anche lui era stato in arena, un tempo. L'aveva davvero dimenticato? Aveva davvero lasciato che la mentalità di Capitol City gli si insidiasse dentro e prendesse possesso del suo modo di agire e pensare?
Tuttavia, era vivo, e questo le bastava a convincerla che, forse, qualche buon consiglio da infondere – qualche buon insegnamento – gliel'avrebbe addirittura potuto dare.
Ancora una volta, rimase dunque in silenzio – rinforzando il guscio che la teneva chiusa in se stessa e non sapendo cosa poter fare per interrompere lo scorrere dei granelli della sua clessidra.
«Mh mh!» Il mugugnare allarmato di Edwin – che per poco non si strozzò con un boccone di tacchino al mirtillo –, lo riportò ad avere l'interessamento di tutti su di sé e ad aprire un nuovo dialogo – come se si fosse ricordato solo in quel momento di un qualcosa di fondamentale che, appena bevuto un sorso di una strana bevanda azzurrognola e fosforescente, si fece dunque strada attraverso la tavola.
«Domani vi voglio tutti qui alle 08.00 in punto.»
Sia Catherine che Friedrich restarono a guardarlo in attesa di qualche delucidazione in più, ma per Edwin sembrò essere tutto piuttosto sufficiente – tanto che riprese a mangiare con assoluta tranquillità, finché non si accorse di avere ancora i loro sguardi addosso.
«Alle 09.00 inizia il vostro allenamento alla sala di addestramento, nei sotterranei» e qui sembrò davvero soddisfatto delle  informazioni fornite, così tanto che Catherine ipotizzò che doveva aver pensato ci fossero arrivati da soli, alle conclusioni sull'incastro degli orari che gli aveva dato – ed in fondo, era così.
Codette sollevò le sopracciglia sospirando con insofferente negazione, come se per lei combattere, usare le armi, fosse un qualcosa da barbari di cui non si capacitava – anche se, nonostante questo, gli Hunger Games le erano sacri più di una religione – e, per quanto indisponente fosse il suo frivolo atteggiamento, Catherine decise di non dar peso ad una cultura fin troppo differente al suo stile di vita.
Abbassò nuovamente lo sguardo in direzione dei piatti sul tavolo, puntandone uno contenente degli strani e colorati tramezzini impilati in pose pericolosamente equilibrate – afferrandone successivamente uno e percependone l’incredibile morbidezza sotto i polpastrelli.
Piano ed incerta, lo infilò in bocca, masticandolo e assaporando il suo gusto tanto assurdo quanto indecifrabile.






C O N T I N U A




    » N O T E    A U T R I C E ;

Nghe, debutto.
Questo capitolo ha ANNI, praticamente, ma solo oggi ho deciso di caratterizzarlo maggiormente ed ultimarlo.
Qualunque conclusione abbiate tratto da queste righe, sappiate che è totalmente sbagliata. (?)
I miei progetti riguardo questa storia sono piuttosto elaborati ed imprevedibili – credo. Suppongo. –, e mi auguro sinceramente che questo primo capitolo possa avervi stimolato abbastanza da convincervi a seguirmi!
E' una piccola presentazione di qualche personaggio e, fin da subito, voglio sottolineare che Catherine non sarà mai una sorta di Katniss Everdeen – ma questo non significa che non sarà forte, a modo suo.
Semplicemente, non voglio creare una sua copia – una ricalcatura della protagonista dura e pronta a rivoluzionare le cose.
Vorrei piuttosto creare una protagonista originale, diversa e più 'verosimile', in un certo senso – e spero proprio di farcela e di farvela soprattutto piacere. °A°
Che altro posso dire... A memoria mi pare che i settantatreesimi Hunger Games non avessero come vincitore un personaggio fondamentale, così, ho pensato di intessere la mia edizione su quell'anno.
A mio avviso le idee che ho in mente sono inoltre abbastanza avvincenti ed interessanti, ma mi tiro fuori da ogni sorta di giudizio perché preferisco lasciare che lo facciate voi!
Spero di ricevere qualche parere, qualche riscontro... Adoro le versioni originali delle varie edizioni degli Hunger Games, e umilmente confido di riuscire a lasciare il segno con la mia. c:
Alla prossima, e grazie in anticipo per tutto!


© a u t u m n
   
 
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