Sei
Confronto
La
strada fino
al palazzetto le sembrò interminabile. Camminare al fianco
di un Tobias
profondamente incollerito non era certo una bella esperienza:
l’allenatore non
fece altro che sbuffare sonoramente per tutto il tragitto,
costringendola quasi
a trattenere il respiro per evitare di irritarlo inavvertitamente.
La
squadra di
hockey al completo si voltò al loro ingresso.
«Hei!»
si
lamentò uno dei ragazzi. «Il campo è
nostro, stasera!»
«Fuori
dai
piedi, mocciosi!» tuonò subito Tobias, senza
lasciare spazio a repliche.
«Possiamo
almeno
guardare?» domandò timidamente Giovanni, che si
era fatto più vicino e studiava
in modo interrogativo Emma.
«Non
credo
sarebbe una buona idea» sussurrò la ragazza
all’amico, invitandolo con uno
sguardo preoccupato a lasciare la pista.
«Sei
sicura che
non vuoi che rimanga?»
La
voce di
Giovanni risuonò attraverso le gradinate attirando
l’attenzione di Tobias.
«Che
ci fai
ancora qui?!» sbraitò. «Questa sera ci
siamo solo io ed Emma.»
Ottimo.
Pochi giri di pista e lei era già
finita a terra tre volte: due per cause imputabili alla sua
disattenzione ma
una, senza ombra di dubbio, alla scorrettezza di Tobias, che
l’aveva spinta
quando lei gli voltava le spalle. Sembrava che tutti quegli anni
lontani dal
ghiaccio avessero alterato la sua percezione dello spazio, tanto che
ora aveva
bisogno dell’intera superficie ghiacciata per portare alla
giusta temperatura i
suoi muscoli vegliardi.
«Ahia!»
si era
lamentata Emma, quando una manata di Tobias le aveva fatto perdere
l’equilibrio.
«Scusa!»
aveva
ironizzato lui. «Sei sempre in mezzo.»
Se
non aveva
capito male, l’idea di Tobias era piuttosto semplice. Una
sfida a base di
salti. Chi ne esegue di più e di più difficili
vince. Naturalmente le aveva
offerto la possibilità di rifiutare, ma in quel caso, non le
avrebbe mai più
permesso di dimenticarlo. E poi perdere la faccia davanti a lui, dopo
tutte le
offese che le aveva rivolto nell’ultimo periodo, era fuori
discussione.
«Allora,
signorina» iniziò Tobias, dopo aver finalmente
completato il suo riscaldamento,
«vediamo cosa sai fare».
«Non
mi alleno da più di un mese, lo sai» si difese.
«Il
custode dice
che tu passi tutte le tue serate sul ghiaccio.»
«Con
scarso
impegno e blandi risultati.»
«Dice
anche che
fai 60-70 tripli per ogni ora.»
Al
diavolo il
custode! Come faceva a sapere tutte quelle cose?! Lei in pista non lo
aveva mai
visto.
«Dimmi,
Tobias, qual è stato il tuo miglior piazzamento
ai Nazionali?» lo attaccò di rimando.
«Io almeno ho vinto un bronzo!»
«Quale
onore!» ironizzò lui. «Sai, quello
italiano non è
esattamente come il campionato americano! E per la
precisione» aggiunse poi, «io
ho vinto un argento agli Europei!»
«E
questo è successo prima o dopo l’invenzione delle
lame?!»
No. Non poteva
durare a lungo. Erano
in pista da mezz’ora scarsa ed Emma aveva già
rischiato di rompersi il femore
cinque volte. Per non parlare delle ossa di Tobias, che scricchiolavano
ad ogni
trottola. Avevano già eseguito spericolati loop, flip e
toeloop con rotazioni
variabili, ma nessuno dei due accennava ad esporre bandiera bianca. E
non
mancavano gli sfottò.
«Non
vale!» si arrabbiò infatti Emma. «Quello
era il
sesto toeloop di fila, per di più doppio! Devi cambiare
salto!»
«Andiamo,
buona samaritana del pattinaggio» le fece eco Tobias,
«ho il doppio dei tuoi anni!»
«Ha
ha... Ammetti la tua debolezza?!» lo sbeffeggiò
lei,
con tono trionfante.
«Se
è per questo, non ho ancora visto le tue
combinazioni»
la rimproverò acre Tobias, assumendo la peggior aria da l’allenatore-sono-io di cui
fosse in possesso.
«Perché
non chiedi al custode se le so ancora fare?!»
«Zitta
e salta!»
Già.
Questo era sempre stato il problema di Tobias: poche
parole e tanto lavoro. Per carità,
si tratta di un sistema che può anche funzionare, in linea
di massima. Ma non
con lui. Per Tobias poche parole volevano dire anche scarsa
comprensione. E
questo non andava bene. In nessun caso.
«È
solo questo che conta per te, vero Tobias?» chiese
Emma furibonda. «Lavoro, lavoro, lavoro. Mai una discussione.
Giusto per sapere
come la pensano gli altri.»
«E
chi sarebbero questi altri?»
La risposta
della ragazza si fece attendere qualche
secondo ma poi risuonò forte e chiara.
«Io sono gli
altri.»
La sua
determinazione giunse talmente imprevista che
Tobias per poco non scivolò caricando il suo toeloop.
Triplo, questa volta.
«È
questo che vuoi?» la derise. «Parlare?»
Emma
sostenne il suo sguardo canzonatorio.
«Se
hai bisogno di riprendere fiato puoi anche dirlo!»
«Ho
tutto il fiato che mi serve!» esclamò Emma
piccata. «Ho
talmente tanto fiato che... potrei far vincere Luna rossa!»
Tobias
scoppiò in una risata fragorosa, che la fece
sentire una vera imbecille. Di bene in meglio. Un’altra boutade come questa e anche lei avrebbe
dovuto riconsiderare i
vantaggi della comunicazione.
«Se
proprio vuoi parlare, allora perché non mi dici che
cosa è successo a Trento?»
Si
udì uno schianto.
Con il suo
talento naturale per recar danno al prossimo, Tobias
aveva trovato l’unico argomento che Emma proprio non se la
sentiva di affrontare,
tirandolo in ballo per altro così a bruciapelo da farle
mancare l’atterraggio
del suo (fin lì) perfetto doppio axel al centro della pista.
«Avevo
l’influenza» disse in un sussurro, mentre le sue
guance si imporporavano.
«Balle!»
Come faceva
ad essere sempre così odioso?! Se fossero
esistiti i campionati della malvagità Tobias non avrebbe
temuto rivali. Neppure
ai Mondiali.
«Stavi
benissimo» puntualizzò l’allenatore,
interrompendo
la sua serie di salti per fronteggiarla da vicino. “E
comunque” aggiunse,
notando l’intenzione di Emma di replicare, «hai
gareggiato anche con la
polmonite.»
«Vero.
Per quello devo ringraziare te.»
«Non
c’è di che» disse Tobias, imitando un
sorriso
cordiale.
Okay. Se era
stato tanto sfacciato da tirare fuori la cosa
adesso ne avrebbe pagato le conseguenze. A Tobias non erano mai
piaciuti i
discorsi che facevano leva sul lato emotivo-psicologico delle persone;
per
questo Emma decise che si era appena meritato una confessione in piena
regola.
«Ero...
furiosa» ammise, con una certa riluttanza. «Per
colpa di quello stupidissimo campionato ho perso il funerale di mia
nonna e tu
sai bene quanto io le fossi legata.»
Ecco. Lo
aveva detto. Erano passati mesi da quando aveva
pronunciato l’ultima volta il nome della persona che aveva
segnato così tanto
la sua vita e di cui sentiva costantemente la mancanza.
«Quella
nei tuoi occhi non era furia» replicò duro
Tobias, che non era uomo da ammorbidirsi di fronte ai sentimenti.
«Era paura.»
Ma come osa?! Nessuno gli
aveva mai spiegato
che, quando una persona, specialmente una ragazza, ti apre il suo cuore
è bene
offrirle tutto il conforto possibile?!
«Certo
che era paura!» esplose, pur contro la sua
volontà. «Ero sola, okay?! Per la prima volta in
tutta la mia vita io ero sola!
Ero in un dannatissimo palazzetto davanti a migliaia di persone ed ero
completamente sola!»
Miseria, ora
sì che le mancava il fiato. Il torace le si
sollevava rapidamente, mentre il cuore minacciava di forarle la gola.
«Tu
non eri sola» rispose calmo Tobias. «Avevi
questi»
disse, indicando i suoi pattini, «tutto ciò di cui
avevi bisogno.»
Ma come
faceva a non capire? Come diavolo poteva pensare
che due pezzi di ferro potessero sostituire la persona che non si era
mai persa
una sua gara, sin da quando aveva iniziato, l’unica che
avesse sempre creduto
in lei.
«Tu
non capisci!»
Non riusciva
neppure a trovare le parole per spiegare al
suo insensibile allenatore che cosa aveva provato in quel momento,
quando
facendo il suo giro di pista si era resa conto che la sua tifosa numero
uno non
c’era più e che, mentre lei inseguiva inutilmente
un piazzamento, tutta la sua
famiglia si era riunita per dirle addio.
«Sei
tu che non capisci!» la rimproverò Tobias,
riscuotendola dai ricordi. «Non sei più una
bambina, perciò smettila di credere
alle favole! Ogni bravo atleta sa che può e deve contare
unicamente su se
stesso.»
Quelle
parole suonavano così retoriche.
«E
sul suo allenatore.»
Queste, poi,
erano incredibili. Letteralmente.
«Eravamo
insieme, quel giorno.» le disse ancora, dopo una
lunga pausa.
Ora le
veniva da piangere. Ogni singola fibra del suo
essere era attonita e sopraffatta dall’emozione di quella
dichiarazione
spontanea.
«In
quei quattro minuti hai buttato via anche la mia, di
carriera.»
Ah, eccolo
qui, il vero Tobias! Dunque le sue non erano
state parole di partecipazione, ma di rimprovero. Come sempre. Ora
tornava a
riconoscere il suo allenatore.
«Cavolo,
Emma, potevi vincere!» si arrabbiò, vedendola
rimanere in silenzio. «In vita tua non eri mai stata
così vicina all’oro.»
Era vero. In
quel maledettissimo week end di gara forse
avrebbe anche potuto guadagnarsi il gradino più alto del
podio. Ma il punto era
che non le importava. Una delle ragioni che l’avevano spinta
a pattinare era la
passione della nonna per il mondo della danza, che per lei era sempre
rimasta
un sogno. Vedere la nipote muoversi con grazia sul ghiaccio, fondendo
l’armonia
dei propri gesti con quella della musica, l’aveva sempre
colmata di gioia.
Senza di lei, non aveva senso continuare.
«Eri
in testa dopo il corto. Avevi la gara nelle tue mani»
ricordò ancora Tobias.
«Ero
in testa solo perché mi avevi promesso che, se
avessi vinto il corto, mi avresti permesso di ritirarmi!»
urlò Emma, ormai
incapace di contenere le lacrime.
Così
avrei potuto
partecipare al funerale. Insieme a tutti i miei cari...
«Eri
in testa perché eri forte.»
Che cosa?! Anche nella
confusione di quella
rabbiosa schermaglia, una parte della sua mente aveva registrato quelle
parole.
Forte?
«Io
ero... cosa?» chiese, per essere pienamente sicura.
Tobias la
guardò stralunato.
«Forte,
Emma, forte» ripeté spazientito. «Con
tutti i
tuoi salti a posto e le nuove posizioni nelle trottole non esisteva
nessuno in
grado di batterti.»
Emma non
riusciva a credere alle sue orecchie.
«Perché
non me lo hai detto?»
«Perché,
vista la tua naturale propensione a rovinare
tutto, avresti subito combinato un gran casino. Che hai comunque
combinato»
concluse Tobias, con amarezza.
Quindi
almeno in quell’occasione lei aveva avuto
l’appoggio del suo allenatore... Era questo che Tobias stava
cercando di dirle,
in maniera così indiretta?
«Tu
eri... con me?» si impose di chiedergli. «Giusto
come
conferma.»
«Io
ero dove sono sempre stato. Ad un metro dalla
balaustra. Ad un metro da te.»
... Porca
vacca!
Ecco
ciò che aspettava di sentirsi dire da talmente tanto
tempo che non si ricordava più la prima volta in cui lo
aveva desiderato.
Tobias insieme a lei. Non contro di lei. Non era più sola.
Non era mai stata
sola. Certo, era lei che
trascorreva
metà del suo tempo con il sedere sul ghiaccio; era il suo corpo che si copriva continuamente di
nuovi lividi... però ora
sapeva che c’era qualcun altro che soffriva insieme a lei. Sperava insieme a lei.
«Questo
non cambia le cose!» si sentì esclamare
d’un
tratto. La creatura che ultimamente si era fatta strada dentro di lei,
mandando
al diavolo la routine cui aveva conformato la propria esistenza negli
ultimi
dieci anni, non poteva essere messa a tacere in un battito di ciglia.
«Prego?»
Gli occhi di
Tobias, già rossi per il freddo e lo sforzo
inusuale, si erano ridotti a due fessure.
«Io
non pattino più. Ho già preso la mia
decisione.»
«Non
puoi decidere da sola.»
Non
c’era aggressività nella voce del suo allenatore;
solo la calma sicurezza di chi enuncia un teorema geometrico. Del
resto, i
conti tornavano: se loro due formavano una squadra, allora lei non
poteva
escluderlo dalle sue decisioni. Chiaro,
limpido, euclideo.
«Avanti,
Tobias» disse Emma con onestà, «non sono
mai stata
un asso. Ora ho ventidue anni. Che senso ha continuare?»
«Io
di anni ne ho quarantacinque» si arrabbiò lui,
«e
posso ancora fare questo.»
Un giro di
pista per acquistare la velocità necessaria e
Tobias eseguì un perfetto triplo lutz, sotto gli occhi
stupefatti di Emma.
«Il
mio lutz è ancora meglio del tuo» la
canzonò.
No. No. No. Si era
appena abituata al nuovo
Tobias, più aperto ed incoraggiante, che subito rispuntava
fuori di prepotenza
quello vecchio, beffardo e crudele?!
Bisognava
fare qualcosa. Immediatamente. Per impedire ad
ogni costo la mutazione.
Adesso ti
faccio
vedere io.
Caricò
il salto, decisa a dimostrare la propria
indiscutibile abilità all’allenatore, ma poi se ne
pentì. Frenò la rotazione
mentre era ancora in volo e cadde malamente sul ghiaccio.
Tobias la
fissò esterrefatto.
«Che
cos’era quello?!»
«Niente»
si affrettò ad assicurare Emma, ancora distesa.
«Ho
contato 3 rotazioni e mezza, ne sono sicuro!»
«Hai
le allucinazioni. Erano due e mezza.»
«Buon
Dio, Emma! Tu hai un quad?!»
La ragazza
si rimise in piedi da sola, dopo aver compreso
che Tobias non era intenzionato ad aiutarla.
«No,
non ho un quadruplo» rispose. «Ma ho un triplo
axel.»
«Tu
non hai un triplo axel!» esclamò di rimando
Tobias,
con un ghigno irriverente.
«Sta’
a vedere.»
Ed Emma
eseguì un triplo axel. In
combinazione.
«Hai
aggiunto qualcos’altro al tuo repertorio?»
Difficile
stabilire se Tobias fosse più arrabbiato,
sorpreso, o sinceramente ammirato.
~ * ~
Erano le
dieci passate quando Emma lasciò il palazzetto.
Non c’era un solo muscolo in tutto il suo corpo che non le
dolesse
fastidiosamente, ma se possibile a farla stare peggio c’era
il suo morale, che
mai era stato così basso.
La sfida con
Tobias aveva presentato risvolti
interessanti e molte cose che erano state fatte e dette quella sera
avrebbero
cambiato i loro rapporti futuri; eppure, era come se qualcuno le avesse
caricato sulla schiena un sacco pieno di mattoni e lei fosse costretta
a
trasportarlo per chilometri e chilometri... Lo conosceva bene, quel
peso: il
peso della responsabilità.
Di cui
avrebbe fatto volentieri a meno.
«Io
adesso entro!» una voce angosciata interruppe il filo
dei suoi mesti pensieri. «Non ne posso più di
questa attesa!»
«Eh,
tu sì che sai mantenere la calma nei momenti di
crisi, Tontolo!»
Non ci
poteva credere. Quelle erano le voci di Giovanni e
Viviana. L’avevano aspettata tutta la sera fuori dallo
stadio. E non erano
neppure morti congelati.
Pochi passi
ancora e se li ritrovò di fronte: sua
sorella, con una grossa fascia di lana che le copriva le orecchie,
cercava di
rincuorare il ragazzotto che, tutto curvo contro il muro, sembrava
davvero in
ansia.
«Tranquilli,
Tobias non è mai stato un serial killer
avveduto» disse, per richiamare la loro attenzione.
«Ti
giuro che, ancora dieci minuti, e avrei sfondato la
porta!» le assicurò Giovanni, decisamente
sollevato nel rivederla viva e
vegeta.
«E
così ti saresti sfondato una spalla»
commentò Vivi
tagliente. «A meno che non avessi provato con la testa...
tipo ariete, sai?»
Emma rise,
per la prima volta quella sera.
Non sei
sola... quelle
parole riecheggiarono
nella sua mente.
«E
allora?» le domandarono i due in coro. «Che
è successo
là dentro?!»
Emma
raccontò brevemente della sfida organizzata da
Tobias e di come questa si era svolta.
«Io
ho fatto un triplo axel» spiegò, trattenendo a
stento
un guizzo d’orgoglio ben deciso ad animare il suo sguardo.
«Wow!»
esclamarono i ragazzi.
«Ma
lui ha fatto un triplo lutz. Da manuale.»
«Un
triplo lutz?! Alla sua età?!» ripeté
Giovanni
incredulo.
«Impossibile
da battere.»
«Ma
guarda te» commentò Viviana stranita, «e
io che ero
convinta che Tobias fosse ormai da rottamare...».
«E
quindi?»
Di nuovo i
due ragazzi faticavano a celare la curiosità.
«Ha
vinto lui» ammise infine Emma, dopo una pausa ad
effetto.
«E
questo... è tutto?»
Ancora Vivi,
con la sua singolare perspicacia.
Emma
incrociò il suo sguardo e la vide sorridere, mentre
Giovanni brancolava ancora nel buio.
«Si
può sapere cosa cavolo...» si intromise infatti,
interrompendo quel momento d’intesa fra le due sorelle.
«Emma
va in Giappone» spiegò Viviana entusiasta.
«Dico
bene?»
Nota
Eccoci alla
fine di un nuovo capitolo: spero vi sia
piaciuto! Se è così, lasciatemi un commentino! ^ ^
Chiedo scusa
per la lentezza con cui aggiorno, ma trovo
che scrivere una storia originale richeda più tempo di
quanto pensassi.
Grazie
infinite a Lady_me
per le belle parole di incoraggiamento
e grazie anche a chi legge senza recensire!
Il prossimo
capitoletto dovrebbe essere l’ultimo per questa
prima parte. A presto!
M.