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Autore: T_D_VLm    23/07/2014    0 recensioni
Questa one-shot è una parentesi di "slope the moon". Mi spiace dirvelo, ma se non avete letto quella, non capirete nulla della mia storia.
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Tratto dal racconto:
Il vento soffiava forte oltre la finestra, e mi chiamava a sè. Adoravo il vento, ma sapevo che non era quello che mi chiamava. Mi alzai dal letto - fregandomene delle coperte riboccate - e andai verso la finestra, che aprì di gettò.
Il vento soffio di lato le tende, e i miei capelli cadderò all'indietro, mentre il vento soffiava imperterrito per tutta la stanza.
Io salì agile sul cornicione della finestra, ad osservare la luna, che spuntava, solitaria, da una coltre di nubi, che copriva il resto delle stelle di una domenica di fine agosto. Stranamente bello per i criteri di Forks.
Adoravo la luna, perché lei era libera, bellissima... Proibita.
La luna era dappertutto, senza nemmeno spostarsi di tanto.
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Questa non e una storia dedicata alla coppia Bella/Edward e nemmeno a quella Renesmee/Jacob.
Spero di avervi incuriositi. A presto. La vostra V.
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clan Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen | Coppie: Bella/Edward, Jacob/Renesmee
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
- Questa storia fa parte della serie 'The moon prohibited'
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POV Valium
Ero seduta al centro del tavolo ovale del grande salone di casa Cullen.
Una torta enorme era posizionata diffronte a me, ed era così grande che riusciva a coprire la mia figura seduta.
L'intera famiglia Cullen e mio nonno Charlie con sua moglie Sue, cantavano la celebre canzone di " Happy birthday to you", mentre le sette candeline posizionate sulla torta, lasciavano che le piccole fiamme ballassero sulla immensa torta.
Sette. Sette anni erano già passati, e io avevo paura di quello che sarebbe successo da ieri in poi.
Mamma mi aveva spiegato che il nostro corpo era fatto apposta per mutare a velocità rapida, per poi bloccarsi e proseguire con una crescita naturale, fino all'età di sette anni, in cui la nostra crescita sarebbe accelerata in una sola notte, fino a raggiungere la maggior età.
Ma la mia paura non era quella.
La mia paura era quella di non essere considerata un essere unico.
Volevo sapere il mio destino. Volevo esserne la padrona. Volevo un futuro ricco di avventure.
La canzone finì, e io ne approfittai per soffiare le candeline e esprimere il mio desiderio. Avere un destino degno di un essere unico.
Avere un mio destino!
«Tieni V. Auguri» disse Charlie porgendomi un un piccolo pacco rivestito d'azzurro.
«Grazie» sussurrai mentre il flash della macchina fotografica di zia Alice mi accecava.
Aprì piano la scatola, e ne tirai fuori un cuore di cristallo.
«Ti piace?» chiese il piccolo Charlie. Era strano pensare che fra una settimana sarebbe toccato. Lo vedevo ancora così piccolo ed ingenuo.
«Molto» risposi sorridente.
Lui mi sorrise, e mi prese la mano, facendomi scendere dalla sedia, e trascinandomi fuori.
«Scusa, ma a me non mi saluti?» chiese Lhea che aspettava fuori la grande casa. Lei non sarebbe mai entrata in casa del nemico. Così giudicava i Cullen.
Seth, suo fratello era al suo fianco, mentre io correvo tra le braccia di Lhea.
Non riesco a descrivere il rapporto con la mia Lhea.
Da parte sua si poteva comprendere facilmente un voler bene materno. Mentre, da parte mia c'era una forte amicizia. Riuscivo a dirle cose, che a mia madre non riuscivo nemmeno ad accennare.
Tipo, gli chiesi che cosa volesse dire il sigillo che sia lei che io portiamo al braccio. Lei mi spiegò che entrambi apparteniamo al branco, solo che io sono troppo piccola per la trasformazione in lupo.
«Ciao, come te la passi?» chiesi entusiasta.
«Benissimo, piccolina» rispose lei sorridente.
«Sai che da domani non mi potrai chiamare più piccolina?» chiesi retorica.
«Sarai sempre la mia piccolina» rispose stampandomi un bacio sulla testa.
Mi lasciò a terra, e mi diede un bacio sulla testa.
«Questo e per te» disse porgendomi una scatola con disegni tipici indiani.
L'aprì, scoprendo un giracollo color panna, intrecciato e di una bellezza rara.
«Grazie Lee-lee. È bellissimo» urlai entusiasta.
«Entrate un attimo a prendere una fetta di torta» invitò Bella davanti alla porta.
«Volentieri» fece Seth dirigendosi dentro.
«Io no» rispose acida Lhea.
Così dovetti salutarla lì, e passare il resto della serata ad annoiarmi a morte, tra torte al cioccolato più grandi di me, e regali noiosi e super costosi.
E così mi ritrovai a letto, con i miei genitori che fissavano, per l'ultima volta, la loro adorata piccola. Perché il giorno dopo non sarebbe stata più una bambina. Bensì una donna, adulta e matura, capace di affrontare la vita di petto. O almeno così speravo.
Non ero conscia del mondo la fuori, fuori da Forks, intendo. Ma ero certa che non sarebbe stato facile.
Così i miei genitori mi diedero la buona notte, e mi riboccarono le coperte, prima di uscire dalla mia stanza, lasciandomi sola.
Il vento soffiava forte oltre la finestra, e mi chiamava a sè. Adoravo il vento, ma sapevo che non era quello che mi chiamava. Mi alzai dal letto - fregandomene delle coperte riboccate - e andai verso la finestra, che aprì di gettò.
Il vento soffio di lato le tende, e i miei capelli cadderò all'indietro, mentre il vento soffiava imperterrito per tutta la stanza.
Io salì agile sul cornicione della finestra, ad osservare la luna, che spuntava, solitaria, da una coltre di nubi, che copriva il resto delle stelle di una domenica di fine agosto. Stranamente bello per i criteri di Forks.
Adoravo la luna, perché lei era libera, bellissima... Proibita.
La luna era dappertutto, senza nemmeno spostarsi di tanto.
Poi la sua luce illuminava il mondo intero. La luce che emanava era così forte che non sarebbe bastato il vento a spegnerla, o le nubi. Sarebbe rimasta a splendere per l'eternità.
Scesi dal cornicione - lasciando la finestra aperta-, e andai verso lo specchio, intenzionata a specchiarmi per l'ultima volta.
Certo, per molti versi potevo essere considerata una bambina carina: alta per l'età che dovrei dimostrare -un metro e quaranta-; magra; con dei lunghi capelli lisci che mi sfioravano le spalle di un intenso color bronzo; un viso a forma di cuore, leggermente paffuto e gli occhi di color diverso anche se appartenevano alla stessa persona.
Quando avrei voluto dei bellissimi occhi Blu mare, ma, ahimè, non ci posso fare nulla.
La vita e dura, ma e solo una.
Ripetevo questa frase ogni volta che stavo male. Così mi facevo passare ogni genere di dolore. Fisico e mentale -non che fossi pazza, ma ero sulla buona strada.
Ritornai al letto, dimenticandomi di chiudere la finestra.
Me ne fregai, e lasciai che il sonno s'impadronisse di me.

Mi svegliai con l'odore di pioggia e terra bagnata che mi stuziccava il naso.
Avevo la testa completamente bagnata. A primo acchito pensai che fosse sudore, ma poi mi ricordai della finestra aperta e del profumo di pioggia.
Il vento soffiava forte in camera, trascinando l'acqua con sé, e allagandomi la stanza.
Mi alzai di corsa, e chiusi la finestra con facilità, mentre il vento lanciava le sue urla spacca timbani.
Al primo impatto, non mi accorsi della lontananza da terra. Ma seppur minima, c'era. Il problema era proprio quel "minima" che non mi andava giù.
Mi girai molto lentamente verso lo specchio, e incrociai gli occhi da cerbiatta di una ragazza incantevole.
Non ero mai stata vanitosa, anzi, odiavo anche chi lo era.
Ma quella figura, in quello specchio, era semplicemente perfetta.
I suoi capelli color bronzo, gli arrivavano al fondoschiena, dove le punte si arrotondavano di netto, come la francia; il viso era a forma di cuore, come le labbra rosa ciliegia e carnose; il naso era perfetto, piccolo e dritto, con la punta leggermente all'insù; gli occhi da cerbiatta che mi squadravano erano grandi e di colore diverso -rosso sangue e blu.
Poi abbassai lo sguardo sul mio fisico. Anche se snello nei punti giusti, era troppo minuto, per avere dei genitori alti come i miei -rispettivamente un metro e ottantatre e un metro e novantacinque.
Alzai un attimo lo sguardo, e mi parse di vedere il Succhiasangue al posto del mio viso.
Prima non mi ero accorta della nostra somiglianza.
Gli somigliavo in un modo incredibile.
Somigliavo alla persona che più odiavo al mondo.
Fu un attimo, e il mio corpo si abbandono all'istinto: mi allontanai fino a raggiungere la mia scrivania, dove afferrai il cuore di cristallo che mi aveva regalato Charlie, e lo lanciai contro lo specchio, che si fece in mille pezzi, riflettendo mille figure del mio viso, troppo simile a quello di Edward Antony Mason Cullen.

POV Reneesme
Un rumore assordante ci svegliò entrambi.
Il rumore di vetri infranti mi spaventarono a morte, ma avevo timore di entrare nella stanza di Valium. Avevo timore di vederla in viso, e di non riconoscerla più, come non mi sono riconosciuta io quel giorno, in quella vita che mi sembrava precedente.
Ne erano cambiate di cose da quel giorno: avevo una figlia, un fratello -anche se non di sangue, e per ragioni poco ovvie-, un uomo. Tutto mi sembrava... perfetto. Tutto, tranne il destino che aspettava a mia figlia.
Perché a lei! Perché non a Kelly, o a Mary?!
Afferrai il braccio di Jacob prima che uscisse dal letto, e sapevo che non sarebbe sceso di sotto, bensì avrebbe aperto la porta, e sarebbe entrato nella stanza accanto. E io non volevo.
Cercai un abbraccio, che lui non rifiutò di concedermi.
Scesi al piano di sotto, con lui al seguito. Senza proferire parole.
Lui sapeva tutte le risposte alle domande che mi avrebbe chiesto.
Si sedette su uno sgabello, mentre io mi spostai dietro il bancone della mia immensa cucina.
Iniziai a scaldare l'acqua per il Teh -a Valium piaceva-, e provai ad accendere la macchina del caffè, provando a metterla in funzione, senza riuscirci.
«Nessie» sussurrò Jacob, mentre le sue mani mi cingevano la schiena.
«Dimmi» risposi innervosita. Sapevo dove volesse andare a parare.
«Sta tranquilla, l'imprintigh non quello che pensi» sussurrò nel mio orecchio.
Mi voltai tra le sue braccia e incrociai il suo sguardo. «Forse per te. Ci sono passata! So cosa capiterà fra una settimana! Cambierà tutto!» sibilai fra i denti.
«No, forse resteranno solo amici. Sono cresciuti insieme. Questo lo devi contare» mormorò Jacob.
«Non conta nulla! Io sono cresciuta insieme a te, e ciò non ha impedito di amarti» risposi con foga.
«Quindi mi ami» decretò sorridente, cercando di sviare il discorso. Sapevo che l'avrebbe vinto lui, quindi lo presi dalla nuca, e portai le sue labbra sulle mie, senza dargli alcuna risposta.
Mi staccai leggermente, e sussurrai «voglio tenerli separati».
Lui si separò definitivamente da me, e mi fisso con rabbia, che rifletteva la mia. Sapevo che avremmo litigato, e che sarebbe successo fra poco.
«Chi vuoi tenere separati?» chiese una voce cristallina ma potente, dietro le spalle di Jacob.
Non mi sembrava una voce familiare, e da quello che avevo capito, nemmeno a Jacob. Era irrigidito, dalla testa hai piedi, e mi guardava con timore.
Mi allungai sulla spalla di Jacob, fino a scorgere la figura di una ragazza: era seduta su uno sgabello, e aveva le mani a sorreggerli il capo sul bancone, mentre si sorregeva dai gomiti; i capelli color rosso rame gli sfioravano le braccia, mentre il suo stupendo viso era corruciato in un'espressione di ingenua curiosità.
Lanciai un urlò di terrore, e Jacob scattò all'indietro, e si posizionò al mio fianco, prima di mettersi diffronte a me, per difendermi con il suo corpo.
La ragazza si alzò con nonchalance, e mi fisso sbalordita.
«Non credevo di essere cambiata così tanto» mormorò dispiaciuta la ragazza, fissandomi con i suoi occhi, uno blu e uno rosso.
«Caspita, non ho riconosciuto mia figlia» mormorai stupita.
«Valium?! Sei davvero tu?!» fece Jacob stupito quando me.
«No, sono il gatto del vicino!» rispose retorica Valium.
Jacob parti in quinta, e corse ad abbracciarla. Era comico il modo in cui cinse il suo piccolo corpo, mentre lei lo guardava inorridita.
«Dio santo, quando sei piccola» commentò Jake ridendo.
«Non sei d'aiuto» mormorò lei sarcastica.
«Dai, scherzo» rispose il padre, sciogliendo l'abbraccio.
Corsi a stringela tra le mie braccia, mentre mi autocomiseravo di non aver riconosciuto mia figlia.
«Scusami, piccola mia. Non ti ho riconosciuto!» mormorai nel suo orecchio mentre la stringevo a me.
«Scuse accettate. Ora mi lasci respirare?» chiese divicolantosi tra le mie braccia.
La lasciai ridacchiando un pò, mentre lei sorrideva sotto i baffi.
«A dir il vero» incominciò Jake, attirando la mia attenzione. «Ora che la guardo meglio, assomiglia molto a tuo...» mentre Jacob parlava, Valium parlò sulla sua voce: «Non gli assomiglio per niente!» disse acida.
«A chi?» chiesi insospettita.
«Devo andare da Lhea. Ciao» disse in fretta Valium, volatilizandosi oltre la porta.
«Assomiglia molto a tuo padre» rispose Jacob rassegnato.
Ora che ci pensavo, a parte gli occhi, era la sua fotocopia al femminile. Se avesse avuto lo stesso carattere, sarebbero stati grossi problemi.
Ebbi la consapevolezza che da ora in poi sarebbero cambiate molte cose
POV Valium
Correvo verso casa Cullen a velocità super sonica, mentre il vento mi scompigliava i capelli e la pioggia quasi mi accecava.
Lo scherzo fatto a Lhea, mi aveva divertito molto. L'unica cosa che mi aveva lasciata un pò perplessa, fu il modo in cui mi aveva visto Seth. Come se guardasse una top model super bella.
Quando arrivai, la porta di casa Cullen era aperta. Quindi entrai senza pensarci.
I Cullen parlavano al piano di sopra, mentre il rumoroso suono delle pagine plastificate dei fumetti di Charlie, risuonava ogni cinque secondi.
Salì al piano di sopra, e entrai di soppiatto nel salotto.
Tutti si azzittirono immediatamente, mentre i loro occhi puntarono tutti me, sorpresi e sbigottiti.
«Valium!» urlò Charlie entusiasta. Mi aveva riconosciuto? «Stai proprio bene così, a parte l'altezza. Quando sei alta, un metro e cinquanta?» mi prese in giro.
«Dai, non prendere in giro» risposi nella mia nuova voce, molto simile a quella di zia Alice.
«Sei veramente tu?» azzardò Bella con fare sorpreso.
«Sei la terza persona che me lo chiede. È si, sono veramente io, Valium Black, nata il ventotto Agosto duemiladiciotto. Quella peste che vi a tormentato per sette anni della vostra vita, e che vi tormenterà ancora per un bel pò» risposi stufa.
«Certo che sei diventata bellissima» disse orgogliosa zia Rose.
«Rose, mi spiace ammetterlo, ma è molto più bella di te» rispose zio Emm con falsa rassegnazione nella voce.
«Bel marito, zia Rose. Ogni giorno ti ricorda che sei brutta» la prese in giro Charlie, mentre sfogliava il fumetto. Tutti si misero a ridere.
«Okay, lettore incallito di porcherie giapponesi, alzati e andiamo fuori, capito?» urlai io entusiasta.
Charlie diede il fumetto a Bella, mentre io mi dirigevo alla scalinata di quella casa enorme.
«Ma non sta piovendo fuori?» chiese Charlie quando mi raggiunse.
«Si, ma resteremo sotto il portico dell'entrata» spiegai calma, quando eravamo a metà della scalinata.
«Sai che piacere sedersi sugli scalini bagnati» commentò sarcastico.
«Nessuno ti obbliga. Puoi pure risalire, ed andare a leggere il tuo fumetto» risposi indifferente.
«Aspetta, vado a vedere se posso trovare qualcosa dove sederci!» annunciò prima di sparire in un attimo dalla mia vista.
Ritorno con una grossa coperta color bordò. «Credo che questo potrebbe andare» disse mostrandomela.
«Basta che andiamo fuori» risposi calma.
Quando arrivammo, posizionò la coperta a terra e sul primo scalino, prima di farmi sedere.
Si sedette al mio fianco, mentre io mi limitavo a fissare la pioggia.
«Com'è stato?» chiese rompendo il silenzio fra noi due.
«Stavo dormendo. Non me ne sono manco accorta» risposi calma.
«Come sta il mio cuore di cristallo?» chiese sorridente.
«Mi sà che lo rotto» mormorai dispiaciuta.
«Wow, un nuovo record, non è durato nemmeno un giorno» commentò divertito. «E come l'avresti rotto?» chiese ridendo.
«Lo scaraventato contro lo specchio, infischiandomene dei sette anni di sfortuna» risposi divertita.
«E perché l'avresti fatto?» chiese ancora.
«Non assomiglio a nessuno che conosci?» chiesi voltandomi a guardarlo.
«L'avevo già notato» mormorò indifferente.
«Fra sei giorni, toccherà a te» gli dissi.
«Si, be', sarà divertente» rispose indifferente.
«Vorrei essere la prima a guardare il tuo corpo d'adulto» mormorai guardandolo negli occhi.
«Sarà di sabato. Quindi puoi venire a vederti il film anime, e restare a dormire lì» propose.
«Okay, ci sto! Ma poi non prendermi in giro perché parlo nel sonno!» risposi entusiasta.
«Be', non è un problema mio se tu ti chiami le prese in giro!» rispose sadico.
«Ah, si?» feci io divertita. Lo spinsi -senza farlo alzare- sotto la pioggia battente. Poi lui si alzò, e mi tirò verso di lui.
Così iniziammo a giocare sotto la pioggia, come i vecchi tempi. Non era cambiato poi così tanto. O almeno non ancora.
POV Charlie
Sei giorni dopo...
Ecco qui! Uno dei giorni più felici della mia vita! Nei giorni precedenti mi ero scoperto a tenere il conto di quanti giorni mancassero.
E ora eccomi, a festeggiare con la mia famiglia.
Nonno Charlie aveva appena conosciuto la nuova Valium, ed erano già partite due battute da parte di V.
Stava mangiando una fetta di torta, mentre se la rideva con Sue e il nonno. Dio santo quando è bella.
O sempre avuto una sorta di... Cotta per V. Ma segreta, s'intende.
Era diventata meravigliosa da qualche giorno, più di quando lo era da bambina, ed era bellissima da bambina.
Si accorse del mio sguardo, e mi sorrise. Prese una piccola scatola dal tavolo ovale dei Cullen, e mi venne vicino.
«Tieni» disse porgendomi una scatola rivestita d'oro. Strappai la carta, e aprì la scatola, e ne tirai fuori una mezza luna di cristallo.
«Lo pesa pensando a te. Ti piace?» chiese nella sua nuova voce, simile al tintinio di mille campanelle e alla dolcezza del miele.
«È bellissima! Davvero!» risposi entusiasta. Mi scompigliò i capelli ricci e scuri, come faceva sempre mamma.
«Che ne dici di andare a casa mia e vederci il film anime?» proposi.
«Dico che è una bellissima idea! Andiamo?» rispose lei entusiasta quando me.
In estremo silenzio, scappammo da casa Cullen, lasciando un bigliettino sulla sedia dov'ero seduto.
Coremmo contro la pioggia e il vento, mentre ridavamo divertiti come non mai.
Casa mia era illuminata dalla tenue luce della veranda, e dai luminari che costeggiavano il viale.
Presi la chiave da sotto lo zerbino -mamma, alcune volte, era davvero prevedibile-, ed entrammo in casa, con normalità assurda.
Entrammo in camera mia, e dopo aver scelto il film, e dopo averlo avviato, ci sdraiammo sul letto, e iniziammo a guardarlo.

Valium ormai dormiva da qualche minuto, e quindi decisi di chiudere il televisore per non disturbare il suo sonno.
Ma cacciai la giacca, la camicia e la cravatta -zia Alice aveva esagerato-, e poi mi cacciai anche i pantaloni e indossai quelli della tuta, prima di entrare nelle coperte, e stringermi a contro la schiena di Valium.
Il suo calore era protettivo, e mi sentivo coperto quando era così vicino al mio corpo di ghiaccio.
Erano le undici e mezza, quando la porta di casa si aprì.
Mamma e papà parlavano a bassa voce. La porta si aprì pian piano, e i miei entrarono senza fare rumore.
Mamma non proferì parola. Mi diede un bacio sulla testa, prima di andare verso Valium e dargli un bacio sulla testa.
Invece papà resto fermo davanti la porta. Lanciò un segno a mamma per lasciarci soli. Mamma obbedì, lanciandomi un bacio.
«Papà?» sussurrai a voce bassissima.
Camminò verso il mio letto, e si sedette vicino a Valium. Mi aveva sempre detto che il bene che gli voleva non era paragonabile a quello che provava per nessuno di noi.
«Hai ragione» mormorò mentre la fissava. Gli scosto una ciocca di capelli dal viso.
«Da domani sarà tutto diverso, vero?» chiesi un pò spaventato.
«Credo di si» mormorò lui fissandomi negli occhi.
«Bene a sapersi» sussurrai calmo.
«Ma sappi che io e tua madre saremo sempre al tuo fianco. Non ti preoccupare» disse poi, mentre io posavo lo sguardo su Valium.
«Non ne avevo mai dubitato» risposi con un filo di voce.
Mi venne vicino, e mi abbracciò.
«Abbi cura di lei» mi sussurrò in un orecchio mentre scioglieva l'abbracciò.
Se ne andò, dando un bacio sulla testa di Valium. Lei si coprì meglio sotto le coperte e sussurrò «mamma!».
Mio padre sorrise, ed uscì dalla stanza, lasciandoci soli.
Mi spiegò che il bene che voleva a Valium era paragonabile solamente al bene che voleva a sua madre, visto che ha sempre sostenuto che lo spirito di sua madre fosse nel cuore di Valium.
La mezzanotte scocco, e Valium si rigirò nel letto, fino a posare il capo sul mio petto.
Qualcosa stava per accadere, lo sentivo. Ogni mia cellula congelata riusciva a percepirlo.
Guardai un attimo il viso di V., e qualcosa, simile a un battito d'ali, iniziò a scuotermi il petto, mentre una piacevole spinta mi premeva contro i pantaloni.
E mentre l'organo fantasma batteva nel mio petto, Valium si strinse di più a me, facendo peggiorare la spinta, che ora era diventata desiderio. Ma di cosa?
Intanto i miei arti si allungavano gradualmente, così come i miei capelli e il mio viso, che mutava senza sosta.
Le gambe di V. erano avvinghiate alle mie, e ogni volta che sfioravano la spinta, il desiderio avvampava. Strinsi la presa sul suo corpo, e il desiderio brució in risposta.
Intanto, l'organo fantasma pulsava al più non posso, per ogni volta che il suo caldo respiro toccava il mio collo.
Deglutì, impacciato, e con la strana voglia di baciare le sue labbra.
Ma che diavolo stava succedendo?
Intanto il tempo passava, e quello che a me sembrarono pochi minuti, in realtà erano ore. E quindi, le prime luci dell'alba grigio perla -tipicamente di Forks-, inondarono la stanza, accecantomi.
Valium sbadiglio, e i miei occhi cercarono i suoi, ancora chiusi.
«So che mi stai osservando, posso aprire gli occhi? O trovo un'omaccione come zio Emmett a fissarmi?» chiese lei ad occhi chiusi. A sentire la sua voce, il mio organo fantasma sussultò.
«Puoi...» restai un attimo in silenzio, ad ascoltare la mia nuova voce, d'adulto. «...Aprirli» risposi a voce bassissima.
Aprì prima un occhi, e poi, come attratta da qualcosa, aprì anche altro.
Fu un attimo, e mi persi nei suoi occhi meravigliosi, e senza che nessuno dei due se ne accorgesse, i nostri visi iniziarono ad attrarsi, come ferro e calamita, o come due calamite di poli opposti.
Io e lei, sdraiati sul letto, attratti da chissà quale potere, i nostri visi fin troppo vicini per essere solo amici.
Valium sbatte le palpebre, e si allontanò da me.
«Perché non ti alzi? Voglio vederti meglio» mormorò con falso entusiasmo nella voce, mentre il mio organo fantasma era impazzito dentro il mio petto.
Ordinai alle mie gambe di muoversi, mentre mi sentivo paralizzato dalla testa ai piedi, per tutto quello che avevo sentito fin a pochi secondi fa.
Mi alzai, e sentì subito la differenza di altezza dal suolo, superiore a quella del giorno prima.
Mi voltai verso Valium, che mi guardava come un ceco che guarda il sole per la prima volta, mentre il suo sguardo scendeva ammirevole sul mio petto, e sul mio ventre, sul basso ventre. Lì si fece leggermente rossa, e spostò lo sguardo.
«Che c'è?» chiese stranito.
«Che hai nei pantaloni?» azzardo intimorita.
Abbassai lo sguardo sul mio pantalone, e notai che qualcosa spingeva contro il tesuto elastico, proprio lì.
«Ops, scusa» mormorai avvicinandomi allo specchio.
Timoroso alzai lo sguardo, e la prima cosa che notai furono i pettorali scolpiti, l'adominali non erano da meno, così come i bicipiti e i tricipiti. Facevo la figura del super palestrato, e la cosa non mi dispiaceva.
Poi alzai lo sguardo, e trovai due occhi di oro puro fissarmi strabigliati. Il viso che vidi in seguito, era un misto tra i miei genitori: gli occhi di entrambi, con la forma di quelli di mio padre; i capelli da ricci, si erano fatti piatti, e lisci allungati leggermente; il naso dritto come quello di mio padre, e le labbra carnose come quelle di mamma. Si, ero bello.
«Che te ne pare?» chiesi rivolto a Valium.
«Sei bellissimo» mormorò con fretta, come se non fosse conscia di quello che diceva.
La guardai con divertimento, mentre l'organo fantasma batteva fortissimo.

Valium obbligò i miei ad andare a casa Cullen, senza farmi vedere da loro. Poi mi scelse degli abiti di mio padre, per farmeli indossare.
Il tempo di cambiarmi, ed eravamo già in viaggio verso casa Cullen.
E dopo una delle stupide presentazione di Valium, e dopo una serie di domande da parte della mia famiglia, Valium mi trascinò fuori di casa, dove le nuvole iniziavano a disolversi, lasciando il posto a l'ultimo sole di quest'anno.
Mi trascinò in una radura, una delle tante che conosceva lei. Quante volte gli avevo chiesto di portarmi sulla sua casa sull'albero, ma lei diceva che non era ancorapronta a mostrarmela.
Il posto dove mi porto era un piccolo spazio tra gli alberi, tra cui si vedeva un piccolo pezzo di cielo.
Posizionò la vecchia coperta color bordò a terra, e ci sdraiammo una ai piedi del altro.
«Guarda quella nuvola!» urlò rompendo il silenzio fra di noi, e indicando una normalissima nuvola. «Assomiglia a una... Nuvola» mormorò un pò dispiaciuta.
Mi misi a ridere. «Ma va» mormorai divertito.
Dopo qualche minuto di silenzio, toccò a me rompere il silenzio. «Cosa succederà da domani in poi?» chiesi.
«Sarà come e stato ieri, e l'altro ieri... Come sempre» rispose pensierosa.
«E noi due?» chiesi senza esitare.
Lei si andò verso il basso sulla coperta, facendo si che le nostre teste furono una a un millimetro l'altra.
Mi girò il volto -visto che io cercavo di fare una foto al miracolo che si stava manifestanto nel cielo di Forks, cioè niente pioggia- , e fece si che i suoi occhi e i miei s'incrociasero. «Tra noi non cambierà nulla!» disse, ma nel suo modo di parlare, si sentiva un ordine.
«Ho sempre avuto una cotta per te» mi uscì di bocca, senza alcuna esitazione.
Per un attimo restò stordita, poi si riprese e mi guardò in modo strano.«Spero che ti sia passata» mormorò prima di tornare a fissare il cielo e le nuvole.
«Lo spero anch'io» mormorai in risposta.
Restammo per ore lì, mentre il vento muoveva e modellava le nuvole, facendola avere forme strane.
Quando il sole lasciò il posto ad una brillante luna piena, che risplendeva in tutto il sottobosco, decisi che era ora di tornare a casa.
Mi alzai piano, e mi accorsi che Valium era sprofondata nel sonno.
Sfiorai l'idea di svegliarla, ma era troppo perfetta nel suo sonno per distruggerlo.
Allora avviai il piano B. La presi con estrema delicatezza, e la strinsi fra le braccia, mentre le sue gambe penzolavano dal mio braccio.
La guardai un atti, e quasi contemporaneamente, il mio organo fantasma iniziò a battere in modo accelerato, mentre la piacevole spinta spingeva contro i pantaloni.
Era così bella.
Presi la coperta, e decisi di ritornare lentamente a casa, per godermi meglio la dea fra le mie braccia.
Camminavo senza staccarle gli occhi di dosso, mentre lei era beata tra le mie braccia.
«Charlie» sussurrò nel sonno, stringendosi di più a me.
Restai un attimo stordito. Era la prima volta che lo diceva.
Continuò a sussurrare il mio nome per tutto il sentiero.
Quando arrivai a casa sua, bussai alla porta, e aprì Nessie, che mi guardava con una strana espressione.
«Si è addormentata nel bosco» sussurrai.
«E ti sei sentito il dovere di prenderla in braccio e portarla qui?» chiese acida.
Mi lasciò un pò stordito. Che avevo fatto di male? «Non ci vedo nulla di male. E la mia migliore amica» risposi in un mormorio.
«Dalla a me» disse cercando si cacciarla dalle mie braccia. Ma Valium si saldò stretta al mio collo, e Renesmee non riuscì a staccarla da me. «Se vuoi posso portarla io?» chiesi timido.
Mi guardò in modo strano, e mi fece strada fino a camera sua.
Aprì la porta, e mi fece entrare, prima di dirigersi verso il letto e aprirlo.
Posai Valium sul letto, mentre Nessie gli levò le scarpe.
Mormorò qualcosa d'incomprensibili, mentre la madre metteva le sue gambe sotto le coperte, e io cercavo di staccare le sue mani intrecciate dietro il mio collo. Ci riuscì dopo qualche minuto.
Nessie la coprì, ed entrambi uscimmo dalla sua stanza.
«Domani falle trovare un abbondante colazione. Non ha né pranzato né cenato» azzardai impacciato.
«È per metà vampira. Può resistere per qualche giorno senza cibo, come te quando cacci. Riesci a restare senza sangue per settimane. Ci riesce per questo» spiegò con calma.
«Capito...» mormorai. «Ma dov'è Jacob?» chiesi quando mi accorsi della sua assenza.
«A lavoro. Deve terminare un auto prima di domattina» spiegò con una nota di malinconia nella voce.
Mi avvicinai alla porta, e mormorai «io andrei».
Aprì la porta, mentre Nessie mi salutava con la mano.
Girai intorno alla casa, e guardai un attimo una delle due finestre della camera di Valium.
Mi mancava il suo tenue sussurrò, in cui mi chiamava inconsciamente. Mi mancava la sia serenità, in un dormiente sonno. Dio, quant'era bella con le sue labbra semi aperte, che soffiavano quell'area calda che mi faceva battere l'organo fantasma.
Volevo salire lì, e sentire il suo corpo contro il mio. Sentir battere il mio organo fantasma. E volevo sentire ancora quella piacevole spinta.
Ma la parte coerente di me, mi urlava che era sbagliato!
Ma cos'era veramente sbagliato? Nascere come un abbominio? Crescere come un essere mitico? Ero il primo vampiro ad essere partorito da tale, e ciò non era sbagliato? Vivere da essere unico, essere ogni giorno sotto esami, solo un bambino?
Avere una cotta per la figlia di mia sorella, non era sbagliato?
"Poi ho deciso che non m'importa". Mamma raccontava sempre quella storia, che finiva con quella frase.
«Al diavolo» mormorai facendo eco ai miei pensieri.
Saltai agile sul cornicione della finestra, e l'aprì piano -era mezza aperta. M'infilai dentro, e restai in ascolto.
L'unico rumore che riuscivo a sentire, era il suo respiro pesante tipico del suo sonno.
Provai a mettermi vicino a lei, sulla sedia della scrivania, ma lei non mormorò il mio nome.
Guardai il suo letto, troppo grande per una sola persona.
«Edward Jacob Cullen, non ci pensare nemmeno» mormorai fra me.
Ma pensare al suo caldo corpo contro il mio... La piacevole spinta iniziò a spingere contro i pantaloni.
Lì decisi di seguire l'istinto.
M'infilai sotto le sue coperte, e mi strinsi più forte contro il suo caldo corpo. Lei in tutta risposta, si girò, e si strinse a me, peggiorando la spinta, che come quella mattina si trasformò in desiderio. Desiderio per il suo corpo.
«Charlie» sussurrò finalmente.

Come quella sera, ce né furono tante altre, mentre la mia cotta diventava sempre più forte, e si trasformò in puro amore.
Tra di noi ci fu anche un bacio, ma questa è un'altra storia.


Spazio all'autrice:
Che certamente vi racconterò a breve!
Signori e signore sono tornata. Scusate per il ritardo, ma sto scrivendo una storia originale, molto carina dal mio punto di vista, e molto diverso da questa storia. Se vi va, andate a darle un'occhiata, si chiama "100 giorni per farla innamorare".
Lo so, vi avevo promesso una sorpresa, ma per vari motivi, non ho potuto. In realtà il motivo e uno: non so come caricare i file sul sito, almeno non con il cellulare. Se non trovate niente qui sotto, fatemi sapere come fare con una recensione, e certamente fatemi sapere che ne pensate della storia.
Vi prometto che la storia continuerà presto, verso agosto o anche prima.
E per salutarvi il mio solito bacio, da parte della vostra V.
   
 
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