Lunedì,
il giorno che tutti
odiavano di più al mondo. Dai più grandi ai
più piccini. Il Lunedì è un incubo
da cui ci si sveglia solo ventiquattro ore dopo. L’inizio di
una lunga e
faticosa settimana lavorativa per i grandi, e l’inizio di una
stancante settimana
scolastica per i piccoli. Il giorno dopo la domenica che, a mio parere,
era il
più bel giorno tra tutti. Il mio giorno di riposo che
lì a NY, la mattina
pareva sabato. I negozi aperti e la gente libera da tutti gli impegni
andava
spassandosela per la città.
Avevo
appena finito la mia
sessione mattiniera e mi ritrovai a sbadigliare nella hall del Vicius
Palace.
I
Vicius Palace erano
sparpagliati un po’ per tutto il mondo, tutti sotto il
controllo di Marotti. È
stato qui dove ho sempre lavorato io, in questa, se possiamo definirla
tale,
azienda sforna prostitute. Edifici eleganti e raffinati, dove anche il
minimo
dettaglio era curato alla perfezione, le grandi finestre lucidate ogni
mattina
e ogni sera prima di aprire e chiudere, rendevano il posto illuminato e
davano
un ottima veduta sul resto della città.
Eravamo
lì, quelle della
pausa pranzo delle 12, come fossimo state semplici impiegate che
facevano un
lavoro comune e pulito.
Mi
guardai intorno
sbadigliando ancora una volta e chiedendomi quando i nostri
caffè post pranzo
sarebbero arrivati. Il caffè per me era sacro, mi dava modo
di essere sempre
sveglia e lucida, di riuscire ad incastrare tutti gli impegni delle
giornate
lavorative assieme a quei pochi svaghi che mi concedevo ogni tanto. Il
caffè era
una delle poche cose che non potevano mancare nel mio ciclo giornaliero.
Girai
la testa. Erano tutte
intente a parlare tra di loro. Le solite cose frivole che sotto sotto
un po’
piacevano anche me. Attizzai le orecchie per scoprire che stavano
parlando della
nuova linea di capi di Maximiliano Ponte. Ero sempre stata una patita
della
moda. Amavo spendere i numerosi soldi che guadagnavo ogni mese per capi
dei più
grandi stilisti al mondo, mi piaceva vestire elegante e dare consigli
su un
outfit ben curato ed abbinato.
Battei
le palpebre per
scoprire di star guardando, involontariamente, Camilla Torres seduta
proprio di
fronte a me. Nella sua solita posa da principessa mentre lasciava
asciugare lo
smalto alle unghie dei piedi color celeste. Mi ritrovai a fare una
faccia
schifata per l’orrendo abbinamento fatto tra smalto
posteriore e superiore.
Se
come colore sulle unghie
delle mani aveva optato per un verde cocomero avrebbe dovuto usare uno
smalto
più soft e scuro, a differenza di uno sgargiante e troppo
luminoso.
Distolsi
lo sguardo
portandolo all’infuori della finestra. Pioveva selvaggiamente
e sembrava, ogni
minuto di più, che le gocce d’acqua volessero
spaccare i vetri perfetti di quel
posto.
In
quell’edificio era tutto
così laccato perfettamente da farmi venire il voltastomaco.
L’odore degli spray
era forte da entrarti nelle narici e arrivare alle tempie facendotele
pulsare.
I pavimenti sempre lucidi passati con la cera. Le tendine color oro,
rifinite
in ricamature fatte a mano. Tutto in quel posto sembrava pulito e dava
l’impressione di esserlo a tutti quelli che lo guardavano da
un ruolo
differente da chi ci lavorasse lì. Nessuno se non noi,
sapeva quanto marciume
era presente sotto quello strato di pulito splendente. I fortunati non
sapevano.
“Scusate
per il ritardo,
pioveva talmente tanto da non riuscire ad uscire dal bar”
I
miei occhi si aprirono di
scatto, quasi volessero uscire dalle orbite. Non trovai la forza di
distogliere
lo sguardo dalla finestra, e di girarmi nella direzione da cui
proveniva quel
suono armonioso che mi faceva venire la pelle d’oca.
Strinsi
la mia gamba con la
mano destra, riuscivo quasi a sentire le mie unghie trapassare il
tessuto del
pantalone blu cobalto che indossavo in quel momento. Il braccialetto
che
incorniciava il mio polso tremava creando un tintinnio che mi
infastidì
parecchio dato che mi entrava nella mente confondendosi con il suono
della sua
voce rendendolo meno fluido e più cremoso e confuso.
“Grazie,
poggia sul tavolo
qui. Dietro il bancone c’è Thòmas puoi
pagare benissimo a lui” maledii la voce
stridula di Camilla che si confuse anch’essa con il suono
armonioso della voce
che avevo udito pochi secondi prima. Tornai per pochi secondi in me,
dandomi
della stupida mentalmente per non riuscire a sopportare il fatto che la
sua
voce non fosse l’unico suono che aleggiava dentro me.
“Certo,
buona giornata
signorine”
Sentii
il suono di passi
fatti probabilmente da scarpe da ginnastica inzuppate di pioggia e di
seconda
mano. Mi girai giusto in tempo per scontrare il mio sguardo nei suoi
occhi. Un
secondo che parve durare molto più di quel che, realmente,
fu.
La
sua figura in divisa da
barista si allontanava sempre più da me, avvicinandosi al
ragazzo di nome
Thòmas, di cui avevo fatto la conoscenza solo qualche giorno
prima, quando mi
salutò mentre ero diretta a discutere con Marotti della mia
sistemazione.
Tutte
avevano tra le proprie
mani già la tazzina di caffè fumante che avevo
bramato fino a pochi minuti
prima ma che adesso mi sembrava un semplice intruglio scuro
assolutamente non
paragonabile al colore brillante degli occhi del barista..
“Violet
tu non bevi il tuo
caffè?”
Mi
girai verso la voce che
aveva pronunciato quelle parole lentamente, quasi passandosene ognuna
tra la
lingua e i denti prima di pronunciarle.
Ariana.
L’unica lì che
davvero non mi stava antipatica. Una ragazza soft che non dava
nell’occhio, che
si univa alle chiacchierate ma che non si mischiava al branco di oche.
Veniva
dall’Inghilterra, il
suo accento era forte ma mi piaceva.
Stentai
un sorriso per poi
prendere l’ultima tazzina rimasta sul tavolino di legno
davanti a noi. Ritornai
a guardare verso Thòmas ma questa volta era solo, seduto
sulla sedia girevole
mentre maneggiava abilmente con le dita sulla tastiera del computer che
rifletteva i colori abbaglianti nei suoi occhi. Sospirai bevendo il
caffè a
piccoli sorsi, gustandomi l’unico piacere che la vita mi
aveva concesso.
Pioveva
ancora quando arrivai
a casa con la mia Mercedes.
Premetti
con la punta
dell’unghia coperta da un colore bordeaux che avevo messo il
giorno prima di
partire per New York, il bottone per far scendere al mio piano
l’ascensore.
Il palazzo in cui mi trovavo
era tra i più
belli della città. Un grattacielo di trenta piani pittato di
un grigio
metallico che abbagliava alla vista, nemmeno una crepa o una macchia
sui muri
bianchi candidi come quelli del mio appartamento. L’ascensore
si aprì e io ci
entrai dentro, era completamente in vetro e sinceramente
l’avrei preferito in
un altro modo. Mi innervosiva il fatto che le persone dei piani
posteriori ai
miei potessero vedermi.
La
tasca mi formicolò e capii
che era stato il mio cellulare a produrre quel vibro che mi aveva
solleticato
la pelle.
Due
nuovi messaggi
Premetti
sul primo nel
registro per scoprire che il mittente era ancora una volta Diego.
Non mi
hai ancora detto se la casa che
ho scelto per te ti è piaciuta xx
Decisi
di non rispondere a
quel messaggio come non avevo fatto agli ultimi quindici che mi aveva
inviato
in questa settimana. Mi piaceva tenerlo sulle spine e fare la
disinteressata
nei suoi confronti, non che fossi davvero interessata a lui, era solo
un
cliente invaghitosi troppo. Quando scoprii che a dargli il mio numero
era stato
Marotti iniziai ad odiarlo ancor più di quanto non lo
facessi già, non aveva il
diritto di dare miei dati personali a sconosciuti.
Pigia
il polpastrello del
pollice sul secondo messaggio, dopo aver dato un’occhiata al
piccolo schermo
posto di fianco alle porte meccaniche che mi segnalava che ero ancora
al quarto
piano.
Stasera
passerà un corriere da te
portandoti un vestito. Preparati al meglio, domani sera dobbiamo andare
ad una
festa di persone importanti. Niente brutte figure, indossa il vestito e
ubbidiscimi <3
Marotti.
Non
avevo mai capito perché
dovesse portarci sempre con lui alle stupide feste di persone che non
conoscevo.
Sospirai poggiando la testa al vetro dietro di me che veniva sfruttato
a
parete.
A
tante, forse troppe persone
era nascosta la vera identità dei Vicius. Pochi sapevano che
era un qualcosa di
simile ad un bordello, solo organizzato molto meglio e con regole
più rigide.
Per molti era solo un ufficio di gran classe, a funzione di sorvegliare
e
controllare i pacchi esportati dall’estero.
Spinsi
nella mia tasca
nuovamente il cellulare che a breve avrebbe fatto quattro mesi in mio
possesso.
Chiusi gli occhi per un secondo e mi stupii nel non vedere il solito
nero che
veniva causato dalle palpebre chiuse, ma da due occhi verdi.
Era
così..così reale.
Sembrava mi stessero guardando, che fossero davanti a me.
Aprii
di scatto gli occhi
sentendo il tintinnio che emetteva l’ascensore quando ti
annuncia che sei
arrivato al piano che volevi.
Mi
ricomposi velocemente per
poi uscire da quel posto avviandomi verso la mia porta.
Posai
i due piatti che avevo
tra le mani nel lavello, li avrei lavati l’indomani.
Era
già tardi e la voglia e
la forza di farlo era pari a zero.
Il
vestito che mi aveva
spedito Marotti tramite corriere era arrivato poche ore fa e, ancora,
non avevo
aperto lo scatolo rettangolare che conteneva quel che avrei indossato
la sera
dopo. Nonostante la scritta elegante color argento puro che si trovava
sul
coperchio del recipiente Maximiliano
Ponte mi aveva
incuriosito non poco, non avevo avuto il tempo di studiare il vestito
all’interno. Avevo avuto da cucinare qual cosina da mettere
sotto i denti,
avevo sistemato le ultime cose che erano rimaste nella valigia ed ero
andata a
comprare lo shampoo CocoVanille che avevo finito quella mattina ma che
avevo
completamente dimenticato le ore prima.
Spensi
la luce della cucina moderna
e in marmo che caratterizzava quella casa e mi trascinai nella camera
da letto,
stanca come non mai. L’inizio settimana mi distruggeva sempre
e, ero felice di
poter restare a letto per tutta la restante serata guardando vecchie
serie che
trasmettevano sui canali retrò, ogni sera.
Illuminai
la grande stanza
arredata in stile moderno.
L’armadio
scorrevole era a
specchio così da farmi spaventare ogni mattina al mio
risveglio, guardando la
mia faccia da zombie. Sul grande letto a una piazza e mezzo avevo messo
delle
coperte viola melanzana.
Camminai
verso il termosifone
nascosto dietro il mobiletto della televisione al plasma che avevo
trovato sin
dal primo giorno lì dentro e allungai la mano per toccarlo.
Era tiepido. I
riscaldamenti che avevo acceso poco prima iniziavano a farsi sentire.
Dopo
essermi stiracchiata e
aver sbadigliato per la milionesima volta in quel giorno, andai verso
il letto
scoperchiando la scatola a cui erano stati rivolti i miei pensieri fino
a
qualche minuto prima.
Con
le punte delle dita presi
l’estremità del vestito estraendolo dalla scatola
e tendendo le braccia per
ammirarlo al meglio. Rimasi a bocca aperta per la tale bellezza che
avevo tra
le mani.
Look at me
Hola!
Grazie per aver letto
il capitolo :)
In
teoria non avrei dovuto
aggiornare oggi e finire questo capitolo oggi perché sono
indaffarata per la
partenza a Napoli per le vacanze estive. Sono stata felice del capitolo
scorso
anche se, ad essere onesta, mi sarebbe piaciuto ricevere qualche
recensioncina
in più. Ma va bene.
Passando
al capitolo, anche
questo è corto ma più lunghi di così
non mi vengono hahaha bè i commenti
spettano a voi.
Adesso
è ancora tutto un po’
misterioso ed enigmatico ma man mano che la storia andrà
avanti i pezzi di
puzzle inizieranno a combaciare.
Volevo
ringraziare tutti
quelli che la seguono anche se rimangono in silenzio e un
ringraziamento
speciale a Simonuccia_98_ che mi sta vicina davvero e che segue la mia
storia
con tanto entusiasmo. Grazie.
Passate
a leggere la sua
storia perché merita davvero. http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2655082&i=1
Nel
prossimo capitolo nel
“look at me” ci
sarà una notizia che
potrebbe far piacere anche a voi e vi spiegherò tutto nel
prossimo capitolo.
Un
bacio!
Cielo
<3