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Autore: fra_piano for ever    22/07/2014    5 recensioni
La vita a volte può essere complicata e particolarmente difficile. Questo i ragazzi dello Studio On Beat lo sanno bene perchè ciascuno di loro quotidianamente si confronta con una realtà più o meno dura e la affronta nel modo che ritiene più giusto. Quest'anno, però, sembrano tutti intenzionati a raddrizzare un po' le cose e a migliorare la propria situazione. Piano piano i protagonisti impareranno a leggere tra le righe del cuore e comprenderanno che, nascosti nel profondo, tra disperazione e dolore, si trovano ancora amore e speranza.
Pairings: Leonetta, Pangie, Diemilla e altri
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Leon, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nel cielo plumbeo di Buenos Aires non si vedeva altro colore che un grigio catrame che oscurava il Sole. Diego distolse lo sguardo dal finestro del taxi che era venuto a prenderlo dal locale dove si era appena sistemato e sbuffò per l'ennesima volta in pochi minuti. La tensione che lo accompagnava da quando aveva messo piede nella grande città argentina era quasi tangibile, ma nonostante questo il giovane continuava a fingersi indifferente a tutto e a tutti e sfoggiava un'aria strafottente. Quella recita, però, non gli riusciva particolarmente bene e lui stesso se ne rendeva conto. D'altronde sarebbe stato impossibile per chiunque rimanere tranquillo in una simile situazione: quel giorno, con tutta probabilità, avrebbe iniziato a raddrizzare un po' le cose. Era proprio quello il motivo per il quale era giunto a Buenos Aires: trovare sua sorella e rendere meno amara la sua schifosa vita. Un misto di aspettativa e di felicità lo avvolgeva in quel momento, ma al contempo sentiva una strana sensazione alla base dello stomaco che come un peso lo opprimeva e che Diego identificò come paura. Sì, lui, l'impavido e arrogante Diego, aveva paura. Normalmente avrebbe riso al solo pensiero e avrebbe mandato a quel paese il malcapitato che aveva avuto il coraggio di fare una simile insinuazione, ma in quei pochi istanti che lo separavano dal suo destino ammise a se stesso di provare quel sentimento. Con un gesto annoiato iniziò a giocherellare nervosamente col cellulare per ammazzare il tempo. Infine arrivarono le tanto attese quanto temute parole: “Siamo arrivati, giovanotto!” Il tassista fermò la macchina davanti ad un enorme edificio, scuro come il cielo di quella giornata e che sembrava piuttosto vecchio. Già dalla facciata esterna la costruzione aveva un'aria seriosa, anche se Diego non poté fare a meno di notare i muri scrostati in più punti e costellati da scritte vandaliche di tutti i colori. Poche finestre adornavano il luogo che, con quella tonalità di grigio smorto, trasmetteva un'incredibile tristezza. Alcuni scalini, che un tempo dovevano essere bianchi ma che adesso avevano assunto un colore indefinito vicino al giallognolo, introducevano al gigantesco portone di legno con la maniglia dorata che dava accesso all'edificio. L'agitazione di Diego era salita a livelli massimi, tanto che il moro respirava affonosamente per riprendere fiato e sentiva la gola ardere, completamente secca. Il giovane cercò di tranquillizzarsi, ripetendosi di non perdere il controllo, ma proprio non riusciva a rimanere calmo in quel momento. Dov'era finito il Diego sfacciato e intraprendente che non aveva paura di nulla e di nessuno? Si era volatilizzato, schiacciato dal peso di un destino più forte di lui. “Potrebbe darsi una mossa, signorino? Non ho tutto il giorno!” sbraitò l'autista, distogliendolo dal suo farneticare. Insultando mentalmente quell'uomo tanto antipatico, Diego aprì la portiera del taxi e si ritrovò sul marciapiede, scivoloso per via della pioggia che aveva iniziato ad abbattersi scrosciante sulla città. Con l'ansia che cresceva man mano che si avvicinava all'edificio,iniziò a salire gli scalini per poi arrivare davanti all'enorme portone. Con un gesto nervoso si sistemò il colletto del giubbotto di jeans che indossava e si pettinò con le mani i ribelli capelli castano scuri. Gettò un'occhiata sul display del cellulare, osservando accuratamente il suo riflesso, per poi annuire con aria soddisfatta. Si fece coraggio e dopo aver preso un profondo respiro poggiò una mano sulla maniglia dorata e la tirò verso di sé. Il giovane si ritrovò nella sala d'ingresso dell'edificio e si diresse con passo svelto verso i cartelli che davano indicazioni per orientarsi in quella specie di labirinto. Fece scorrere lo sguardo sulla lista dei vari uffici fino a trovare ciò che cercava. “Ufficio anagrafe” recitava una scritta bianca con affianco una freccia che indicava la destra. Sempre più nervoso, il giovane seguì la direzione indicata e si ritrovò di fronte ad una porta socchiusa. Bussò timidamente e attese impaziente il permesso di varcare la soglia di quella stanza. Dopo neanche una manciata di secondi una squillante voce femminile lo invitò ad entrare e con una fretta impressionante Diego si catapultò all'interno dell'ufficio. Una giovane donna dai capelli castani che le scendevano lisci e perfettamente pettinati sulla schiena siedeva dietro ad una scrivania, intenta a osservare scrupolosamente lo schermo del computer, dove era apparso un elenco di nomi che sembrava non finire più. “Marcela Parodi” era scritto sul cartellino agganciato alla maglietta. “Scusi, ho bisogno di informazioni su una persona. Da quel che mi hanno detto ho capito che è stata adottata. Io sono il fratello.” si affrettò a specificare Diego. La donna scosse la testa con aria seriamente rammaricata. “Mi dispiace: non siamo tenuti a dare queste informazioni.” “Ma le ho appena detto che sono il fratello!” esclamò furioso il giovane. “Sono spiacente, ma non posso. Quando un minore viene adottato, alla famiglia d'origine non è permesso di cercarlo, solo il diretto interessato può, una volta compiuti i diciotto anni, rintracciare i genitori e i parenti naturali: é la prassi.” spiegò la donna. “Sono suo fratello: questo conterà pur qualcosa!” Diego si fece rosso in volto per la rabbia. Non poteva accettare una simile risposta, non dopo tutta la fatica che aveva fatto. Era tornato a Buenos Aires, la sua città natale, nonostante fosse piena di ricordi che avevano riaperto quelle ferite che ormai credeva almeno in parte rimarginate e tutto per sentirsi dire che non poteva avere informazioni di sua sorella! Sentì la delusione invaderlo, privandolo di tutte le speranze e le aspettative e lasciandogli dentro un vuoto enorme, incolmabile. “Per favore...” sussurrò unendo le mani a mo' di preghiera. Mai avrebbe immaginato che proprio lui, l'orgoglioso e arrogante Diego, sarebbe finito in una simile situazione, ma avrebbe scalato le vette più ripide e attraversato l'oceano a nuoto se gliel'avessero chiesto, pur di ritrovare sua sorella. Marcela, guardando il giovane davanti a sé, sentì nascere in lei un forte senso di compassione. Quanto era crudele rifiutare ad un povero ragazzo delle informazioni sulla sorella? La legge, però, era chiara e non l'aveva fatta lei, non era colpa sua. Continuava a ripetersi queste parole nella mente, ma sapere di non essere lei la causa della tristezza del giovane non la faceva sentire meglio. Si sentiva impotente: era straziante assistere ad una simile scena. Chissà come doveva sentirsi infelice e solo quel poveretto! Tuttavia lei non poteva fare niente per aiutarlo, concedergli quelle informazioni sarebbe stato contro la legge e lei non poteva macchiarsi la fedina penale e perdere il lavoro nel caso l'avessero scoperta. Inoltre se la sorella era, come la Parodi era quasi del tutto certa, una minorenne i loro sforzi sarebbero stati doppiamente vani, poiché, anche se il giovane l'avesse ritrovata, i genitori adottivi della ragazza avrebbero potuto comunque vietargli di vederla sfruttando il fatto che per legge lui non avrebbe neanche dovuto cercarla. Con un sospiro la donna decise di affrettarsi a rifiutare nuovamente quelle informazioni al ragazzo, prima che quello sguardo così triste e vuoto la facesse soccombere. Imponendosi di rimanere distaccata guardò dritto in volto il giovane e disse solo: “Mi dispiace.” Il dolore sordo che lesse in quegli occhi dalle iride castane con sfumature verdi le fece più male di una pugnalata in pieno petto, ma sapeva che quella era la scelta migliore per tutti. Non poteva illudere quel ragazzo fornendogli l'identità di una sorella che non avrebbe potuto avvicinare. “E così non può? E va bene, non fa niente: non era poi così importante.” mentì Diego, cercando di nascondere la sofferenza dietro ad una maschera di glaciale indifferenza. Strinse talmente forte i pugni da far sbiancare le nocche, mentre il volto diventava sempre più rosso per la rabbia e la delusione. Diego sapeva riconoscere una battaglia persa e quella era esattamente la situazione in cui si trovava in quel momento, aveva la certezza che quella fosse l'ultima parola di Marcela e che la giovane impiegata non sarebbe ritornata sulla sua decisione. Continuava a ripetersi di rimanere calmo e di non perdere il controllo, ma quella batosta faceva male, terribilmente male. Sentiva come se il mondo, improvvisamente, gli fosse crollato addosso con tutto il suo enorme peso. Senza aggiungere una sola parola si avviò verso la porta e la spalancò con foga. “Aspetta ragazzo, calmati un po': sei troppo sconvolto per andare in giro! Mettiti comodo, ti preparo un the caldo.” La donna si addolcì alla vista della reazione del giovane e subito si diresse verso un distributore automatico di bevande posto nell'angolo più a destra della stanza. Diego, però, la ignorò completamente e uscì dalla stanza sbattendo con una forza incredibile la porta, tanto che Marcela per un momento temette che il giovane l'avesse scardinata. Il ragazzo corse fuori dall'edificio il più velocemente possibile, temendo che la donna l'avesse seguito. Nel suo cuore, però, sperava vivamente che la giovane impiegata non avesse avuto l'ardore di farlo perché altrimenti era certo che si sarebbe messo ad insultarla pesantemente davanti a tutti, sfogando su di lei tutta la sua rabbia e la sua frustazione. Come aveva potuto essere così sciocco da pensare di poter ritrovare sua sorella? Quella di tornare a Buenos Aires era stata una pessima idea: quella città sembrava destinata ad arrecargli solo dolore e infelicità, come già in passato era successo. Doveva andarsene di lì il più in fretta possibile, era stato tutto un errore, ne era convinto e il prima possibile avrebbe abbandonato quella spirale di tristezza e sofferenza, volando lontano per potersi finalmente liberare dai suoi fantasmi e, se possibile, dimenticare.





Violetta correva sotto la poggia che copiosa cadeva dal cielo temporalesco, ricoprendo le strade di uno straterello d'acqua estremamente scivoloso. Era tremendamente in ritardo e il peggio era che quel giorno alla prima ora aveva lezione con quello scorbutico di Gregorio, quindi se non si fosse data una mossa avrebbe dovuto sorbirsi una partaccia infinita dall'uomo. Non che normalmente le importasse di ricevere rimproveri o castighi dai professori, ma con l'insegnante di danza non c'era da scherzare, perché era capace di sbattere fuori dallo Studio anche per la più piccola schiocchezza. Per la fretta la giovane Castillo non vide una buca posta nel centro del marciapiede, prendendola in pieno e cadendo rovinosamente a terra. Imprecando mentalmente contro gli stivale col tacco che aveva indossato quella mattina, Violetta si rimise in piedi e riprese la sua folle corsa alla volta dello Studio On Beat. Quella giornata era inziata decisamente male quando quella mattina la sveglia non aveva suonato e non sembrava far altro che peggiorare sempre di più. La giovane Castillo accellerò il passato e gettò un'occhiata veloce al display del cellulare. Le nove meno cinque. Se non fosse arrivata allo Studio entro due minuti non avrebbe avuto neanche il tempo di cambiarsi. Fortunatamente dopo pochi passi apparve davanti a lei, dietro ad una curva, l'imponente facciata della scuola di musica in cui studiava. Ce l'aveva fatta: era arrivata sul filo del minuto ma era riuscita a non fare ritardo. Ancora non ci credeva ed euforica esultò verso il cielo, incurante della pioggia scrosciante che le scivolava addosso, inzuppandole i vestiti. Ora, però, doveva cambiarsi in tutta fretta o la stancante corsa che aveva fatto non sarebbe servita a nulla! Veloce come un fulmine entrò nell'edificio e si diresse verso gli spogliatoi. Nel corridoio, però, una scena la bloccò, facendole mandare all'aria tutti i buoni propositi di arrivare in orario alla prima ora di lezione. Un ragazzo alto e moro con dei capelli pettinati in un ciuffo ribelle che tendeva a coprire leggermente quegli occhi blu mare che Violetta conosceva bene impediva il passaggio. Di fianco a lui una giovane piuttosto formosa dai capelli castani e lucidi e dalla statura decisamente bassa per la sua età sogghignava soddisfatta, pregustandosi degli attimi di puro divertimento. Violetta si avvicinò ai suoi amici e sfoderò uno dei falsi sorrisi per i quali era ben conosciuta allo Studio. “Thomas! Lara! Tutto bene?” domandò la Castillo. “Più che bene, direi... gaurda un po' chi abbiamo qui!” Lo spagnolo indicò con cenno della mano una ragazza dai ricci neri ordinatamente pettinati che le cadevano sulla fronte spaziosa. Violetta si leccò le labbra soddisfatta: quanto potevano essere perfetti i suoi amici? Le avevano appena trovato la preda ideale per sfogare il suo cattivo umore! Adorava Lara e Thomas, rispecchiavano il tipo di persona più adatto a starle vicino. Con i loro caratteri ribelli e piuttosto i rozzi i due la seguivano in ogni guaio in cui si cacciava e talvolta, come quella giornata, erano loro stessi ad organizzare qualcosa. I suoi amici non potevano essere più simili: stesso abbigliamento casual costituito principalmente da salopette larghe e comode per Lara e da giacche di jeans strappate e T-shirt di tutti i tipi per Thomas, stesso atteggiamento strafottente e soprattutto stessa voglia di divertirsi a tormentare gli altri. “Allora che ci dice la piccola Nata?” domandò con voce falsamente dolce Lara. La ragazza dai riccioli neri abbassò la testa, troppo impaurita per alzare anche solo lo sguardo e improvvisamente interessata alle piastrelle lucide che ricoprivano il pavimento dello Studio. “Avanti, di che hai paura?” domandò Violetta. “A...andatevene v..via.” balbettò la mora. “Come hai detto scusa?” Thomas finse di non aver sentito e le si avvicinò pericolosamente, fermandosi a pochi centimetri da lei. “Non ti permettere a dirmi quello che devo fare, tesoro.” mormorò il giovane usando un tono falsamente dolce. “E guardami mentre ti parlo!” le sbraitò contro, sollevandole il viso con due dita. Nata rabbrividì spaventata e si ritrasse, cercando di abbassare nuovamente il volto. Thomas, però non glielo permise, stringendole il mento con una mano e impedendole qualunque movimento. Nata sentì gli occhi bruciarle tremendamente ed era sicura che di lì a poco sarebbe scoppiata in un pianto a dirotto se una voce dolce e melodiosa non avesse interrotto quel terribile momento. “Cosa sta succedendo qui?” domandò infatti una giovane donna dai capelli color miele che le ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle. “Angie... non sta succedendo assolutamente niente qui, stavamo tutti andando in classe.” si affrettò a rispondere Lara con un sorriso innocente. “Ah, qui in corridoio c'é una ressa tremenda e tu vorresti farmi credere che non sta accadendo niente? Ma credi che io sia stupida? Per questa volta lascerò perdere, ma non pensate di potervela cavare così a buon mercato la prossima volta e ora andate o arriverete tardi alla prima ora di lezione!” Le parole di Angie ricordarono agli alunni ciò che li aspettava e tutti si diressero verso gli spogliatoi, temendo di poter scatenare le ire di Gregorio nel caso qualcuno fosse arrivato in ritardo. “Violetta potrei parlarti?” domandò la bionda insegnante prima che la Castillo si dirigesse a cambiarsi insieme agli altri studenti. Con aria scocciata e spavalda la giovane si avvicinò alla Saramengo, quasi come se le stesse facendo un piacere standola ad ascoltare. E adesso cosa voleva da lei sua zia? Thomas era stato velocissimo e aveva lasciato Nata prima che la donna fosse riuscita a farsi spazio tra la folla che si era creata attorno a loro, quindi dubitava che l'insegnante di canto avesse visto qualcosa. Dunque perché voleva parlarle? Quel giorno era persino arrivata in orario, cosa alquanto rara per lei visto che spesso saltava appositamente la prima mezz'ora per farsi un giro per le strade di Buenos Aires con i suoi amici. “Che vuoi?” le domandò la nipote incrociando le braccia e appoggiandosi al muro. “Cosa stava succedendo qui in corridoio?” domandò nuovamente la donna. “E io cosa ne so? Perché lo chiedi a me?” Violetta assunse un'aria fintamente offesa per l'accusa rivoltale dalla zia. “Ho l'impressione che tu e i tuoi amici abbiate qualcosa a che fare con quella ressa che si era creata prima, ma se tu mi dici che non ne sai niente va bene, voglio crederti, anche perché io non ho prove. Sappi, però, che io mi fido di te e mi farebbe molto male scoprire che tu mi hai mentito.” Angie sperava con quelle parole di strappare alla giovane Castillo una confessione, perché, nonostante avesse affermato il contrario, la bionda insegnante non credeva alle parole della nipote. Violetta, invece si limitò ad annuire e con un gesto quasi annoiato chiese: “Hai finito o c'é dell'altro?” “No, questo era tutto, ma stai attenta, Vilu: sei finita già troppe volte in presidenza, non vorrei che tu venissi espulsa.” mormorò sinceramente preoccupata la giovane donna. “E questa cos'era, una minaccia?” Violetta si alterò parecchio. Come poteva sua zia dirle quelle cose? Lei era forse l'unica che sapeva cosa stesse passando e l'aiutava cercando di toglierle la musica, ciò a cui teneva di più? “No, Violetta mi hai frainteso: la mia non era una minaccia, era un consiglio. Antonio é molto paziente ma non può chiudere un occhio davanti a tutto, dovresti comportarti meglio: sarebbe un vero peccato che tu buttassi tutto all'aria per delle scemenze.” Angie guardò la nipote dirigersi verso gli spogliatoi con quel portamento sfacciato che già da un po' di tempo aveva iniziato a sfoggiare e che non le si addiceva per niente. Doveva fare qualcosa e subito: non poteva permettere che una ragazza piena di talento e di dolcezza come Vilu si rovinasse a causa del brutto momento che stava passando. Fuori dalla finestra la pioggia continuava a scendere incessantemente, quasi  che anche il cielo avesse visto i tristi avvenimenti che quel giorno sconvolgevano la città argentina e stesse versando lacrime per tutto quel dolore.










NOTE AUTRICE: Ed eccomi di ritorno con una nuova storia. Innazitutto ci tengo a scusarmi per la mia assenza/scarsa presenza sul fandom, ma ho passato un periodaccio perchè è morto mio nonno, al quale ero molto affezionata e che mi ha fatta appassionare alla lettura e in seguito anche alla scrittura. Per un po' non me la sono sentita di scrivere o leggere e solo ultimamente mi sto riprendendo un po'. Ma ora basta con le notizie tristi e passiamo a parlare di questa nuova storia. Ho avuto questa idea lampo ed ho iniziato a scrivere (pensate che ho già scritto i prossimi cinque capitoli che adesso sono in fase di betaggio) ma questo non vuol dire che abbandonerò l'altra mia storia che se tutto va bene ho intenzione di aggiornare questo Venerdì. Dunque, come potete notare questa ff è di un genere completamente diverso dalla precedente e parlerà di situazioni piuttosto difficili per i nostri personaggi. In questo primo capitolo conosciamo Diego che sta cercando questa sua misteriosa sorella che da quello che ne sa lui é stata adottata. Il giovane si ferma così a chiedere a Marcela che in questa storia é una giovane impiegata nell'ufficio anagrafe. La castana rifiuta, però le informazione al giovane che disperato decide di lasciare la città... Intanto viene introdotto anche il personaggio di Violetta che, come avrete potuto capire fa parte di un gruppetto di bulli insieme a Lara e Thomas e con i suoi amici si diverte a tormentare la povera Nata... Comunque conosceremo meglio questii personaggi nei prossimi capitoli nei quali, inoltre, ne verranno presentati di nuovi. Bene... ho detto tutto, ringrazio in anicipo chi deciderà di leggere/seguire/commentare questa storia, alla prossima,
Hugs and kisses,
Francy
  
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