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Autore: The_Silent_Wave    24/07/2014    1 recensioni
Klaine 5x15, scena dell'ospedale leggermente alternativa, vista dall'ottica della psiche di Kurt.
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“Vorrei solamente che potesse sentirmi…”
Sentì solo questo.
Non capì neanche di chi fosse quella voce; ogni singola parola si accavallava all’altra e rimbombava, così da confondere tutto all’interno della sua testa.
Non sapeva se stesso dormendo o se fosse morto e passato all’altro mondo, ma dannazione, quale altro mondo? Pensò.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ho scritto questa storia subito dopo la 5x15, ma non l’avevo pubblicata, perché…boh non ricordo.
Comunque è una visione della mia psiche malata. E’ breve e senza pretese, l’ho scritta di getto e non sono sta là a curare eccessivamente il periodare, che è piuttosto corto e coinciso. Quindi niente, bye!
 
 
 
 
***
 
I can hear you...I know that you are here 

 




 
“Vorrei solamente che potesse sentirmi…”
 
Sentì solo questo.
Non capì neanche di chi fosse quella voce; ogni singola parola si accavallava all’altra e rimbombava, così da confondere tutto all’interno della sua testa.
Non sapeva se stesso dormendo o se fosse morto e passato all’altro mondo. Ma dannazione, quale altro mondo? Pensò.
Non aveva mai creduto in Dio, non aveva mai creduto nel paradiso e non aveva mai considerato l’esistenza di un mondo diverso da quella merda in cui già abitava.
Non vedeva niente infatti attorno a sé, percepiva, seppur minimamente, dei impulsi. Non sapeva però se questi impulsi fossero esterni o interni, se provenissero da fuori o dai suoi pensieri, se fossero reali o frutto della sua immaginazione.
L’ultima cosa che ricordava era il buio.
L’ultima cosa che ricordava erano le urla.
L’ultima cosa che ricordava erano i pugni.
Buio, urla e pugni si mischiavano senza però unirsi davvero come liquidi di densità diversa; non riuscivano mai a formare tutti e tre insieme un'unica soluzione, un quadro limpido che gli facesse capire cosa fosse successo o perché ricordasse queste cose in particolare.
Cercò di fare mente locale, di ripercorrere pedissequamente ogni minima immagine dei suoi ricordi per giungere infine all’ultima cosa vista.
Ma ritornava sempre lì.
Ritornava al buio.
Ritornava alle urla.
Ritornava ai pugni.
Smise di voler ricordare a tutti costi. E si chiese di fosse quella voce. Era anche essa frutto del suo subconscio? Forse.
Cosa gli voleva dire il suo subconscio?
Perché quella voce voleva essere “sentita”?
Forse era davvero il suo subconscio. Forse era tutto frutto della sua immaginazione. Forse era solo un sogno, o un incubo?
Ma in quell’istante, in cui il suo cervello formulò queste teorie, ebbe la certezza che fosse vivo. Ebbe la certezza che questi pensieri disordinati e senza senso erano la risultante di un’elaborazione celebrale identica ad aver sognato di essere mangiati da un granchio gigante- l’aveva sognato la scorsa notte- o essere promosso agli esami della NYADA con Madame Tibaudaux che gli diceva: “Mr. Hummel, ottima performance” mentre applaudiva e scuoteva la testa ornata da un fez. Un fez? Quando lo vide capì che quello era solo un sogno, insomma Madame Tidaudaux con fez? Ecco a cosa porta la maratona di Doctor Who unita ad un articolo su Philip Treacy, unita a sua volta a del cibo asiatico. Dannato curry.
E ora quando si sentì vivo, realizzò similmente che non poteva essere una “sua” voce,  un qualcosa di autoprodotto dal suo cervello, era sicuro che fosse all’esterno e non all’interno.
Molto spesso è il contrario; si tende a fare entrare tutti nei sogni, ogni stimolo esterno entra prepotentemente all’interno, si corrobora con gli altri elementi onirici e non si ha la certezza che quell’unico elemento fosse reale, finché non ci si sveglia e ci rende conto che il rumore dell’acqua che scorre non è una cascata nella quale si sta precipitando, ma semplicemente qualcuno che sta usando il lavandino in bagno.
Mentre Kurt era sicuro che fosse il contrario, che la voce fosse di qualcuno che volesse avvertire, ma di cosa?
 
“Per potergli dire che sono qui.”
 
Ecco lo voleva avvertire che lui/ lei era lì. Era più propenso a considerare l’ipotesi che fosse un lui. Sì era decisamente un lui.
Quella voce ora assumeva un tono differente. Ora più che un avvertimento, gli sembrava un’invocazione, una richiesta, una preghiera di un devoto al proprio Dio.
Certo che per essere uno che non crede, rammentò, il suo subconscio sembrava invece suggerirgli il contrario.
Poi si ricordò ciò in cui crede lui: nelle persone.
E d’improvviso si ricordò tutto.
E d’improvviso si svegliò.
 
 
Cercò di aprire gli occhi.
C’era tanto bianco tendente al grigio, un odore di medicine e un strano bip.
C’era qualcuno accanto a lui, qualcuno a tenergli la mano.
 
“L-o-o s-ss-o.” Biascicò con un filo di voce.
 
 
“Kurt?” 
 
 
“Lo so.”
 
 
“Cosa sai, amore?”
 
 
“Che sei qui.”
 
 
E mentre Blaine lo fissò dritto negli occhi stupefatto ripensando a ciò che aveva detto il giorno precendente, senza lasciargli però la mano, Kurt riconobbe con assolta certezza che quella voce, che quell’avvertimento, che quella preghiera, che quello in cui credeva era Blaine.  
 
 
"Nothing's gonna harm you, not while I'm around."
   
 
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