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Autore: menestrella 07    05/09/2008    2 recensioni
Ecco la mia prima fanfic relativa al mondo del pattinaggio... e della pasticceria! Prima parte conclusa!
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sei

Confronto

 

 

 

La strada fino al palazzetto le sembrò interminabile. Camminare al fianco di un Tobias profondamente incollerito non era certo una bella esperienza: l’allenatore non fece altro che sbuffare sonoramente per tutto il tragitto, costringendola quasi a trattenere il respiro per evitare di irritarlo inavvertitamente.

 

 

La squadra di hockey al completo si voltò al loro ingresso.

«Hei!» si lamentò uno dei ragazzi. «Il campo è nostro, stasera!»

«Fuori dai piedi, mocciosi!» tuonò subito Tobias, senza lasciare spazio a repliche.

«Possiamo almeno guardare?» domandò timidamente Giovanni, che si era fatto più vicino e studiava in modo interrogativo Emma.

«Non credo sarebbe una buona idea» sussurrò la ragazza all’amico, invitandolo con uno sguardo preoccupato a lasciare la pista.

«Sei sicura che non vuoi che rimanga?»

La voce di Giovanni risuonò attraverso le gradinate attirando l’attenzione di Tobias.

«Che ci fai ancora qui?!» sbraitò. «Questa sera ci siamo solo io ed Emma.»

 

 

Ottimo. Pochi giri di pista e lei era già finita a terra tre volte: due per cause imputabili alla sua disattenzione ma una, senza ombra di dubbio, alla scorrettezza di Tobias, che l’aveva spinta quando lei gli voltava le spalle. Sembrava che tutti quegli anni lontani dal ghiaccio avessero alterato la sua percezione dello spazio, tanto che ora aveva bisogno dell’intera superficie ghiacciata per portare alla giusta temperatura i suoi muscoli vegliardi.

 

 

«Ahia!» si era lamentata Emma, quando una manata di Tobias le aveva fatto perdere l’equilibrio.

«Scusa!» aveva ironizzato lui. «Sei sempre in mezzo.»

 

 

Se non aveva capito male, l’idea di Tobias era piuttosto semplice. Una sfida a base di salti. Chi ne esegue di più e di più difficili vince. Naturalmente le aveva offerto la possibilità di rifiutare, ma in quel caso, non le avrebbe mai più permesso di dimenticarlo. E poi perdere la faccia davanti a lui, dopo tutte le offese che le aveva rivolto nell’ultimo periodo, era fuori discussione.

 

 

«Allora, signorina» iniziò Tobias, dopo aver finalmente completato il suo riscaldamento, «vediamo cosa sai fare».

«Non mi alleno da più di un mese, lo sai» si difese.

«Il custode dice che tu passi tutte le tue serate sul ghiaccio.»

«Con scarso impegno e blandi risultati.»

«Dice anche che fai 60-70 tripli per ogni ora.»

Al diavolo il custode! Come faceva a sapere tutte quelle cose?! Lei in pista non lo aveva mai visto.

 

 

«Dimmi, Tobias, qual è stato il tuo miglior piazzamento ai Nazionali?» lo attaccò di rimando. «Io almeno ho vinto un bronzo!»

«Quale onore!» ironizzò lui. «Sai, quello italiano non è esattamente come il campionato americano! E per la precisione» aggiunse poi, «io ho vinto un argento agli Europei!»

«E questo è successo prima o dopo l’invenzione delle lame?!»

 

 

No. Non poteva durare a lungo. Erano in pista da mezz’ora scarsa ed Emma aveva già rischiato di rompersi il femore cinque volte. Per non parlare delle ossa di Tobias, che scricchiolavano ad ogni trottola. Avevano già eseguito spericolati loop, flip e toeloop con rotazioni variabili, ma nessuno dei due accennava ad esporre bandiera bianca. E non mancavano gli sfottò.

 

 

«Non vale!» si arrabbiò infatti Emma. «Quello era il sesto toeloop di fila, per di più doppio! Devi cambiare salto!»

«Andiamo, buona samaritana del pattinaggio» le fece eco Tobias, «ho il doppio dei tuoi anni!»

«Ha ha... Ammetti la tua debolezza?!» lo sbeffeggiò lei, con tono trionfante.

 

 

«Se è per questo, non ho ancora visto le tue combinazioni» la rimproverò acre Tobias, assumendo la peggior aria da l’allenatore-sono-io di cui fosse in possesso.

«Perché non chiedi al custode se le so ancora fare?!»

 

 

«Zitta e salta!»

 

 

Già. Questo era sempre stato il problema di Tobias: poche parole e tanto lavoro. Per carità, si tratta di un sistema che può anche funzionare, in linea di massima. Ma non con lui. Per Tobias poche parole volevano dire anche scarsa comprensione. E questo non andava bene. In nessun caso.

 

 

«È solo questo che conta per te, vero Tobias?» chiese Emma furibonda. «Lavoro, lavoro, lavoro. Mai una discussione. Giusto per sapere come la pensano gli altri.»

«E chi sarebbero questi altri?»

 

 

La risposta della ragazza si fece attendere qualche secondo ma poi risuonò forte e chiara.

«Io sono gli altri.»

La sua determinazione giunse talmente imprevista che Tobias per poco non scivolò caricando il suo toeloop. Triplo, questa volta.

 

 

«È questo che vuoi?» la derise. «Parlare

Emma sostenne il suo sguardo canzonatorio.

«Se hai bisogno di riprendere fiato puoi anche dirlo!»

«Ho tutto il fiato che mi serve!» esclamò Emma piccata. «Ho talmente tanto fiato che... potrei far vincere Luna rossa!»

 

 

Tobias scoppiò in una risata fragorosa, che la fece sentire una vera imbecille. Di bene in meglio. Un’altra boutade come questa e anche lei avrebbe dovuto riconsiderare i vantaggi della comunicazione.

 

 

«Se proprio vuoi parlare, allora perché non mi dici che cosa è successo a Trento?»

 

 

Si udì uno schianto.

Con il suo talento naturale per recar danno al prossimo, Tobias aveva trovato l’unico argomento che Emma proprio non se la sentiva di affrontare, tirandolo in ballo per altro così a bruciapelo da farle mancare l’atterraggio del suo (fin lì) perfetto doppio axel al centro della pista.

 

 

«Avevo l’influenza» disse in un sussurro, mentre le sue guance si imporporavano.

«Balle!»

 

 

Come faceva ad essere sempre così odioso?! Se fossero esistiti i campionati della malvagità Tobias non avrebbe temuto rivali. Neppure ai Mondiali.

 

 

«Stavi benissimo» puntualizzò l’allenatore, interrompendo la sua serie di salti per fronteggiarla da vicino. “E comunque” aggiunse, notando l’intenzione di Emma di replicare, «hai gareggiato anche con la polmonite.»

«Vero. Per quello devo ringraziare te.»

 

 

«Non c’è di che» disse Tobias, imitando un sorriso cordiale.

 

 

Okay. Se era stato tanto sfacciato da tirare fuori la cosa adesso ne avrebbe pagato le conseguenze. A Tobias non erano mai piaciuti i discorsi che facevano leva sul lato emotivo-psicologico delle persone; per questo Emma decise che si era appena meritato una confessione in piena regola.

 

 

«Ero... furiosa» ammise, con una certa riluttanza. «Per colpa di quello stupidissimo campionato ho perso il funerale di mia nonna e tu sai bene quanto io le fossi legata.»

 

 

Ecco. Lo aveva detto. Erano passati mesi da quando aveva pronunciato l’ultima volta il nome della persona che aveva segnato così tanto la sua vita e di cui sentiva costantemente la mancanza.

 

 

«Quella nei tuoi occhi non era furia» replicò duro Tobias, che non era uomo da ammorbidirsi di fronte ai sentimenti. «Era paura.»

 

 

Ma come osa?! Nessuno gli aveva mai spiegato che, quando una persona, specialmente una ragazza, ti apre il suo cuore è bene offrirle tutto il conforto possibile?!

 

 

«Certo che era paura!» esplose, pur contro la sua volontà. «Ero sola, okay?! Per la prima volta in tutta la mia vita io ero sola! Ero in un dannatissimo palazzetto davanti a migliaia di persone ed ero completamente sola!»

 

 

Miseria, ora sì che le mancava il fiato. Il torace le si sollevava rapidamente, mentre il cuore minacciava di forarle la gola.

 

 

«Tu non eri sola» rispose calmo Tobias. «Avevi questi» disse, indicando i suoi pattini, «tutto ciò di cui avevi bisogno.»

 

 

Ma come faceva a non capire? Come diavolo poteva pensare che due pezzi di ferro potessero sostituire la persona che non si era mai persa una sua gara, sin da quando aveva iniziato, l’unica che avesse sempre creduto in lei.

 

 

«Tu non capisci!»

Non riusciva neppure a trovare le parole per spiegare al suo insensibile allenatore che cosa aveva provato in quel momento, quando facendo il suo giro di pista si era resa conto che la sua tifosa numero uno non c’era più e che, mentre lei inseguiva inutilmente un piazzamento, tutta la sua famiglia si era riunita per dirle addio.

 

 

«Sei tu che non capisci!» la rimproverò Tobias, riscuotendola dai ricordi. «Non sei più una bambina, perciò smettila di credere alle favole! Ogni bravo atleta sa che può e deve contare unicamente su se stesso.»

 

 

Quelle parole suonavano così retoriche.

 

 

«E sul suo allenatore.»

 

 

Queste, poi, erano incredibili. Letteralmente.

 

 

«Eravamo insieme, quel giorno.» le disse ancora, dopo una lunga pausa.

 

 

Ora le veniva da piangere. Ogni singola fibra del suo essere era attonita e sopraffatta dall’emozione di quella dichiarazione spontanea.

 

 

«In quei quattro minuti hai buttato via anche la mia, di carriera.»

 

 

Ah, eccolo qui, il vero Tobias! Dunque le sue non erano state parole di partecipazione, ma di rimprovero. Come sempre. Ora tornava a riconoscere il suo allenatore.

 

 

«Cavolo, Emma, potevi vincere!» si arrabbiò, vedendola rimanere in silenzio. «In vita tua non eri mai stata così vicina all’oro.»

 

 

Era vero. In quel maledettissimo week end di gara forse avrebbe anche potuto guadagnarsi il gradino più alto del podio. Ma il punto era che non le importava. Una delle ragioni che l’avevano spinta a pattinare era la passione della nonna per il mondo della danza, che per lei era sempre rimasta un sogno. Vedere la nipote muoversi con grazia sul ghiaccio, fondendo l’armonia dei propri gesti con quella della musica, l’aveva sempre colmata di gioia. Senza di lei, non aveva senso continuare.

 

 

«Eri in testa dopo il corto. Avevi la gara nelle tue mani» ricordò ancora Tobias.

«Ero in testa solo perché mi avevi promesso che, se avessi vinto il corto, mi avresti permesso di ritirarmi!» urlò Emma, ormai incapace di contenere le lacrime.

 

 

Così avrei potuto partecipare al funerale. Insieme a tutti i miei cari...

 

 

«Eri in testa perché eri forte.»

Che cosa?! Anche nella confusione di quella rabbiosa schermaglia, una parte della sua mente aveva registrato quelle parole. Forte?

 

 

«Io ero... cosa?» chiese, per essere pienamente sicura.

Tobias la guardò stralunato.

«Forte, Emma, forte» ripeté spazientito. «Con tutti i tuoi salti a posto e le nuove posizioni nelle trottole non esisteva nessuno in grado di batterti.»

 

 

Emma non riusciva a credere alle sue orecchie.

«Perché non me lo hai detto?»

«Perché, vista la tua naturale propensione a rovinare tutto, avresti subito combinato un gran casino. Che hai comunque combinato» concluse Tobias, con amarezza.

 

 

Quindi almeno in quell’occasione lei aveva avuto l’appoggio del suo allenatore... Era questo che Tobias stava cercando di dirle, in maniera così indiretta?

«Tu eri... con me?» si impose di chiedergli. «Giusto come conferma.»

«Io ero dove sono sempre stato. Ad un metro dalla balaustra. Ad un metro da te.»

 

 

... Porca vacca!

Ecco ciò che aspettava di sentirsi dire da talmente tanto tempo che non si ricordava più la prima volta in cui lo aveva desiderato. Tobias insieme a lei. Non contro di lei. Non era più sola. Non era mai stata sola. Certo, era lei che trascorreva metà del suo tempo con il sedere sul ghiaccio; era il suo corpo che si copriva continuamente di nuovi lividi... però ora sapeva che c’era qualcun altro che soffriva insieme a lei. Sperava insieme a lei.

 

 

«Questo non cambia le cose!» si sentì esclamare d’un tratto. La creatura che ultimamente si era fatta strada dentro di lei, mandando al diavolo la routine cui aveva conformato la propria esistenza negli ultimi dieci anni, non poteva essere messa a tacere in un battito di ciglia.

«Prego?»

Gli occhi di Tobias, già rossi per il freddo e lo sforzo inusuale, si erano ridotti a due fessure.

 

 

«Io non pattino più. Ho già preso la mia decisione.»

«Non puoi decidere da sola.»

Non c’era aggressività nella voce del suo allenatore; solo la calma sicurezza di chi enuncia un teorema geometrico. Del resto, i conti tornavano: se loro due formavano una squadra, allora lei non poteva escluderlo dalle sue decisioni. Chiaro, limpido, euclideo.

 

 

«Avanti, Tobias» disse Emma con onestà, «non sono mai stata un asso. Ora ho ventidue anni. Che senso ha continuare?»

«Io di anni ne ho quarantacinque» si arrabbiò lui, «e posso ancora fare questo.»

 

 

Un giro di pista per acquistare la velocità necessaria e Tobias eseguì un perfetto triplo lutz, sotto gli occhi stupefatti di Emma.

«Il mio lutz è ancora meglio del tuo» la canzonò.

 

 

No. No. No. Si era appena abituata al nuovo Tobias, più aperto ed incoraggiante, che subito rispuntava fuori di prepotenza quello vecchio, beffardo e crudele?!

Bisognava fare qualcosa. Immediatamente. Per impedire ad ogni costo la mutazione.

 

 

Adesso ti faccio vedere io.

 

 

Caricò il salto, decisa a dimostrare la propria indiscutibile abilità all’allenatore, ma poi se ne pentì. Frenò la rotazione mentre era ancora in volo e cadde malamente sul ghiaccio.

Tobias la fissò esterrefatto.

 

 

«Che cos’era quello?!»

«Niente» si affrettò ad assicurare Emma, ancora distesa.

«Ho contato 3 rotazioni e mezza, ne sono sicuro!»

«Hai le allucinazioni. Erano due e mezza.»

«Buon Dio, Emma! Tu hai un quad?!»

 

 

La ragazza si rimise in piedi da sola, dopo aver compreso che Tobias non era intenzionato ad aiutarla.

«No, non ho un quadruplo» rispose. «Ma ho un triplo axel.»

«Tu non hai un triplo axel!» esclamò di rimando Tobias, con un ghigno irriverente.

 

 

«Sta’ a vedere.»

Ed Emma eseguì un triplo axel. In combinazione.

 

 

«Hai aggiunto qualcos’altro al tuo repertorio?»

Difficile stabilire se Tobias fosse più arrabbiato, sorpreso, o sinceramente ammirato.

 

 

~ * ~

 

 

Erano le dieci passate quando Emma lasciò il palazzetto. Non c’era un solo muscolo in tutto il suo corpo che non le dolesse fastidiosamente, ma se possibile a farla stare peggio c’era il suo morale, che mai era stato così basso.

 

 

La sfida con Tobias aveva presentato risvolti interessanti e molte cose che erano state fatte e dette quella sera avrebbero cambiato i loro rapporti futuri; eppure, era come se qualcuno le avesse caricato sulla schiena un sacco pieno di mattoni e lei fosse costretta a trasportarlo per chilometri e chilometri... Lo conosceva bene, quel peso: il peso della responsabilità. Di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

 

 

«Io adesso entro!» una voce angosciata interruppe il filo dei suoi mesti pensieri. «Non ne posso più di questa attesa!»

«Eh, tu sì che sai mantenere la calma nei momenti di crisi, Tontolo!»

 

 

Non ci poteva credere. Quelle erano le voci di Giovanni e Viviana. L’avevano aspettata tutta la sera fuori dallo stadio. E non erano neppure morti congelati.

 

 

Pochi passi ancora e se li ritrovò di fronte: sua sorella, con una grossa fascia di lana che le copriva le orecchie, cercava di rincuorare il ragazzotto che, tutto curvo contro il muro, sembrava davvero in ansia.

 

 

«Tranquilli, Tobias non è mai stato un serial killer avveduto» disse, per richiamare la loro attenzione.

 

 

«Ti giuro che, ancora dieci minuti, e avrei sfondato la porta!» le assicurò Giovanni, decisamente sollevato nel rivederla viva e vegeta.

«E così ti saresti sfondato una spalla» commentò Vivi tagliente. «A meno che non avessi provato con la testa... tipo ariete, sai?»

 

 

Emma rise, per la prima volta quella sera.

Non sei sola... quelle parole riecheggiarono nella sua mente.

 

 

«E allora?» le domandarono i due in coro. «Che è successo là dentro?!»

 

 

Emma raccontò brevemente della sfida organizzata da Tobias e di come questa si era svolta.

«Io ho fatto un triplo axel» spiegò, trattenendo a stento un guizzo d’orgoglio ben deciso ad animare il suo sguardo.

«Wow!» esclamarono i ragazzi.

«Ma lui ha fatto un triplo lutz. Da manuale.»

«Un triplo lutz?! Alla sua età?!» ripeté Giovanni incredulo.

«Impossibile da battere.»

«Ma guarda te» commentò Viviana stranita, «e io che ero convinta che Tobias fosse ormai da rottamare...».

 

 

«E quindi?»

Di nuovo i due ragazzi faticavano a celare la curiosità.

«Ha vinto lui» ammise infine Emma, dopo una pausa ad effetto.

 

 

«E questo... è tutto?»

Ancora Vivi, con la sua singolare perspicacia.

Emma incrociò il suo sguardo e la vide sorridere, mentre Giovanni brancolava ancora nel buio.

«Si può sapere cosa cavolo...» si intromise infatti, interrompendo quel momento d’intesa fra le due sorelle.

 

 

«Emma va in Giappone» spiegò Viviana entusiasta. «Dico bene?»

 

 

 

 

 

Nota

 

Eccoci alla fine di un nuovo capitolo: spero vi sia piaciuto! Se è così, lasciatemi un commentino! ^ ^

Chiedo scusa per la lentezza con cui aggiorno, ma trovo che scrivere una storia originale richeda più tempo di quanto pensassi.

Grazie infinite a Lady_me per le belle parole di incoraggiamento e grazie anche a chi legge senza recensire!

Il prossimo capitoletto dovrebbe essere l’ultimo per questa prima parte. A presto!

 

M.

  
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