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Autore: Jiulia Duchannes    23/07/2014    5 recensioni
PARINGS: LEONETTA-MARCESCA-DIECESCA-NAXI-FEDEMILLA-DIEGHETTA accenni PANGIE
Introduzione modificata.
C'era Diego, che voleva solo l'amore di suo padre e la gloria.
C'era Violetta che si mascherava da puttana, e non lo era.
C'era Leon che aveva gli occhi spenti.
C'era Francesca che con la sua dolcezza si faceva amare da tutti.
C'era Marco che era troppo perfetto.
C'era Maxi che sorrideva per finta.
C'era Ludmilla con le gambe troppo magre.
C'era Federico che faceva lo stronzo.
C'era Nata con le felpe larghe.
C'era Camilla con il rossetto nero.
Una setta di cacciatori di streghe, un padre che non sa amare, un collegio, dieci ragazzi, tre streghe, potere, gloria, onore, amore amicizia, odio, segreti, demoni, occhi spenti, cuori chiusi e sorrisi finti.
WITCHES HUNTER.
Dal testo.
-Non mi importa più, di lui, della setta, della gloria. Siete la mia famiglia, combatterò, con voi-Disse Diego con decisione.
-E lo uccideresti, se fosse necessario?-Chiese sospettosa Camilla, fissandolo negli occhi, che sembravano bruciare di una nuova energia, di un nuovo fuoco, di vendetta.
-Morirei, se fosse necessario-
E tutti lo sapevano in quella stanza, che sarebbe potuto succedere.
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7

Ludmilla spostò il suo sguardo dal piatto vuoto a Federico, che, appoggiato con la schiena contro il muro bianco della piccola cucina, la osservava soddisfatto, con una sorta di orgoglio negli occhi.

Quel piatto di pasta che le aveva cucinato, era, oggettivamente, piccolo, ma, nonostante ciò a la bionda c’era voluto un enorme sforzo per terminarlo completamente, non lasciando un solo maccherone all’interno del piattino di plastica.
-Contento?-Domandò la ragazza,  cercando di fermare la nascita spontanea di un sorriso, che le veniva ogni qual volta si rendesse conto di come l’italiano si curasse di lei, in modo forse esagerato.
-Certo che si bimba, domani aggiungiamo una forchettata in più ok?-Rispose  Federico, avvicinandosi alla giovane.
Ludmilla annuì, anche se poco convinta.
-Che ti va di fare ora?-Chiese Pasquarelli, tendendo la mano alla Ferro, aiutandola ad alzarsi dalla sedia.
-Non so, possiamo uscire, ma non ne ho molta voglia, oppure possiamo vedere un film il che mi piacerebbe molto di più- Rispose Lud
Si sedettero sulla poltroncina arancione, nonostante avessero a disposizione ben due divani, l’una imbraccio all’altro,  dopo una lunga ed estenuante discussione sulla scelta del film, che, alla fine, vinse Ludmilla, la quale scelse un film d’amore-storico, che aveva sempre amato: L’ultimo dei Mohicani.

La visone del film era proceduta abbastanza tranquillamente, con la ragazza che, appoggiata al petto di un Federico sempre più preso dalla storia, ascoltava il battito costante del suo cuore, sorridendo lievemente a come il corpo del suo coinquilino sussultasse nelle scene di maggior tensione.
Ed erano arrivati al finale, strappalacrime, che la bionda aveva sempre trovato incredibilmente perfetto, e dannatamente triste.

Attraverso la tv scrutarono gli occhi marroni di una delle protagoniste, che sembrava guardarli attraverso la pellicola, mentre il ragazzo, che non aveva mai visto il film si faceva sempre più agitato, Ludmilla preparava se stessa ai pianti i sterici che avrebbero seguito la scena successiva.
L’attrice lanciò loro ancora uno sguardo, poi, fissò il burrone sotto di lei, dove poco prima era stato gettato il cadavere dell’amato, infine di lasciò cadere.

Pasquarelli se ne stava con la bocca a dir poco scioccato.

Ludmilla rise alla sua espressione. Le faceva, in un certo senso, tenerezza, lui che, fino a due ora prima s’atteggiava al duro che non voleva vedere noiosi polpettoni rosa, ora stava avendo una reazione esagerata.
-E’ morta e tu ridi?- Domandò  il giovane, scollando gli occhi dalla tv e voltandosi verso la bionda, che nel fra tempo s’era alzata .
-Mi fai ridere tu, dovresti vedere che faccia che hai- Rispose Ludmi trattenendo a stendo un’altra risatina.
-Questo film ti rapisce il cuore, te lo strappa dal petto e te lo butta in un fottutissimo burrone-Constatò l’italiano raggiungendo Ludmilla, e, prendendole i fianchi.-Comunque sappi bambina mia, che anche io penso che mi butterei volentieri da un burrone se dovessi perdere te-Confessò con voce roca, che, fece emozionare Ludmilla incredibilmente.

-Federico, avevi promesso che non ci avresti provato con me fino a che non fossi stato sicuro di ciò che provi- Gli ricordò la Ferro, posando le mani sul petto di lui per allontanarlo.
-Oh ma io non ci sto affatto provando, ti sto solo abbracciando amichevolmente- Replicò il ragazzo, avvicinandosi sempre più alla coinquilina.
-E ora, lo dico giusto per avvertirti, ti sto per baciare amichevolmente- Continuò.
Ludmilla non ebbe il tempo materiale per bloccarlo, o forse la volontà, che Federico aveva già annullato la distanza tra loro.
Non appena aveva sentito le labbra sulle sue, ogni idea di fermare quel gesto era andata a farsi fottere assieme ad ogni paura che lui non l’amasse tanto quanto lei, ma che fosse solo attrazione la sua.
Si lasciò trasportare, aprendo la bocca giusto un poco per permettere alla lingua del giovane di giocare con la sua.

Passò le mani sul suo collo, carezzandolo freneticamente mentre lui le metteva le mani sotto le ginocchia per prenderla in braccio, allungandole di tanto in tanto per carezzarle le cosce magre e i glutei sodi, infilando le mani al di sotto della gonna scozzese.
Si avvicinò al divano rosso, e lì, si lasciò cadere, portando con se Ludmilla.
Si staccò da lei scrutandola negli occhi marroni, dopodiché, la baciò nuovamente, questa volta con dolcezza, mordicchiandole simpaticamente il labbro inferiore,  poi con sempre una maggiore passione, muovendo il bacino istintivamente.

Si girò, in modo da ritrovarsi sopra la ragazza, che, intanto gli sussurrava a fior di labbra quelle impegnative parole che prima d’allora Federico non era stato pronto e capace a dirle.
-Ti amo- Sussurrava la Ferro, cercando di togliere la maglia al ragazzo.
-Cazzo se ti amo bimba, ti amo- Rispose lui baciandole il collo, abbassando la gonna lasciando la giovane in slip.
Ludmilla aprì la cerniera dei Jeans di Pasquarelli, i quali erano ormai divenuti come una parete che li separava, un inutile ingombro.

Solo quando rimasero in biancheria intima, l’uno sopra l’altra, si resero conto di ciò che stavano per fare. Nessuno di loro aveva voglia di tirarsi indietro, entrambi si specchiavano negli occhi del compagno, guardansi come per mettersi d’accordo, come per decidere assieme se continuare o meno.
Federico carezzò lievemente la parte di  superiore di inguine che le mutandine di Ludmilla lasciavano scoperte, e, successivamente giocò con le l’elastico delle stesse, mentre la proprietaria di queste mordicchiava l’orecchio e la guancia del giovane sussurrando qualche ti amo casuale.


Camilla se ne stava sdraiata sul suo letto, lei e Violetta erano le uniche a non essere uscite quella domenica assieme a Federico a Ludmilla.
Poteva sentire i loro pensieri perversi e innamorati, che le davano il voltastomaco.
Da quanto aveva capito le cose tra quei due si stavano facendo interessanti, e presto, quella deficiente della Ferro avrebbe scoperto il suo grande potere, uccidendo quello che, a detta sua, era l’amore della sua vita.

Cami sorrise, abbassando la rivista che stava leggendo e posandola sulle gambe, in attesa dell’urlo che di li a poco si  sarebbe udito, dell’inutile suono delle ambulanze, delle lacrime, in attesa dell’inevitabile.
I rumorini, le risate isteriche e i sussurri erano sempre più intensi dal salone, e Violetta, che cercava di non pensare a Leon, o a Diego, o a i suoi genitori, applicando lo smalto per unghie nero, ne era stufa.

S’alzò di scatto, camminando spedita verso la porta.

-Dove credi di andare?-Domandò la punk, parandosi davanti a lei.
-A bloccare quei due, visto che io su quel divano ci guardo la tv, e occasionalmente ci magio, e mi da il voltastomaco pensare che lo facciano lì-Rispose Vilu, spingendo lievemente Cami per passare.
-Probabilmente sono già in piena attività, ti conviene lasciar stare- Cercò di convincerla la Torres, prendendole troppo fortemente il polso.
-Non mi interessa, a mio parere non hanno ancora fatto nulla- Replicò la Castillo, cercando di avvicinarsi alla porta, senza successo.
-Mollami-Gridò
-No! Non rovinerai questo momento chiaro puttenella!-Urlò Camilla, lanciando silenziosamente un incantesimo di congelamento verso la ragazza, la quale però sembrò esserne immune, il che preoccupò la strega.
-Mollami!-Ripetè, riuscendo a liberarsi, uscendo dalla camera sbattendo la porta.

Camilla rimase impietrita, scioccata non solo dal fatto che la ragazza dai capelli blu fosse stata immune al suo potente incantesimo, ma anche dal fatto che s’era liberata dalla sua ferrea presa costituita per lo più dalla magia, senza troppi sforzi, il che poteva significare solo una cosa, Violetta Castillo era una strega, la più potente forse con quel potere che si ritrovava, unico in grado di respingere gli incantesimi, quello della resurrezione. Il potere di vita, e di ridonarla a se stessa e a chiunque l’abbia perduta.

Il rumore dei tacchi a spillo di Violetta sul parquet era l’unico all’in fuori di quelli provocati da Ludmilla e Federico.

Quando entrò nel salone Vilu non si fece troppi scrupoli, iniziò a gridare come un’assatanata contro  i suoi coinquilini, intimandoli a darsi un contegno, a non farlo sul divano e soprattutto, a Federico, di tenere a bada il suo coso finchè si trovava all’interno della casa,  o l’avrebbe ucciso nel sonno.
Pasquarelli sorrise, mentre Violetta lo osservava nascondersi la dote con un cuscino.
-Non sei male sai? Qualche volta dovremo fare una cosa a tre-Propose allontanandosi
-E poi quel cuscino buttalo-Gridò quando era ormai lontana.
Ludmilla s’alzò e abbracciò da dietro Federico, baciandogli le ampie spalle muscolose.

-Forse non era destino che succedesse oggi- Gli disse la bionda, con tono leggermente deluso, che non passò inosservato al compagno, il quale si voltò, e le  posò un delicato bacio sulla bocca.
-Forse, ma, sai che ti dico? Ci rifaremo presto, e sarà tutto perfetto, te lo giuro. Candele profumate ad illuminarci, così che io possa vederti, vedere quanto diamine il  sei bella, e poi petali, petali di rosa ovunque, di quel colore tra il rosa e il fuczia, che somiglia tanto a quello delle tue labbra. Non metterò della musica, coprirebbe il suono del nostro amore. E sarà tutto perfetto, perfetto lo giuro, fantastico, come te- Le spiegò carezzando le mani piccole e diafane, che gli stringevano i fianchi, mentre gli occhi di Ludmi brillavano d’emozione, d’amore.

-Ti amo, fina alla fine dei tempi-Promise
 

Maxi camminava a passo veloce, le cuffiette nelle orecchie, che coprivano i rumori della città, i capelli ricci al vento, l’inseparabile berretto blu stretto tra le mani, così fortemente da far male.
Teneva il capo chino, le mani nelle tasche, non si curava degli spintoni che riceveva da lavoratori in ritardo, che correvano sul marciapiede, o da nervosi imprenditori in giacca a cravatta. Non si curava di nulla, non si preoccupava di nulla, nemmeno di sorridere come sempre, di indossare la maschera dell’adolescente felice, perché lui felice, non lo era mai stato, e non lo sarebbe stato quel giorno.

Salì sul pullman da viaggio che l’avrebbe portato nella sua cittadina, a sole due ore da New Orelans, così da poter andare a trovare suo padre nell’anniversario della sua morte. Così da poter trovarsi come ogni anno davanti una lapide bianca, a raccontare della sua vita, a chiedere consigli a qualcuno che non risponderà, e non perché non voglia, semplicemente perché non può. Semplicemente perché è morto.

Fissava l’esterno, la frenesia dei cittadini, i marciapiedi grigi e i palazzi alti, in attesa che il mezzo partisse, quando sentì dei leggeri colpetti sulla spalla.
Si voltò, ed incontrò un paio di occhi neri che lo fissavano dall’alto, i capelli ricci più arruffati del solito a causa del vento, le labbra incurvate in un sorriso sghembo.
Natalia lo aveva seguito, doveva immaginarlo che l’avrebbe fatto dopo lo strano comportamento di quella mattina, quando non rivolgendo la parola a nessuno era uscito, con la faccia di chi aveva appena ricevuto un’orribile notizia.

-E’libero questo posto?-Disse la spagnola indicando il sedile accanto al rapper, lui annuì.

-Come vedi si, ma devi andare a casa- Le rispose, senza riuscire a forzare un sorriso.
-No, non prendo ordini da te Ponte- Replicò la riccia sedendosi, mentre Maximiliano sbuffava.
-Che succede?-Chiese la ragazza, prendendo dolcemente la mano del ragazzo.
-Nulla- Mentì il moro, voltando lo sguardo verso di lei.

-Non sono stupida. Sono venuta qui per te, perché tengo a te,perché sei il mio migliore amico, e non sopporto vederti star male. Voglio aiutarti, devi fidarti di me Maxi, come io mi fido di te. Abbiamo tutti i nostri problemi, e grazie all’aiuto di persone che ci amano possiamo superarli. Io ho smesso di tagliarmi dopo aver conosciuto Ludmilla, lei è una sorella per me. E lo sai quando ho cominciato a sorridere per davvero? Quando sono diventata amica tua. Io sono debole, ma sono un’ottima osservatrice, mi piace guardare il mondo, ma soprattutto i suoi abitanti e fidati quando ti dico che anche i più forti, anche coloro che sono abituati ad essere le ancore di salvezza degli altri, hanno bisogno di un appiglio, di un aiuto- Continuò imperterrita la Navarro, che notò gli occhi del suo amico farsi lucidi.

-Sto andando nella mia città, perché oggi è l’anniversario della morte di mio padre Nata- Le confessò.

-Mi dispiace tanto- Nata lo abbracciò, stringendolo forte a se, mentre sentiva la camicia che indossava farsi bagnata, a causa delle lacrime che silenziose solcavano le guancie di Ponte.

-E’ morto per colpa mia. Era un giorno come gli altri, avevo dodici anni e a casa erano finite bibite al cioccolato, ed io le volevo in quell’esatto momento. Ero capriccioso, non volevo aspettare il giorno dopo quando mamma avrebbe fatto la spesa. Così andai solo al supermercato. Non avrei mai immaginato che ci sarebbe stata una rapina, che io sarei stato un ostaggio. Mio padre lavorava in polizia, era capitano sai? Lo adoravano tutti. Era entrato per contrattare con i rapitori, ma poi mi ha visto, che avevo la pistola puntata alla testa, e piangevo, tanto, e ha provato a salvarmi, ha provato e lo hanno ucciso. Gli hanno sparato davanti ai miei occhi. Ed è stata solo colpa mia- Raccontò Maxi, mentre sentiva gli occhi di Natalia su di se, la sua stretta sempre maggiore, le lacrime che minacciavano di investirla.

-Non è stata colpa tua, non lo avresti potuto sapere, e poi eri solo un bambino-Cercò di confortarlo.

-E’ quello che mi dicono tutti da una vita, ma io mi sento colpevole Naty,  io sono colpevole, e non voglio smettere di sentirmi così, merito di star male. Non basterai tu a farmi smettere di sentirmi tale- Sussurrò Maxi.

Nata gli si buttò addosso, facendo aderire il corpo dell’amico al suo, posando il capo riccioluto sulla sua spalla.

Il rapper le carezzò i capelli, mentre Natalia lo stringeva in uno di quegli abbracci che rompono le ossa, e risanano le ferite del cuore.
 

Leon correva, i capelli sudati attaccati sulla fronte, gli occhi verdi spalancati.
Si girava, ogni tanto nella sua sfrenata corsa, per controllare che non fosse seguito, e puntualmente s’accorgeva di non riuscire a seminarli.

Era andato nei quartieri poveri della città senza una vera ragione, semplicemente per la curiosità di vedere come fosse il luogo che Federico aveva detto di conoscere bene e che gli aveva intimato di evitare.

Cercò di aumentare la velocità ma era stremato, ed inoltre non conosceva la zona, quindi non aveva idea di dove andare.

Svoltò l’angolo, senza notare i sorrisi dei ragazzi che lo seguivano allargarsi, e si ritrovò in un vicolo cieco.

Si appiattì contro il muro, sperando di divenire un fantasma e attraversarlo.
Scrutò i ragazzi, con gli occhi di smeraldo colmi di terrore. Erano tre, di circa venti anni, forse più, grandi quanto armadi.

Avevano l’aria di essere drogati, o alcolisti, o comunque qualcuno da cui stare alla larga, e Leon, lo doveva ammettere, era spaventato da loro, ma soprattutto da quello che avrebbero potuto fargli.

-Che ci fai qui piccoletto?-Chiese uno di loro, che lo esaminava con gli occhi azzurrissimi, in netto contrasti con la carnagione scura.
-Sei nel posto sbagliato, al momento sbagliato- Sussurrò minacciosamente il secondo, che sembrava essere spagnolo.
-Sai cosa facciamo noi ai pivelli ricchi che vengono qui?- Domandò battendo i pugni l’uno sull’altro, il terzo, che aveva lunghi capelli castani legati in un codino, che a Vargas sarebbe parso ridicolo in un altro momento.

-Non credo di volerlo sapere- Sussurrò il sedicenne, cercando di mascherare la paura nella voce.

-Oh mai noi volgiamo insegnartelo-Replicò lo spagnolo, avvicinandosi a lui e tirandolo su per il collo della maglia di almeno dieci centimetri.
-Penso che sarebbe meglio per tutti se mi lasciate andare- Riuscì a dire Leon.
Lo spagnolo lo gettò contro il muro, mentre ogni fibra del corpo del giovane sussultava per il dolore dell’impatto.
-Josh, prendigli il telefonino, così non potrà chiamare aiuto una volta finito- Ordinò l’uomo con il codino a quello di colore.
Vargas rabbrividì al tocco dell’uomo, che infilò prepotentemente una mano nella tasca dei pantaloni.

Appena l’afroamericano di scostò da lui un  calcio allo stomaco gli fece mancare il fiato, ce ne furono altri, che lo fecero tossire, ed occasionalmente sputare sangue.
Leon sentì le lacrime pizzicare agli angoli degli occhi, per il dolore lancinante che lo stava lentamente trasportando alla deriva della coscienza.

-Fermi-Gridò improvvisamente quello di colore.

-Che diamine ti prende Josh!-Gridò irato lo spagnolo, tirando un altro calcio all’agonizzante giovane.

-Ho detto di fermarti idiota. E’ amico di Federico, non possiamo fargli del male- Spiegò Josh mostrando una foto che ritraeva il ragazzo dagli occhi verdi e l’italiano assieme sorridenti, e poi di seguito altre.

-Mm. Scusaci bello, avresti dovuto dirci che conoscevi il grande Pasquarelli, non t’avremmo certo trattato così- Disse quello con il codino tendendo una mano a Leon per aiutarlo ad alzarsi.

Lui ci riuscì a fatica, rimanendo piagato ancora per il dolore che lo invadeva a fitte improvvise.
-Come mai sei qui? Ti serve della roba?-Domandò lo spagnolo.
-Roba?-Sussurrò interrogativo Vargas.
-Si roba, come la vuoi chiamare ? Droga no? Scommetto che Fede t’ha mandato qui perché sa che siamo i migliori. A pensarci bene è un bel po’ che il tuo amico non bazzica da queste parti, è successo qualcosa?-Chiese Josh
-Oh bhe..in realtà sono qui per..dirvi che Federico, lui non è potuto più ecco si, venire qui…perché i suoi genitori..si, lo tenevano al guinzaglio, ma verrà presto- Si giustificò Leon,  nascondendo l’incredulità, la delusione e lo shock che gli stavano divorando l’anima. Non riusciva a collegare Fede a qui tizi, o meglio ci riusciva ma non poteva ne voleva crederci. Eppure tornava tutto, ogni stranezza di suo fratello era imprevvisamente chiarita. E Leon capì, che il suo migliore amico era un drogato, o una spacciatore, forse entrambe le cose.

Quando i tre uomini se ne andarono Vargas si lasciò cadere contro il muro, stringendo gli occhi per il dolore.

Non riusciva a camminare, faceva troppo male.

Prese il cellulare che gli era stato restituito e compose il numero dell’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo.
 

Marco strinse teneramente la mano di Francesca, morbida, candida, liscia, piccola rispetto alla sua.

Carezzò la sua pelle con il pollice, in un gesto tanto semplice quanto dolce.
L’italiana sorrideva, raggiante come non mai, gli occhi che scintillavano come mai avevano fatto in una vita intera.
Ponce de Leon si fermò improvvisamente, prendendo per la vita la giovane e facendo aderire l’esile corpo al suo.
Le scostò una ciocca di capelli neri dal volto,poi si fiondò con un’ improvvisa foga sulle labbra della sua fidanzata, che rimase con gli occhi spalancati dalla sorpresa.
-A cosa devo questo gesto?-Domandò
-Voglio solo che tutti sappiano che sei mia, solo mia, che ti amo e che tu ami me…e lo devi anche al fatto che due idioti ti stavano squadrando, in pratica ti spogliavano con gli occhi, e, lasciatelo dire amore mio, mi da alquanto sui nervi che tu sia così bella-Confessò Marco, posando la fronte su quella di Francesca.
-Sei così dolce-Sussurrò lei carezzandogli il volto, ruvido a causa di un accenno di barba, che subito la portò a pensare alla sensazione che aveva provato toccando per la prima volta Diego.

Scosse la testa allontanandosi, cacciando via quei pensieri disturbatori.
-Tutto ok?-Le chiese il fidanzato
-Si, sto bene..-Bisbigliò la mora con poca sicurezza.
Ponce de Leon la prese per le spalle.
-Pensavi a lui?-Chiese
Fran scostò il capo, fissando il marciapiede girgio.
-No-Rispose prendendo un respiro profondo-No, non pensavo a lui-
-Ti conosco Comello,  puoi dirmelo. Sono il tuo ragazzo, e lo ammetto, sono anche geloso, e si, mi da fastidio il tuo rapporto con Dominguez, ma io ti amo Fran, e se c’è qualche cosa che ti fa star male voglio che me ne parli, perché io metterò da parte ogni risentimento, e t’ascolterò e no nti giudicherò. Ti resterò accanto, sempre, in ogni modo, ora come fidanzato, domani come amico se ti stancherai di me. Per te sarei qualsiasi cosa, fare qualsiasi cosa- Le disse il ragazzo, posando la testa sulla spalla di lei cingendole i fianchi in un abbraccio.

-MI dispiace tanto , mi dispiace tanto-Singhizzò Francesca carezzando i capelli di Marco.

-Di cosa?-Domandò lui asciugandole le lacrime con il pollice.
-Di aver avuto dei dubbi, di pensare ancora a Diego di tanto in tanto-Rispose l’italiana.

Marco accennò un sorriso, la avvicinò nuovamente a se e le stampò un dolce bacio tra i capelli, ricominciando a camminare.


Diego camminava, con le mani nelle tasche, fischiettando, attirando a se gli sguardi di donne mature e ragazzine sognati.

Non badava a loro, o ai mariti e padri, che lanciavano lui occhiatacce pericolose.
La sua mente era altrove, divisa in due, spaccata.
Avrebbe dovuto pensare alla missione, alla gloria, che fino a Settembre erano state per lui le priorità, invece il suo cervello era concentrato su le due ragazze della sua vita.

L’una, dolce e gentile, sorridente ed educata, indecisa eppure convinta delle sue scelte, lunghi capelli neri, occhi del medesimo colore, che risaltavano sulla pelle bianca, labbra rosee, agognate e mai possedute del tutto, fisico asciutto, vestitini innocenti, per nulla provocanti.

L’altra estroversa ed espansiva, provocante e maleducata, decisa e forte capelli castani tinti di blu a segnare una ribellione interiore a se stessa, occhi nocciola a rivelare la sua vera personalità, infine dolce e romantica, le labbra ogni volta dì un colore diverso, labbra che aveva fin troppo posseduto, di cui aveva abusato, labbra che amava sentire sulle sue, morbide ed esperte, fisico magro, vestiti provocanti, sexy, esagerati, pelle scoperta e messa in mostra, pelle che Dominguez aveva già esplorato centimetro per centimetro.

Era stato intenso fare l’amore con Violetta, coinvolgente come non avrebbe mai potuto immaginare.

Nonostante entrambi sapessero di immaginare qualcun altro in quel letto, a loro fianco, si erano donati totalmente l’uno a l’altra, s’erano amati, si, amati, nonostante non provassero amore, si erano amati.

Più Diego ci pensava più gli sembrava qualche cosa di assurdo, perché lui non amava Violetta e Violetta non amava lui, eppure fare sesso con lei non era stato come farlo con le cameriere del suo palazzo, privo di ogni sentimento, era stato qualche cosa di vero, sentimentale.

Non riusciva a capire. Perché lui sapeva che il suo cuore apparteneva a Francesca, eppure non riusciva a smettere di pensare alla Castillo, alla sua amica di letto, alla sua fidanzata, a quella che gli era stata sempre accanto a soddisfare ogni suo desiderio, a farlo divertire nel momento del bisogno.

Lui amava la Comello, lui non riusciva a non pensare a lei ogni qualvolta abbracciasse Violetta, lui amava Francesca, ma in qualche strano modo, forse completamente dettato dal rapporto sessuale che era avvenuto tra i due, provava anche qualche cosa per Vilu.
E  ne aveva una fottuta paura.    

Sentì il cellulare vibrare nelle tasche, Leon lo stava chiamando.

Angolo autrice.
Dio non ci credo che stiamo già al settimo capitolo, e che ancora più di 400  visualizzino e leggano la storia, seguendomi capitolo per capitolo, è un emozione stupenda. Vi ringrazio tantissimo.
Allora, cominciamo con il nostro riassunto.
I Fedemilla, che finalmente si dichiarano, e si trovano sulla solgia del farlo, ma per fortuna ( vi ricordo che Ludmilla ha il potere della vedova nera) arriva violetta, che inconsciamente salva Federico da morte certa.
Violetta, personaggio del quale si scopre un segreto che nemmeno lei stessa conosce, cioè che è una strega, con il potere della resurrezione ( per chi segue american horror story, in poche parole è come Misty in Coven). 
Maxi va a far visita a suo padre per l'anniversario della morte, e nata lo segue, così lui le racconta tutto.
Leon scopre che Federico ha a che vedere con il mondo della dorga dopo essere steto picchiato.
Marco assicura a Francesca che lui ci sarà semrpe per lei, mentre lei non riesce a semttere di pensare a Diego il quale, dopo aver avuto un rapporto sessuale con Violetta, la vede in modo diverso continuando però ad amare Francesca.
Intanto Camilla si preoccupa di Violetta e dei suoi poteri.
E dopo tutto ciò dobbiamo porci delle domande.
1 Cosa succederà tra Fede e Ludmi? Ci riproveranno? Federico morirà?
2 Camilla dirà a Violetta dei suoi poteri? Mettendo così a rischio la sua candidatura a Suprema? 
3 Nata e Maxi riusciranno finalmente ad avvicinarsi in modo diverso che da amici?
4 Cosa accadrà tra Leon e Federico
5 Francesca riuscirà a togliersi Diego dalla testa
6 Diego riuscirà a capire cosa prova per Violetta ? Scoprirà chi sono le streghe,? Poterà avevanti la missione?
bene questa storia mi sembra sempre più una soap di terza categoria della serie Beautiful, che io non vedo.
Ora vi saluto. Baci
 
 
 
 
 

 
 
  
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