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Autore: syontai    23/07/2014    6 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 46

La regina del mana

“Il mana! Ma certo, potrebbe essere una soluzione. Il Mana è un tipo di energia spirituale che si trova nel mondo, ed è alla base della magia stessa”. Seduti in cerchio, i ragazzi discutevano sul fantomatico Mana che secondo Matias avrebbe portato la salvezza a Federico, e Dj stava appunto spiegando di cosa si trattava.
“E in cosa differisce dalla magia?” chiese Emma interessata. Ricevette un paio di occhiate eloquenti, visto che proprio lei aveva sempre dimostrato un astio incredibile contro tutto ciò che avesse a cha fare con la magia e addirittura nei confronti del loro stesso compagno dotati di poteri.
“E’ difficile da spiegare…beh, la magia è qualcosa di insito in tutti gli uomini, ma solo alcuni sono in grado di svilupparla, e questa loro capacità viene fuori fin da quando si è molto piccoli. Essa si serve del mana presente nella natura per prendere forza, e senza questo sarebbe talmente debole da risultare limitata e addirittura pericolosa per lo stesso mago. Ma il mana non si può catturare, è un’entità invisibile che riveste il Paese delle Meraviglie! O almeno non secondi i miei studi”.
“Che sono stati quasi inesistenti” precisò Emma, dando un colpo di tosse, senza curarsi di nascondere quel commentino agli altri.
“Ehi, le cose importanti le so! A livello di incantesimi sono quasi imbattibile…è sulle cose teoriche che purtroppo non mi sono mai applicato…provaci tu a studiare quei libroni ammuffiti con simboli incomprensibili” si difese il mago terreo. “E come erano prolissi gli autori! Un vero incubo”. Rabbrividì al solo ricordare tutta la polvere che sollevavano quei mattoni, e tornò a concentrarsi su quel che dovevano fare.
“Questo se non conoscete le cascate di Mana” si intromise Matias, rimasto fuori dal cerchio, ripreso da un’occhiataccia di Esmeralda. Tutti fecero saettare lo sguardo verso Dj, che in tutta risposta alzò le spalle con un filo di vergogna. “Potrei aver saltato il paragrafo in cui ne parlavano…o forse tutto il capitolo, non so”.
“Le cascate di Mana sono cascate sotterranee da cui si genera il mana. In quella fase è ancora liquido e perciò può essere imbottigliato. Il Mana da solo è più potente di qualsiasi magia di guarigione voi conosciate”.
“Mana liquido? Mai sentito” sbottò Dj.
“Sono troppe le cose che non hai sentito” lo zittì Emma, lasciando poi parlare Andres. Continuava a guardarlo in un modo adorante che a Libi personalmente dava fastidio, ma d’altronde non era certo quello il momento per pensare a scenate di gelosia. Andres rifletté qualche secondo, quindi si alzò, seguito poi da tutti gli altri. “E perché mai dovremmo fidarci di quello che dici?”.
“Ti ho dato la mia parola” piagnucolò il biondo, sperando così di fargli pietà, ma ottenne solo disapprovazione da Esmeralda, che dopo aver gettato un’occhiata all’aquila, posizionata su un ramo poco sopra di loro, si fece avanti pronta a consegnarsi spontaneamente alla volontà di coloro che l’avevano catturata. Ma non prima di essersi difesa. Era una truffatrice, era vero, ma pur sempre con un briciolo di orgoglio.
“Siamo al servizio di Quadri contro la nostra volontà” iniziò a dire, facendo calare il silenzio intorno a sé. “Io e Matias non siamo sposati, si trattava solo di una menzogna. Mio marito è morto tanto tempo fa, mentre la compagna di Matias…beh, è parte del motivo per cui siamo qui. Siamo stati un duo di truffatori eccellenti, sempre pronti a spillare soldi al primo ingenuo di passaggio”.
“Avrei smesso dopo il matrimonio” la interruppe Matias. “Proprio per questo abbiamo deciso di fare il nostro ultimo colpo, con l’aiuto della mia piccola bambina, Ambar” continuò Esmeralda senza battere ciglio. “Era iniziato tutto alla perfezione, credevamo di aver puntato un giovane ricco a cui sottrarre le sue ricchezze con qualche astuzia, e proprio quando eravamo riusciti nel nostro intento, quel ragazzo, di nome Diego, ha estratto una piccola fiala, facendola cadere sul terreno. Il suo contenuto è evaporato, e ha avvolto la mia Ambar, trasformandola in aquila” spiegò brevemente, alzando lo sguardo verso l’animale che sentitosi chiamare in causa emise un verso stridulo.
“E hanno preso la mia Marcela!” strillò disperato il biondo, agitando le braccia. “Diego ci ha incastrati…non sapevamo certo che fosse il consigliere del re! Ha detto che eravamo dei miserabili ladruncoli ma che avremmo potuto comunque essergli utili. L’unico modo per riavere mia figlia e la sua promessa sposa era di aiutarlo a recuperare quell’elmo” indicò l’oggetto che aveva tra le mani Maxi.
“Forse dovremmo fidarci”. Inaspettatamente fu proprio Emma a dire quelle parole, senza staccare lo sguardo da Esmeralda. Quella donna aveva una forza dirompente, un orgoglio che quasi la atterriva. Era quello che avrebbe voluto essere sua madre. Invece a lei era toccata una donna fragile, limitata dalle continue malattie e paure. Una madre da cui lei stessa aveva deciso di allontanarsi. Voleva essere diversa, e per questo era entrata nell’Accademia di Picche dove si formava la scorta di Pablo. Aveva impiegato tanto tempo per convincerli a entrare in quel circolo esclusivo, perché essendo donna nessuno aveva intenzione di concederle un simile privilegio, ma alla fine aveva dimostrato una grinta e una volontà tale da permetterle di guadagnarsi un suo posto all’interno dell’Accademia. Suo padre da una parte si era mostrato fiero, dall’altra invece la disapprovava per il suo sesso. La madre invece come sempre non aveva espresso un’opinione. Nulla. Ma ad Emma non interessava più nulla di quel fantasma che aveva sempre ritenuto assente nella sua vita. Trovandosi ora di fronte a quella figura così piena di forza ed energia, Emma non poté non provare un moto di adorazione nei confronti di una donna disposta a tutto per salvare la propria figlia.
Tutto intorno continuavano a fissarla: lei era sempre quella scettica, quella che non si fidava di nessuno. Che cosa l’aveva portata a comportarsi così? Solo Andres sembrò accettare tacitamente le motivazioni di Emma mai espresse, e le si avvicinò poggiandole una mano sulla spalla, e annuendo. Libi rimase in un freddo silenzio, e si limitò a rigirarsi l’impugnatura dell’arco tra le mani.
“Una delle nostre prossime tappe è al Palazzo di Quadri…il servizio che ci avete reso sarà ripagato” disse Andres, porgendo la mano a Matias, che la strinse con un po’ di timore, per poi sciogliersi in un sorriso riconoscente.
“Nessuno mi riporterà mai la mia Ambar…” esclamò Esmeralda con durezza, porgendo il braccio in aria, e lasciando che l’aquila vi trovasse riparo come su un trespolo. L’alba era giunta da un pezzo, e i primi timidi raggi del sole facevano capolino tra il folto verde, creando macchie di luce sul terreno.
“Io credo in questi ragazzi. Avrebbero potuto ucciderci e invece non l’hanno fatto. E voglio pensare che manterranno la promessa che ci stanno facendo”. Esmeralda mosse appena il capo in un cenno di assenso quindi si allontanò dagli altri, parlando amorevolmente all’aquila, che in tutta risposta muoveva le ali dando l’impressione di stare per spiccare il volo da un momento all’altro.
“Io rimango qui…vi sarei solo di intralcio e rallenterei la vostra ricerca”. Francesca finalmente era uscite dal mesto silenzio che l’aveva caratterizzata da quando avevano preso la decisione di recuperare il Mana. I suoi genitori le avevano spesso parlato di quell’essenza primordiale alla base del mondo. Dagli antichi diari dei suoi avi aveva appreso che generalmente il mana non poteva essere racchiuso in un corpo umano…ma qualcuno nel mondo c’era riuscito. Crescendo però quella persona aveva rischiato per impazzire, e per questo aveva cercato con tutte le forze di trovare un modo per contenere quel potere, creando infine un sigillo. Quel sigillo avrebbe protetto anche tutta la sua generazione e non sarebbe mai stato infranto, a meno che il richiedente non volesse spontaneamente fare ricorso al mana. Ma questa persona era sempre rimasta sempre all’oscuro di tutti, e persino i suoi genitori le avevano detto di non saperne nulla in proposito.
“Devo rimanere anche io…rallenterò il corso del veleno. Ma dovrete comunque fare in fretta, niente soste di piacere” ribatté pallido Dj, asciugandosi con una mano la fronte sudata. I suoi poteri erano al limite. Non aveva riposato quasi per niente, e si sentiva estremamente debole, ma avrebbe ricorso anche fino all’ultima briciola di magia per aiutare quella che adesso era diventata una strana famiglia, la sua famiglia. “Quindi a partire saremo io, Maxi, Libi e Emma…Matias verrà con noi per indicarci il luogo” disse Andres, ma l’uomo subito mise in avanti le mani.
“Non so dove si trovino le cascate di mana, so che una di queste sta nella foresta, nel sottosuolo, ma non ho la più pallida idea del luogo preciso”.
“Beh, non c’è problema, ci penso io!” esclamò Maxi, indossando in un secondo l’elmo. Il mago lo osservava attentamente, ed era diventato tutto d’un tratto serio. Eppure non capiva perché era tanto contrario al fatto che si esercitasse per usare quel prezioso e utile oggetto. Gli alberi gli vorticavano intorno, prima di divenire masse informi di colore, che pian piano svanivano lasciandolo sospeso nel vuoto. Si sentiva leggero come una piuma, e non appena aprì gli occhi, essi non riflettevano più la realtà che lo circondava. Lo scrosciare di una cascata aveva sostituito il sussurrare delle fronde degli alberi. Una figura evanescente era ai piedi della cascata e osservava i colori variopinti e vaporosi, che sostituivano la tipica acqua, evaporare e diffondersi nell’aria svanendo. Era di spalle e  indossava una semplice tunica bianca; non poteva guardarla negli occhi ma lo colpirono i lunghi capelli color ebano.
“Vi sto aspettando”. Una voce melodiosa risuonò per la grotta, facendo vibrare impercettibilmente le pareti. Tutto tornò a vorticare, eppure lui non aveva deciso di tornare indietro. Che stava succedendo? Possibile che l’elmo stesse sfuggendo al suo controllo? Si ritrovò in una stanza buia da lui fin troppo conosciuta. Il cuore gli batteva forte per l’emozione, ed era altrettanto certo che fosse stato lui a condurlo lì. Quella era la stanza di Violetta. Si avvicinò e la vide dormire per qualche secondo. Sorrise istintivamente, e si preparò a tornare indietro, per riferire ai suoi amici che adesso era in grado di condurli alla cascata, quando la sentì mormorare qualcosa nel sonno.
“Leon…”. Quel nome fu come una doccia gelida. Leon? Leon Vargas? L’uomo che aveva distrutto tutte le speranze di Andres e Serdna? Quello che aveva ferito a morte? Che ruolo aveva in quella storia? Non capiva in che modo quella ragazza tanto dolce e graziosa potesse avere a che fare con un mostro del genere. La stava sicuramente tenendo prigioniera. L’odio e la rabbia lo avevano accecato, non permettendogli di scorgere il sorriso che la ragazza aveva fatto nel pronunciare quel nome. Leon. Un altro crimine si era aggiunto alla sua lunga lista.
“Io ti salverò”. Si accostò a lei, e osservando il suo viso rilassato le scoccò un bacio sulla fronte. Non l’avrebbe lasciata in balia di un uomo tanto malvagio, l’avrebbe portata via con sé. Poi fu tutto buio.
Respirava a fatica, e i suoi compagni lo guardavano ansiosi di sapere qualcosa. “So dove si trova la cascata” rispose a stento, beccandosi una pacca sulla schiena da parte di Andres.
“Ma qualcuno ci attende lì, o almeno così ha detto…sembrava un fantasma. Potrebbe trattarsi di un pericolo”.
“E noi lo affronteremo!”. Andres sembrava ottimista, ma subito Libi smorzò quell’ondata di entusiasmo. “Ma se ha a che fare con la magia non possiamo farci nulla! Dj deve stare con Federico”.
“Tutti a fare affidamento su questa stupida magia!” sbuffò Emma, ancheggiando davanti a Libi, e squadrandola da capo a piedi, per poi tirare fuori il suo pugnale. “Faremo alla vecchia maniera di nonna Emma” ghignò. Prese il suo zaino da viaggio e attese che gli altri facessero lo stesso. Matias ed Esmeralda sarebbero rimasti con Francesca e Dj: dinanzi alla presenza del mago avrebbero potuto creare ben pochi problemi se anche ne avessero avuto l’intenzione.
“E certo, è facile parlare dopo che la magia ti ha salvato il fondosch…”. Dj si bloccò fulminato dallo sguardo furioso di Emma, e si inginocchiò vicino a Federico in silenzio, borbottando di tanto in tanto qualcosa.
 
“Tu credi nei colpi di fulmine, Andres?” chiese Maxi mentre erano in cammino. Il primo passo era raggiungere le Grotte di Artemisia, un complesso roccioso dalle innumerevoli gallerie, poi avrebbero cercato quella che conduceva alla cascata di Mana.
“Innamoramento al primo sguardo? Tutte scemenze” ribatté secco l’altro, piegandosi e osservando il terreno: Libi ed Emma erano rimaste indietro e loro avanzavano per controllare se il cammino fosse sicuro.
“Beh…non ne sono sicuro, io credo di essermi innamorato in questo modo”. Andres inarcò il sopracciglio, e lo squadrò con un po’ di diffidenza. Simulando una voce piatta e incolore chiese: “Si tratta di Libi?”. Provava un moto di fastidio al pensiero che si potesse trattare della sua amica apparentemente senza un perché…e sebbene in realtà esso fosse ben chiaro, continuava ad accantonarlo.
Maxi scoppiò a ridere, facendolo sentire un completo idiota. “Ma quale Libi! Si tratta di una ragazza…che vedo spesso nei miei sogni”. Calò uno strano e teso silenzio tra i due, fino a quando Maxi non si decise a parlare di nuovo. “Quindi tu ami Libi?”. Andres arrossì fino alla punta delle orecchie, e non distolse lo sguardo da davanti, evitando quello dell’amico.
“Che razza di idiozie spari? Io e Libi siamo come…fratelli”. L’amico scoppiò a ridere, spiazzandolo in modo inaspettato. “Da come vi guardate non si direbbe!”. Stizzito, avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse dire, ma il buonsenso prevalse e fece finta di nulla, lasciando cadere il discorso. Uno scintillio rosa gli passò davanti agli occhi, e poi uno rosso.
Estrasse la spada, guardandosi intorno e lo stesso fece Maxi. Nel frattempo Libi e Emma li avevano raggiunti a fatica; vedendoli in posizione di attacco, si guardarono intorno in cerca del nemico.
“Che succede?” domandò Emma, guardinga. I due la guardarono e scrollarono contemporaneamente le spalle. “Non ne ho idea, ma ho visto qualcosa passarmi davanti”. Non fece neppure in tempo a terminare la frase che qualcosa lo sollevò all’improvviso, trovandosi così a mezz’aria.
“Andres, puoi volare!” osservò sbigottito Maxi. I suoi piedi si staccarono da terra come se essa esercitasse una forza repulsiva nei suoi confronti, e in poco tempo anche lui galleggiava in aria, come se stesse in acqua.
“Ma che razza di stregoneria è questa?”. Emma era nervosa e si osservava continuamente i piedi, temendo che prima o poi quella magia avrebbe toccato anche lei. Mille lampi colorati le sfrecciarono davanti al viso, rilasciando una polvere dorata che in un primo tempo la fece starnutire. Le braccia vennero spinte verso l’alto insieme al resto del corpo; si attaccò a un ramo basso, temendo di continuare a volare fino al cielo, mentre disperata rovistava in cerca del pugnale, sebbene intuisse che a ben poco le sarebbe servito.
Libi era affascinata. Di qualunque cosa si trattasse non sembrava pericolosa. Riuscì a distinguere tra quei bagliori dei piccolissimi uccelli, simili ai colibrì, tutti di colore diverso: viola, rosso, azzurro, blu, arancione…sembrava anche che stessero ridendo di loro; forse li ritenevano degli essere buffi. Uno degli esserini si fermò sulla punta del suo naso, quindi liberò le ali tenute raccolte; il becco divenne sempre più piccolo e arrotondato, fino ad essere una bocca dai denti bianchi splendenti. Le piume sulle ali si dissolsero mostrando due esili braccia. Per la prima volta Libi vide una fata. L’essere magico sorrise malizioso e scoppiò in una dolce risata acuta, facendo poi cenno alle compagne di raggiungerlo. Un tripudio di colori la stordì, facendola sentire leggera come una piuma. E proprio come una piuma galleggiava nell’aria, assaporando la sensazione di libertà che ne derivava.
“Fate” disse ai compagni con un sorriso rilassato, mentre si metteva a pancia in su, e si lasciava guidare dalla leggera brezza.
“Questa foresta è piena di magia!” esclamò Maxi con una punta di eccitazione, nuotando nell’aria per raggiungere Emma. Acute risatine aleggiavano ovunque, e sembravano provenire dagli stessi alberi. Uno splendido pettirosso planò verso di loro, facendo lo slalom tra i tronchi degli alberi, e piroettò a mezz’aria, mutandosi in una giovane ragazza dalla statura di una bambina. Aveva delle ali rosso fuoco, e un vestito del medesimo colore, che brillava ai raggi del sole. I capelli blu notte erano ricci e scompigliati; dall’espressione non doveva aver avuto una giornata delle migliori.
“Ragazze, smettetela!”. Svolazzava di qua e di là con fare furioso, rilasciando una polvere dorata ad ogni battito di ali. Una ad una le altre fatine vennero fuori, beccandosi i rimproveri di quella che doveva essere la loro guida. La fata-pettirosso si voltò verso di loro e si mostrò davvero mortificata. “Oh, ma che situazione imbarazzante! Mi dispiace…sono la regina delle fate eppure non riesco a tenerle a bada per più di un secondo, che queste malandrine scappano via in cerca di qualche malcapitato con cui giocare”. Fulminò con lo sguardo le sue suddite e si avvicinò ad Andres rammaricata. “Mi spiace davvero per questo contrattempo spiacevole e imperdonabile. Invece di portare la gioia della Primavera nel Paese delle Meraviglie queste indisponenti non sono ancora all’altezza del loro compito come le loro compagne più anziane” spiegò. Un battito di mani e si ritrovarono tutti con i piedi per terra, ancora leggermente scossi e spiazzati da quell’esperienza volante. “Non vi preoccupate, stiamo bene…l’importante è che le intenzioni non fossero cattive” rispose Libi per tutti, sorridendo e scuotendo la testa.
“Oh, quello mai!” esclamò la fata-pettirosso. “Sono solo molto giovani e prive del senso di responsabilità di una vera fata”. Ne prese una per le ali, che sembrava volere ancora dimenarsi e divertirsi e le diede una bella scrollata, facendola poi barcollare nuovamente al suo posto.
“Ce ne sono tante di creature come voi?” domandò Maxi, guardando quei misteriosi esseri uno ad uno.
“Ma certo! Questa foresta brulica di magia: unicorni, budini viventi, capricorni, grifoni, draghi…” cominciò ad elencare sulle punte delle dita.
“Ci saprebbe indicare la strada per le Grotte di Artemisia?”. Libi aveva rivolto quella domanda inconsapevolmente; eppure si erano affidati all’elmo.
“Beh, spero non ci stiate andando adesso, perché la direzione è completamente sbagliata!”. Maxi sbiancò di colpo, osservando l’oggetto magico tra le mani, e lo sguardo di tutti i suoi compagni fu puntato su di lui. Come aveva potuto suggerirgli la direzione sbagliata? Forse Dj aveva ragione, la magia dell’elmo gli stava sfuggendo dalle mani. Prima lo trascinava nella stanza di Violetta senza che glielo avesse chiesto, poi addirittura gli dava indicazioni errate. Per fortuna Libi aveva chiesto alla fata per sicurezza! Improvvisamente capì di aver dimezzato le possibilità di far rimanere in vita Federico e un senso di colpa immenso lo attanagliò.
“Grazie mille! Dobbiamo proprio scappare adesso”. Andres era scattato sull’attenti pronto a correre; mentre faceva cenno agli altri di seguirlo rapidamente, la fata-pettirosso gli urlò dietro qualcosa. “Attenti al grifone Rampante! Ha un caratteraccio e non ama ricevere ospiti!”.
 
Dopo il gruppetto di fate incontrarono tantissime creature diverse, tra cui alcune stranissime: volpi dal pelo rossiccio e tre code soffici, gelatine colorate con dei piccoli occhietti neri e maligni da cui cercarono di tenersi il più alla larga possibile. Persino gli animali comuni avevano qualche segno particolare, come ad esempio una colonia di lontre che emetteva volute di fumo dalla bocca. Continuarono a correre, evitando tronchi obliqui, e sassi ricoperti di muschio, fino a quando la natura non finì inevitabilmente per rallentarli. Nessuno aveva ancora osato chiedere a Maxi come avesse potuto usare in modo erroneo l’elmo e lui stesso si era preposto di chiedere spiegazioni a Dj il prima possibile. Le parete rocciosa era ripida e scoscesa, e piena di grotte disposte in file.
‘Da questa parte’. Limpide e decise le parole volarono nell’aria, perdendosi in un soffio di vento. Andres aguzzò lo sguardo e indicò una grotta poco distante da loro. “Viene da qui”. Non appena fu vicino al cunicolo si affacciò appena, ma dinanzi a sé vi era solo oscurità. “Non si vede nulla” constatò, riemergendo dal buio e voltandosi verso i compagni.
“Che facciamo?” chiese Libi, serrando il pugno intorno all’impugnatura dell’arco. Prima che Andres potesse rispondere un’ombra li oscurò completamente. Intravide una forma di ali, e puntò una freccia verso l’altro, ma rimase a bocca aperta di fronte alla creatura che li stava sovrastando. Aveva sempre creduto che i grifoni fossero delle leggende, protagonisti delle storie raccontate intorno al fuoco la notte per mettere paura ai bambini. Ma quella creatura aveva appena ribaltato la sua convinzione: metà uccello, metà felino. Un corpo possente grigio con alcune striature più scure che possedeva un paio di ali piumate color argento. Il becco era lungo e appuntito, gli artigli affilati come coltelli. Emise uno stridio talmente forte da rimbombare per tutte le grotte vicine, facendole venire la pelle d’oca.
“Di qui non passa nessuno senza il mio consenso!” ululò il grifone planando dolcemente e poggiando le zampe a terra per poi osservarli minaccioso. Aveva dei profondi occhi di un giallo brillante con delle sfumature arancioni. Ruggì, poggiando a terra la zampa anteriore destra e sollevando una nuvola di polvere.
“E adesso questo come lo fermiamo?” bisbigliò Emma ad Andres, osservando i muscoli tesi e possenti dell’animale.
“Chiediamo solo uno scambio!”. Rampante rimase basito di fronte a quella richiesta: tutti i viaggiatori in cui si era imbattuti o scappavano a gambe levate o tentavano inutilmente di fermarlo. Chi era quel folle che voleva contrattare con un grifone? Digrignò i denti, ma si limitò a far capire che avevano catturato la sua attenzione. Ma poi se li sarebbe mangiati tutti, e avrebbe cominciato dal piccoletto, che sembrava particolarmente succulento.
“Tu farai una richiesta e noi la esaudiremo, in cambio ti chiediamo di farci passare. Dobbiamo aiutare un amico”.
“Amicizia! AH!” sbottò il grifone. Subito un velo di tristezza avvolse il suo sguardo. Un amico. Quello che gli era stato tolto tempo fa. “Ed esaudirete ogni mia richiesta?” domandò famelico, osservando con insistenza Maxi, che già immaginava come un bel pezzo di gustosa bistecca.
“Basta che non debba sacrificare la vita di nessuno dei miei compagni”. Il grifone si infastidì sempre di più, eppure non voleva attaccarli. Non subito almeno. Era tanto che non scambiava due chiacchiere, e quel ragazzo sembrava abbastanza sveglio.
“Amicizia…di questa bella parola molti in questo mondo si nutrono, attribuendo ad essa i maggiori gesti di coraggio e nobiltà d’animo. Tutte frottole! E’ qualcosa destinato a morire, come il Paese delle Meraviglie”. Parole piene di amarezza gli uscirono dal becco senza che lo volesse. Stupidi ragazzini, stavano riaprendo delle brutte ferite nel suo cuore. Eppure nello sguardo determinato di Andres vedeva qualcosa. Improvvisamente un grifone e un uomo non erano poi tanto diversi. Rampante ed Andres erano due facce della stessa medaglia, una medaglia dal passato ricco di delusioni per entrambi.
“Non so perché parli in questo modo, ma sappi che non è così. L’amicizia è qualcosa di reale, molte volte mi è stata salvata la vita da amici sinceri”. L’animale sbuffò, ma non osò interrompere il contatto visivo.
“Ma certo! Amici sinceri…che sciocco illuso! Ma mi piaci, ragazzo, penso che sarai l’ultimo che mangerò” ghignò Rampante, ruggendo ancora una volta per intimorire le sue prede. Andres non batté ciglio, ma estrasse semplicemente la sua spada. Perché non aveva paura di lui? Insomma, lui terrorizzava la gente, era sempre stato così. Tutti avevano paura di lui, animali o uomini che fossero.
Un grifone e una tartaruga. Due amici ritenuti inseparabili. Rampante aveva sempre creduto che tra lui e il suo amico non potesse mai succedere nulla che potesse allontanarli. Insieme si divertivano a raccontarsi storie, ricreavano antiche musiche con strumenti donati dalla magica foresta. La loro preferita era senza dubbio la Quadriglia dell’Aragosta, in grado di variare il proprio ritmo in base all’umore di chi la ballava o la suonava.
“Oggi è una bellissima giornata”. Tartalenta era una tartaruga speciale, sul cui guscio erano incastonate antiche pietre, tra cui due smeraldi lucenti. Rampante annuì, senza fare eccessivamente caso alle sue parole. “Allora io vado. Ci vediamo dopo per un altro giro con la Quadriglia dell’Aragosta”. Lo vide sparire lentamente tra le basse fronde degli alberi. Non lo rivide mai più.
Si era sentito ingannato. Aveva cercato per anni per tutta la foresta ma sembrava essere scomparso nel nulla. Non esistevano gli amici, erano solo onde passeggere che davano solo incertezza e instabilità nel momento in cui passavano oltre. Nessuno l’avrebbe mai convinto del contrario, nemmeno quei ragazzi, ma era stanco. Non voleva combattere; perché per una volta non risparmiargli la vita? Non come atto di gentilezza o amicizia, parola che tanto odiava, quanto per semplice e pura stanchezza fisica. Avvertì anche un leggero brontolio allo stomaco, e sorrise beffardo. Avrebbe accettato il patto, in fondo sarebbe stato divertente cambiare per una volta. Era stanco di sbranare e combattere…stanco di ricordare ogni giorno l’amico che l’aveva abbandonato.
“Ho fame” sbuffò semplicemente, spiccando un salto fino ad atterrare qualche metro più in alto su una sporgenza della parete di roccia, e indicando loro di seguirlo. Si arrampicarono e lo raggiunsero dopo qualche minuto.
“Cosa dovremmo fare?” chiese Maxi, tremando alla vista di un mucchietto di ossa in bella mostra all’ingresso. Come potevano fidarsi di un grifone? Avrebbe potuto sbranarli in qualsiasi momento.
“Voglio una zuppa” disse Rampante, sedendosi sulle zampe posteriori e guardandoli fiero. Tutti si guardarono tra di loro perplessi.
“Non guardate me, non sono capace nemmeno a cucinare un coniglio catturato, figuriamoci una zuppa!” esordì Libi, mettendo avanti le mani.
“Io di zuppe non ne so niente…ci pensava mio nonno” diede manforte Maxi con una vena malinconica. L’odio nei confronti della corona di Fiori si riaccese e ci volle tutta la forza di volontà del mondo per relegarlo nuovamente in fondo al suo cuore.
“Nemmeno io sono capace”. Andres ricordava che a quelle pensava sempre Serdna, vantandosi di essere un cuoco provetto; mentre girava con il mestolo la brodaglia nel calderone lo punzecchiava continuamente, intimandolo a cercare una buona moglie in grado di supplire la sua completa incapacità ai fornelli. Una nota amara si impossessò di lui, e il suo volto si scurì, cosa che non sfuggì a Libi, la quale rimase in disparte. Sapeva a chi stava pensando, non aveva alcun dubbio in proposito, voleva fargli capire che doveva guardare avanti, non solo per lui, ma anche per il fratello la cui vita era stata interrotta prematuramente. Ma non intendeva continuare a litigare con lui, non lo sopportava, e se avesse tirato fuori l’argomento non sarebbe potuta finire in altro modo.
Emma si guardava intorno e cominciava a sentirsi fin troppo osservata. Mise le mani sui fianchi e avvertì una sorta di supplica collettiva nell’aria.
“Ma come, eppure la mia cucina non vi è mai piaciuta!” sbottò offesa, alzando il mento in su.
“E infatti te lo chiediamo solo perché noi non sapremmo nemmeno da dove iniziare, tu almeno puoi preparare qualcosa che assomigli alla zuppa…per quanto riguarda l’aspetto”. Libi le lanciò una frecciatina, facendola infuriare ancora di più. Le piaceva sentirsi indispensabile per il gruppo, e dall’arrivo di Dj tutti erano sempre pronti a lodare le sue doti, ignorandola completamente. Quel mago la oscurava e per questo si divertiva a insultarlo o a punzecchiarlo.
Andres, che era rimasto in disparte di fronte all’insistenza di Libi e Maxi, si fece avanti e guardò dritto negli occhi la bionda. “Fallo per noi. Non abbiamo tempo da perdere…fallo per Federico”. Emma sostenne il suo sguardo, ma non disse nulla. “Fallo per me”. Gli occhi di Emma si illuminarono, rubando però la luce a quelli di Libi, che si sentì sprofondare negli abissi più oscuri. Non poteva averlo detto. Non poteva credere che potesse nascere qualcosa tra lui e Emma. Le gambe volevano cedere, ma il suo cuore era più forte. Tutte le motivazioni che l’avevano spinta fin lì svanirono nel nulla, sostituite dalla stessa tenacia sperimentata durante l’avventura con Maxi sui Monti Neri. Non aveva bisogno di un leader. La verità è che non aveva bisogno di Andres, forse non aveva mai avuto davvero bisogno. Prese un respiro profondo e attese come tutti la risposta di Emma, che a quel punto annuì messa alle strette dalle circostanze. Abbracciò un po’ goffamente Andres, e quando si separò era rossa in viso. Era strano vedere Emma comportarsi come una qualsiasi ragazza della sua età. Dopo aver dato loro una lista degli ingredienti da procurarsi nella foresta, osservò il calderone che giaceva sopra un piccolo treppiedi di ferro. Sotto doveva essere acceso il fuoco. Sapeva bene di non essere una cuoca provetta, ma non poteva faro altro che provarci con tutta se stessa.
Gli ingredienti furono portati in tempi rapidissimi e Emma ci mise tutta la buon volontà del mondo. La zuppa aveva un poco invitante colore grigiastro e l’odore stesso non dava l’idea di qualcosa di gustoso, anzi tutto il contrario. Maxi divenne verde e si tappò il naso, respirando a fatica, Andres rimase paralizzato e Libi fece tre passi indietro fino a trovarsi all’aperto. Il grifone però non fece alcun segno di disprezzo, si limitava ad osservare la zuppe che bolliva famelico. Non appena Emma ebbe dichiarato che era pronta Rampante, si portò il calderone tra le zampe e si scolò tutto in un batter d’occhio.
“Ecco fatto, adesso ci sbrana” mormorò Maxi all’amico non riuscendo a fare il minimo movimento per la paura. Dopo aver mangiato quello schifo che speranze avevano di sopravvivere? L’animale si sarebbe arrabbiato a morte, e loro ci avrebbero rimesso le penne.
“MA…”. Il potente vocione di Rampante risuonava nella grotta, facendoli rabbrividire. “E’ LA COSA PIU’ DELIZIOSA CHE ABBIA MAI ASSAGGIATO!”.
“Ma sta scherzando?” si lasciò scappare Maxi, venendo subito incenerito con lo sguardo dai suoi compagni. Non era il caso di mettersi a discutere con un grifone dei propri gusti per così dire eccentrici. “Ne vorrei proprio dell’altra” continuò Rampante senza prestare attenzioni alle parole dell’altro, e guardando il fondo del calderone con aria triste.
“Quando riusciremo a salvare il nostro amico torneremo e te ne porteremo dell’altra!” esclamò Andres divertito. Rampante si ricordò del patto che aveva fatto e li lasciò andare per raggiungere la Cascata di Mana. “Ma non penso che vi piacerà quello che vedrete” sospirò infine, rintanandosi nel fondo della grotta, fino a quando anche i suoi occhi gialli come due fanali non furono inghiottiti nel buio. Con quelle criptiche parole si misero in cammino, scesero fino a terra e individuarono nuovamente il cammino che la voce misteriosa gli aveva indicato prima di incontrare il grifone. Era quasi completamente in discesa e il fatto di non riuscire a vedere a un palmo dal naso metteva loro ancora più agitazione addosso.
Un flebile bagliore apparve in fondo al tunnel, che diventava sempre più forte e insistente ad ogni passo. Sbucarono in una grotta profonda dalle pareti scoscese e il soffitto molto sopra di loro. La luce proveniva da quella che doveva essere la Cascata di Mana, da cui però fuoriusciva appena qualche goccia sparuta che si dissolveva subito nell’aria.
 “Non è possibile. Non è questa…” mormorò Maxi, guardandosi intorno spaesato. Che razza di imbroglio era quello?
“E’ come se si fosse prosciugata” constatò Libi, avvicinandosi alla parete e tendendo le mani verso l’alto. Le gocce nemmeno la raggiungevano. Come avrebbero fatto a raccogliere del mana da portare a Dj?
“Ma come è possibile che l’elmo mi abbia dato una visione sbagliata! Questo posto è completamente abbandonato”.
“Sono stata io a portarvi qui”. Una presenza dietro di lui gli fece gelare il sangue nelle vene. Quella voce…angelica e potente allo stesso tempo della stessa limpidezza di un cristallo. Lo spirito di donna della visione.
“Non so chi tu sia, ma dicci che fine ha fatto il Mana, ne abbiamo bisogno” gridò Andres, in preda al panico. Il tempo stringeva.
“Il Mana è stato consumato…la guerra che imperversa su questo Mondo lo sta lentamente distruggendo. Nel futuro un mondo privo di magia e vita attende tutti noi, ma non è ancora detta l’ultima parola. C’è una speranza”.
“Lo so, riunendo i pezzi dell’armatura!” sbotto il ragazzo, irritato dal sorriso sereno sul volto della donna, che le ricordava qualcuno.
“Non basta. I pezzi dell’armatura devono essere saputi usare nel modo giusto. La profezia parla di una giovane che proviene da un mondo diverso dal nostro. Il suo nome è Violetta”.
Maxi spalancò la bocca, ma non disse nulla. Non voleva che sapessero del suo debole per una ragazza che non aveva mai neppure incontrato.
“Ma la prescelta non sarà sola…ci sarà anche la mia erede al suo fianco. Colei nelle cui vene scorre il mio sangue di regina”.
“Non ci interessa! Noi dobbiamo salvare il nostro amico!”.
La donna sorrise imperscrutabile. “Ma tutto è collegato, nulla sfugge al destino del Paese delle Meraviglie, alle sue leggi perfette”.
“Chi sei? Cosa vuoi da noi?” chiese Libi con voce tremula. Non appena si specchiò nei suoi occhi capì ancora prima di sentire la risposta. Non era possibile, eppure erano identiche…lei e Francesca erano due gocce d’acqua.
“Sono la regina bianca. O almeno quello che ne rimane”.
 
Francesca era disperata. Perché i suoi amici non arrivavano? Si guardò intorno ma non si vedeva nulla in vicinanza. Dj aveva la fronte imperlata di sudore, ed era seduto con gli occhi chiusi al lato di Federico mentre ripeteva una litania tutta uguale. Qualche volta una rivolo di sangue scuro usciva dalle labbra del conte, ma per il resto non vi era alcun segno di vita. “Devono arrivare presto, maledizione!” biascicò il mago, per poi prendere un respiro profondo e ricominciare a pronunciare la formula da capo.
“Arriveranno, mi fido di loro” disse Francesca, congiungendo le mani e chiudendo gli occhi. Aveva bisogno di un miracolo. Al più presto.
 
“Nei tempi dei tempi, quando solo io e la Regina Rossa regnavamo su questo mondo, fui mossa dalla sete di conoscenza e di potere allo stesso modo della mia avida sorella, e trovai il modo per impossessarmi del Mana. Potersi servire del Mana direttamente rende la creatura magica più potente del mondo intero”. La Regina Bianca prese una piccola pausa e continuò: “Non sapevo certo degli effetti collaterali…la vita si abbrevia, il Mana si nutre dell’anima del corpo che la intrappola. Quell’esperimento fu di avviso a tutti: non era possibile controllare qualcosa di tanto potente. Riuscii a imporre un sigillo su di me e sulle generazioni future, perché ormai il Mana si sarebbe tramandato anche nei corpi dei miei successori”.
“Francesca possiede il Mana dentro di sé? E perché non l’ha mai usato prima?” chiese Libi.
“Nessuno lo sa…è un segreto che si è perso nei tempi dei tempi. E’ l’unico modo per non spezzare il sigillo”
“Come si spezza il sigillo?”
“Con la volontà”.
 
Francesca si inginocchiò vicino a Dj, e lo guardò terrorizzata. Lui scosse semplicemente il capo. “E’ solo questione di minuti ormai, non c’è niente che possa salvarlo”.
Una lacrima le solcò una guancia, e scorse rapida fino al petto. Solo poche ore prima aveva ricevuto il suo primo bacio ed era stato Federico a donarglielo con tutto l’amore possibile, come un fiore appena colto, di quelli che le portava quando la mattina quando la veniva a trovare ed erano piccoli. Sempre Federico aveva donato il suo corpo per proteggerla, per fare in modo che continuasse a vivere. Una campanula. Perché le era venuto in mente quel fiore. Dentro la sua anima quel fiore sembrava essere cresciuto. La campana era chiusa, ma al suo interno qualcosa si smuoveva.
 
“Sarà Francesca a salvarlo. Ma poi voi dovrete salvare lei. Una volta rimosso il sigillo potrebbe succederle di tutto. Il Mana è imprevedibile. La morte è solo una delle tante ipotesi”.
“Come mai sei qui? Perché volevi parlarci a tutti i costi?”. Andres la guardava sospettoso, e non capiva ancora quale fosse il punto.
“Io dovevo semplicemente avvisarvi” sussurrò la Regina Bianca. “Dopo aver commesso quel delitto contro la natura, cercando di controllare il Mana, alla mia morte la mia esistenza fu relegata come spirito a difesa e guardia di ciò che avevo bramato con tutta me stessa”.
Libi deglutì: ecco il perché di tutta la storia. La voleva avvertire dell’imminente risveglio dei poteri di Francesca, ma soprattutto dell’esistenza di un prescelto che avrebbe posto fino a quella sanguinosa guerra. Chi era quella Violetta? Talmente tante domande affollavano la sua testa, ma non riusciva a dare loro un ordine.
 
Con il dito sfiorò la superficie vellutata del fiore bianco come il latte. Esso sembrò rispondere alla sua carezza emanando un dolce profumo. Ma lei doveva salvare Federico…perché perdeva tempo all’interno della sua immaginazione? La campanula però la chiamava e la rassicurava. Va tutto bene, le ripeteva con il suo profumo. Lentamente la corolla sembrò volersi schiudere, ma era ancora trattenuta da qualcosa. Lì dentro giaceva qualcosa, e non sapeva perché ma le serviva. Le serviva per salvare Federico. E avrebbe fatto di tutto per schiudere quel fiore. Cercò di aprirlo, ma ancora non era sufficiente. Ne aveva bisogno, assoluto bisogno. La campana si schiuse tintinnando mostrando una luce bianca e accecante.
Aprì gli occhi. Era piegata verso Federico aveva le mani appoggiate sul suo petto, le quali brillavano luminose. Dj la guardava pallido in viso, e a metà tra lo stupefatto e il terrorizzato. Quella non era magia. Non aveva usato nessuna formula, non aveva avuto bisogno di alcun gesto della mano. Quello era Mana. Non riuscì a trattenersi.
“Regina Francesca, v-voi…p-possedete il Mana”. Francesca lo osservò mai nei suoi occhi baluginava un riflesso lattiginoso. Sembrava non averla sentita del tutto, ma dalle sue mani la luce bianca aumentava sempre più di intensità.
Federico aprì gli occhi sussultando.  









NOTA AUTORE: Per una volta mi ritengo soddisfatto di questo capitolo...a parte alcuni intermezzi comici succedono cose parecchio interessante. Tenete d'occhio il flash di Rampante che tornerà più in là (spoiler). Comunque, partiamo un po' a commentare i nostri personaggi. Nel finale abbiamo un vero e proprio colpo di scena: Francesca è in grado di salvare Federico spezzando il sigillo imposto nei tempi antichi dalla Regina Bianca, rappresentato dalla campanula. In tutto ciò Maxi pensa di dover salvare Violetta dalle grinfie di Leon (e non c'ha capito una mazza, ad essere diretti), Libi sente qualcosa spezzarsi tra lei e Andrs...(e infatti nel prossimo capitolo...succede una cosa triste :() e Andres invece rimane impassibile a tutto *FACEPALM* Parlando di altre cose...il Mana! Insomma Fran salva Fede ma si mette in pericolo D: Riparte il viaggio...verso Cuori. AHI AHI O.O Cominciano i casini per tutti, io lo dico *spinge Maxi in un burrone* Volevo dire- niente xD Quanto amo Rampante comunque  :') (non c'entra niente, ma volevo dirvelo xD). Beh, non ho molto da aggiungere, tranne che per una volta mi sento soddisfatto xD Grazie a tutti voi che mi seguite, e alla prossima! :3
syontai :D 
  
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