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Autore: Andy Black    23/07/2014    14 recensioni
Crystal, Silver e Gold si troveranno catapultati in un avventura senza precedenti, che li costringerà a correre in aiuto della popolazione di Hoenn, sconfitta da terremoti ed altri cataclismi.
C'è lo zampino di Groudon, e di qualcun altro, che sembra attentare alla pace per l'ennesima volta.
Cercherò di portarvi nella mente dei personaggi più amati di Pokémon Adventures
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adriano, Crystal, Gold, Rocco Petri, Silver
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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Toh, chi si vede!
 

Stella e Robbie se n’erano andati, ringraziando di cuore i giovani per l’aiuto dato. “Il nostro lavoro qui è finito” aveva detto la ragazza, fiera del lavoro fatto.
“Grazie per il vostro lavoro, a nome della Lega Pokémon di Hoenn” fece Fiammetta, stringendo le mani ad entrambi.
Martino si guardava attorno, scrutando bene Petalipoli nel vespro, arrossita da un sole acceso in via di tramontare, almeno per quel giorno. Tante piccole casette nascevano sulle rive di due laghetti naturali; la zona ne era totalmente sparsa. Edifici principali e case padronali più grandi erano disposte sul versante nord ed alcune erano totalmente crollate. La via centrale, mattonellata, era circondata da ampi ciuffi d’erba.
La zona sud era invece la parte residenziale. Martino comprese che sarebbe impazzito nel vivere in un posto come quello: fin troppo tranquillo. Apprezzava i momenti piatti, ma in quel posto era tutto troppo calmo. La stanchezza stava cominciando a farsi sentire ma Pichu prese a suonare una bella melodia col suo Ukulele, ravvivando gli animi di tutti.
“Dov’è Silver?” chiese poi Crystal, mentre salutava con la mano i due forestieri che si accingevano ad andare via.
“L’ho visto andare verso la spiaggia. Lascialo stare... ha detto di voler stare un po’ da solo” rispose Fiammetta.
Crystal si inibì, quindi guardò l’orologio e si chiese dove dannazione fosse Gold in quel momento.
 
Aveva levato le scarpe. Non voleva andare sulla sabbia e ritrovarsi dopo una spiaggia all’interno delle sue Fred Perry.
Non amava il mare. Gli dava fastidio sentire la pelle azzeccaticcia per via della salsedine, e la sabbia tra le dita dei piedi.
Era un tipo da piscina. O da montagna, insomma... Il mare preferiva guardarlo da lontano. Quella volta però gli fece bene andare verso la distesa rosea, colorata di dolce dal sol morente.
“Fuori...” fece sospirando, affondando i piedi nella sabbia asciutta e fredda.
Grovyle e Poochyena si presentarono davanti a lui.
La situazione fu particolare: Grovyle non riuscì a sostenere lo sguardo di Silver, e lo abbassò subito; era un Pokémon orgoglioso e l’essersi fatto prendere dalla paura gli aveva decisamente abbattuto l’umore. Rimase a capo chino.
Poochyena invece guardò dapprima schivo il suo Allenatore. Silver spostò lo sguardo da Grovyle al nuovo arrivato e gli sorrise, porgendogli una piccola bacca. Quello spalancò gli occhi ed ingenuamente, convinto da quello zuccherino, si avvicinò alla mano del fulvo. Con il muso toccò il palmo del ragazzo e quindi brandì tra i denti il frutto. Silver sorrise e carezzò la testa del Pokémon, per poi sollevarlo dalla pancia, posandolo sulle sue gambe. Notò che fosse una femmina, dal pelo piuttosto lunghetto.
La carezzò ancora, con calma e perizia, ottenendo un contatto con quel Pokémon; tutto questo sotto gli occhi mortificati di Grovyle.
Alzò lo sguardo, fissandolo: non si era mosso di un millimetro, né aveva cambiato il suo atteggiamento.
“Grovyle” fece. Il Pokémon alzò il viso e vide la mano del suo Allenatore contenente una Baccarancia. Più indietro il suo sorriso comprensivo.
“Posso capire la tua paura. Tutti abbiamo paura di qualcosa”. Grovyle prese la bacca, infilandola in bocca. “Anche Feraligatr ha avuto paura. E capirai che lui è molto più esperto di te. Questo che ti fa capire?”.
Gli occhi di Grovyle guardavano quelli di Silver, dolci, come il suo sorriso. Comprensivi.
“Questo ti fa capire che non importa quanto forte tu sia, o a che stadio sia arrivata la tua evoluzione. Tu avrai sempre paura di qualcosa. Tutti hanno paura di qualcosa... anche io ne ho...”
Grovyle fu attratto dal discorso. Non parlavano la stessa lingua ma capiva ciò che gli veniva detto.
“Sai Grovyle... Anche io ho paura. Ho paura di fallire... e di rimanere da solo”. Guardò il mare, affondando una mano nella sabbia e tirandola su. Il vento disperse la discesa di quella che sembrava una clessidra di pochi secondi.
Silver ripensò alle ultime parole, ma poi sorrise. “In realtà sto combattendo quest’ultima paura. Con Crystal...” arrossì, divenendo più paonazzo di quanto in realtà sarebbe potuto sembrare. “... Sto bene con lei, ed i suoi atteggiamenti mi fanno ben sperare per il futuro. Magari quando questa vicenda finirà... Ma non è il caso di parlare di questo ora; Poochyena, Grovyle, ora fate parte del mio team. E voi vi dovete fidare di me, come io mi fido di voi”.
Grovyle si sedette accanto a lui, e tutti e tre presero a fissare il mare.
 
I passi si facevano stanchi.
Vivere una vita piena di avventure probabilmente lo avrebbe fatto morire almeno dieci anni prima. Certo, sarebbe morto con soddisfazione.
In fondo non gli interessava vivere gli ultimi dieci anni della sua vita chiuso in un ospizio. No, meglio morire d’infarto durante una maratona di quindici ore di sesso.
Sorrise pensandoci, Gold.
In quel momento, però, più di ogni altra cosa, avrebbe apprezzato un po’ di riposo; il Monte Argento era freddo. Dopo la sua battaglia contro Red l’unica cosa da fare era prendersi un paio di giorni di pausa. Quindi aveva spento il Pokégear e si era recato ad Ebanopoli, per un paio di giorni di relax nelle acque termali, per calmare corpo e mente e per provare a dimenticare il viso deluso di Yellow. Quella ragazza, la sua semplicità e quella bellezza essenziale lo avevano decisamente indisposto verso il resto del mondo.
Poco tempo e sarebbe uscita dalla sua mente, ne era sicuro.
Era finalmente arrivato il momento di tornare a casa; Borgofoglianova era molto silenziosa, quel giorno. Casa sua, quella che condivideva con Silver e Crystal, era totalmente al buio. Sapeva che Crystal sarebbe tornata a casa di lì a poco, dato l’orario, mentre quel bacchettone di Silver, così come soleva definirlo, si stava sicuramente allenando da qualche parte, nei suoi “posti segreti”.
Salì gli scalini del pianerottolo di casa sua rimanendo ad indugiare per un attimo nella sua borsa, nel tentativo di trovare le chiavi. Le gettava sempre alla rinfusa e poi, quando gli servivano, non le trovava mai. Levò il cappello, mantenendolo con la visiera tra i denti. Cercava con le dita tra un mare di strumenti inutili ed utili, quando il Pokégear squillò.
Sbuffò, sempre col cappello in bocca, quindi lasciò perdere la ricerca delle chiavi per poter rispondere.
“Pronto” disse, con voce atona e stanca, lasciando cadere il cappello per terra.
“Gold?”. L’interlocutore era maschile.
“Chi sei?”.
“Green”.
Gold guardò bene il numero del Pokégear. Non lo riconosceva. “Ho dimenticato qualcosa a casa tua...” sospirò. Prima di salire sul Monte Argento, Gold era stato a Biancavilla, ospitato proprio dal ragazzo.
“Non hai dimenticato nulla ma non importerebbe adesso. Credo sia più importante che tu ora mi ascolti”.
“Che succede?” chiese poi serio il ragazzo, sentendo la voce di Green ricca di preoccupazione.
“Qualche giorno fa Articuno si è risvegliato, attaccando Fucsiapoli con i suoi potenti attacchi di ghiaccio. Con l’aiuto di Blue sono riuscito a fermarlo. Poi è stata la volta di Moltres...”.
“L’uccellone di fuoco?”.
“Sì, la leggendaria fenice”.
“Sì, so chi è. È che si è alzato in volo proprio mentre stavamo lottando io e Red”.
“Poi mi racconterai com’è andata. In ogni caso un vasto incendio causato dal Pokémon ha colpito proprio ieri il Bosco Smeraldo, ferendo ed uccidendo Pokémon e persone”.
“Manca Zapdos...”.
“Esattamente” sospirò Green. “Zapdos si è svegliato circa sei ora fa. Ora è a Lavandonia”.
“Per Arceus, non dire il nome di quel posto che mi si accappona la pelle... Cosa vorresti esattamente da me?”.
“Mi serve l’aiuto di un Allenatore capace per sconfiggere Zapdos e riportare la pace a Kanto”
“Conta su di me, sto venendo”.
“Ti aspetto a Biancavilla”.
“Parto subito”.
Quindi... la questione era molto semplice, e si basava tutta sulle coincidenze e sul tempo: se la telefonata fosse avvenuta appena dieci minuti dopo, Gold sarebbe entrato in casa ed avrebbe letto il biglietto lasciatogli da Crystal, che gli intimava di raggiungerla subito ad Hoenn. Invece non indugiò nemmeno un secondo, lasciò perdere la ricerca delle chiavi, chiamò Togebo e si gettò a capofitto sul Pokémon, destinazione Biancavilla.
La città degli eroi.
 
“Hey... Sil”.
Il fulvo sentì la voce di Crystal e si voltò. Grovyle riposava steso qualche metro più in là e Poochyena stava dormendo sulle gambe del ragazzo mentre una mano passava sistematicamente nel suo pelo
“Crys” sorrise lui, con una mano sul Pokémon ed una puntellata nella sabbia.
“Ti vedo felice” si accomodò di fianco a lui.
“Felice è una parola grossa...”.
“Prima sembravi strano”.
“Lo so. Il tumulto di cose che ci sta succedendo mi sta destabilizzando”.
“Eppure bisogna resistere. Molta gente è morta e se non cattureremo Groudon al più presto succederà ancora”.
“Lo so bene”.
Erano l’uno di fianco all’altro, sulla sabbia fresca ed il mare che danzava per loro, e lui le prese la mano. Lei sorrise ed arrossì, guardandolo.
“È strano”.
“Lo so, Crys. Non ho idea del motivo per cui io abbia... Hai capito no?” sorrise.
Quella annuì. In effetti era strana la situazione. I due avevano vissuto assieme per anni, nel totale silenzio delle proprie emozioni. Era bastato, si faceva per dire, cambiare regione, lontana centinaia e centinaia di chilometri, per far sì che lui le entrasse nel cuore.
E viceversa.
“Martino e Fiammetta stanno parlando con Norman” fece la ragazza.
“Chi sarebbe?”.
“Il Capopalestra di Petalipoli. Inoltre è il padre di Ruby”.
“Oh... Ottimo...”.
“Non ho avuto voglia di entrare e parlare con lui. C’è anche sua moglie nella Palestra”.
Intanto il sole era sceso totalmente oltre la linea dell’orizzonte e la luce della luna cominciava ad invadere il cielo.
 
“Atterra qui, Togebo!” urlò Gold, cercando di tenersi il cappello senza essere disarcionato.
Biancavilla non era cambiata da quando era stato lì, a casa di Green. Le solite casette, di cui due o tre in riva al mare, ghiaia nei vialetti ed erba ben tagliata nei giardini. A pochi metri c’erano la casa natale di Blue, quella di Green e la casa della madre di Red. Gold ci atterrò proprio davanti. Il buio era già sceso nella valle dove la città era sorta, ed il ragazzo pensò proprio al Campione imbattuto della Lega di Kanto e Johto.


Red... pensò.

Era un Allenatore formidabile; univa la strategia ad una potenza incredibile espressa dai sei Pokémon che portava nella cintura. La grinta che aveva, la voglia di vincere, l’unione d’intenti con i Pokémon che allenava... Tutto lo spingeva ad essere la leggenda tanto decantata che era diventato.
A Gold bruciava aver perso contro di lui ma tutto sommato era un risultato veritiero. . Insomma... Red di Biancavilla, il Campione. Quello dalla vita privata strana, con quel rapporto d’amore malsano con Yellow, che aveva portato occhidorati ad ascoltare il dolore della bionda, portandolo ad infatuarsi poco a poco di lei.
 
Che stupido che sono...
 
La sconfitta con Red gli fece capire che aveva bisogno di riposo. E così andò ad Ebanopoli, a passare qualche giorno nelle terme. Neppure il tempo di tornare che Green, lo stesso Green che in quel momento aspettava con le mani nelle tasche del camice sulla cima della collina dell’Osservatorio, lo aveva telefonato.
“Gold!” fece quello, agitando la mano nel buio. Un minuto dopo i due si stavano stringendo la mano.
“Hey, Oak... Che si dice?”.
“Dobbiamo andare immediatamente a Lavandonia” rispose quello, serio.
“Lavandonia, diamine...”.
Green sorrise a mezza bocca, entrando nell’osservatorio. Scaffali a parete erano ricchi di libri, molti redatti stesso dal Professor Oak. Altri erano stati stesi da Elm, altri ancora da tal Rowan.
In fondo macchinari tecnologici e fotografie si contendevano la sala con una grande finestra ed un enorme tavolo.
Margi stava leggendo un grosso tomo con gli occhiali sulla punta del naso ed una matita tra le labbra. I capelli erano legati con una bacchetta e tenuti alti. Sensuale.
“Ma ciao...” sorrise Gold, pronto per l’abbordaggio.
“Smettila e ascolta me adesso. Abbiamo bisogno della massima concentrazione possibile per...”.
“Un momento, Blue dov’è?!”.
Margi alzò gli occhi per poi riabbassarli velocemente, presa dalla lettura.
“Si trova a Lavandonia adesso, e cerca di combattere contro Zapdos”.
“Non nominare quel posto, ti prego!”.
Green levò il camice e lo gettò sul tavolo, accanto a sua sorella, quindi prese una sacca e la mise in spalla.
“Non la nominerò più. Tra poco la vedrai”.
Gold lo seguiva mentre il primo camminava frettolosamente per l’Osservatorio.
“Mi raccomando, Margi” fece, aprendo la porta. Non la guardò nemmeno, ma piazzò una Pokéball tra le mani di Gold.
La sorella alzò la mano in segno di saluto, pur sapendo che non sarebbe nemmeno stata vista. Poi la porta sbatté, lasciandola da sola.
“Ciao fratellino...”.

“Allora, è molto semplice: Lavandonia...”.
“Non dirlo, ho detto” s’alterò leggermente Gold, guardandosi attorno, con la pelle accapponata.
“Manco fosse Voldemort...”.
“Non devi dire neanche quello!”.
Green s’arrabbiò. “Smettila di fare il ragazzino, Gold! C’è in ballo la vita di tante persone!”.
Quello si scusò con un gesto del capo, quindi con le mani gli fece segno di andare avanti.
“Lavandonia è sotto i fulmini! Blue è sotto i fulmini! Combatte contro Zapdos ed ha bisogno di riposare!”. Green prese a camminare, scendendo la collina del promontorio.
“Due domande” fece l’altro, seguendo il passo lungo del ragazzo. “La prima è: da quanto tempo lotta?”.
“Sono cinque ore e mezza che fronteggia ininterrottamente Zapdos”.
Gold alzò un sopracciglio. “Gagliarda la sorella... Beh, la seconda domanda: che cazzo ci dovrei fare con questa Pokéball?”.
Green sorrise quasi impercettibilmente. “È Pidgeot. Ti porterà in volo a Lav...” poi il suo sguardo incrociò quello di Gold. “... Lì”.
“Ma ho Togebo. Non serve”.
“Senti. Togekiss ha volato fino a qui, è stanco. Inoltre Charizard non potrebbe portare due persone adulte addosso. S’affaticherebbe troppo”.
“Ok, ok. Andiamo a Lavandonia” concluse il moro, cacciando fuori Pidgeot dalla sfera. Green lo emulò, facendo lo stesso con Charizard.
“Hai detto Lavandonia...” puntualizzò poi.
“Io posso”.
 
Fiammetta sospirò. Le toccava, Norman era un suo collega, almeno prima che lei desse le dimissioni, e Ruby, suo figlio, era stato rapito.
Norman però questo non lo sapeva ed era toccata a lei la responsabilità di spiegare all’uomo che il figlio fosse tra le mani del Team Magma, assieme a Sapphire Birch. Sanguigno com’era avrebbe messo a ferro e fuoco tutta Hoenn, o quello che ne rimaneva.
Accompagnata da Martino, bussò con le nocche alla porta della Palestra. Sospirò, aspettando che qualcuno andasse ad aprire.
La totalità delle Palestre, tranne quella di Petalipoli, aveva subito un cambiamento strutturale e tecnologico nel tempo. Durante gli anni, Norman si era impuntato contro questo processo di cambiamento, tant’era vero che le porte automatiche lì non c’erano.
Quello che aveva davanti era solo un portone blindato, che nascondeva rimpianti e parole non dette di un padre troppo duro e severo.
La porta s’aprì; Caroline, la madre di Ruby, aveva il volto funereo.
“Fia-Fiammetta... Non ti aspettavo...” fece, leggermente sorpresa dalla presenza della ragazza. Quella, una bellissima cinquantenne per altro, fissava con gli occhi chiari la ragazza mentre le rughe attraversavano inquiete ed impietose la sua pelle, un tempo diafana, ora macchiata dai segni del tempo. I capelli castani, tinti, erano acconciati alla meno peggio.
“Ero nei paraggi. Lui è Martino, un Pokémon Ranger. Assieme a lui stiamo cercando di catturare Groudon”.
“Salve signora” chinò il capo il giovane.
“Norman dov’è?” chiese poi la ragazza di Cuordilava.
“Nel suo studio. Non esce da due giorni, senza mangiare... Sta rinchiuso lì e vuole che nessuno lo disturbi”.
“Posso incontrarlo?”.
Carol guardò Fiammetta, e la limpidezza dei suoi occhi. Poi annuì, abbozzando un sorriso. “Gli farà bene stare a contatto con te”.
La donna lasciò entrare i due, e poi chiuse la porta. La Palestra si sviluppava in una sequenza di stanze, fino a raggiungere quella di Norman. Tuttavia varcarono una soglia sulla cui porta c’era scritto “RISERVATO”, subito sulla sinistra. Martino asciugò le mani sui pantaloni, immaginando di doverla stringere a Norman.
Quando entrarono nella stanza, l’uomo era in silenzio, li fissava con lo sguardo vacuo.
Il suo studio personale sostanzialmente era in una stanzetta, composto da varie fotografie, una scrivania, una libreria, una bacheca, un armadietto in legno ed un televisore. Norman manteneva tra le mani il telecomando, mentre faceva zapping tra i vari telegiornali.
“Tesoro... Fiammetta ti è venuta a trovare” fece Caroline.
“La vedo. Grazie” tuonò quello, con la voce dura di chi aveva avuto il cuore strappato dal petto.
Sua moglie annuì in fretta quindi si dileguò, lasciando i due soli con il marito.
Fu imbarazzante quella sequenza di secondi silenziosi, palleggiandosi il senso del dovere della prima parola.
Battuta iniziale all’impacciatissima Fiammetta. “Come va?”.
L’uomo sorrise, sarcasticamente.
“Come dovrei stare?”.
“Domanda un po’ sciocca in effetti...” osservò Martino.
“E questo chi è?” chiese con sufficienza il Capopalestra di Petalipoli.
“Martino, da Oblivia. Sono un Ranger”.
“Ah... Bene... Non solo il mondo sta finendo, non solo mio figlio è scomparso, ora mi ritrovo davanti anche uno stupido Ranger!” borbottò lui.
“Ma che diamine vuole questo?!” chiese il ragazzo a Fiammetta.
“Lascialo perdere, Martì. Anzi, vai e lasciami un po’ da sola con lui”.
Dopo un secondo lungo un’ora, Martino annuì ed uscì, sbattendo la porta.
“Ranger... Che gente...” borbottò ancora l’uomo.
“Non trattarlo male, Norman, è qui per aiutarci”.
“Dov’è Ruby?” tagliò corto lui.
Fiammetta spalancò gli occhi, colta alla sprovvista. “Io... io non...”.
“Non tornava mai a casa ed io non lo vedevo da mesi... ma non passava un giorno, e dico un giorno soltanto, in cui non chiamava la madre. Sono due settimane che non si fa sentire...” i suoi occhi, già piccoli, si strinsero, diventando due linee sormontate da un rivolo sapido, che cadde dalle sue palpebre, fiancheggiando lo zigomo. Poi l’uomo urlò quando in televisione passarono le immagini di suo figlio, con Sapphire, in alcune riprese dall’alto; erano in compagnia di quattro persone vestite di nero.
“Santo cielo!”. Il telecomando che aveva tra le mani venne scaraventato sul muro accanto alla ragazza, trasformandosi in un milione di pezzi di plastica neri.
Fiammetta non riuscì a trattenere un urlo. “Norman, cazzo! Calmati!”.
Quello guardò contrito la ragazza. I capelli sulla sua testa, di solito ben pettinati a formare quel casco di capelli corvino, erano disordinati. Il volto era squassato dal passaggio molesto della fame e dell’insonnia, con le labbra violacee e gli occhi scavati, che acuminavano ancor di più gli zigomi barbuti.
Le iridi ardevano.
“Calmarmi?! E perché mai?! Dove sta andando mio figlio?! Con chi è?!” urlò contro la rossa.
“Team Magma...”.
“Devo andare subito!” fece, alzandosi e gettando la poltrona sul quale sedeva contro la libreria, facendo cadere alcuni pesanti tomi.
“Norman, calmo!“.
Quello sbatté gli occhi un paio di volte, guardando il volto spaventato di Fiammetta. Poi mutò espressione in viso.
“Scusami... Non volevo reagire così”.
Fiammetta sospirò. “Voglio aiutarti a trovare Ruby”.
“Anche Sapphire non si trova più...”.
Lei sospirò ancora quindi annuì.
“Farò mille ricerche e riuscirò a capire dove li tengono nascosti. Magari sarò fortunato e ci riuscirò oggi stesso” disse tra sé e sé, ragionando sulla cosa, con la mano a carezzarsi il mento.
“Magari sì. Magari sarai fortunato”.
Norman annuì di nuovo. “Devo partire”. Si guardò attorno ed aprì l’armadietto in legno. Sette scaffali, ognuno dei quali conteneva sei pedicelli, a mantenere altrettante Pokéball.
Prese le prime sei, probabilmente i Pokémon da guerra, e al sol pensiero di tale definizione Fiammetta sorrise di nascosto. Poi uscì dalla stanza. Si sentì cigolare la porta blindata, e poi il rumore della stessa, sbattuta dall’uomo.
“Norman!” urlava Caroline, facendo un paio di passi verso la finestra. L’uomo però non si girava. La donna mutò la propria espressione, non riuscendo più a trattenere il pianto, quindi si voltò verso la giovane. “Ma che gli hai detto?!”.
Fiammetta fece spallucce, portando le mani ai fianchi, sospirando. Quindi si voltò.
Guardò la scrivania dell’uomo.
L’aggirò per poi aprire tutti cassetti. Carol la guardava sconvolta. “Cosa fai?!”.
“Tranquilla, Carol... Mi servono...”. Si morse la lingua, cercando con la mano qualcosa che non poteva vedere. Alzò gli occhi al cielo, e quindi sorrise. “Eccole!”.
Tirò fuori due medaglie. “Mi servono queste”.
“Ma...”.
“Tranquilla”.
“Ok...” fece lei, acquietandosi. Fiammetta le si avvicinò e la strinse in un abbraccio compassionevole, poi recuperò Martino, seduto su di una sedia a fissare le foto nella sala d’aspetto, e infine uscì.
 
Gold volava su Pidgeot. L’enorme volatile con i suoi battiti d’ala solcava il cielo ampio e scuro. Stavano sorvolando proprio in quel momento Zafferanopoli. Da lontano erano in grado di vedere densi ammassi di nuvole accumularsi nei pressi di un’enorme ed alta costruzione.
“La Torre Pokémon...” sussurrò Gold. Era già a conoscenza del fatto che non fosse più un cimitero, e che da qualche anno a quella parte fosse diventato un centro di trasmissione radiofonica, tuttavia era scettico riguardo la pulizia spirituale presente in quel posto. Fortemente convinto dell’esistenza dei fantasmi, credeva nella loro rabbia repressa. Ora, senza casa, quelli avrebbero vagato senza meta né pace per l’eternità. E Lavandonia era il posto dove mangiare anime corrotte.
Il ragazzo rabbrividì mentre si sistemava il cappellino sulla testa; le mani, invece affondavano nel piumaggio morbido e delicato del Pokémon di Green.
Quest’ultimo viaggiava poco dietro il suo amico, sul suo Charizard. Ogni battito d’ali emetteva uno strano schiocco, con conseguente movimento d’aria. Il crepitio si perdeva espandendosi nel vuoto del cielo serale.
Abbassò la testa, guardando Zafferanopoli. I terremoti che stavano colpendo le varie regioni, oltre agli attacchi dei tre uccelli leggendari, avevano messo le persone in allerta. Nessuno calpestava le mattonelle ben disposte tra le strade della città gialla. Il vento soffiava forte, l’aria costringeva Gold a chiudere gli occhi e a mantenere il cappello con una mano, mentre con l’altra si teneva forte a Pidgeot.
Le nuvole nere su Lavandonia s’impastavano tra di loro, formando un banco denso e scuro dal quale ritmicamente vari fulmini scaricavano l’energia fino al pavimento.
Poi un urlo animale li fece tremare.
“Zapdos...” sussurrò Green, preoccupato per Blue.
“Dobbiamo fare presto!” urlò Gold, voltandosi e perdendo il cappello, subito afferrato dall’amico che lo seguiva. Green annuì, quindi sospirò.
Un enorme uccello giallo volteggiava attorno alle grandi antenne della Torre Radio di Lavandonia. Le ali erano ispide, il becco puntuto e lungo. I fulmini si scagliavano sul suolo, raggiunti qualche secondo dopo da rombi incredibili di tuono.
Arrivarono lì pochi minuti dopo. Blue stringeva i denti ma aveva evidenti ferite ed ustioni provocate dagli attacchi del Pokémon.
“Siete arrivati, finalmente...” sussurrò, col sorriso sulle labbra, poggiata ad una parete, sfatta e stanca.
 

 
 
   
 
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