Credits: I personaggi e
il quadro appartengo al rispettivo autore, ovvero Kishimoto-sama e Monet-sama.
Inoltre questa storia è stata scritta senza scopi di lucro.
Poppy Blooming
Era molto
presto: una flebile luce filtrava dalle imposte accostate e illuminava parte
del letto posto vicino alla finestra. Le tende bianche fremevano, mosse da una
leggera brezza, mentre un gatto nero girovagava pigro per la stanza,
strusciandosi contro ogni angolo. Il gatto si fermò di fronte al
letto, si accoccolò e raggiunse il comodino con un agile balzo.
Sakura aprì gli occhi di scatto, svegliata dall’improvviso
rumore, vide il micio miagolare e sbuffò, irritata.
Si sistemò meglio sotto le lenzuola e si girò su un
fianco, ma, quando sentì il letto vuoto, scattò all'istante a sedere. Si guardò
intorno, allarmata, poi nella penombra riconobbe la figura di un uomo e
sorrise. Era un sorriso strano, triste, grave, eppure sollevato.
“Allora non te ne sei andato.” Sussurrò.
“Non ancora.”
“Non puoi…” Non era una domanda.
“Lo sai che la Gendarmerie
mi sta cercando per tutta Francia. Qualcuno mi ha visto passare la Manica. Devo
andarmene al più presto.”
La speranza e il sollievo, prima presenti negli occhi della ragazza, si spensero e il suo sorriso si fece più triste. Lo guardò intensamente mentre si avvicinava al letto, trovandolo bello, – occhi neri magnetici e lineamenti perfetti - bello e dannato. Ma, dopotutto, pensò Sakura, Itachi non era il primo inglese che passava per strada: era il rampollo di una famiglia nobile vicinissima alla regina e aveva ereditato dai suoi genitori un certo fascino e la capacità di mettere in soggezione chiunque. Era un peccato che li avesse uccisi e che fosse inseguito da tutta Scotland Yard.
Sospirò e chiese, sorpresa:
“Perché eri lì?”
“Da quel punto si gode di una buona visuale.”
“Non mi hai riposto. Che ci facevi lì nell’ombra?”
“Ti guardavo dormire. Eri così delicata.”
Lei aggrottò le sopracciglia e dichiarò: “Sono cresciuta
in strada e sono riuscita a tirarmi fuori da sola da quell’ambiente: ora
gestisco un ambulatorio e ne vedo di tutti i colori. Non sono delicata.”
“No? Ieri sera mi parevi molto delicata, mi sono dovuto
contenere per non farti male.” disse lui, e sorrise sardonico.
Lei lo guardò a lungo negli
occhi, con biasimo. Poi, d’improvviso, avvicinò le labbra a quelle di lui e lo
baciò con foga, cingendolo con le braccia. Itachi fece scorrere le sue mani
lungo la schiena della ragazza, avvicinandola a sé, poi passò a esplorare con
le labbra il suo collo. Baciava, mordeva e leccava, e intanto Sakura sospirava
smarrita, come se quelli fossero per lei gli ultimi respiri.
“Sei delicata, è un dato di fatto.” disse lui,
guadagnandosi un’occhiataccia.
Poi, senza dire una parola, attraversò la stanza e si
fermò di fronte a un quadro; con delicatezza lo staccò dal muro.
Si sedette di fianco alla ragazza e le mise il dipinto in
grembo, facendole segno di osservare: il sorriso malizioso di poco prima era
scomparso.
Sakura fece scorrere le mani sulla cornice dorata e
accarezzò leggera la tela: la scena rappresentava uno scorcio di campagna. In
primo piano c’erano una donna con un vestito indaco e suo figlio che passeggiavano
calmi per un campo delimitato da un viale alberato. Più indietro si notavano altre
due figure, una signora e un bimbo, mentre seguivano la prima coppia. Tutto era
ambientato in prossimità di una cascina, disegnata sullo sfondo. L’abilità
dell’artista stava nel tratto deciso eppure quasi distratto, che rendeva tutto
il quadro più armonioso; il prato era costellato di papaveri rossi e questi
animavano la scena, rendendola più vivace senza modificare, neppure di poco, la
serenità regnante nel dipinto.
Sakura sorrise, pensando come un giorno – molto tempo
prima - Itachi si fosse presentato alla sua porta con quel quadro sotto braccio.
Era di Claude Monet -uno dei massimi esponenti dell’impressionismo- e
certamente valeva una fortuna.
Eppure non capiva cosa volesse dirle lui.
Il suo sguardo vagò ancora sul dipinto, soffermandosi di
tanto in tanto sui particolari, quando poi sovrappensiero ne pronunciò il
titolo ad alta voce.
“I papaveri.”
Itachi annuì.
“I papaveri.” Ripeté. “Fin dall’antichità il papavero è
considerato il fiore dell’oblio per via delle sue proprietà narcotizzanti:
viene usato tutt’ora come antidolorifico. I suoi petali color rosso sangue
rendono incredibilmente vivaci i campi dove crescono; purtroppo il papavero è
dannoso per il frumento e alla lunga finisce per sopprimerne il seme.
Nonostante questo, esso è molto fragile: muore poche ore dopo che è stato
spiccato dal terreno.”
Sakura fissò ancora un momento il quadro, riflettendo, poi
disse:
“Intendi farmi capire qualcosa?”
L’uomo non rispose.
Lei corrucciò la fronte bianca, rimuginando sulle parole
di Itachi. A un certo punto qualcosa scattò nella sua mente e comprese.
“Ah, d’accordo. Quindi io sarei il grano e tu il
papavero?”
Sorrise dubbiosa al suo cenno positivo.
“Non siamo delle piante, Itachi. Il nostro futuro è
diverso dal loro.”
“Io non ne sono sicuro. Anzi, per me è esattamente così.”
“Immagino tu stia scherzando. Non puoi riferirti a noi.”
commentò nervosa.
Quando vide lo sguardo serio dell’altro, rabbrividì.
“E dai! Non sono così delicata e ingenua da crederti.” Si
morsicò un labbro, cercando di scaricare l’agitazione.
Eppure lui rimaneva immobile, la sua espressione era dura
come la pietra: non era uno scherzo.
“Ma… Ma se le cose stanno così, secondo te non c’è futuro per
noi!” esclamò, smarrita e turbata.
“Insomma, lo hai detto tu! Tutta la storia del nocivo e
del papavero fragile!”
“Proprio così. Non c’è più un futuro per noi. E, a questo
punto, si tratta di scegliere tra la mia vita e la tua, nulla più. Ma non devi
preoccuparti,” disse scompigliandole i capelli sulla nuca, “questa scelta è già
stata fatta.”
“Ma cosa stai dicendo?” Sakura si alzò in piedi di botto,
facendo quasi cadere il quadro.
“Saremo felici insieme! Scapperemo!”
Lui alzò un sopracciglio e la guardò ironico: “Sicura?”
“Io… Sì, ne sono sicura” ripeté caparbia.
“Sei sicura di riuscire a sopportare la menzogna, lo
stress, l’angoscia, il senso di colpa, la paura costante? Sei disposta a
lasciare la tua vita, i tuoi amici, il tuo ambulatorio, tutto quello che hai
costruito in questi anni? Pensi che ne valga la pena?”
I suoi occhi incontrarono quelli dubbiosi ed esitanti della
ragazza.
“No, non ne vale la pena, fidati di me. Non resta che una
soluzione.”
Sakura serrò i pugni, desiderando sfogare il suo dolore
nelle lacrime, che, puntuali, non arrivarono.
“E te l’ho detto, Sakura, io ho già preso una decisione.”
Continuando a fissarla, Itachi si alzò, la prese tra le
braccia e le baciò il collo, lasciando affondare le sue labbra tra la carne
morbida della ragazza e aspirando forte l’odore della sua pelle. Sospirò lieve
e le sussurrò all’orecchio: “Addio.” Nulla più.
Poi prese la giacca, si ficcò il cappello in testa e
afferrò la borsa contenente tutti i suoi averi; con decisione girò la maniglia
e uscì dalla porta.
Lui non si girò e lei non lo chiamò; si lasciarono così,
in silenzio.
Mentre il gatto nero si strusciava ai piedi della sua
padrona, reclamando coccole, Sakura restava immobile, silenziosa.
Le sembrava che tutto il colore fosse scomparso dalla sua
vita, lasciandola sola e grigia.
Finalmente le tanto reclamate lacrime scivolavano sul suo
viso, tracciando una linea invisibile oltre la quale il dolore non esisteva.
Ma con esse scivolava via anche qualcosa d’altro, qualcosa
del tutto inaspettato, un peso sullo stomaco che non si era mai resa conto di
avere, un macigno che trascinava da anni senza saperlo: il suo amore.
Ora lui se ne era andato e la sua vita era grigia, ma lei
era sana e forte come una spiga di grano.
Sorrise amara, pensando che, infine, Itachi aveva ragione.
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È molto difficile per me
realizzare che sono arrivata quinta, gareggiando con autrici bravissime: non
nego di aver investito molto tempo su questa storia, e averla riletta fino alla
nausea, ma la mia posizione mi ha sinceramente stupita. Sono felicissima!! XD
Detto questo vorrei ringraziare:
© Tikei-chan,
Kaho-chan, Mikichan17, bambi88 per avermi supportata e tirato su il morale nei
momenti bui (vi voglio bene!);
© Ayumi
Yoshida, per aver creduto in me;
© Audy,
per aver letto la mia storia, averla giudicata con attenzione e
professionalità;
© Voi che
state leggendo, per essere arrivati fin qui e anche chi recensirà, perché mi
farete sinceramente felice;
© La
mamma, perché mi ha sorpresa a fissare con ostinazione il quadro di Monet e si
è messa a ridere;
© E infine
Marta, perché è la persona più entusiasta che io abbia mai visto, nonché la
prima in famiglia a sapere che scrivo. È dedicata a te.
Detto questo, vi lascio la
motivazione della mia scelta, che ho inviato ad Audy.
Un bacione
Elena
Fiore scelto e motivazione: Papavero
Comune, chiamato anche Rosolaccio, per l’ambiguità e le contraddizioni di
questo fiore. Esso infatti ha un colore vivace ed è inodore, il che farebbe
pensare a un innocuo fiore di campo. Eppure dalla sua linfa vengono estratti
l’oppio e la morfina; inoltre cresce tra il grano ma lo danneggia. Per me
rispecchia le contraddizioni di Itachi e giustifica in parte la sua
enigmaticità.