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Autore: CharlotteButterfly    23/07/2014    0 recensioni
Mi rimisi seduta e cominciai a mangiare freneticamente, un cucchiaino dopo l'altro, guardando il cibo che lentamente si avvicinava alle mie labbra, accarezzava le papille gustative e scivolava in gola fino a raggiungere lo stomaco. Ogni boccone era un sollievo per la pancia. Ogni boccone era una pugnalata al cuore.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Eravamo sedute attorno al tavolo. Due da un lato e due dall'altro. Loro erano intente ad assaporare una salsiccia di tacchino appena bruciacchiata. Io mi alzai dalla mia postazione e mi diressi verso il frigo, lo aprii e ne estrassi marmellata di frutti di bosco, amarene, panna montata e yogurt. Presi una ciotola dalla dispensa e con essa il barattolo della nutella. Svitai i coperchi di ogni singolo barattolo e presi qualche cucchiaio di tutto, versandolo frettolosamente nella ciotola. Mescolai finché non divenne un composto omogeneo e infine ci spruzzai sopra un bel po' di panna. Mi rimisi seduta e cominciai a mangiare freneticamente, un cucchiaino dopo l'altro, guardando il cibo che lentamente si avvicinava alle mie labbra, accarezzava le papille gustative e scivolava in gola fino a raggiungere lo stomaco. Ogni boccone era un sollievo per la pancia. Ogni boccone era una pugnalata al cuore.
Alzai lo sguardo verso il lato opposto del tavolo, continuando a mangiare ininterrottamente. Lei era lì, che fissava tutto il grasso che avevamo accatastato sopra il tavolo. Lo vedevo che cercava un modo per fuggire via. Cercava di resistere alle vocine degli alimenti che le ripetevano "mangiami. Solo un pezzettino, poi basta. Non può farti male. Mangiami." E cercava di ascoltare quello che la sua testa aveva da dirgli "se inizi a mangiare ora, non finirai più. Guarda lei.". In qualche modo era più forte del richiamo di tutto quel delizioso brutto cibo che rivestiva il tavolo. E io non sapevo davvero come facesse a non cedere neanche per un secondo e fiondarsi sugli arancini, le tortine di salmone, la nutella, la panna. Io non ci ero riuscita. Continuavo ad abbuffarmi senza essere in grado di fermarmi: due, tre, quattro arancini; una, due, tre tortine; nutella, panna, yogurt, amarene. E via, giù tutto in bocca, nella pancia, nelle vene, nel culo, nelle gambe. Nel cervello, nell'anima, nel cuore.
Riempito lo stomaco fino a scoppiare mi poggiai allo schienale della sedia, esausta. Ci alzammo, concordando che saremmo state più comode stese sul divano. Restammo a parlare per un tempo indeterminato, mentre tutto il mio corpo chiedeva pietà. Chiedeva di liberarlo dal tormento che lo affliggeva. Mi nascosi in camera, respirando profondamente per non scoppiare in un attacco di panico nervoso. Rimasi un po' ad osservare le foto che avevo appeso al muro e cercando di pensare a quanto ero felice in quei momenti, a chiedermi dove fosse finita quella che mi sorrideva dietro il vetro, a domandarmi per quale ragione fosse scappata dal mio corpo. Non trovai risposte.
Loro si misero a dormire e io salii le scale raggiungendola nella camera di mia madre. Era stesa nel letto, gli occhi affaticati dalla stanchezza e dal fumo. Mi stesi accanto a lei con la pancia gonfia come quella dei bambini africani che ti fanno vedere in televisione. Con la bocca impastata mi domandò di Aristea. Mi domandò perché mi desse così fastidio anche se avevo detto che non ero gelosa. E io risposi che semplicemente lui mi fa sentire inferiore a lei, in ambito sessuale. Che lui mi ripete che se la vorrebbe fare e sott'intende che si deve accontentare di me perché lei non ci sta. Perché io sono una puttana e lei no. Annuì e chiuse gli occhi, si mise comoda e provò a dormire. Io feci lo stesso, ma proprio non ci riuscii. Stavo troppo male.
Decisi di alzarmi e di dirigermi verso il bagno, chiudendo delicatamente la porta cercando di non far rumore e mi accovacciai accanto al water. "Devi farlo. Lo sai che devi. Hai mangiato come una vacca del cazzo e ora devi rimediare in qualche modo. Questa sera hai superato l'apice della sporcizia. Fai schifo proprio. Quindi muoviti a ficcarti quelle due dita del cazzo in bocca e a espellere tutto quel grasso di merda che alimenta lo schifo che ti riempie. Fallo." Le voci nella mia testa si fecero più forti, intense, pesanti. << Non ce la faccio. Non posso. Non ci riesco. >> Sussurrai nel silenzio, cercando di trattenere le lacrime. "Non hai scelta. Se non ti ripulisci rovinerai tutta la fatica che hai fatto fin'ora. Non sarebbe ancora abbastanza, ma almeno qualcuno riuscirebbe ancora a guardarti." I bulbi si riempirono di liquido salato e non riuscendo più a sopportare la sua pesantezza, gli occhi lo gettarono fuori. Le lacrime sgorgavano a più non posso e si infrangevano nell'acqua trasparente del water. "Fallo. Ora." Continuava a ripetermi. "Non te ne pentirai."
Mi voltai verso la finestra, il sole stava sorgendo. Lentamente mi alzai e socchiusi le persiane. Quando sono triste voglio il buio, odio guardarmi in queste situazioni. Mi accovacciai nuovamente accanto al water. Le lacrime si erano fermate. Gli occhi gonfi e bagnati fissavano le dita della mano destra che si avvicinavano lentamente alla mia bocca, si infilavano dentro di essa e raggiungevano la gola. Spinsi più in giù che potevo e sentii la trachea che bruciava, lo stomaco che si contorceva e il cibo che risaliva velocemente metà del mio corpo. Non feci in tempo a ritrarre la mano che questo fuoriuscì, macchiando l'acqua limpida in cui poco prima potevo specchiarmi. Non sapevo cosa mi facesse male. Tutto mi faceva male. Ma la consapevolezza di aver sputato tutto fuori mi faceva sentire come rinata. Eppure non capivo per quale motivo le lacrime avevano ripreso a sgorgare come un fiume in piena. Presto i singhiozzi si fecero più forti. Se cercavo di trattenermi, il lamento successivo era più rumoroso.
Sentii la maniglia che si abbassava e la porta che si apriva. Lei entrò strofinandosi gli occhi e guardandomi con espressione triste, consapevole. Si abbassò quel tanto che bastava per guardarmi in faccia. Tirai su lentamente la testa e la fissai senza riuscire a dire una parola. Lo stesso fece lei. Stando zitta allungò le braccia verso di me e mi strinse a sé. Mi sciolsi. Lasciai andare tutta l'acqua che avevo in corpo senza mai smettere. Lei non fece altro che stringermi, e basta.
Quando mi fui sfogata, si staccò da me e mi guardò. Mi prese la mano e mi portò sul letto. Mi rimboccò le coperte e si stese accanto a me. Ci fissammo. Mi dispiace pensai. Lo so dissero i suoi occhi. Ti voglio bene ammisero i nostri sguardi prima di addormentarci mano nella mano.
   
 
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