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Autore: Drosophila Melanogaster    22/07/2014    3 recensioni
-Charles ha promesso che non avrebbe mai letto i miei pensieri.- la donna soffiò irritata, sul volto di Erik si dipinse un sorriso tagliente.
-L'aveva promesso anche a me, Mystica. Ed è entrato comunque.- il sorriso si fece più largo, malizioso, insolente.
-Quindi o la nostra cavia vuole essere trovata, o vuole essere fermata.-
- Fallo. -
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Marzo.
Pioggia sulle campagne. Le città soffrono i tremendi acquazzoni, ingabbiate nelle loro scatole di ferro.
Automobili, grattacieli. Luoghi in cui le persone normali si sentono protette, al sicuro.
E dietro queste persone protette, dietro quei sorrisi falsi, privi di emozione, dietro le scatole di ferro, manipolandole, distorcendo la loro forma al semplice muoversi delle dita, stava Erik Lehnsherr.
E covava odio. Odio in quella specie retrocessa, quella sottospecie di primati che si beavano della loro tecnologia. Tecnologia basata su elementi che poteva ritorcere contro di loro solo volendolo.
E lo voleva.
Così, accadeva che cadesse un ponte. Che la struttura portante di un edificio cedesse.
E manciata dopo manciata, i nemici dei mutanti, morivano.


Poi era arrivata la guerra.
L'avevano vista cominciare insieme al telegiornale. Le immagini erano orribili quasi quanto quelle viste sui libri di storia: mitragliatori, uomini in uniforme che andavano ad uccidere altri uomini e nessuno di loro aveva colpa di tutto quello che stava accadendo.
Erano seduti sul divano, lui, Hank, Janos e Sean, proprio nella stessa in cui lui stava a ricordare, Charles non lo avrebbe mai dimenticato.
Ricordava anche di aver detto ai due ragazzi di non preoccuparsi, che sarebbe tutto finito presto e loro neanche se ne sarebbero accorti.
Ma la guerra non era finita presto come lui aveva sperato e l'America aveva avuto bisogno di braccia forti e cuori impavidi che combattessero per lei, persone che, paradossalmente, forse neanche sapevano per che cosa sarebbero andati a morire.
Il primo ad essere chiamato era stato Janos: era arrivata una lettera, la carta bianca intestata di blu indirizzata al ragazzo, le lettere nere che componevano le parole che invitavano il ragazzo a presentarsi alla visita medica per entrare nell'esercito ed essere mandato in Vietnam ancora bruciavano nella mente del professore.
Lo aveva salutato con un sorriso, un bacio sulla fronte e a richiesta di qualche chiamata ogni tanto.
Poi cercarono anche Sean, un'altra lettera, identica a quella precedente, con le stesse esatte parole stampate da una macchina a cui non importava quanti anni avessero i due ragazzi, se erano bravi a scuola oppure no, se facevano storie per la cena o se erano diversi da ogni altro ragazzo sul pianeta perché erano mutanti.
Arrivarono i secondi saluti, un altro bacio sulla fronte, altre telefonate promesse.
Le porte della scuola si chiusero e, dopo poco, si aprì la bottiglia.


La porta di metallo pesante si aprì. Una splendida creatura dalla livrea blu cobalto arrivò fino alle sue spalle. Le sue mani, un tempo delicate, vi si posarono sopra, labbra cianotiche scorsero sul collo. Baci insipidi. Un mero "bentornato".
-Il tuo vecchio amico, Charles, diceva che l'evoluzione sta nella mutazione, Erik.-
- È così. Siamo una specie del tutto nuova, l'essere umano è spaventato.-
Schiocchi di pelle bagnata. Risucchi, marchi rossi sulla pelle ariana e mutante di Magneto.
-Hai trovato quello che ti ho chiesto?-
-Sai quanto Charles sia bravo a mettermi fuori strada, ma... Io so aggirare i suoi giochetti.- disse la mutante picchiettandosi la tempia con due dita.
- Sembra che il piccolo ratto di laboratorio stia cercando qualcosa per tornare... Umano.-
Sulla scrivania scivolarono alcune istantanee. Una enorme palla di pelo bluastra, provette e un uomo, con la barba incolta e i capelli unticci, e tutta l'aria di essersi preso uno scotch di troppo.

Sentiva voci di morte, voci che preannunciavano una disgrazia che magari non sarebbe mai arrivata, tutte le voci di quei padri e quelle madri che si erano visti sottrarre i propri figli da quella guerra.
L'alcol le mandava via, le sentiva confondersi con i propri pensieri e quando vomitava tutto quello che aveva bevuto le sentiva scivolare fino a che non scomparivano del tutto dalla sua testa in quel sonno pesante, scomodo e pieno di incubi che aggiungeva, la mattina, al dolore delle urla nella sua testa il dolore fisico che smesso non lo faceva neanche muovere dal LETTO: a cosa serviva alzarsi per cadere prima ancora di raggiungere la sedia a rotelle sistemata accanto al letto perché gli girava la testa?
Anche Hank aveva smesso di cercare di tirargli su il morale: per un po' le sue parole avevano funzionato, poi erano diventate inutili.
"Torneranno presto, ne sono sicuro, non può durare in eterno"
Torneranno, diceva, ma non tornavano mai.
Ogni giorno a Charles sembrava un anno. Ogni giorno viveva con il dolore di una morte. Sapeva che il ragazzo che stavano seppellendo quel giorno, un altro giorno sarebbe potuto essere uno dei suoi ragazzi.
Il suo dolore era amplificato da quello degli altri, trasportato dai pianti così forti che partivano da chissà dove e finivano nella sua testa e, se in un primo tempo aveva provato a resistervi poi aveva smesso e singhiozzava anche lui.
Aveva smesso di curarsi, non si tagliava la barba da mesi, non si tagliava i capelli, a malapena cambiava maglietta, si lavava poco. Spesso fissava la televisione senza guardarla, le orecchie ad aspettare il rumore della porta, sussultando ogni volta che passava il postino nel timore che qualcuno venisse a comunicargli che qualcun altro era morto.
Fissava la porta anche quel giorno.
Hank gli si era avvicinato con discrezione, come faceva sempre, e gli aveva poggiato le mani blu e pelose sulle spalle, - Penso di poter migliorare la formula. -
Charles non rispose, gli chi azzurri spenti sulla porta.
- La formula, - riprese Hank imperturbabile, - Potrei farti camminare di nuovo. -
Ancora silenzio.
- E oltre a farti camminare potrei far sparire le voci. -
Fu un sussurro ma Hank era abbastanza vicino alle orecchie del professore da sovrastare il rumore scombinato della televisione.
Charles smise di controllare la porta. "Aiuto". "Ti voglio bene". "chiama presto". "Tornerà, vero?". "Signora, suo figlio è morto".
- Puoi farlo davvero? - La voce era roca, distorta dalle lacrime e dall'alcol.
Hank strinse solo un po' le mani sulle spalle del professore ma non fece in tempo a rispondere che l'uomo parlò di nuovo.


-Se ti ha lasciato prendere queste, é anche rimasto fuori dalla tua testa.- guardó le foto, gli occhi scorsero amaramente su quel volto sfatto.
-Charles ha promesso che non avrebbe mai letto i miei pensieri.- la donna soffiò irritata, sul volto di Erik si dipinse un sorriso tagliente.
-L'aveva promesso anche a me, Mystica. Ed è entrato comunque.- il sorriso si fece più largo, malizioso, insolente.
-Quindi o la nostra cavia vuole essere trovata, o vuole essere fermata.-

- Fallo. -

   
 
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